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Autore: Be my Sherlock    27/05/2013    2 recensioni
A memoria d’uomo, c’è chi disse che un incubo è solo uno dei tanti modi dell’inconscio per farci capire cosa temiamo. A perdita d’occhio, nella nostra mente file e file di ricordi s’ammassano. S’ammassano come le foglie d’autunno in un viale, quando tutto si tinge d’arancio e il cielo è un po’ più blu. In mezzo a quelle cassettiere piene fino all’orlo ci sono fogli neri, che bruciano tutto ciò che toccano facendolo diventare cenere. E noi corriamo, perché non vogliamo bruciare, diventare bui e morti. E scappiamo, per ogni corridoio sempre più veloce. Ma solo dopo pochi metri, ci sentiamo al sicuro, ci sediamo contro un muro e ci sentiamo sicuri. Posiamo il sedere per terra e iniziamo a far passare il fiatone.
Quando le fiamme divampano.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Maysilee Donner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All of this is wrong.

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Ma mi sveglio ancora, vedo ancora il tuo fantasma
Oh Signore, non sono ancora sicuro per cosa lotto
Per cosa lotto? Per cosa lotto?
La maggior parte delle notti, non lo so più.
-Some Nights, Fun.


Il sole risplende nel cielo e costringe Haymitch a socchiudere gli occhi mentre cammina. Passeggia silenziosamente tra gli alberi, alberi splendidi e carichi di frutti invitanti e dai colori sgargianti. È tutto sfocato e surreale, come se il mondo fosse diventato improvvisamente freddo e buio; ma il quindicenne non sembra farci caso. Haymitch non capisce, Haymitch non sa. Sente solo una sensazione terribile, sente i muscoli contratti, pronti a correre, sente la testa che gli grida di sbrigarsi. Ma perché? Haymicth sa, nel profondo di sé stesso, ciò che sta per succedere, eppure non riesce a ricordare. Oppure non vuole ricordare? Viene urtato violentemente da qualcosa e sbatte la testa a terra. Sente il sangue che gli cola dal naso, sente un ghigno, una risata. Ma Haymitch è forte, si volta e scopre di essere faccia a faccia con un ragazzo sui diciotto. Il Favorito è seduto sul suo addome e in un attimo le sue mani si stringono intorno al collo del giovane. Non può muoversi, non può respirare, sente la vita abbandonare il suo corpo e, in parte, ne è sollevato. Ma Haymitch è forte, non accetta di morire, non così. Estrae il coltello dal fodero, lo alza sul ragazzo e lo spinge dritto nel suo cuore. Sempre più a fondo. Il sangue della sua vittima schizza ovunque e si tinge tutto di rosso. Non voleva farlo: Haymitch non è un assassino. Ma c’è una voce, nella sua testa che sostiene il contrario. Il ragazzo urla dal terrore. Strilla più forte che può finche non sente la gola in fiamme.
La scena cambia improvvisamente.
Gli alberi e la foresta fanno spazio ad una radura e il ragazzo si trova all’estremità di una voragine. Non si avvicina troppo, sa che non è prudente. E di nuovo torna quella sensazione. Haymicth deve correre. Ma dove? Deve sbrigarsi. Ma perché? Non può far tardi, non di nuovo. Di nuovo? Lei è sola e non ce la farà. Lei chi? Poi sente delle urla strazianti, urla di dolore che implorano aiuto. Resta un secondo in ascolto, forse un secondo di troppo. Poi parte. Scatta. Corre. Le sue gambe si muovono freneticamente, i polmoni bruciano, ma Haymitch non deve fermarsi. Finalmente ha capito. Forse può salvarla, forse gli hanno dato una seconda possibilità. Sente le urla farsi più vicine, c’è quasi. E quando arriva gli crolla il mondo addosso. Vede un corpo esile steso a terra, circondato da ibridi rosa caramella. Potrebbe essere chiunque, ma Haymitch sa di chi sono quei capelli biondi macchiati dal rosso del sangue. Riconoscerebbe ovunque lo scintillare di quegli occhi azzurri alla luce del sole. Gli ibridi se ne vanno come se volessero mostrargli il corpo martoriato di Maysilee. Come se volessero ricordargli che ancora una volta non ce l’ha fatta, che ha fallito di nuovo. Che non l’ha salvata. Un attimo dopo è al suo fianco e cerca di stringerle la mano, ma non ci riesce. Haymitch non può toccarla c’è una barriera invisibile che glielo impedisce. Così resta immobile a guardarla morire ancora una volta. Maysilee continua a urlare e a sputare sangue. Poi le urla finiscono e tutto diventa buio e silenzioso.

