Innanzitutto:
io e Angy siamo commosse. Per due motivi: il primo è che era
da un
po’ che non ci facevamo vive su questo sito, il secondo
è che
decidiamo di tornare alla carica con un LaviRuki. E chi ci conosce sa
che reazioni abbiamo quando questi due vengono nominati assieme.
Ma
andiamo con ordine: ciao, garzoncelli! Chi vi scrive è Neme,
e tenta
di dare un’introduzione più o meno professionale
di questa one
shot. Ma chi vogliamo prendere in giro? Professionalità
è una
parola distante anni luce.
Perché
questa one shot, dunque? In principio fu il LaviRuki, che io tanto
amo e che tanto ama Angy e che, lo sappiamo, tanto amano altre
persone. Starei a parlare per centinaia di pagine di questi due, ma
cercherò di evitare e di andare al sodo. A scatenare questo
esperimento è stata una raccolta firmata dalla sottoscritta,
“Dieci
volte tanto”, che come da titolo,
raccoglieva dieci one
shot incentrate su questo crosspair che tanto ci piace. Talmente
tanto che dieci fan fiction non bastavano, e neanche una singola
autrice. Così, quella straordinaria persona e autrice che
è
Angy_Valentine, un bel giorno mi scrisse “perché
non
facciamo una one shot sulla fine dell’alleanza Soul
Society/Ordine
Oscuro e scriviamo qualcosa sull’addio tra Lavi e Rukia?”.
Potevo rifiutarmi? Essendo fan del LaviRuki no di certo. Ed essendo
un angster patologica, no di certo.
Ma
visto che a questi due vogliamo talmente bene, e l’idea che
non si
vedranno più ci uccide dentro (qualcuno mi passi un
fazzoletto,
please) questa one shot è nata sì per essere
angst, ma con un
finale, se vogliamo, dolceamaro. Capiteci. Abbiamo faticato tanto per
farli mettere insieme, farli mollare sì che sarebbe troppo
per il
nostro cuore angst. Perciò quanto segue è dettato
unicamente dal
nostro istinto di fan, che poi è questo che fa nascere le
fan
fiction. Ci siamo divertite un sacco (e sofferto un sacco) ma ci
riteniamo abbastanza soddisfatte del lavoro svolto, dividendoci i POV
a vicenda. Angy infatti si è accollata l’ingrato
compito di dar
voce a Rukia, che non è un’impresa da poco (forse
sono solo io, ma
a volte vien voglia di prenderla a capate, la Kuchiki, nelle
questioni di cuore), e io ho dato voce a Lavi, idem con patate. Chi
avrà letto la raccolta “Dieci
volte tanto” potrà
farsi un’idea di cosa troverà. In caso contrario,
è comunque
supponibile che la one shot si possa leggere anche così,
come puro
intrattenimento, grazia ai “riassunti” disseminati
qua e là. E
tanto angst. Ma anche dolcezza.
Approfitto
di questo spazio per ringraziare di cuore quella santa donna di Angy
che ha proposto il progetto, mi ha fatto compagnia nella stesura e mi
ha dato preziosi consigli, e anche per il semplice fatto che tutto
‘sto casino conigliesco è nato con lei. Da quando
ho scoperto il
LaviRuki e il crossover non mi sono mai divertita tanto, e spero che
tutti voi che avrete la grazia di leggere proverete la stessa cosa.
La voglio ringraziare di cuore per gli incoraggiamenti, per le serate
passate a scherzare, a impegnarsi e anche un po’ a soffrire
per i
“blocchi” da scrittore o da disegnatore. E anche
per quello che
producono le sue mani d’oro, fate un salto sul suo profilo e
capirete di cosa sto parlando. Voglio ringraziare anche chi si
è
unito a noi nei nostri deliri e si è fatto due risate con
noi, ma si
è anche appassionato. Speriamo di cuore di non aver deluso
le loro
aspettative e speriamo di riscontrare qualcosa di buono, da questa
one shot scritta a quattro mani, a cui abbiamo dedicato tempo e tanta
pazienza. Ci divertiamo molto in quello che facciamo, che è
indispensabile, ma ci mettiamo anche impegno.
Basta,
mò, che sono una valle di lacrime. Manco stessi per morire.
E come
volevasi dimostrare, mica è uscita un’introduzione
tanto
professionale. Ma se non si sclera qua, dove lo si fa? Capiteci,
utenti di EFP. Siamo davvero emozionatissime all’idea di
pubblicare
questo progetto. E non preoccupatevi, che ci faremo risentire presto
con altri progetti, singoli o, chissà, “le vie del
Signore sono
infinite” e nulla ci vieta di ributtarci in imprese del
genere. In
ogni caso, ci rivedremo senz’altro. Nel frattempo buona
lettura,
fateci sapere presto cosa ne pensate, incrociamo le dita e vi
auguriamo buona lettura!
Il POV di Rukia potete trovarlo QUI
Dieci volte tanto – Ancora una volta, Rukia
POV Lavi
Io sono il successore di Bookman. Il mio compito è quello di registrare, con assoluta imparzialità, il corso degli eventi, infiltrarmi in ogni piccola fessura per coglierne i segreti e memorizzarli. È una vita che ti porta a spostarti continuamente, a incontrare molti visi diversi, parlare con loro, riceverne le confidenze. Tutto per lavoro. Per quasi tutta la mia vita è stato inevitabile fingere. Fare l’amicone sorridente con tutti, senza eccezione, ormai era un meccanismo automatico. Simulare il dispiacere è molto più facile di quanto si creda. Quante ho fatto finta di essere triste nel salutare qualcuno: “mi dispiace, vorrei tanto restare, mi mancherai, ci rivedremo però, sicuramente”. Le ho dette tante volte, queste frasi, in quarantanove registrazioni a cui ho partecipato.
