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Autore: Eriok    25/05/2013    2 recensioni
Una nuova era. Il mondo dopo Il Giorno dell'Apocalisse. Gli esseri umani come sopravviveranno? Esseri mutanti, con le facoltà di animali selvatici si dividono tra Cacciatori e Vittime... ma uno di loro si mette dalla parte degli oppressi, e una nuova guerra ebbe inizio.
Tratto dal primo capitolo: "Compresi troppo tardi, nella mia corta vita, che ci sono solo due categorie d’esseri nel mondo: i Cacciatori e le Vittime.
E imparai troppo tardi a quale delle due categorie io appartenevo.
Troppo tardi."
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'Cacciatori E Vittime'
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Cacciatori e Vittime

Epilogo.

 

Ora erano solo loro due, in mezzo a un luogo indefinito, contornate solo dal bianco.

«Ho delle domande che non hanno ancora avuto una risposta, Elisa.» la voce di Cassandra era seria e Elisa, sollevata in quello spazio senza gravità la ascoltava, assorta. Sapeva che quei pochi minuti le sarebbero costati.

Sorrise, dolcemente, come non aveva fatto mai.

«Allora domanda, e io risponderò.».

 

«Perché? Perché tutto questo?» domandò. Nel lento progredire del tempo, gli occhi e i capelli di Cassandra perdevano sostanza. Gli occhi sbiancavano lentamente, e i capelli perdevano il loro naturale colore, come se stesse invecchiando.

Elisa scostò lo sguardo. Non voleva che lei sacrificasse troppo, per quelle domande.

«Perché?» sospirò. Eppure, pensava che si potesse facilmente intuire. Sorrise malinconicamente. «Perché ora sei viva. È questo l’importante per me.» Cassandra strabuzzò gli occhi, nel profondo del suo petto, il cuore sussultò ancora. «La cosa più importante per me sei tu.».

«E quelle parole allora?» chiese Cassandra, stringendo i pugni. La rabbia colorava i suoi occhi, anche se ormai erano come un foglio bianco. Eppure si poteva ancora vedere la traccia del suo colore, come una penna che non ha più inchiostro. Ricordò il tradimento.

E i suoi ricordi divennero immagine. Elisa vide. E sentì. In quel momento, il cuore di Cassandra si era spezzato. Aveva impiegato così tanto tempo a ricomporsi, a ricostruirsi, a ricucire le ferite, a guarirle. E lei lo aveva spezzato di nuovo.

 

«Mi hai tradita!» urlò Cassandra, tra le lacrime, coprendosi con un velo. Elisa, tornando alla forma umana, sogghignò. Gli occhi gialli. La voce distorta.

«Stupida umana, che credevi? Che mi fossi innamorata di te?».

Una risata agghiacciante si propagò nell’aria...

 

«Era una bugia.» confessò Elisa, nel silenzio di quello spazio etereo.

Cassandra rimase stupita. Basita. Non sapeva cosa dire.

«Il tempo sta per scadere...ma io ho ancora una cosa da chiederti, prima di andarmene.» parlò Elisa, spezzando il silenzio. Cassandra vedeva la sua figura a stenti. La vista stava per sparire, completamente. Sapeva che un occhio era sparito, e non sarebbe più tornato. L’altro, lo stava sacrificando per scambiare quelle ultime parole con lei. Sarebbe diventata cieca, lo sapeva, e lo accettava.

 

Non mi importa, di diventare cieca. Dopotutto, se lei sparisse...

... se lei sparisse, non ci sarebbe più niente da guardare, in questo mondo.

Non sopporterei una vista dove non ci sei tu, Elisa.

 

«Aspettami. Tornerò.» disse, sorridendo malinconica. Ma a Cassandra sembrava solo una bugia. Una come l’altra che le aveva detto, ma che continuava a pesare sul suo cuore.

«Nel frattempo, amore mio, conta le stelle... per me.» la luce divenne forte, e non vedeva più il suo volto. Non poteva capire se stava piangendo.

No, lo sentiva. Sentiva la sua voce spezzarsi. Stava piangendo.

Aspetta!

 

Amore mio...?

Ma allora...!

 

«No, aspetta! ELISA!» ma la sua voce si consumò in un tempio dove non c’era più nessuno. Si ritrovò, conscia, nella realtà, nella chiesa profanata, sulla terra, china sulle ginocchia, priva della vista e di parte della sua giovinezza.

«Elisa...» mormorò, nel pianto. Si strinse le mani sul volto, cercando di controllare il respiro. Non poteva nemmeno vedere le proprie lacrime.

 

Stupida... Non posso mantenere quella promessa.

Ho perso la vista...

... Ricordi?

 

«ELISA!» urlò, facendo riecheggiare la sua voce nella distesa silenziosa della città.

 

Elisa rimase lì, in quello spazio bianco. Aspettando.

Sapeva che sarebbe venuta.

«Elisa.».

 

Questa voce...

 

Una sberla in pieno volto la colse, ma non vide nessuno intorno a sé.

Poi, un’altra voce, più potente e più incontrollabile di tutto, la pervase.

Non capì, né cosa disse, né cosa voleva dire.

Aveva lasciato la terra, aveva lasciato lei. La sua spinta di sopravvivenza, in quel momento, era sparita.

«Sei una folle. Hai rovinato i miei piani, cercando di fare di testa tua!» la voce parlava. Ma Elisa non ascoltava. Poi parlò.

