Cacciatori e Vittime
Epilogo.
Ora erano solo loro due, in
mezzo a un luogo indefinito, contornate solo dal bianco.
«Ho delle domande che non hanno
ancora avuto una risposta, Elisa.» la voce di Cassandra era seria e Elisa,
sollevata in quello spazio senza gravità la ascoltava, assorta. Sapeva che quei
pochi minuti le sarebbero costati.
Sorrise, dolcemente, come non
aveva fatto mai.
«Allora domanda, e io
risponderò.».
«Perché? Perché tutto questo?» domandò.
Nel lento progredire del tempo, gli occhi e i capelli di Cassandra perdevano
sostanza. Gli occhi sbiancavano lentamente, e i capelli perdevano il loro
naturale colore, come se stesse invecchiando.
Elisa
scostò lo sguardo. Non voleva che lei sacrificasse troppo, per quelle domande.
«Perché?»
sospirò. Eppure, pensava che si potesse facilmente intuire. Sorrise
malinconicamente. «Perché ora sei viva. È questo l’importante per me.»
Cassandra strabuzzò gli occhi, nel profondo del suo petto, il cuore sussultò
ancora. «La cosa più importante per me sei tu.».
«E quelle
parole allora?» chiese Cassandra, stringendo i pugni. La rabbia colorava i suoi
occhi, anche se ormai erano come un foglio bianco. Eppure si poteva ancora
vedere la traccia del suo colore, come una penna che non ha più inchiostro. Ricordò
il tradimento.
E i
suoi ricordi divennero immagine. Elisa vide. E sentì. In quel momento, il cuore
di Cassandra si era spezzato. Aveva impiegato così tanto tempo a ricomporsi, a
ricostruirsi, a ricucire le ferite, a guarirle. E lei lo aveva spezzato di
nuovo.
«Mi hai tradita!» urlò
Cassandra, tra le lacrime, coprendosi con un velo. Elisa, tornando alla forma
umana, sogghignò. Gli occhi gialli. La voce distorta.
«Stupida umana, che credevi? Che
mi fossi innamorata di te?».
Una risata agghiacciante si
propagò nell’aria...
«Era
una bugia.» confessò Elisa, nel silenzio di quello spazio etereo.
Cassandra
rimase stupita. Basita. Non sapeva cosa dire.
«Il
tempo sta per scadere...ma io ho ancora una cosa da chiederti, prima di
andarmene.» parlò Elisa, spezzando il silenzio. Cassandra vedeva la sua figura
a stenti. La vista stava per sparire, completamente. Sapeva che un occhio era
sparito, e non sarebbe più tornato. L’altro, lo stava sacrificando per
scambiare quelle ultime parole con lei. Sarebbe diventata cieca, lo sapeva, e
lo accettava.
Non mi importa, di diventare cieca. Dopotutto, se lei
sparisse...
... se lei sparisse, non ci sarebbe più niente da guardare,
in questo mondo.
Non sopporterei una vista dove non ci sei tu, Elisa.
«Aspettami.
Tornerò.» disse, sorridendo malinconica. Ma a Cassandra sembrava solo una
bugia. Una come l’altra che le aveva detto, ma che continuava a pesare sul suo
cuore.
«Nel
frattempo, amore mio, conta le stelle... per me.» la luce divenne forte, e non
vedeva più il suo volto. Non poteva capire se stava piangendo.
No, lo
sentiva. Sentiva la sua voce spezzarsi. Stava piangendo.
Aspetta!
Amore mio...?
Ma allora...!
«No,
aspetta! ELISA!» ma la sua voce si consumò in un tempio dove non c’era più
nessuno. Si ritrovò, conscia, nella realtà, nella chiesa profanata, sulla
terra, china sulle ginocchia, priva della vista e di parte della sua
giovinezza.
«Elisa...»
mormorò, nel pianto. Si strinse le mani sul volto, cercando di controllare il
respiro. Non poteva nemmeno vedere le proprie lacrime.
Stupida... Non posso mantenere quella promessa.
Ho perso la vista...
... Ricordi?
«ELISA!»
urlò, facendo riecheggiare la sua voce nella distesa silenziosa della città.
Elisa
rimase lì, in quello spazio bianco. Aspettando.
Sapeva
che sarebbe venuta.
«Elisa.».
Questa voce...
Una
sberla in pieno volto la colse, ma non vide nessuno intorno a sé.
Poi,
un’altra voce, più potente e più incontrollabile di tutto, la pervase.
Non
capì, né cosa disse, né cosa voleva dire.
Aveva
lasciato la terra, aveva lasciato lei.
La sua spinta di sopravvivenza, in quel momento, era sparita.
«Sei
una folle. Hai rovinato i miei piani, cercando di fare di testa tua!» la voce
parlava. Ma Elisa non ascoltava. Poi parlò.
«Io non
prendo ordini da nessun Dio o Dea che gioca con la vita degli esseri umani e
della mia. I tuoi piani mi ripugnano. Tu non hai il diritto di disegnare il mio
destino, né quello degli altri. Io ho compiuto il destino che io stessa ho scelto. Ora lasciami
stare.» e con quello cadde in ginocchio, per quanto non ci fosse una superficie
su cui appoggiarsi. E pianse.