Adesso
però… mi è difficile il contrario.
Direi che mi è quasi
impossibile fingere di essere tranquillo, nel salutare qualcuno. Dire
addio, in questo momento, mi suona come una punizione.
Mi ritrovo
ad affrontare una di quelle classiche situazioni che prevedi da
tempo, eppure, una volta arrivati al momento fatidico, ti rendi conto
di aver sbagliato qualcosa. Devo aver commesso un errore per forza di
cose, per arrivare a provare questi sentimenti. Forse fin
dall’inizio
non ho fatto altro che sbagliare. Tuttavia, anche il solo pensare a
tutto questo come a un errore… mi fa male.
Non voglio pensarlo, non riesco ad accettarlo. Sono giorni in cui, all’Ordine Oscuro, c’è parecchia confusione. La guerra contro il Conte del Millennio è ormai giunta a una svolta decisiva. Succede che gli esorcisti sono in netto vantaggio, praticamente abbiamo vinto. In sostanza, ormai possiamo cavarcela da soli, e un aiuto al momento è addirittura superfluo. L’alleanza con la Soul Society è finita. Se ne vanno. Con gli onori, ovviamente. Il loro contributo in questa guerra è stato fondamentale, è una vera fortuna abbiano deciso di parteggiare per noi. Oggi, semplicemente, non servono più.
Sono frasi che ho sentito ogni giorno ed ogni minuto della mia vita. Ma adesso non le voglio sentire. Non vorrei nemmeno vedere nessuno, in tutta onestà, perché dire addio per sempre a qualcuno oggi mi fa male. E so che fa male anche a lei. A Rukia. Ah ah ah… ora che ci penso, è davvero da un sacco di tempo che non la chiamo più così. Ruki. Ecco, suona meglio.
Finora
sono riuscito a ridurre considerevolmente i contatti con chicchessia,
specialmente con gli shinigami che si preparano al ritorno a casa.
Naturalmente sono stati ringraziati a dovere, con una bella
cerimonia. All’Ordine non si festeggiava in questo modo da
anni.
Sembravano tutti contenti, festeggiavano la partenza di qualcuno, il
che è ironico, no? Come fai ad essere felice quando una
persona che
conosci se ne va, a meno che non ti stia antipatica? È una
farsa. È
quello che ho pensato per tutto il tempo, fingendo di sorridere e
guardando il meno possibile lei. Almeno all’inizio.
Purtroppo
non riesco neanche ad ignorarla più di tanto.
Perché, cazzo, io…
la amo. Non voglio che se ne vada. Si sapeva sin dall’inizio
che
prima o poi questo giorno sarebbe arrivato, però mi sembra
che sia
arrivato troppo presto. Avrei preferito che non arrivasse mai. Che
razza di cretino. Mi sono innamorato sapendo benissimo a cosa andavo
incontro. Ma che altro potevo fare? È successo tutto contro
la mia
volontà. Ehm, detto così potrei essere frainteso.
Allora diciamo
che innamorarsi, di per sé, succede quando gli pare e piace.
E tu
non puoi fare molto per affrontarlo, se non viverlo.
So che anche
Ruki pensa esattamente le stesse cose. Lo capisco dai suoi occhi, che
non sorridono come le sue labbra. Vedo che mi cerca, in piccolissimi
gesti, per potermi parlare. Ma non ci riesco, ed in questo modo passo
per lo stronzo della situazione che la ignora, “è
stato bello
finché è durato ma ora non ti
accollare”. Una volta l’avrei
detto senza paura di beccarmi un ceffone, oppure, in alternativa,
avrei finto di dispiacermi. È così dannatamente
facile fingere. Ma
con Ruki non ci riesco più, perché la amo. Fosse
per me, andrei in
camera sua, dove sta terminando i preparativi per il ritorno,
chiuderei la porta a chiave, la gettarei sul letto e farei l’amore
con
lei come se non ci fosse un domani e non uscirei più da
quella
camera. E invece no, va tutto a monte, per due semplici motivi. Il
primo è che sicuramente in questo momento non è
da sola, difficile
che riesca a trovare un proprio momento, magari adesso la sta
aiutando Renji. E poi perché deve andare così,
punto e basta,
l’alleanza è finita e pace. Non ci rivedremo
più.
Eppure il pensarci mi fa piangere. Per una strana ironia della sorte, l’unica che potrebbe aiutarmi in questo momento è proprio Ruki, ma con che faccia le dico che ho bisogno d’aiuto? So benissimo che ci sta male quanto me, sarebbe come darle un ulteriore colpo al cuore. Invece devo abituarmi sin da subito a quello che succederà una volta che se ne sarà andata. Badare a me stesso come ho sempre fatto, sorridere come ho sempre fatto, fare l’amicone come ho sempre fatto. Fingere, stare da solo, pensare solo al lavoro e a qualche buon libro per svagarsi. Abituarmi all’idea di non vederla più. Perché finita l’alleanza, non ci sarà più nessun motivo di continuare ad avere contatti. Addio, Rukia Kuchiki.
… ma riuscirò a chiamarla così, quando sarà il momento?
