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Autore: Pikky    29/05/2013    3 recensioni
SPOILER di tutta la seconda stagione e lievi spoiler della TERZA
Capitan Uncino è già stato a Neverland, da ragazzino. Era un Ragazzo Sperduto che a differenza degli altri è riuscito a fuggire, anche grazie all'aiuto di una sirena, Ariel. Qualche anno dopo la ritrova nella Foresta Incantata e avrà modo di ricambiare il favore.
Tempo dopo, infine, quando torna a Neverland per trovare il modo di vendicare la morte di Milah, la ritrova per caso. Cosa succederà? Cosa li vedrà accomunati? Come potrà essergli utile nei suoi piani di vendetta contro il Coccodrillo?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologo

 

Neverland

 

Era buio, sull’isola che non c’è.

La luce della luna filtrava attraverso le fronde degli alberi, che gettavano inquietanti ombre sul suolo rendendo l’atmosfera sinistra.

Killian correva, nonostante il fiatone e le gambe che gli dolevano ma che andavano avanti per inerzia. Procedeva senza indugio; la vista ormai si era abituata all’oscurità.

Non doveva farsi catturare, non voleva tornare lì, tra quei ragazzini tristi e soli. Voleva fuggire.

Udì dietro di sé delle voci concitate e dei passi pesanti farsi sempre più vicini, ma non vi badò. Li avrebbe seminati, perché non aveva intenzione di trascorrere su quell’isola un minuto di più.

Rischiò di inciampare nella radice di albero ma si riprese in fretta, ignorando la fitta di dolore che avvertì immediatamente alla caviglia.

La vegetazione iniziò a diradarsi e Killian tirò mentalmente un sospiro di sollievo: a breve avrebbe scorto la spiaggia, si sarebbe precipitato verso una scialuppa e avrebbe remato con tutte le proprie forze per allontanarsi il più possibile da lì. Con un po’ di fortuna sperava di giungere ad un’isola distante qualche miglia, di cui aveva sentito parlare da uno dei ragazzini che erano con lui.

Killian aveva fatto male i propri calcoli, tuttavia.

Non giunse sulla spiaggia, bensì su una scogliera che terminava a strapiombo sul mare.

Rallentò fino a fermarsi e, mentre riprendeva un po’ di fiato, si avvicinò con cautela all’orlo del precipizio. Guardò in basso e con sollievo constatò che non c’era la Roccia del Teschio. Era lontano dalla Laguna delle Sirene, per fortuna. Forse aveva ancora qualche possibilità di farcela. Ad occhio e croce calcolò di doversi trovare a circa una quindicina di metri sul livello del mare.

Sentì le voci dietro di sé farsi più vicine, e per un attimo fu preso dal panico. Doveva agire in fretta, prima che lo catturassero.

Doveva buttarsi là sotto.

– Eccolo! – urlò Felix, sbucando fuori dalla boscaglia. – Prendetelo! – ordinò dunque ai due ragazzi che erano con lui.

Non c’era tempo da perdere.

Killian fece un respiro profondo e si buttò nel vuoto, trattenendo il fiato. Sperò con tutte le proprie forze di riuscire a cavarsela, ma soprattutto si augurò che nessuna sirena stesse nuotando là sotto e che tutte fossero alla Laguna. Aveva infatti sentito parecchie storie su di loro, e tutte avevano un finale orribile, se non addirittura macabro.

Cercò però di non badare troppo a cosa avrebbe trovato là sotto.

Qualunque sorte sarebbe stata migliore che tornare tra le grinfie di Peter Pan.

 

 

Ariel sapeva di essersi allontanata troppo, così come sapeva bene che si sarebbe cacciata in guai seri se suo padre, re Tritone, avesse scoperto che era sgattaiolata fuori dalla propria stanza quando invece avrebbe dovuto dormire.