Poi lo
sconforto, così come il dolore, scomparve. E la voce tornò, prepotente.
«Ti
punirò per questo. Sconterai la peggiore delle punizioni. E quando avrà fine,
tu sarai il mio araldo durante l’alba dell’Apocalisse.» Elisa sussultò.
«Potrò
tornare da lei?» domandò, e sentì un sì come risposta.
Sorrise.
«Allora
puniscimi. Non mi importa cosa mi possa accadere. Se posso tornare da lei...»
ma non finì la frase. Si ritrovò a cadere in un burrone, scuro come la morte.
E
cadeva, cadeva.
Ma non
aveva fine.
L’aria
le sferzava il volto, le vesti, gli occhi. Le impediva di muoversi, di cercare
un appiglio a cui appoggiarsi.
E alla
fine capì. Quella era la sua punizione.
Cadere,
senza nessun appiglio. Era come lei, che combatteva da sola le sue battaglie
senza nessun supporto.
E poi
ricordò i suoi amici.
E poi
ricordò lei.
E
sorrise.
Non è vero, io non combattevo da sola le mie battaglie.
Io avevo delle persone che mi sostenevano e che mi amavano.
I volti
di Ros, Giulia, Giacomo, e tutti i soldati, i ragazzi le scorrevano nella
mente. Sua madre, la sua maestra. Tutte le persone che aveva amato l’avevano
supportata.
Cassandra
fu il culmine della gioia.
Allargò
le braccia, cadendo di testa.
No, non ero sola.
E non sto cadendo.
Io...
Io...
... io sto volando.
Fine...?
Anticipazioni.
Una
folla vociante strepitava al centro della piazza, l’aria era carica di
elettricità e fermento. Su un patibolo eretto, in legno, si poteva scorgere un
tronco morto di albero, sporco di sangue ormai secco.
Una
donna fu strappata a un gruppetto di persone, tenute sotto catene vicino a una
rampa sulla destra che, seguendo la pianta della piazza, saliva fino al centro
del palchetto.
La
folla urlava, inneggiando alla violenza e desiderosa del loro spettacolo.
Urlava, bramosa di sangue.
Questa
donna, con un rozzo sacco calato sul volto, impediva di scorgerla in volto.
Alla
sinistra, con una vista esclusiva sull’esecuzione, stava un trono, coperto di
sontuosi veli e protetto dal sole corroborante e pesante di quel giorno. Una
figura, nell’ombra, gioiva delle urla, e sorrise, stringendo un bastone nelle
sue mani giovani. La folla, ignara del sole, lanciava pomodori e uova marce
verso la condannata a morte, che però camminava con passo sicuro verso la
propria morte. Le spalle ritte, sebbene avesse le mani incatenate e ricoperte
di lividi e croste. Era vestita di stracci puzzolenti, e il boia, un energumeno
dal volto celato da un cappuccio nero, affilava per l’ultima volta la sua
enorme scimitarra prima del colpo.
Il
cappuccio fu tolto, e una cascata di capelli rossi come il fuoco nel camino di
un castello incantato scese dolcemente, rilucendo alla luce del sole cocente.
La
folla urlava, inneggiando cori di odio.
«Morte
all’eretica!».
«Bastarda!».
«Muori
eretica!».
La
figura, prima celata, si alzò, e batté per tre volte il bastone per terra. Il
silenzio si propagò nella piazza come vento. E divenne il centro
dell’attenzione della folla, ora diventata pubblico.
Luce. C’è luce, sui miei occhi.
Non vedo.
Sto... cadendo?
«Pietà!»
urlò una voce, nel silenzio, grigia nel tono e roca.
Una
vecchia, incatenata insieme a un giovane uomo, gridava con tutto il suo povero
corpo, pieno di rughe e di malori. Cercò di muoversi verso il patibolo, e la
rossa incrociò gli occhi dell’anziana, bianchi come un foglio intonso. Sorrise
malinconica, conscia della sua imminente fine, e ringraziò silenziosamente
quell’ultimo impeto prima della fine. La vecchia fu bloccata da un soldato, ma
non smise di urlare, come se andasse della sua vita.
Ora ho capito.
Sto arrivando... amor mio.
«Abbiate
pietà per mia figlia, ve ne prego!» urlò, disperata. Le lacrime solcavano la
sua pelle rugosa, piegata dal tempo. China nella sua postura scoordinata, perse
subito le forze del suo impeto, e crollò sulle ginocchia, tremando
vistosamente. La rossa fremette alle sue parole, una lacrima invisibile si
formò agli angoli degli occhi.
L’uomo,
ricoperto di vesti di sacerdote, bianchi e azzurri, sogghignò di fronte alla
patetica richiesta dell’anziana e con un cenno del capo fece intuire al boia di
continuare.
La
ragazza venne obbligata e legata sul ceppo, i capelli scostati per permettere
al collo di brillare, bianco come la luna sotto il sole.
La giovane,tremò
al silenzio della piazza, e strinse convulsamente le mani sulle catene,
aspettando il momento fatidico della morte istantanea. Tutto era in tensione,
per il momento culminante.
«Andrea,
no!» l’ultimo urlo della vecchia, prima che l’arma venisse alzata. Brillò come
oro, sotto il sole impassibile.
E
poi...
... un
tonfo scosse la terra.