Per ora riesco solo ad evitare di incrociarla. In altre parole, sto scappando. Essere Bookman ti comporta anche a questa strategia, la fuga. Ti intrufoli in una guerra e, appena sei soddisfatto delle informazioni raccolte, vai via, senza curarti di chi lasci indietro. Come un coniglio. Effettivamente, mi chiamano spesso in questo modo, per un’assonanza che il mio attuale nome ha con questo animale; ma, se ci penso bene, sono un coniglio fatto e finito. Sto sempre nella mia tana, esco solo lo stretto indispensabile –in questo caso, se mi chiamano per andare nell’ufficio di Komui, non posso rifiutarmi- e quando mi fa comodo, scappo. Ma sono anche in grado di amare. E in questo il coniglio è un maestro.
In questo momento non posso fare a meno di pensarci. A quella notte, all’ultima notte trascorsa con lei. Inconsciamente, tutti e due volevamo viverla in modo… speciale. Bè, fare l’amore, per una coppia, è una cosa normale. Ma quando sai che è l’ultima, maledetta volta, ha un profumo diverso. Riesco ancora a sentirlo, nella stanza. Mi sono rintanato qui perché non voglio vedere nessuno, e sottolineo nessuno. In un primo momento volevo rifugiarmi in biblioteca, o in camera mia, dal momento che essere circondato da libri è la cosa che mi rilassa di più al mondo. Ma sarebbero stati posti troppo ovvi, e una persona, quando scappa, va nel posto in cui è sicuro di non essere trovato. Come questa stanza in cui non entra nessuno, poiché tutti convinti che ci siano fantasmi. Ce ne sono un paio, di stanze così, ora vecchi magazzini, prima laboratori su cui conducevano esperimenti umani. La sezione scientifica ogni tanto ci nasconde gli assurdi marchingegni di Komui, proprio perché sicuri che i fantasmi allontaneranno chiunque. Che risate mi sono fatto, quella volta in cui li ho beccati in flagrante. Ora, però, non riesco a ridere. Questa stanza odora così tanto di… di lei, che mi sta dando alla testa, mi entra nel sangue, è come una droga, sto andando in overdose. Fa male, ma è così piacevole. Quella notte è stata così dannatamente sublime, perché c’era lei, e c’ero io, nudi come mamma ci ha fatti, a fare l’amore senza dirci una parola, per far spazio a quei sospiri che la mia memoria di Bookman non può in alcun modo dimenticare. Lei era bellissima. Mi stringeva tanto, con le sue braccia magrissime, quando vuole sa sfoderare una forza invidiabile, per me l’ha tirata fuori. Non mi parlava, ma non staccava gli occhi di dosso da me, dal mio corpo, dai miei occhi, tutti e due. Non c’è benda che tenga, con Ruki ormai non ho segreti. È stata l’unica a meritare di assaggiare tutto di me, senza provare disgusto per l’occhio che nascondo sempre. Lo guardava e sorrideva. Ma non era felice, quell’ultima notte, non del tutto. Sicuramente, come me, avrebbe voluto gridarlo, a costo di farsi sentire da tutti.
Non lasciarmi! Non lasciarmi! Non lasciarmi!
Ho fatto di tutto per rendere i nostri ultimi momenti speciali. Ho organizzato tutto alla perfezione, in modo che lei non avesse tempo di pensare a ciò che sarebbe successo dopo. Per me era una missione: farla ridere il più possibile e poi, appena avuta l’occasione, farla godere il più possibile. L’ho fatto, in parte, anche per egoismo, ma non me ne vergogno. Fra noi due… c’è un’intesa atipica ed irripetibile, e questo non ce lo può togliere nessuno. Ricordatelo, Ruki, quando tornerai alla tua Soul Society. Nessuno ti farà sentire così, laggiù. Egoista, no?
D’altra parte, anch’io penso che non riuscirò mai a trovare un’altra Rukia, in tutta la vita. Non dovrei nemmeno cercarmela, per via del mio lavoro. Una volta mi sarei buttato fra le braccia della prima bella ragazza che mi passava accanto, troppo debole per resistere alle tentazioni che una donna esercita senza volere. Ero stupido e immaturo. Poi hanno scelto come mia partner Rukia, per questa alleanza, e la trovavo sì carina, ma così distante dalla persona che avrei potuto amare. Sembra uno strano scherzo del destino che sia stata proprio una creatura non umana a farmi scoprire ed accettare sentimenti umani. Perché io sono così, non posso far altro che vivere in questo barbaro mondo pieno di guerre con tutti i pro e i contro, e a niente serve ignorare la mia condizione umana. In questo non siamo poi così diversi, gli shinigami e noi; i sentimenti ce li hanno anche loro. In fondo sono stati umani e certe cose non si dimenticano. È grazie a questo che Rukia e io ci siamo potuti ritrovare. Serviva solo un po’ di tempo e tanta pazienza, ma alla fine il mio pezzo mancante lo avevo trovato. Riunirsi a lei ogni volta, in questa stanza dimenticata da tutti, era un angolo di Paradiso. O di Soul Society. L’idea di non poter stare più con lei, di non vederla più la mattina e sedermi accanto a lei per fare colazione, gli sguardi furtivi e le piccole carezze date di nascosto che non potrò più darle, il non poter più combattere spalla a spalla con lei. Proteggerla, rallegrarla, consolarla, non poterla più spogliare, prenderla in braccio e farle fare notti in bianco piene di piacere, o per farmi perdonare di qualche torto che le avevo fatto… non ci sarà più, tutto questo. Non ci saranno più sorrisi, addio a lei, ai suoi occhi, alle sue parole. Ai “ti amo” detti al momento giusto. Quanto vorrei che me lo dicesse adesso. E invece se ne andrà, in un posto che non conosco e non potrò vedere finché non… morirò, se mi andrà bene.
