Prologo
Neverland
Era
buio, sull’isola che non c’è.
La
luce della luna filtrava attraverso le fronde degli alberi, che gettavano
inquietanti ombre sul suolo rendendo l’atmosfera sinistra.
Killian correva,
nonostante il fiatone e le gambe che gli dolevano ma che andavano avanti per
inerzia. Procedeva senza indugio; la vista ormai si era abituata all’oscurità.
Non
doveva farsi catturare, non voleva tornare lì, tra quei ragazzini tristi e
soli. Voleva fuggire.
Udì
dietro di sé delle voci concitate e dei passi pesanti farsi sempre più vicini,
ma non vi badò. Li avrebbe seminati, perché non aveva intenzione di trascorrere
su quell’isola un minuto di più.
Rischiò
di inciampare nella radice di albero ma si riprese in fretta, ignorando la
fitta di dolore che avvertì immediatamente alla caviglia.
La
vegetazione iniziò a diradarsi e Killian tirò
mentalmente un sospiro di sollievo: a breve avrebbe scorto la spiaggia, si
sarebbe precipitato verso una scialuppa e avrebbe remato con tutte le proprie
forze per allontanarsi il più possibile da lì. Con un po’ di fortuna sperava di
giungere ad un’isola distante qualche miglia, di cui aveva sentito parlare da
uno dei ragazzini che erano con lui.
Killian aveva fatto
male i propri calcoli, tuttavia.
Non
giunse sulla spiaggia, bensì su una scogliera che terminava a strapiombo sul
mare.
Rallentò
fino a fermarsi e, mentre riprendeva un po’ di fiato, si avvicinò con cautela
all’orlo del precipizio. Guardò in basso e con sollievo constatò che non c’era
la Roccia del Teschio. Era lontano dalla Laguna delle Sirene, per fortuna.
Forse aveva ancora qualche possibilità di farcela. Ad occhio e croce calcolò di
doversi trovare a circa una quindicina di metri sul livello del mare.
Sentì
le voci dietro di sé farsi più vicine, e per un attimo fu preso dal panico.
Doveva agire in fretta, prima che lo catturassero.
Doveva
buttarsi là sotto.
–
Eccolo! – urlò Felix, sbucando fuori dalla boscaglia. – Prendetelo! – ordinò
dunque ai due ragazzi che erano con lui.
Non
c’era tempo da perdere.
Killian fece un
respiro profondo e si buttò nel vuoto, trattenendo il fiato. Sperò con tutte le
proprie forze di riuscire a cavarsela, ma soprattutto si augurò che nessuna
sirena stesse nuotando là sotto e che tutte fossero alla Laguna. Aveva infatti
sentito parecchie storie su di loro, e tutte avevano un finale orribile, se non
addirittura macabro.
Cercò
però di non badare troppo a cosa avrebbe trovato là sotto.
Qualunque
sorte sarebbe stata migliore che tornare tra le grinfie di Peter Pan.
Ariel
sapeva di essersi allontanata troppo, così come sapeva bene che si sarebbe
cacciata in guai seri se suo padre, re Tritone, avesse scoperto che era
sgattaiolata fuori dalla propria stanza quando invece avrebbe dovuto dormire.
Era
stufa, però, di essere trattata come una bambina. Ormai aveva sedici anni,
diamine! Suo padre avrebbe dovuto rendersene conto, prima o poi, ma era
accecato dalla paura che potesse accaderle qualcosa di brutto, come era
successo a sua madre, uccisa da una sirena della Laguna quando lei era ancora
una bambina. Quell’evento aveva indotto re Tritone a proibire ad ogni abitante
di Atlantica di avvicinarsi all’isola che non c’è, e quel divieto aveva forza
maggiore nei confronti della sua unica figlia, che però cercava di eluderlo non
appena ne aveva la possibilità.
Come
tante altre volte, quella notte Ariel stava nuotando in tutta tranquillità nei
pressi dell’isola che non c’è, stando bene attenta a tenersi alla larga dalla
Laguna, quando ad un tratto notò un ragazzino precipitare in mare proprio
davanti ai suoi occhi.
Non
ci mise molto a capire che doveva essere uno di quei ragazzini che Peter Pan
teneva prigionieri su quell’isola per chissà quale motivo. I loro pianti
risuonavano ogni notte per tutta Neverland.
