Buongiorno!!!! E siamo giunti quasi alla fine. Un
capitolo arduo, duro, difficile. Devo molto alla mia sist Sax, molto perchè
senza il suo aiuto non sarei riuscita a scriverlo ed è per questo che glielo
dedico. Un grazie va anche a chi mi legge sempre e commenta come Joliet e
JakeandElwood, grazie per seguirmi, davvero! Non dico altro, solo preparate i
fazzoletti ancora una volta. Buona lettura.
Ile
29. Goodbye brother
Il
terreno bagnato, la neve caduta due giorni prima si stava sciogliendo ed un
tiepido sole era alto nel cielo. Gli occhiali scuri a nascondere il pianto, gli
occhi arrossati e lucidi; gli occhiali scuri fissi sulla figura che tanto mi
era mancata e che ora proseguiva verso di me, conscia di quanto era accaduto,
il direttore glielo aveva detto sicuramente. Incredibile come un momento che
attendi da diciotto anni si possa trasformare in un momento cupo e triste.
Sorrisi velati, quasi timorosi ad apparire, sul volto; felicità unità a dolore,
un mix letale, un vuoto incolmabile.
Osservai
Elwood venire verso l'auto, verso di me, immobile, incapace di andargli
incontro e solo quando decisi di muovere un passo, lui era già lì, di fronte a
me, volto stanco, sguardo nascosto, vestito di tutto punto. Attimi intensi in
cui i nostri sguardi si sfiorarono e parlarono; lenti scure su lenti scure, non
più un vetro a dividerci, nulla, uniti nel dolore, incapaci di muoverci per il
forte colpo subito.
Istanti,
attimi, poi il lancio da parte di Elwood della sua valigetta attraverso il
finestrino aperto; in seguito l'abbraccio, una stretta forte, una stretta che
entrambi avevamo aspettato da anni e che non poteva aspettare altro tempo per
essere data, una stretta felice in un momento di tristezza.
-
Ciao bimba - emise flebile, un sussurro strozzato. Un sorriso apparì sul mio volto,
un sorriso leggero, nonostante la disgrazia. Non c'erano più barriere a
dividerci, eravamo insieme, uniti nel dolore e nel ritrovamento, lui con me e
io con lui, testa appoggiata sulla sua spalla, braccia attorno alla mia vita,
attimi mancati, recuperati.
-
Ciao signor B - lo salutai, a mia volta, con un fremito nella voce, un tono
basso e alquanto roco per quanto avevo pianto in quei giorni. Un sussulto
quando le sue labbra posarono sul mio collo, calore mancato in mezzo allo
sconforto. Era tutto così ingiusto, provare la dolcissima e meravigliosa
sensazione di riabbracciare colui che amavi e non poterlo godere fino in fondo,
dopo quei lunghi anni, a causa del lutto subito e immaginavo bene come poteva
sentirsi Elwood, nessun saluto al fratello che non vedeva da troppo, nessuna
risata con lui, gliel'avevano strappato da dietro le sbarre e non lo aveva più
visto, niente, la speranza di ritrovarsi una volta fuori si era dissolta nella
comunicazione del direttore e nelle parole sprezzanti dei secondini. Uno
sguardo si alzò, occhi negli occhi, nonostante gli occhiali, che entrambi non
avremmo tolto, non ora; un bacio mancato da diciottanni, un bacio triste e
felice al tempo stesso, profondo nella malinconia, profondo nel dolore, uniti
in una stretta che cercava di fortificare entrambi. Il tempo è beffardo, così
come il destino, due fattori che muovevano insieme, compagni di sorte, ma noi
stretti in quell'abbraccio ed uniti in quel bacio ci sentivamo sicuri, sicuri
di riuscire a superare anche questa pugnalata, sicuri di affrontare l'addio di quel fratello che
ora ci stava guardando dall'alto e nel suo solito gergo ci stava invitando a
muovere i nostri culi, mentre sorrideva per la riconcilliazione avvenuta.