Haymitch apre gli occhi di scatto, senza riuscire a respirare. Non ci crede: l’ha sognata di nuovo. Ormai è come un disco rotto: parte ogni notte e non si ferma fino a che non è assolutamente certo di averlo distrutto. Ma ogni volta pare non essere abbastanza, così riparte. Perché non si sa mai. E lui soccombe sotto il peso di quelle visioni, quasi innaturali tanto sono lontane. Quasi presenti, tanto fanno male. Più volte aveva pensato – sia prima, che dopo, che durante i giochi – di aver sofferto davvero, ma forse era solo troppo ottuso per decifrare quello che adesso è un semplice codice conosciuto ormai da sempre. Quello che fa più male non è il ricordo, o tutte le emozioni legate ad esso: è la consapevolezza di aver perso, di aver fallito. Di non aver fatto in tempo. Muove piano le braccia. Scosta rapido le coperte, prima di mettersi a sedere coi piedi a penzoloni. Puzza di marcio, di alcool, di biancospino – perché, inutile fingere, le lenzuola sono state lavate anche se, ovviamente, non lo ha fatto lui. Si osserva le unghie, lunghe e sporche, per niente curate. Gira le mani più volte davanti al suo sguardo vigile, osservando i polpastrelli con particolare attenzione. Prima erano delicati, capaci di gesti quasi innaturali per un sedicenne. Sapeva accarezzare la gente, sfiorarla piano per poi baciarla e farla diventare sua. Ora quelle sue impronte digitali si imprimono su bottiglie di vodka piene, e non si staccano fino a che non ne resta nulla. Ora i calli sulle sue mani sono solo il segno delle notti passate a rigirare un bicchiere tra le mani, monotonamente, senza mai cambiare posizione. Ora anche i suoi occhi, così maledettamente infossati, fanno capire quanto abbia sofferto: nel suo viso dominato di ombre, pare ancora possibile vedere i solchi delle lacrime. Solchi ricchi di dolore, desolazione: solchi che segnano la sconfitta. In quel viso dominato da ombre, quei solchi sembrano essere l’unica cosa che lega ancora Haymitch alla sua vita prima dei Giochi, al suo essere umano.
Scende in cucina, stanco. Le oche nel pollaio continuano a starnazzare, ma lui non darà loro da mangiare; non ora. Ora ha altro di meglio da fare: ora va verso una cassettiera ed estrae delle foto dal cassetto più alto. Fruga tra i fazzoletti elegantemente piegati per trovarle – Katniss tende a nasconderle per fare in modo che Haymitch non si deprima vedendole. Le stoffe vengono disordinatamente lanciate sul pavimento mentre la rabbia dell’uomo cresce. Poi, finalmente, prende dei pezzi di carta patinata in mano e si lascia sprofondare sul sofà. I suoi polpastrelli carezzano il pregiato velluto rosso, mentre l’altra mano tiene salda un’istantanea – la prima di tante – in mano. Vede sua madre, bionda, che tiene in braccio un bambino di cinque anni maledettamente bruno. Un bambino di cinque anni che era la sua fotocopia.
Un bambino di cinque anni che morì quando ne aveva sei.
Morì a causa sua.
Ripensa a quel giorno, Haymitch con le lacrime agli occhi. Ripensa al Distretto Uno, al suo Tour della Vittoria rovinato sul nascere perché Snow doveva far vedere agli abitanti dei Distretti quanto soffrisse chi faceva qualcosa che non andava fatta. Nella sua mente risuonano le parole crude dei Pacificatori che lo informano dell’accaduto. Le gambe cedono, ma lui non può cadere: lui deve andare avanti, deve fare in modo che capiscano ciò che hanno fatto.
Deve vendicarsi.
Si costringe a cambiare foto quando, mandando dietro il gruppo quella di sua madre, ne trova una del figlio di Finnick.
Gira di nuovo, vedendosi davanti Katniss in abito da sposa che lo stringe sotto braccio. Si sente sbagliato, si sente ingiusto, si sente come se non meritasse quell’improvvisa felicità calatagli addosso. Sorride un po’, mentre il suo cuore perde un battito: non dovrebbe vivere, non dovrebbe avere tutto ciò che ha. Dovrebbe solo morire per essere sepolto in una cassa di legno sporca. O non sopravvivere, perché Maysilee l’avrebbe meritato mille volte di più.
E, come voglia farsi vedere, la prossima foto è proprio quella di Maysilee. Così bella, così semplice e combattiva. Così tranquilla anche davanti alla morte, perché sapeva che lui avrebbe vinto. Perché poteva anche morire, se lui fosse sopravvissuto.
Ma lui non ci riesce: da quando è morta, lui non vive. Lui beve per dimenticare. Per dimenticarsi di lei.
Getta le pellicole in aria prima di alzarsi. Corre in frigo, apre una bottiglia di alcolico a caso e manda giù più liquido che può.
Ma non va bene, si sente ancora vuoto. Barcolla fino al pregiato tavolo in legno, cerca un pezzo di carta e una penna. Bestemmia quando non li trova. Esulta quando, frugando nell’ennesimo cassetto, li vede. Torna sul trono che domina il suo regno solitario. La bottiglia ancora in mano. Beve un ultimo sorso, poi scrive, con la sua solita pessima e incomprensibile calligrafia. “Sono Haymitch Abernathy. Ho cinquant’anni. Mia madre è morta. Mio fratello è morto. Maysilee è morta. Capitol City li ha uccisi.
E io ho ucciso Capitol.”


Tira giù le foto dal muro.
Cancella i pensieri: dimenticali tutti.
A te la scelta: se salvare te stesso,
o cadere nelle mani di qualcun altro.
-Skumfuk dei SUM41

Angolo Autrici
Se siete arrivati fino a questo punto vi ringraziamo di cuore.
Prima di tutto che sennò ce ne scordiamo. Il banner è opera di Ilarina
che ringraziamo e salutiamo perché i suoi lavori sono dsjhfkgv.
Questa è una shot scritta a due mani da AriiiC_ e Kalore .
Progettavamo di scriverla da ottantamila mesi, ma l'abbiamo finita solo di recente.
Siamo due fanatiche di Haymitch e in particolare della Haysilee, non potevamo non scriverla :')
MiaoBao.
Questo è il nostro account condiviso, in cui pubblicheremo tuutte le storie che scriveremo insieme.
Anche perché per quest'Estate abbiamo un progettino molto faigo.
Recensite e ci renderete molto felici (Y)

  
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