Si
affrettò a raggiungerlo, muovendo velocemente la coda su e giù. Lo vide
mulinare con frenesia braccia e gambe per contrastare quella forza invisibile
che lo tirava sempre più sul fondo, e decise di aiutarlo.
Non
poteva permettere che le sirene della Laguna, quelle cattive che ammaliavano
pirati e marinai per attirarli a sé ed annegarli, mettessero le grinfie su di
lui. Era solo un ragazzino, poteva benissimo avere la sua età.
Non
appena si avvicinò e lui la scorse, lo vide sgranare gli occhi per la paura e
quando lo afferrò lo sentì divincolarsi.
–
Fermo! – gli ordinò. – Non voglio farti del male, voglio solo aiutarti a
tornare in superficie! Da solo non ce la farai mai – tentò allora di
rassicurarlo.
Il
ragazzino però non parve udirla e continuò a dimenarsi cercando di sfuggire
alla sua presa, diventando sempre più paonazzo.
–
Così sprechi solo forze! – lo rimproverò Ariel, prima di sgusciare dietro di
lui per afferrarlo con entrambe le braccia in modo da immobilizzarlo.
Assicurata la presa, agitò la coda più veloce che poté e lo portò in
superficie.
–
Lasciami! – le intimò il ragazzino, boccheggiando.
Ariel
lo ignorò e lo portò verso la parete rocciosa che costituiva lo strapiombo da
cui Killian si era lanciato, ma lei non poteva
saperlo.
–
Non riportarmi da Peter Pan, meschina di una sirena! Affogami, piuttosto!
A
quelle parole, Ariel fu davvero tentata di fermarsi e immergergli la testa
sott’acqua per annegarlo o per lo meno zittirlo, ma così facendo non avrebbe
fatto altro che alimentare i pregiudizi di cui era vittima, per cui lasciò
perdere. Del resto le uniche sirene con cui il ragazzino aveva avuto a che fare
erano quelle della Laguna, ed era naturale che avesse una visione distorta di
tutta la loro specie.
Nuotando,
Ariel giunse in un punto in cui la parete rocciosa erosa dall’acqua presentava
un’insenatura, e depose il ragazzino su uno scoglio presente all’interno di
essa. Killian si issò immediatamente a sedere,
fissando Ariel con espressione confusa.
–
Stai bene? – gli domandò quest’ultima, restando in acqua per non spaventarlo
ulteriormente.
Killian annuì,
restando in silenzio, mentre si concedeva qualche istante per osservare la
sirena. Aveva lunghi capelli rossi che si aprivano attorno a lei a ventaglio,
mentre mulinava leggermente la coda per restare a galla. Da quel poco che
riuscì a intravedere attraverso l’acqua, poté constatare che la coda era verde
smeraldo, proprio come i suoi occhi. I tratti del viso erano ancora per certi
versi fanciulleschi, mentre per altri erano quasi adulti, per cui ne dedusse
che la sirena doveva avere all’incirca la sua età, cioè quindici anni. In realtà
ne aveva uno in più, ma lui non poteva saperlo.
–
Fuggivi da Peter Pan? – domandò Ariel, per trovare conferma dei propri
sospetti.
–
Sì, ma ormai è tutto inutile. Dovevo allontanarmi da qui, non tornarci! I
Ragazzi Sperduti non ci metteranno molto a ritrovarmi, scommetto che saranno
già sulle mie tracce – borbottò Killian, rassegnato.
–
A nuoto non avresti fatto molta strada – ribatté Ariel sulla difensiva. Dopo
averlo salvato si aspettava un minimo di gratitudine, non tutto quell’astio.
Capiva che era spaventato e che si era fatto un’idea sbagliata riguardo alla
sua specie, ma credeva di avergli dimostrato fin troppo bene che si sbagliava.
Salvarlo non era stato sufficiente?
–
Lo so! È per questo che volevo rubare una delle scialuppe attraccate sulla
spiaggia, ma sono finito dal lato sbagliato dell’isola – si giustificò lui. –
Forse il mio destino è restare qui per sempre – decretò, rassegnato.
Ariel
sapeva già che se suo padre fosse venuto a sapere quel che stava per fare avrebbe
rischiato grosso, ma non le importava. Non ne poteva più di tutti i divieti che
le imponeva, anche se diceva di farlo per il suo bene.