-
Bentornato El - gli dissi con una voce più ferma, ora, seppur roca, mentre
cercavo le parole giuste per dirgli del funerale e non era facile, affatto -
niente più vetri, solo abbracci che diventano veri - un sorriso lieve mentre
gli accarezzavo la guancia, carezza che venne accolta dal volto e dalla mano di
Elwood, che si chiuse e si strinse dolce sulla mia, gesti affettuosi mancati da
troppo riprendevano vita.
-
Ci sarà oggi, Zig? - mi chiese piano dopo un attimo di silenzio, un attimo in
cui prese la forza e il coraggio di articolare quella richiesta.
Sapevo
che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi, sapevo che andava affrontata,
era dura fare i conti con la verità, dura perchè ingiusta dopo tutti quegli
anni lontani, ma la stretta della mano di Elwood sulla mia, il suo lieve
sorriso, mi diedero la forza per affrontare la cosa - tra circa un'ora a Triple
Rock - gli risposi. Mi guardò ed annuì, posando la fronte sulla mia,
prendendone atto - Mi sei mancata come l'aria, Ziggie - mi sussurrò dolcemente,
lasciandomi un bacio sul capo, per il quale sorrisi e feci un lieve cenno col
capo, prima di lasciargli un altro bacio sentito sulle labbra - credo di poter
dire la stessa cosa di te, signor B -.
Istanti
che parvero infiniti davanti a quel di Joliet, momenti recuperati per qualche
attimo e tra un'ora dovevamo trovarci a Calumet City.
Era
stata la Pinguina ad aver gestito il tutto, lei aveva deciso la chiesa e preso
accordi con il reverendo Cleophus James, che gestiva ancora la comunità. Feci spazio ad Elwood, toccava lui guidare,
aveva bisogno di un altro punto di forza, aveva bisogno di sentire il motore, di avere tra le mani
volante e cambio, di sfrecciare per quelle vie che aveva percorso per infinite
volte e che, ora, erano tanto cambiate.
Il
motore rombò sul selciato e lo superò, le gomme si presentarono di nuovo
all'asfalto, mentre noi ci lasciavamo Joliet alle spalle e, stavolta, per
sempre. Mura che avevano accolto una nostra parte di vita e poi l'uscita, una
vittoria e una sconfitta insieme, addio.
L'impatto
con Chicago dopo aver visto per anni il cielo a quadretti lasciava spiazzati,
increduli, il vecchio era sovrastato dal nuovo, la modernità la faceva da
padrone ed era difficile per noi, figli degli anni ottanta, fare i conti con il
nuovo millennio e i suoi operati. Lo sguardo di Elwood si spostava di via in
via, di marciapiede in marciapiede, di struttura in struttura, spaesato - che
fine ha fatto la vecchia Chicago? - mormorò appena. Mi voltai a guardarlo, lo
capivo, lo capivo bene, l'avevo vissuto anche io quell'impatto tre anni prima e
ancora oggi faticavo a conviverci.
-
Chicago non è più quella di un tempo. Ormai la modernità avanza sempre di più: le
cabine telefoniche spariscono lasciando spazio ai telefoni cellulari, vecchi
pub cambiano nome o chiudono, lasciando spazio alle discoteche e alla musica
rimanipolata a computer e anche la viabilità è cambiata - gli feci i primi
esempi che mi vennero in mente, forse i più semplici, annuendo appena - gira in
quella via, è l'unico imbocco per la contea Cook con poco traffico - gli
indicai una vietta poco più avanti, un senso unico tra due palazzi, una leggera
scorciatoia.
- Millennio nuovo, vita
nuova - annuì Elwood seguendo le mie indicazioni. Alla fine non aveva torto, il
nuovo secolo aveva portato cambiamenti, ma se si porgeva attentamente lo
sguardo, dietro a tutte quelle nuove tecnologie, dietro a tutta quella
modernità, si poteva ancora scorgere la vecchia Chicago, la Blues City suonava
ancora.