Per
alcuni, brevissimi attimi, mi è anche passato per la mente
di
seguirla. Ma se non si muore, per un umano è impossibile. Ma
ci sono
tanti modi, per esempio buttarsi dalla finestra, impiccarsi, darsi
una bella pugnalata o bere un veleno. Ne ho visti di suicidi, nel
corso delle guerre. Di modi per togliersi la vita ce ne sono
un’infinità, uno più fantasioso
dell’altro. Ma no… non
posso.
Nel profondo io non voglio morire. Amo la vita, so che è
una sola e non voglio sprecarla. Il vecchio panda dice sempre che
dovrei morire più o meno alla sua età per avere
così tutto il
tempo di addestrare il successore che avrò scelto. A me,
francamente, non interessa se vivrò trent’anni o
novanta, voglio
solamente vivere, senza però lasciarmi scivolare addosso i
giorni
che passano. Quindi gettarmi dalla finestra o darmi una pugnalata non
rientra certo nei miei progetti. Inoltre, Rukia si strazierebbe
l’anima a sapere che qualcuno è morto per colpa
sua, per starle
accanto nell’impossibile. Si ucciderebbe anche lei, ne
sarebbe
capace. Sembra una parodia di “Romeo e Giulietta”,
e non è
decisamente la mia storia preferita, per quanto Shakespeare abbia
tutta la mia stima.
Non posso seguirla, dunque, sarebbe fin troppo
egoista. Io devo vivere la mia vita, lei lo dice sempre. Ed
è giusto
che lei si faccia il suo percorso. Però
l’agitazione mi resta.
D’ora in avanti svolgerà missioni da sola, senza
di me. E se viene
attaccata alle spalle? Si rimane ferita a tal punto da non potersi
muovere? Se resta uccisa? Chi ci sarà a proteggerla? Chi
farà le
mie veci?
Mentre penso a tutte queste cose, a lei, ai pericoli che
incontrerà, alla notte passata a fare l’amore in
questa stanza,
tutta la notte, incantevole e fatidica, all’addio ormai
imminente…
un paio di lacrime scendono sulla mia guancia. Anzi, altro che
“un
paio”. Sono una fontana. Ho resistito per giorni, adesso sto
letteralmente scoppiando. Ho fatto di tutto per non piangere davanti
a lei, e di certo non piangerò davanti a tutti quanti,
quando ci
saluteremo. Ma da qualche parte lo devo pur fare, e allora tanto vale
piangere adesso che sono solo, in una stanza che profuma su ogni
millimetro di lei e del suo sesso. Penso di essere ormai calmo e di
essermi sfogato a sufficienza, ma ecco che riparto in quarta. Non ho
mai pianto così tanto in vita mia. Nemmeno quando mi sono
ritrovato
Linalee tra le braccia, viva per miracolo. Mi piaceva tanto, Linalee.
Tuttavia, Rukia ormai fa parte di me. Per me adesso
c’è solo lei,
il suo profumo, la sua forza d’animo, il suo portamento
nobile, la
sua voce che mi rilassa in ogni momento, sia quando mi sgrida, che
quando ride, sia quando è tremolante per le preoccupazioni,
sia
quando sospira di fronte alle mie spinte che non le lasciano tregua.
C’è soltanto lei, per pochi momenti ancora,
però. Poi, più
niente. Sarà come se non l’avessi mai vista. E
questo mi strazia,
mi fa male, mi uccide dentro. E non ci potrò fare niente, il
che è
insopportabile. Non voglio che finisca così, non voglio che
se ne
vada, non voglio lasciarla, non voglio pensarla chissà dove
a
morire. Non voglio vederla per l’ultima volta con gli occhi
gonfi e
arrossati per il pianto, se ne accorgerebbe e renderebbe
l’addio
ancor più tremendo. Vorrei baciarla, invece. Potrei anche
portarmela
in braccio e scappare, così al diavolo Ordine Oscuro e Soul
Society,
al diavolo le guerre, al diavolo il vecchio ed anche tutti gli altri,
nonostante sia ormai affezionato a loro. Da bravo coniglio quale
sono. Ma, se conosco bene l’Ordine e soprattutto suo fratello
che
non sa di noi ma forse sospetta qualcosa, altrimenti non mi
guarderebbe ogni volta come se mi augurasse la morte, ci
riporterebbero all’ovile in men che non si dica, dopo una
bella
sculacciata. Pensare di non poter fare proprio niente, in una
circostanza del genere, nella quale la donna che amo soffre e siamo
entrambi impotenti, le lacrime salgono ancora. E torno a piangere,
finché sono da solo.
Esco
dalla “nostra camera” dopo parecchio tempo, usando
tutti i metodi
possibili per non far vedere che ho pianto. Non ho messo la bandana,
così i capelli confonderanno un po’ il mio
sguardo, e mi sono
coperto per bene con la sciarpa, per nascondere al meglio quella
collana. Bè, non è proprio il termine esatto.
È soltanto una
catenina con appeso un anello, e non uno qualunque. È una
fede
nuziale. Perché Rukia l’ho addirittura sposata, in
gran segreto,
dopo una missione, firmando semplicemente dei fogli. E appena avuta
l’occasione, con a complicità di padre Federico,
il prete che ci
ha offerto questa occasione, abbiamo comprato gli anelli. Per ovvie
ragioni non possiamo sfoggiarli, ma fa parte della nostra relazione.