Era stufa, però, di essere trattata come una bambina. Ormai aveva sedici anni, diamine! Suo padre avrebbe dovuto rendersene conto, prima o poi, ma era accecato dalla paura che potesse accaderle qualcosa di brutto, come era successo a sua madre, uccisa da una sirena della Laguna quando lei era ancora una bambina. Quell’evento aveva indotto re Tritone a proibire ad ogni abitante di Atlantica di avvicinarsi all’isola che non c’è, e quel divieto aveva forza maggiore nei confronti della sua unica figlia, che però cercava di eluderlo non appena ne aveva la possibilità.

Come tante altre volte, quella notte Ariel stava nuotando in tutta tranquillità nei pressi dell’isola che non c’è, stando bene attenta a tenersi alla larga dalla Laguna, quando ad un tratto notò un ragazzino precipitare in mare proprio davanti ai suoi occhi.

Non ci mise molto a capire che doveva essere uno di quei ragazzini che Peter Pan teneva prigionieri su quell’isola per chissà quale motivo. I loro pianti risuonavano ogni notte per tutta Neverland.

Si affrettò a raggiungerlo, muovendo velocemente la coda su e giù. Lo vide mulinare con frenesia braccia e gambe per contrastare quella forza invisibile che lo tirava sempre più sul fondo, e decise di aiutarlo.

Non poteva permettere che le sirene della Laguna, quelle cattive che ammaliavano pirati e marinai per attirarli a sé ed annegarli, mettessero le grinfie su di lui. Era solo un ragazzino, poteva benissimo avere la sua età.

Non appena si avvicinò e lui la scorse, lo vide sgranare gli occhi per la paura e quando lo afferrò lo sentì divincolarsi.

– Fermo! – gli ordinò. – Non voglio farti del male, voglio solo aiutarti a tornare in superficie! Da solo non ce la farai mai – tentò allora di rassicurarlo.

Il ragazzino però non parve udirla e continuò a dimenarsi cercando di sfuggire alla sua presa, diventando sempre più paonazzo.

– Così sprechi solo forze! – lo rimproverò Ariel, prima di sgusciare dietro di lui per afferrarlo con entrambe le braccia in modo da immobilizzarlo. Assicurata la presa, agitò la coda più veloce che poté e lo portò in superficie.

– Lasciami! – le intimò il ragazzino, boccheggiando.

Ariel lo ignorò e lo portò verso la parete rocciosa che costituiva lo strapiombo da cui Killian si era lanciato, ma lei non poteva saperlo.

– Non riportarmi da Peter Pan, meschina di una sirena! Affogami, piuttosto!

A quelle parole, Ariel fu davvero tentata di fermarsi e immergergli la testa sott’acqua per annegarlo o per lo meno zittirlo, ma così facendo non avrebbe fatto altro che alimentare i pregiudizi di cui era vittima, per cui lasciò perdere. Del resto le uniche sirene con cui il ragazzino aveva avuto a che fare erano quelle della Laguna, ed era naturale che avesse una visione distorta di tutta la loro specie.

Nuotando, Ariel giunse in un punto in cui la parete rocciosa erosa dall’acqua presentava un’insenatura, e depose il ragazzino su uno scoglio presente all’interno di essa. Killian si issò immediatamente a sedere, fissando Ariel con espressione confusa.

– Stai bene? – gli domandò quest’ultima, restando in acqua per non spaventarlo ulteriormente.

Killian annuì, restando in silenzio, mentre si concedeva qualche istante per osservare la sirena. Aveva lunghi capelli rossi che si aprivano attorno a lei a ventaglio, mentre mulinava leggermente la coda per restare a galla. Da quel poco che riuscì a intravedere attraverso l’acqua, poté constatare che la coda era verde smeraldo, proprio come i suoi occhi. I tratti del viso erano ancora per certi versi fanciulleschi, mentre per altri erano quasi adulti, per cui ne dedusse che la sirena doveva avere all’incirca la sua età, cioè quindici anni. In realtà ne aveva uno in più, ma lui non poteva saperlo.

– Fuggivi da Peter Pan? – domandò Ariel, per trovare conferma dei propri sospetti.