Presa la scorciatoia
arrivammo davanti a Triple Rock nel giro di una ventina di minuti. Poche auto
parcheggiate, la vecchia chiesa era come diciottanni prima, nessun cambiamento,
una leggera ristrutturazione. Osservai quella facciata per diverso tempo,
secondi che sembravano ore, le lacrime appannarono gli occhi, ma cercai di
ricacciarle indietro, dopo quella porta c'era un fratello da salutare e non era
il momento di cedere ai pianti. Presi un profondo respiro e scesi dall'auto,
aggirandola e raggiungendo El, dall'altro lato, aprendo la portiera e dandogli
una mano - Andiamo? - chiesi a mano tesa, la voce il più ferma possibile, un
sorriso lieve a dargli forza. Elwood guardò prima me, poi la mia mano, mentre
tamburellava le dita sul volante e prendeva profondi respiri, dopo qualche
istante annuì, condividendo la stretta ed uscendo dall'auto - Si,
piccola...Andiamo -.
La chiesa presso la
quale era iniziata la loro missione portava ora il saluto a quel fratello a cui
aveva mostrato la luce, a quel fratello che aveva in qualche modo redento. Il
passato riecheggiava da ogni dove, ma non poteva esserci luogo più adatto per
salutare Jake.
La navata centrale sembrava
di una lunghezza interminabile, piccoli passi su un rettilineo infinito,
sguardo posato sul feretro aperto al fianco dell'altare, mentre il magone si
fermava in gola e l'ennesimo pugno allo stomaco era ricevuto. Una stretta forte
alla mano di Elwood, altri passi, fredda calma mista a veloce tristezza.
Davanti a noi la banda, la Pinguina e la verità da toccare con mano e vedere
con gli occhi. I vetri colorati delle vetrate illuminavano la stanza come i
tempi che furono, le nostre suole battevano sul pavimento ed ogni passo non
portava alla mente solo ricordi, ma ci proiettava verso la realtà. Notai Elwood
fermarsi a circa metà navata, lo sguardo fisso sul dipinto di fronte a noi, un
disegno che non avevo notato, un disegno nascosto ad occhio poco attento, un
disegno che fece sorridere entrambi: un fiume che si perdeva all'orizzonte,
illuminato da qualche vetrata alle nostre spalle, forse alcune finestre avevano
i quadri colorati di blu, o forse era la stessa opera ad essere ricca di quella
sfumatura, ma quando un dettaglio rincuora un'anima triste ha importanza? C'era
un quadro blues a Triple Rock e forse non era un caso che Curtis ci avesse
condotto in quella chiesa.
Toccai lieve il braccio
di Elwood, osservandolo con un sorriso rincuorante, era tempo di fare i conti
con il resto. La bara lì in mezzo metteva un senso di vuoto, un senso a cui
poni la domanda "e ora?" perchè non sai come muoverti, non sai cosa
fare, perchè è sempre difficile dire addio, soprattutto se colui che devi
salutare era una colonna portante della tua vita. Avevamo il nostro tempo,
nessuno ci aveva oppresso. Avevamo il nostro tempo, ma forse era meglio fare
forza su quei piedi che erano come incollati al pavimento, incapaci di compiere
altri passi. Presi un profondo respiro e gli accarezzai il volto, guardandolo
in faccia - Se vuoi stiamo in piedi, El. Qui, non andiamo oltre, ma non so
quanto Jake sarebbe d'accordo, sai bene quanto fosse permaloso - dissi seria,
pacata, cercando di fare coraggio ad entrambi, nonostante quelle parole
potevano apparire poco adatte, ma se c'era una cosa che avevo imparato, in quei
due giorni, era accettare il tutto, provando ad immaginare il fratellone ancora
vivo, che mi spronava, che mi parlava, perchè Jake ci sarebbe sempre stato e
quel tentativo appena dettato dalle mie labbra segnava, si, ma fortificava. Dal
canto suo Elwood annuì, stringendomi stretta in un abbraccio, prima di
ricomporsi e intraprendere quei passi mancanti che ci dividevano dal feretro.
Il saluto a Jake, però, non arrivò subito, la Pinguina ci invitò ad
accomodarci, la celebrazione stava per avere inizio.