Guardarceli nei momenti di intimità, solamente noi due, ci
rendeva
ancora più complici e uniti. Ma lei sta per andare via, e
quindi
anche questi anelli perderanno di significato. Ho paura che…
se lo
toglierà, una volta tornata a casa. Mi sono detto in
continuazione
che non è possibile, non lo farebbe mai, eppure…
in un certo
senso, saremo costretti a farlo. Perché tra poco
sarà come se non
ci fossimo mai conosciuti. Se ci penso, mi viene da piangere di
nuovo, ma mi trattengo con tutte le forze. Non posso più
scappare,
devo affrontare la realtà delle cose. Ormai la loro partenza
è
imminente, devo salutarli per l’ultima volta.
Komui si sbraccia
in saluti e ringraziamenti. Tutti sembrano un po’ tristi ma
anche
rasserenati in un certo modo, perché la guerra è
praticamente
finita e possono passare più tempo a ridere e a pensare a
cose
belle, parlano tutti di progetti futuri, si augurano buona fortuna,
c’è gran confusione. Do un paio di strette di mano
e saluti
semplici e amichevoli, a Shao –scusate, il capitano Soi Fon-
sempre
seria e ligia al dovere, ma voglio pensare che anche lei sia triste
per la partenza. In fondo ne ha passate tante, con noi. Saluto Renji
–lo invidio da matti. Ha passato una vita con Rukia e
continuerà a
passarla, mentre io me ne devo stare qua, lontano da lei- faccio
qualche battuta a Kennino e alla piccola Yachiru, sembrano essere gli
unici totalmente indifferenti alla partenza. Ma mi sono affezionato
comunque a loro e mi dispiace l’idea di non giocare
più con la
piccola e di fare scherzi al capitano dell’undicesima
compagnia.
Lei cerca di mantenere le distanze da me, sembra aver paura di
incrociare il mio sguardo ma mi cerca quando crede che sono
distratto. Tentiamo di rimandare l’inevitabile, come degli
stupidi.
Restiamo un po’ così a elargire falsi sorrisi,
perdendoci in
saluti di rito per noi quasi insignificanti e tristi. Sembra serena,
ma io ormai la conosco bene, è più tesa di una
corda di violino. Mi
cerca con lo sguardo e poi lo distoglie, più triste che mai.
Sa che
è rischioso, ma in cuor suo vorrebbe quelle ultime
attenzioni, come
le voglio io. Tanto da non resistere più, talmente tanto da
scostarmi furtivamente da tutti ed avvicinarmi a lei, afferrarla per
il polso e trascinarmela via quatto quatto. Mi guarda in un misto tra
interrogazione e felicità. Quando si rende conto che la sto
portando
proprio lì, nella “nostra camera”,
lascia spazio unicamente a me
e alla gioia. Non si allontana da me neanche mentre sto chiudendo la
porta a chiave. Non dice una parola, si fa spogliare, si lascia
baciare, mi abbraccia e mi toglie la sciarpa di rimando, mi scosta i
capelli per guardarmi bene, ma non voglio farle capire che ho pianto
fino a poco prima, così me la prendo in braccio e poi la
faccio
sdraiare, senza darle tregua con tocchi audaci. Si stringe a me con
così tanta foga, è un incanto…
Abbiamo
già passato la nostra ultima notte, ma non ci basta,
soprattutto
adesso. Non ce la facciamo più. Neanche perdiamo troppo
tempo nei
preliminari, abbiamo i minuti contati, facciamo l’amore
subito, con
vigore, avvinghiati in modo tale che le catenine dei nostri anelli
sembrano intrecciarsi tra loro. Sarebbe bello se si legassero davvero
e ci impedissero così di separarci, è
l’unica cosa a cui penso in
questi momenti. Ci ritroviamo sudati nel giro di poco tempo,
rischiamo di soffocare nei nostri abbracci –e poi ci stiamo
dando
dentro con l’attività fisica, diciamocelo- ma
è bellissimo. So
che abbiamo poco tempo, ma non voglio smettere. Vorrei continuare a
stare così per altre dieci ore, se fosse possibile, sperando
che gli
altri magari, non vedendola tornare, partano senza di lei. È
bellissima, tutta quanta, fantastica, possessiva come non
l’ho mai
vista da quando la conosco. Ma stavolta incrocia il mio sguardo per
pochi secondi, poi si nasconde sulla mia spalla, graffiandomi la
schiena per trattenersi. Inconsciamente, mi graffia sempre quando sta
per venire, ed infatti qualche secondo dopo esplode, si sfrega
attorno a me, le gambe sono mosse da moti irrefrenabili. È
una delle
cose più belle del fare l’amore con Rukia,
sentirla raggiungere il
limite e guardarla, gongolarsi per lo splendido lavoro fatto nel
vederla così soddisfatta. Io la seguo poco dopo, in un senso
di
liberazione che provo raramente. Separarmi da lei è
l’ultima cosa
che voglio, perciò mi prendo qualche minuto per riprendere
fiato.
Continua a stringermi forte e a nascondere il viso. ma adesso so
perché lo fa. Lo sento sulla mia spalla, anche se sono
sudato. Certe
cose si riconoscono bene.
«Perché stai piangendo,
Ruki…?» è
una domanda stupida. So benissimo perché lo fa. Ma voglio
sentirglielo dire comunque, voglio che si sfoghi con me
un’ultima
volta. Ora o mai più.
Ma Rukia è così orgogliosa che fino
all’ultimo si tiene i dispiaceri dentro, per non far soffrire
gli
altri.