«Io non prendo ordini da nessun Dio o Dea che gioca con la vita degli esseri umani e della mia. I tuoi piani mi ripugnano. Tu non hai il diritto di disegnare il mio destino, né quello degli altri. Io ho compiuto il destino che io stessa ho scelto. Ora lasciami stare.» e con quello cadde in ginocchio, per quanto non ci fosse una superficie su cui appoggiarsi. E pianse.

Poi lo sconforto, così come il dolore, scomparve. E la voce tornò, prepotente.

«Ti punirò per questo. Sconterai la peggiore delle punizioni. E quando avrà fine, tu sarai il mio araldo durante l’alba dell’Apocalisse.» Elisa sussultò.

«Potrò tornare da lei?» domandò, e sentì un sì come risposta.

Sorrise.

«Allora puniscimi. Non mi importa cosa mi possa accadere. Se posso tornare da lei...» ma non finì la frase. Si ritrovò a cadere in un burrone, scuro come la morte.

E cadeva, cadeva.

Ma non aveva fine.

L’aria le sferzava il volto, le vesti, gli occhi. Le impediva di muoversi, di cercare un appiglio a cui appoggiarsi.

E alla fine capì. Quella era la sua punizione.

Cadere, senza nessun appiglio. Era come lei, che combatteva da sola le sue battaglie senza nessun supporto.

E poi ricordò i suoi amici.

E poi ricordò lei.

E sorrise.

 

Non è vero, io non combattevo da sola le mie battaglie.

Io avevo delle persone che mi sostenevano e che mi amavano.

 

I volti di Ros, Giulia, Giacomo, e tutti i soldati, i ragazzi le scorrevano nella mente. Sua madre, la sua maestra. Tutte le persone che aveva amato l’avevano supportata.

Cassandra fu il culmine della gioia.

Allargò le braccia, cadendo di testa.

 

No, non ero sola.

E non sto cadendo.

Io...

Io...

... io sto volando.

 

Fine...?

 

Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Anticipazioni.

 

Una folla vociante strepitava al centro della piazza, l’aria era carica di elettricità e fermento. Su un patibolo eretto, in legno, si poteva scorgere un tronco morto di albero, sporco di sangue ormai secco.

Una donna fu strappata a un gruppetto di persone, tenute sotto catene vicino a una rampa sulla destra che, seguendo la pianta della piazza, saliva fino al centro del palchetto.

La folla urlava, inneggiando alla violenza e desiderosa del loro spettacolo. Urlava, bramosa di sangue.

Questa donna, con un rozzo sacco calato sul volto, impediva di scorgerla in volto.

Alla sinistra, con una vista esclusiva sull’esecuzione, stava un trono, coperto di sontuosi veli e protetto dal sole corroborante e pesante di quel giorno. Una figura, nell’ombra, gioiva delle urla, e sorrise, stringendo un bastone nelle sue mani giovani. La folla, ignara del sole, lanciava pomodori e uova marce verso la condannata a morte, che però camminava con passo sicuro verso la propria morte. Le spalle ritte, sebbene avesse le mani incatenate e ricoperte di lividi e croste. Era vestita di stracci puzzolenti, e il boia, un energumeno dal volto celato da un cappuccio nero, affilava per l’ultima volta la sua enorme scimitarra prima del colpo.

Il cappuccio fu tolto, e una cascata di capelli rossi come il fuoco nel camino di un castello incantato scese dolcemente, rilucendo alla luce del sole cocente.

La folla urlava, inneggiando cori di odio.

«Morte all’eretica!».

«Bastarda!».

«Muori eretica!».

La figura, prima celata, si alzò, e batté per tre volte il bastone per terra. Il silenzio si propagò nella piazza come vento. E divenne il centro dell’attenzione della folla, ora diventata pubblico.

 

Luce. C’è luce, sui miei occhi.

Non vedo.

Sto... cadendo?

 

«Pietà!» urlò una voce, nel silenzio, grigia nel tono e roca.

Una vecchia, incatenata insieme a un giovane uomo, gridava con tutto il suo povero corpo, pieno di rughe e di malori. Cercò di muoversi verso il patibolo, e la rossa incrociò gli occhi dell’anziana, bianchi come un foglio intonso. Sorrise malinconica, conscia della sua imminente fine, e ringraziò silenziosamente quell’ultimo impeto prima della fine. La vecchia fu bloccata da un soldato, ma non smise di urlare, come se andasse della sua vita.

 

Ora ho capito.

Sto arrivando... amor mio.

 

«Abbiate pietà per mia figlia, ve ne prego!» urlò, disperata. Le lacrime solcavano la sua pelle rugosa, piegata dal tempo. China nella sua postura scoordinata, perse subito le forze del suo impeto, e crollò sulle ginocchia, tremando vistosamente. La rossa fremette alle sue parole, una lacrima invisibile si formò agli angoli degli occhi.

L’uomo, ricoperto di vesti di sacerdote, bianchi e azzurri, sogghignò di fronte alla patetica richiesta dell’anziana e con un cenno del capo fece intuire al boia di continuare.

La ragazza venne obbligata e legata sul ceppo, i capelli scostati per permettere al collo di brillare, bianco come la luna sotto il sole.

La giovane,tremò al silenzio della piazza, e strinse convulsamente le mani sulle catene, aspettando il momento fatidico della morte istantanea. Tutto era in tensione, per il momento culminante.

«Andrea, no!» l’ultimo urlo della vecchia, prima che l’arma venisse alzata. Brillò come oro, sotto il sole impassibile.

E poi...

... un tonfo scosse la terra.

 

 

   
 
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