Fu strano vedere pacato
il reverendo Cleophus, fu strano vedere quella chiesa in silenzio, ma quel
giorno andava bene così, un'omelia semplice a salutare una carica di energia
spenta nel feretro, ma attiva nel cielo. Pensavo di riuscire ad essere forte, a
rimanere impassibile alle parole in ricordo di Jake usate dal reverendo e
invece mi sbagliavo, ero combattuta tra nervosismo e tristezza, una lieve
felicità mista a lacrime che volevano farla da padrone, nonostante cercassi di
trattenerle.
Alla fine della
celebrazione il reverendo comunicò il luogo di sepoltura e quando si ritirò, fu
allora che il momento si fece critico. I ragazzi si spostarono al centro della
navata, in modo da lasciarci da soli con lui, per l'ultimo saluto a quella bara
che stava per chiudersi, la Pinguina rimase seduta sulla panca, in silenzio,
accanto a lei il cappello e gli occhiali di Jake, si, perchè era vestito di
tutto punto, ma mancavano loro. Pensavo che il saluto lo avremmo dato ognuno
per proprio conto, ma mi sbagliavo, Elwood si alzò e mi porse una mano, che non
esitai ad afferrare: eravamo cresciuti in tre, eravamo in tre anche in quel
momento.
Ci avviammo verso il
feretro ed eccolo il fratellone, sdraiato dentro quello scafandro di legno del
nostro colore preferito, il viso
pallido, disteso, gli occhi chiusi e leggermente affossati, segnati da un
violastro che qualche giorno prima doveva appartenere alle occhiaie. Aveva
un'aria quieta, come se dormisse, con le labbra sottili che nascondevano
l'ombra del suo sorriso furbetto e le sopracciglia fenomenali, pronte ad
inarcarsi in quel buffo ed accentuato modo che solo lui sapeva fare.
Sorrisi
appena nel notare che non era poi così cambiato, un sorriso triste. Notai
Elwood aver preso coscienza e lasciarmi la mano, eccolo il momento dei saluti
solitari, il momento in cui i piedi si inchiodavano maggiormente al terreno.
Quante volte lo avevo visto dormire, scomposto, in ogni dove? Fu quella
compostezza a rendere il tutto più reale, tristemente vero. Nuove lacrime
bussarono le iridi, tirai su con il naso cercando di ricacciarle indietro,
prendendo coscienza e coraggio, avvicinandomi a lui, accarezzandogli una
guancia fredda, prima di posarvi un bacio su di essa. Mi alzai appena,
prendendo il mezzo pacchetto di sigarette che avevo in tasca, infilandoglielo
nella propria - non sia mai che, ti vengano strane voglie, lassù - dissi
tristemente ironica, passandogli una mano tra i capelli - ciao fratellone - lo
salutai facendo un passo indietro, lasciando spazio ad Elwood, che nel
frattempo aveva recuperato gli effetti di Jake, quel cappello e quegli occhiali
lo avrebbero accompagnato anche in quel nuovo viaggio.