– Sì, ma ormai è tutto inutile. Dovevo allontanarmi da qui, non tornarci! I Ragazzi Sperduti non ci metteranno molto a ritrovarmi, scommetto che saranno già sulle mie tracce – borbottò Killian, rassegnato.

– A nuoto non avresti fatto molta strada – ribatté Ariel sulla difensiva. Dopo averlo salvato si aspettava un minimo di gratitudine, non tutto quell’astio. Capiva che era spaventato e che si era fatto un’idea sbagliata riguardo alla sua specie, ma credeva di avergli dimostrato fin troppo bene che si sbagliava. Salvarlo non era stato sufficiente?

– Lo so! È per questo che volevo rubare una delle scialuppe attraccate sulla spiaggia, ma sono finito dal lato sbagliato dell’isola – si giustificò lui. – Forse il mio destino è restare qui per sempre – decretò, rassegnato.

Ariel sapeva già che se suo padre fosse venuto a sapere quel che stava per fare avrebbe rischiato grosso, ma non le importava. Non ne poteva più di tutti i divieti che le imponeva, anche se diceva di farlo per il suo bene.

– Forse no – ribatté dunque. – Fuggendo con una scialuppa saresti stato braccato dalle sirene della Laguna. Sai meglio di me che sorvegliano l’isola e annegano chiunque osi avvicinarsi o fuggire.

– Tu non sei una di loro? – chiese Killian, confuso. Aveva capito che quella sirena era diversa da quelle con cui aveva avuto a che fare, ma pensava che vivesse comunque nella Laguna insieme alle altre.

– No, per mia fortuna – rispose Ariel in tono risentito. – Non dovrei nemmeno essere qui, ad essere sincera.

– E dove dovresti essere?

– A casa, nel regno di Atlantica – rispose Ariel. – È lì che abito, insieme ad altre sirene e tritoni. Non siamo malvagi come le sirene della Laguna – proseguì dunque, marcando l’ultima frase con profondo disgusto. Non riusciva a perdonare quello che era successo a sua madre a causa loro.

– Come mai sei qui, allora? – domandò il ragazzino, inarcando un sopracciglio.

Ariel non rispose. Non aveva nessuna voglia di parlargli dei divieti che il padre le imponeva, né voleva spiegare ad uno sconosciuto la strana e sinistra attrattiva che l’isola che non c’è esercitava nei propri confronti da quando sua madre era stata uccisa. Non avrebbe capito, perché nemmeno lei capiva. Non sapeva infatti che l’isola avesse il potere di attrarre a sé chiunque si sentisse solo e abbandonato.

– Posso aiutarti a fuggire, se vuoi – decretò quindi, intenzionata a cambiare discorso.

– E come, in sella ad un delfino? – ribatté Killian sarcastico. Non riusciva a capire come quella sirena avrebbe potuto aiutarlo. E se fosse stato tutto un inganno? Se quella ragazza fosse stata una sirena della Laguna, nonostante affermasse il contrario? Probabilmente voleva soltanto ingannarlo e ricondurlo da Peter Pan.

Ariel gli schizzò addosso dell’acqua, stizzita. Ormai quello stupido doveva aver capito che lei non era malvagia, quindi perché continuava ad essere prevenuto nei propri confronti?

– Arrangiati, allora! – sbottò. – Fuggi a nuoto, se è questo che vuoi!

Fece per andarsene, ma Killian la chiamò. – Aspetta! – le disse, rendendosi conto di essersi comportato da villano. – Non volevo essere scortese, è solo che tutto questo mi sembra strano. Voi sirene siete abili con gli inganni, e dunque…

Loro sono così – lo interruppe Ariel. – Non noi. Non io. Voglio davvero aiutarti, se me lo permetti – gli propose dunque, ritrovando la calma.

– La tua offerta è ancora valida, allora? – domandò Killian, per avere una conferma. Si era reso conto di non aver molte alternative, oltre a quella sirena. Sperò che potesse davvero aiutarlo e si augurò che non fosse tutto un inganno architettato da una mente malvagia come quella delle sirene della Laguna.