«Non sto piangendo.» è una bugia
stupida, che non riesco
ad accettare in un momento simile. Alzo la testa per incontrare i
suoi occhi finalmente in maniera decente. Per un po’ sta
sulle sue
e mi evita, le blocco il viso allora, la costringo a vedermi. Non
riesce comunque a dirmi niente. Ha sempre avuto difficoltà a
esprimere correttamente le sue emozioni. In questo siamo simili. Io
lo faccio per dovere, lei per natura, forse.
«Ruki. Io lo so.».
A
quel punto torna ad abbracciarmi, la mia spalla si bagna ancora,
questa volta ci sono dei singhiozzi a fare da sottofondo. Mi secca
sentirla piangere, davvero, ma in questo momento non
c’è
nient’altro da fare. Per noi è la fine di tutto,
non ci resta
altro che questo sfogo. Abbiamo combattuto assieme, ci siamo
innamorati, ci siamo uniti, ci siamo sposati, e tutto questo sembra
non essere assolutamente niente. Ci siamo impegnati per portare
avanti questa relazione e non ci spetta nemmeno la briciola di una
ricompensa. Di fronte ad un’ingiustizia così
grande, non ci resta
che piangere. Mi rendo conto solo quando posa le mani sulle mie
guance, che sto piangendo anch’io.
«Non fare così…».
«“Così” come…?».
«Non piangere…».
«Scusa…».
«Dovresti
essere addirittura contento. Tu tornerai a diventare il Bookman
perfetto, quello per cui ti sei impegnato per così tanti
anni.».
«Io sono il futuro Bookman perché non avevo nessun’altra alternativa. Io ho scelto, Ruki, di sposare proprio te, di stare con te, “nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, finché morte non ci separi”.» mi rigiro la sua fede tra le dita. Non sa cosa rispondermi, in un primo momento, essendo consapevole di quanto abbia preso a cuore la nostra promessa di matrimonio. Proprio il fatto che l’abbia sposata, sia pure in maniera non tradizionale ed alquanto sbrigativa, le fa capire che il mio futuro da Bookman non è niente al confronto.
«Nemmeno la morte potrebbe separarci, vista la nostra situazione.».
«Già. Ma lo fa questa partenza.».
Le
lacrime tornano a scenderle, ed anche le mie. Non riusciamo
più a
trattenerci, per quanto prima mi sia ripromesso di non farlo. Non
riesco più a nasconderle niente, e neppure lei, con
me.
«Grazie…».
«Per cosa?».
«Per avermi portata qui… un’ultima volta… prima pensavo che… insomma, cercavo di avere un contatto con te, anche piccolissimo, ma tu… a stento mi guardavi di sfuggita, perciò… ho pensato che… n-non volessi… più saperne di me…».
«Ma che ti viene in mente, sciocca?! E dire che a questo punto dovresti capire tutto di me! Sai benissimo che, se fosse per me, ti terrei al mio fianco per sempre… ma non posso, e questo mi fa impazzire! L’idea che tu scomparirai dalle mie dita tra pochi minuti… ecco, lo sto rifacendo. Come faccio a non piangere per tutto questo, giunti a tal punto, Ruki?!».
Ho alzato un po’ la voce nel risponderle. L’idea che abbia pensato una cosa simile adesso mi fa star male. pensavo che lei avesse davvero compreso quanto ho dato per lei. So che si sente in colpa nei miei confronti perché mi ha praticamente stravolto la vita, ma non la odio per questo, non potrei mai, l’ho addirittura sposata, diamine! Perché farsi cogliere da simili pensieri?
Rimane
in silenzio, distoglie lo sguardo, si sente a disagio, sicuramente, e
mortificata per me, per ciò che ha detto. Non voglio stare a
sentirla in scuse del tutto inutili o giustificazioni di sorta, non
me ne faccio niente. Voglio solo lei. La bacio, ripetutamente. Siamo
ancora appiccicati e di alzarci e rivestirci non abbiamo nessuna
voglia. Dobbiamo sbrigarci, lo sappiamo. Ma vogliamo anche salutarci
nella nostra maniera guadagnando e rendendo prezioso ogni singolo
secondo. Bacia così bene, Ruki, anche quando è
nervosa per il
nostro addio. La amo, sono così felice di amarla. Sono
contentissimo
di averla conosciuta, mi sento benissimo accanto a lei. Grazie ai
baci, il nostro saluto sembra meno aspro. Mi chiedo se mi
farà
sentire così anche quando sarà lontana anni luce
da me, se mi
guarderà in ogni caso, appena avrà un
po’ di tempo libero, se si
farà sentire, se riuscirà a trovare il modo di
tornare qua, tra una
cosa e l’altra. Ti supplico, Ruki, ti scongiuro.
«Non
abbandonarmi, una volta tornata là…».
Mi rendo conto solo dopo di averlo detto a voce alta.
Lei mi guarda con gli occhi sgranati, sembra non credere a quel che ho appena detto. Si rabbuia, boccheggia, un po’ è delusa. Non voglio farla sentire così proprio il giorno della sua maledetta partenza, ma d’altra, oramai, non riesco più a nasconderle niente. Ho il vizio di parlare troppo, anche inconsciamente, ma un lato di me, per certe cose, sente di doverglielo. Anche se si tratta di cose dolorose, così possiamo affrontarle insieme, un’ultima voglia. Vorrei parlarle a cuore aperto, scusarmi, sfogarmi su tutto, ma non me lo lascia fare. Fa esattamente quel che ho fatto io poco prima, mi bacia di continuo, con foga. Non che la cosa mi dispiaccia, ben inteso. Ma sono le parole a rimanere, in ogni caso. Soprattutto in questo caso.