–
Forse no – ribatté dunque. – Fuggendo con una scialuppa saresti stato braccato
dalle sirene della Laguna. Sai meglio di me che sorvegliano l’isola e annegano
chiunque osi avvicinarsi o fuggire.
–
Tu non sei una di loro? – chiese Killian, confuso.
Aveva capito che quella sirena era diversa da quelle con cui aveva avuto a che
fare, ma pensava che vivesse comunque nella Laguna insieme alle altre.
–
No, per mia fortuna – rispose Ariel in tono risentito. – Non dovrei nemmeno
essere qui, ad essere sincera.
–
E dove dovresti essere?
–
A casa, nel regno di Atlantica – rispose Ariel. – È lì che abito, insieme ad
altre sirene e tritoni. Non siamo malvagi come le sirene della Laguna –
proseguì dunque, marcando l’ultima frase con profondo disgusto. Non riusciva a
perdonare quello che era successo a sua madre a causa loro.
–
Come mai sei qui, allora? – domandò il ragazzino, inarcando un sopracciglio.
Ariel
non rispose. Non aveva nessuna voglia di parlargli dei divieti che il padre le
imponeva, né voleva spiegare ad uno sconosciuto la strana e sinistra attrattiva
che l’isola che non c’è esercitava nei propri confronti da quando sua madre era
stata uccisa. Non avrebbe capito, perché nemmeno lei capiva. Non sapeva infatti
che l’isola avesse il potere di attrarre a sé chiunque si sentisse solo e
abbandonato.
–
Posso aiutarti a fuggire, se vuoi – decretò quindi, intenzionata a cambiare
discorso.
–
E come, in sella ad un delfino? – ribatté Killian
sarcastico. Non riusciva a capire come quella sirena avrebbe potuto aiutarlo. E
se fosse stato tutto un inganno? Se quella ragazza fosse stata una sirena della
Laguna, nonostante affermasse il contrario? Probabilmente voleva soltanto
ingannarlo e ricondurlo da Peter Pan.
Ariel
gli schizzò addosso dell’acqua, stizzita. Ormai quello stupido doveva aver
capito che lei non era malvagia, quindi perché continuava ad essere prevenuto
nei propri confronti?
–
Arrangiati, allora! – sbottò. – Fuggi a nuoto, se è questo che vuoi!
Fece
per andarsene, ma Killian la chiamò. – Aspetta! – le
disse, rendendosi conto di essersi comportato da villano. – Non volevo essere
scortese, è solo che tutto questo mi sembra strano. Voi sirene siete abili con
gli inganni, e dunque…
–
Loro sono così – lo interruppe Ariel.
– Non noi. Non io. Voglio davvero aiutarti, se me lo permetti – gli propose
dunque, ritrovando la calma.
–
La tua offerta è ancora valida, allora? – domandò Killian,
per avere una conferma. Si era reso conto di non aver molte alternative, oltre
a quella sirena. Sperò che potesse davvero aiutarlo e si augurò che non fosse
tutto un inganno architettato da una mente malvagia come quella delle sirene
della Laguna.
–
Certo che lo è – rispose Ariel senza esitazioni.
–
Posso chiederti perché vuoi aiutarmi? – chiese dunque il ragazzino, per fugare
ogni dubbio.
–
Perché l’isola non è un bel posto in cui vivere. Sei stato coraggioso a fuggire
ed è giusto che tu completi l’opera – rispose Ariel, senza esitazioni. – Non so
cosa accada di preciso, ma so che Peter Pan vi porta qui con l’inganno e poi vi
impedisce di fuggire, ed è un’ingiustizia.
–
Oh… Grazie, allora – disse Killian,
con un sorriso. – E grazie anche per avermi salvato, prima. Come ti chiami? –
chiese poi, curioso.
–
Ariel. E tu?
–
Killian. Killian Jones.
–
Da dove vieni? – domandò Ariel, curiosa. Per la prima volta aveva l’opportunità
di parlare con qualcuno che non faceva parte del suo mondo, e ne era felice,
anche si rendeva conto che quella curiosità era fuori luogo, in un momento come
quello.
–
Dalla Foresta Incantata – rispose Killian.