– Certo che lo è – rispose Ariel senza esitazioni.

– Posso chiederti perché vuoi aiutarmi? – chiese dunque il ragazzino, per fugare ogni dubbio.

– Perché l’isola non è un bel posto in cui vivere. Sei stato coraggioso a fuggire ed è giusto che tu completi l’opera – rispose Ariel, senza esitazioni. – Non so cosa accada di preciso, ma so che Peter Pan vi porta qui con l’inganno e poi vi impedisce di fuggire, ed è un’ingiustizia.

Oh… Grazie, allora – disse Killian, con un sorriso. – E grazie anche per avermi salvato, prima. Come ti chiami? – chiese poi, curioso.

– Ariel. E tu?

Killian. Killian Jones.

– Da dove vieni? – domandò Ariel, curiosa. Per la prima volta aveva l’opportunità di parlare con qualcuno che non faceva parte del suo mondo, e ne era felice, anche si rendeva conto che quella curiosità era fuori luogo, in un momento come quello.

– Dalla Foresta Incantata – rispose Killian.

Ariel spalancò la bocca, meravigliata; aveva sempre sentito parlare di quel mondo e aveva sempre desiderato andarci, ma sapeva che non le era possibile. – Ed è lì che vuoi tornare? – chiese dunque, lasciando da parte la voglia di pregare Killian di descriverle il luogo da cui proveniva.

Il ragazzino annuì, e Ariel gli si fece più vicina, stringendo qualcosa nella mano destra. Killian osservò meglio e poté vedere che la ragazza indossava un ciondolo che prima non aveva notato, ed era proprio ciò che ora stava stringendo.

– Questa collana mi dà particolari poteri – gli spiegò, aprendo la mano per mostragli una conchiglia con incastonata una gemma viola. – Ogni sirena ne ha una fin dalla nascita, forse l’avrai vista indosso anche alle sirene della Laguna, ma non importa. Mi sto perdendo in chiacchiere. Quel che conta è che con questa collana posso creare un portale che ti faccia ritornare a casa, dalla tua famiglia.

– Io non ho una famiglia – ribatté Killian, cupo. Nonostante fosse passato ormai molto tempo, ricordava fin troppo bene il vuoto che aveva avvertito quando si era reso conto che suo padre lo aveva abbandonato, fuggendo durante la notte, mentre lui dormiva ignaro di tutto. Aveva vagato disperato per tutto il villaggio, cercando ogni minima traccia che il padre poteva aver lasciato dietro di sé, ma non aveva trovato nulla, così aveva iniziato a girovagare senza meta, finché non si era ritrovato in un bosco ed era calata la notte.

Quella stessa notte un’ombra lo aveva raggiunto e gli aveva promesso meraviglie, descrivendogli un luogo in cui tutti i bambini e i ragazzini abbandonati come lui potevano essere felici, senza crescere mai. Killian aveva seguito l’ombra senza esitazioni, ma se ne era poi pentito amaramente e si era ripromesso di fuggire non appena ne avesse avuto l’occasione.

Ed eccola lì. Ora la possibilità concreta di andarsene da quel luogo maledetto era di fronte a lui, incarnata in quella sirena di nome Ariel. Non l’avrebbe mai dimenticata.

– Mi dispiace – disse la sirena, rammaricata, interrompendo il flusso dei pensieri di Killian. – Vuoi tornare lo stesso nella Foresta Incantata? O preferisci qualche altro mondo?

– No, no. Voglio tornare a casa, non importa se sarò solo – ribatté Killian, senza esitazioni. Voleva allontanarsi da lì e tornare in luoghi a lui familiari in cui avrebbe potuto iniziare una nuova vita.

– Bene – decretò Ariel. – Allora concentrati intensamente e tieni bene a mente il luogo a cui vuoi fare ritorno – gli ordinò dunque. – Io creerò un portale proprio dietro di te, così potrai andartene – gli spiegò. – Sei pronto?