«Non… non potrei mai, Lavi.»
Lo
so. Non potrebbe mai. Ma deve, accidenti, ed io non posso farci
niente. E una volta tornata là, quando troverà un
momento per me,
per noi? Come giustificherà eventuali permessi, come
verrà
qui?
«N-non ci vedremo più, è vero. Non
farò più parte di
questo mondo, ma non per questo… non per questo voglio
mandare in
frantumi quanto abbiamo costruito insieme. Anche se lo sappiamo solo
noi… sei l’uomo che amo, Lavi, l’uomo a
cui ho fatto un
giuramento che voglio mantenere.»
Certo, certo che lo so, Ruki.
Il problema sarà come portare avanti questa situazione. Io
non so
proprio che pesci pigliare e non ho idea di come ci riuscirai tu.
Il tuo sguardo però sembra più deciso, per un brevissimo istante, insieme all’infinita tristezza che ci porta questo giorno. E in un attimo capisco quel che ho sempre saputo: Rukia Kuchiki mantiene sempre la parola data. In un modo o nell’altro. In fondo, sei piena di risorse, chi meglio di me può saperlo? Ci rivedremo, lo so. Magari ti infilerai in un gigai e busserai alla porta della mia stanza come se niente fosse, ah ah. Sarebbe bellissimo.
«Non toglierò mai quest’anello, dovessi sentirne il peso nei momenti brutti, dovesse ricordarmi che non sei con me, ma non lo toglierò mai. Non che serva per ricordarmi di noi… ma è qualcosa di nostro che neanche questa separazione può toglierci. Tenterò qualcosa… troverò un modo. Farò il possibile per… per poterti rivedere ancora, Lavi.».
Ma quando succederà? Quanto dovremo aspettare? Cioè, io posso attendere anche tutta la vita, eh, però… ho paura, adesso, di restare solo. Di portare questa fede in missione da solo, senza più averti al mio fianco per chissà quanto tempo. Ho paura di tutti i fardelli che mi aspettano, che accanto a te sembrano cose così piccole, ed alcune lo sono davvero, ma sai com’è. L’essere umano è stupido, capace solo di fare guerra o di appesantirsi le spalle con pesi inesistenti. Purtroppo o per fortuna sono umano anch’io, Ruki, e ho paura della mia natura che tu, invece, sembri conoscere come le tue tasche e “domarla” di conseguenza. Ho paura di cadere, d’ora in poi, se non ho più la certezza di vederti davanti a tendermi la mano per aiutarmi oppure a prendermi in giro. “Stolto, cosa inciampi? Guarda quanto tempo mi fai perdere, per delle cose così!”. Probabilmente mi avresti detto questo, e io avrei riso, ti avrei risposto per le rime, tu ti saresti offesa, ma alla fine mi sarei fatto perdonare tutto. L’idea che tutto questo non ci sarà per chissà quanto tempo mi spaventa. Ma succederà, un giorno. E io lo aspetto, Ruki. Aspetterò soltanto te.
«Te lo prometto.»
** ** **
È stata dura abbracciarla senza particolare enfasi, di fronte al senkaimon, sotto gli sguardi di tutti. Ci sforziamo di sorridere, almeno un po’. “Stammi bene”, viene ripetuto continuamente, anche noi ci atteniamo a questo straziante rito. Però “addio”, chiaro e tondo, non riusciamo a dircelo. L’unica frase che riesco a pronunciare a denti stretti è “ti amo”.
«Ti amo, Ruki. E ti aspetto. Sai dove trovarmi.»
Lei sorride debolmente, infine è costretta a darmi le spalle ed andarsene. Per sempre, in via teorica. Ma me lo ha promesso. Tornerà da me, un giorno. Non so quando di preciso, ma lo farà senz’altro. Perché mi ama, ci siamo perfino sposati e a questi anelli che per noi significano tanto, non rinunceremo mai.
** ** **
X mesi dopo
Sono in missione a Kyoto. La vita continua ad andare avanti come sempre. Agli occhi di tutti, sono la stessa persona, l’amicone sorridente con tutti, per Yu uno stupido coniglio, per Chaoji il “signor Lavi”. Mi diverto a canzonarlo un po’, perché è una new entry tra gli esorcisti ed è così ingenuo, in missione. Lo sfido a fare meglio di me. Se ci fosse stata un’altra persona, invece, l’avrei osservata a lungo per accertarmi che stesse bene, e non avrei certo avuto la presunzione di sfidarla. Bè, forse. Dopotutto, non mi sono mai sprecato in battute, neanche con lei.
Portare questo anello da solo è pesante, come avevo immaginato. L’unica cosa che riesce a farmi forza è pensare che per Rukia sia lo stesso. Chissà se anche lei, ogni tanto, si ritrova a svegliarsi a notte fonda con le lacrime agli occhi, o di stringere nel pugno la fede per farsi coraggio prima di una missione. Non ho la minima idea di cosa stia facendo laggiù. Sarà in missione, sicuramente, ma chissà se starà bene. E chissà quanti uomini le ronzano attorno, lei che è nobile, luogotenente, bella, infinitamente dolce.