-
Ehy... Finalmente ci si rivede, mh? - lo salutò El con voce strozzata, cercando
di suonare allegro, il meno provato possibile, come se lo stesse rivedendo
seriamente, vivo, dopo tutti quegli anni. - Sai... lo so che sei uno a cui non
piacciono i sentimentalismi - fece una pausa - e so anche che sei uno che non
si attacca più di tanto a certe cose - un'altra pausa - ma penso che è meglio
se questi li tieni tu - disse poi chinandosi su di lui e mettergli cappello e
occhiali - siamo cresciuti così, alla fine. Ognuno deve avere i propri oggetti
che lo caratterizzano... E non penso che sarebbe la stessa cosa se questi
finissero ad impolverarsi su qualche scaffale o ereditati da chissà chi... -
spiegò piano, con la voce che faticava ad uscire - siamo sempre i fratelli
Blues, no? Non mi sembra il caso di cambiare divisa solo perchè è un'occasione
diversa, giusto? - soggiunse poi, abbozzando un sorriso, stringendogli lieve
una spalla - porta un pò di sano blues ai piani alti ora, ok? Tra un pò ti
raggiungeremo a fare impazzire anche il Superiore - gli diede poi una lieve
pacca sulla spalla come era solito fare ed annuì - ci vediamo bello... stammi
bene Jake - il saluto definitivo, l'ultimo sorriso mentre silenziose lacrime
sbucavano da sotto le lenti scure, guardandolo per un'ultima volta. Assistetti
alle spalle di Elwood a quel saluto fraterno, il momento della presa di
coscienza vero e proprio, il momento dell'addio di due fratelli, il momento in
cui la felicità incontrava la disperazione, un miscuglio di sentimenti e umori
che nessuno dovrebbe provare in una volta sola, non dopo diciotto anni di
gattabuia. Assistetti alle spalle di Elwood e le lacrime scesero a quella scena
fraterna e toccante, ma non le fermai, le avevo ricacciate indietro troppe
volte. Feci il segno della croce, sfiorando la bara nera, lasciando che i due
fratelli restassero soli, avviandomi verso la navata e ignorando la Pinguina e
i restanti componenti della Banda, che avevano cercato di fermarmi. Tutto
quello che avevo bisogno era una boccata d'aria prima della marcia fino al
cimitero e di lasciare che le lacrime scivolassero da sole per un pò, mi andai,
dunque, a sedere sul cofano dell'auto e qui, una volta portate le ginocchia al
petto, le lasciai correre libere, piangendo.
Non
rimasi sola a lungo, riconobbi i passi di Elwood, dopo qualche minuto,
raggiungermi, ma non alzai lo sguardo subito, mi ero ripromessa di non piangere
davanti a lui, di esser forte per entrambi, ero caduta, ma quando El si
avvicinò e mi alzò il volto, guardandomi negli occhi e asciugandomi con i
pollici le lacrime, prima di abbracciarmi stretto, acquistai maggior sicurezza
e ricambiai quella stretta: due anime unite che si facevano coraggio a vicenda.
-
Scusa se me ne sono andata, avevo bisogno di una boccata d'aria - tirai su con
il naso, alzando lo sguardo verso di lui, asciugandogli a mia volta le lacrime
che gli rigavano il volto. Avevamo ceduto entrambi, ma, forse, quello era il
momento adatto per farlo. Non un pianto disperato, solo un pianto di un uomo e
di una donna che avevano perso il fratello con il quale erano cresciuti.
-
Va bene così, piccola - disse con voce spezzata lui, l'abbraccio forte si stava
sciogliendo e il silenzio era riempito da leggeri singulti e ampi sospiri. Ci
sarebbe voluto del tempo per accettare il tutto, ci sarebbe voluto del tempo
per impedire che le lacrime scendessero alla vista di una fotografia, Jake non
c'era più, era vero, ma lui viveva con la sua ironia, con il suo essere grande,
che ci aveva lasciato: la canaglia era partita per il suo viaggio solo
fisicamente, lasciandoci il ricordo più bello di sè.
Furono
in sei a portare in spalla la bara del fratellone, Elwood davanti con Tom al
fianco e al seguito Steve, Matt, Dunn e Blue Lou. Faboulus era sul sagrato ad
intonare con la tromba una melodia triste, mentre Murph, Willie e la Pinguina
erano al mio fianco. La marcia verso il cimitero proseguì poi in auto, la
nostra fu l'aprifila, dietro di noi il carrofunebre e gli altri: silenzio su
ruote, anche il motore piangeva nel rombo.
Altre
lacrime bagnarono le guance in caduta libera, quando la terra prese ad
avvolgere la bara, una carezza fredda, cumuli sul vuoto, su una bara nera
accolta dalla madre terra. Terra bagnata dai pianti, un'armonica che suonava
con una tromba, un addio ad un'anima blues che aveva scaldato i cuori, che
aveva fatto rinascere quella musica nascosta nei sobborghi della vecchia
Chicago. Un addio, un arrivederci alla canaglia, al musicista, al fratello,
all'uomo.