– Quando vuoi – disse Killian. – Grazie ancora per il tuo aiuto, Ariel. Non lo dimenticherò.

– Non ce n’è bisogno – si schermì Ariel con un’alzata di spalle. – Nessuno merita di restare su quest’isola, te l’ho già detto – decretò, dopodiché strinse con la mano sinistra il ciondolo che portava al collo, il quale si illuminò improvvisamente di una luce violacea, mentre portava l’altra mano davanti a sé. Disegnò un arco immaginario e subito dietro Killian si aprì un portale che rifulgeva di una luce azzurrina.

– Va’, Killian! – lo esortò Ariel.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Rivolse ad Ariel un ultimo sorriso riconoscente, si concentrò pensando alla meta che voleva raggiungere ed entrò nel portale, che subito si richiuse dietro di lui.

Ariel rimase a fissare la parete rocciosa per qualche istante, ritrovandosi ad invidiare Killian. Anche lei avrebbe tanto voluto viaggiare attraverso i mondi esistenti, ma suo padre glielo aveva severamente proibito, aggiungendo quel divieto alla lunga lista di ciò che non le era permesso fare. A differenza delle altre proibizioni, però, quella era impossibile da eludere: se fosse andata in un altro mondo, la sua assenza non sarebbe passata inosservata perché il tempo, a Neverland, aveva leggi tutte sue. Quella che per lei sarebbe stata una fuga di qualche ora, a suo padre sarebbe apparsa molto più lunga.

Ariel sospirò, rassegnata. Non aveva molte alternative se non continuare la sua vita di sempre. Si rituffò in acqua, affrettandosi a ritornare a casa.

Non voleva certo che il padre scoprisse dove era stata e ciò che aveva fatto.

 

 

Note

Salve a tutti!

Eccomi qui con questa storia che avevo in mente già da un po’, ma ho preferito aspettare che finisse la seconda stagione per avere qualche informazione in più su Hook e sull’isola che non c’è.

Prima di chiarire un paio di cosette, vorrei dedicare questa storia a Lilyhachi, per ringraziarla di avermi supportato in questa pazzia. Ne approfitto anche per dirvi di passare dalla sua storia ‘The little mermaid’, se avete voglia di leggere una Hook/Ariel.

Passiamo ora ad alcune precisazioni:

- Come avrete notato, in questa storia sono presenti sia il termine ‘Neverland’ che il termine ‘isola che non c’è’. Non si tratta di un errore; con il primo intendo il mondo in cui si trovano l’isola che non c’è e Atlantica, fra le altre cose. Questo perché in inglese ‘land’ ha il significato più generico di ‘terra’.

- L’idea della collana che dota Ariel di particolari poteri l’ho presa dal trailer di ‘Once upon a time in Wonderland’, notando la collana di Cirus, il genio di cui Alice si innamora. Non so se quella collana sia soltanto sua, se gli dia qualche potere particolare, se sia una caratteristica di tutti i geni… Non lo so. xD Io ho voluto trasporla su Ariel e su tutte le sirene, spero di non aver fatto una cavolata.

- Forse alcuni avranno storto il naso nel vedere Uncino come Bimbo Sperduto, ma ho voluto renderlo così dopo alcune mie riflessioni. Quando, dopo la morte di Milah, va a Neverland ne parla a Spugna come se già la conoscesse; io ne ho tratto spunto e la mia mente ha elaborato questa teoria.

- Ho preferito il termine ‘Ragazzi Sperduti’ a quello di ‘Bimbi Sperduti’ perché da quello che ho visto nella 2x22 non mi sembrano teneri e simpatici come quelli del film Disney. La parola ‘bimbi’ personalmente mi evoca qualcosa di puccioso, per cui ho preferito sostituirla.

Credo sia tutto.

Spero che il prologo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensare^^

Non so quando aggiornerò, indicativamente spero ogni due settimane, dato che la tanto temuta sessione estiva incombe e devo darci dentro con esami e tesi, se voglio laurearmi entro dicembre.

A presto :)

Sara

   
 
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