Io e Chaoji siamo stanchi e un po’ provati. Gli abitanti del villaggio, capita l’antifona, ci offrono ospitalità e un buon pasto. È uno dei pochissimi momenti in cui riesco a rilassarmi, almeno un po’, guardando i volti felici di chi viene salvato, oppure sentendo l’odore di un buon piatto locale. Una ragazza ci ha accolto in casa sua e ci ha fatti sedere alla sua tavola imbandita in fretta e furia per “i salvatori” –che ridere, quando ci chiamano così- e devo dire che è parecchio carina. Anche Chaoji lo riconosce, e da come la guardano molti altri ragazzi del villaggio, è molto ambita. Sì, è molto carina. Ma, guarda un po’, non vado oltre, non mi interessa più sapere chi è, che cosa fa e se abbia il ragazzo, né tento minimamente di scoprire se ci sta. Sono sposato, io. C’è una persona che non voglio deludere e che mi sta certamente guardando. Almeno, dalla Soul Society, può vedermi quando vuole. Io aspetto, come sempre, ma mi manca tanto da star male.
Mangio in fretta, tratto tutti con gentilezza ma anche con un certo distacco. Pensano tutti che sia troppo stanco, la ragazza in questione si prodiga subito con tè e altre pietanze speciali per farmi riprendere, ma non ho neanche tutta questa fame, sinceramente. Mi rivolge spesso la parola, mi pone tante domande e non si fa scrupoli ad andare per il sottile. Mi chiedo quali idee si faccia una persona normale quando vuole “approfondire la conoscenza” con un esorcista. Dal momento che ho salvato il suo villaggio, questa qui mi vede come un eroe e siccome ho più o meno la sua età, è come se fossi servito su un piatto d’argento. Non posso certo dirle che sono sposato, ma posso sempre farle capire che sarebbe meglio per lei puntare ad altro. Con me è quasi impossibile trovare la tranquillità, una vita stabile, la certezza di esserci in ogni caso. Per come sono fatto, non ci riuscirei a mettere le radici, insomma, io sono il futuro Bookman.
Solo Rukia ci è riuscita, in un’impresa così mastodontica.
Per
fortuna sono riuscito a “scappare”. Se ne
occuperà Chaoji, di
intrattenere tutti quanti, ora ho bisogno di pace e silenzio. Con la
scusa di rilassarmi e di leggere un libro, mi dirigo verso quello che
dovrebbe essere un fiume, ma è molto più banale.
Forse le piogge
scarseggiano, da queste parti, o sarà così di
natura. Bè, l’acqua
almeno è pulita. Mi siedo, per starmene ad ascoltare il
rumore
dell’acqua che scorre e per vederne i riflessi, e subito dopo
alzo
lo sguardo al cielo. Ho appena espresso il desiderio di poter vedere
la Soul Society, attraverso il riflesso dell’acqua. Sempre
che poi
si trovi su e non giù. Non so neanche quale direzione
prendere, per
andarci, se non morire, ma una volta morti si va giù o su?
Glielo
dovrò chiedere, quando ci rivedremo. … se ci
rivedremo
davvero.
Improvvisamente ho un colpo di freddo. Dei brividi mi
percorrono lungo le spalle ed ho la sensazione che qualcosa si sia
impigliato tra i capelli, anzi, sarebbe più corretto dire
che è
come se un fiocco di neve mi fosse caduto sulla testa, eppure non sta
nevicando. Sento ancora i brividi. Mi viene spontaneo irrigidirmi, ma
ho anche la vaga idea che non ci sia niente di cui
preoccuparsi.
Davanti a me, vedo volare una farfalla nera. E i
brividi tornano a percorrermi.
Lei è qui.
Mi volto come uno stupido, pensando di poterla vedere, ma è un gesto incontrollato. Sorrido comunque, anche se di fronte a me non c’è nessuno. Fisicamente, certo, so che è qui e che mi sta abbracciando. Sorrido, e straordinariamente, non mi viene da piangere. Sono così felice che sia venuta a trovarmi. Non mi ha abbandonato. Mi guarda, mi ama ancora, si preoccupa per me. Ed io faccio lo stesso, Ruki, amore mio. Questi brevi momenti di “incontro”, valgono i giorni che passo all’Ordine da solo. Ti prego di continuare a guardarmi, e di tornare qui da me, appena avrai l’occasione. Continua a mantenere la parola.
«Grazie.»
Se
un passante mi vedesse, penserebbe che io sia uno scemo che parla da
solo. Ma si dà il caso che non ci sia nessuno e posso dunque
prendermi tutte le libertà che voglio. So che mi sta
ascoltando. Mi
avrà sicuramente sorriso, e dato un bacio.
«A presto, Ruki.»
Continuerò ad aspettarti. Perché questi momenti fanno valere tutti gli sforzi che faccio per andare avanti senza di te, all’Ordine. Perché non vedo l’ora di tornare a baciarti come feci la prima volta, e tutte le volte successive. Perché voglio rivederti ridere per una mia battuta, portarti ad una festa, lo abbiamo fatto, ricordi? Qui a Kyoto fanno un sacco di feste tradizionali bellissime, ma ci sono un sacco di posti che si sprecano con le fiere favolose. voglio rivederti per poterti dire nuovamente che ti amo e sentirmi rispondere con un timido “anch’io”. E fare l’amore, quanto lo vorrei fare, Ruki. Stringerti e accarezzarti come se fossimo nati unicamente per questo, per unirci, per trovarci, per vederci insieme la mattina seguente, nudi, felici e talmente vicini da farci rivenire la voglia.
Rivoglio te, Ruki, e quando finalmente riesci a trovare questi momenti, mi ricarico. Sento che posso aspettare, ancora un po’. In fondo, me l’hai promesso, e tu mantieni sempre le tue promesse.
Ci rivedremo, amore mio. Tanto, lo sai, mi troverai sempre qui.