Ariel
spalancò la bocca, meravigliata; aveva sempre sentito parlare di quel mondo e
aveva sempre desiderato andarci, ma sapeva che non le era possibile. – Ed è lì
che vuoi tornare? – chiese dunque, lasciando da parte la voglia di pregare Killian di descriverle il luogo da cui proveniva.
Il
ragazzino annuì, e Ariel gli si fece più vicina, stringendo qualcosa nella mano
destra. Killian osservò meglio e poté vedere che la
ragazza indossava un ciondolo che prima non aveva notato, ed era proprio ciò
che ora stava stringendo.
–
Questa collana mi dà particolari poteri – gli spiegò, aprendo la mano per
mostragli una conchiglia con incastonata una gemma viola. – Ogni sirena ne ha
una fin dalla nascita, forse l’avrai vista indosso anche alle sirene della
Laguna, ma non importa. Mi sto perdendo in chiacchiere. Quel che conta è che
con questa collana posso creare un portale che ti faccia ritornare a casa, dalla
tua famiglia.
–
Io non ho una famiglia – ribatté Killian, cupo.
Nonostante fosse passato ormai molto tempo, ricordava fin troppo bene il vuoto
che aveva avvertito quando si era reso conto che suo padre lo aveva
abbandonato, fuggendo durante la notte, mentre lui dormiva ignaro di tutto.
Aveva vagato disperato per tutto il villaggio, cercando ogni minima traccia che
il padre poteva aver lasciato dietro di sé, ma non aveva trovato nulla, così
aveva iniziato a girovagare senza meta, finché non si era ritrovato in un bosco
ed era calata la notte.
Quella
stessa notte un’ombra lo aveva raggiunto e gli aveva promesso meraviglie,
descrivendogli un luogo in cui tutti i bambini e i ragazzini abbandonati come
lui potevano essere felici, senza crescere mai. Killian
aveva seguito l’ombra senza esitazioni, ma se ne era poi pentito amaramente e
si era ripromesso di fuggire non appena ne avesse avuto l’occasione.
Ed
eccola lì. Ora la possibilità concreta di andarsene da quel luogo maledetto era
di fronte a lui, incarnata in quella sirena di nome Ariel. Non l’avrebbe mai
dimenticata.
–
Mi dispiace – disse la sirena, rammaricata, interrompendo il flusso dei
pensieri di Killian. – Vuoi tornare lo stesso nella
Foresta Incantata? O preferisci qualche altro mondo?
–
No, no. Voglio tornare a casa, non importa se sarò solo – ribatté Killian, senza esitazioni. Voleva allontanarsi da lì e
tornare in luoghi a lui familiari in cui avrebbe potuto iniziare una nuova
vita.
–
Bene – decretò Ariel. – Allora concentrati intensamente e tieni bene a mente il
luogo a cui vuoi fare ritorno – gli ordinò dunque. – Io creerò un portale
proprio dietro di te, così potrai andartene – gli spiegò. – Sei pronto?
–
Quando vuoi – disse Killian. – Grazie ancora per il
tuo aiuto, Ariel. Non lo dimenticherò.
–
Non ce n’è bisogno – si schermì Ariel con un’alzata di spalle. – Nessuno merita
di restare su quest’isola, te l’ho già detto – decretò, dopodiché strinse con
la mano sinistra il ciondolo che portava al collo, il quale si illuminò
improvvisamente di una luce violacea, mentre portava l’altra mano davanti a sé.
Disegnò un arco immaginario e subito dietro Killian
si aprì un portale che rifulgeva di una luce azzurrina.
–
Va’, Killian! – lo esortò Ariel.
Il
ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Rivolse ad Ariel un ultimo sorriso
riconoscente, si concentrò pensando alla meta che voleva raggiungere ed entrò
nel portale, che subito si richiuse dietro di lui.
Ariel
rimase a fissare la parete rocciosa per qualche istante, ritrovandosi ad
invidiare Killian. Anche lei avrebbe tanto voluto
viaggiare attraverso i mondi esistenti, ma suo padre glielo aveva severamente
proibito, aggiungendo quel divieto alla lunga lista di ciò che non le era
permesso fare. A differenza delle altre proibizioni, però, quella era
impossibile da eludere: se fosse andata in un altro mondo, la sua assenza non
sarebbe passata inosservata perché il tempo, a Neverland,
aveva leggi tutte sue. Quella che per lei sarebbe stata una fuga di qualche
ora, a suo padre sarebbe apparsa molto più lunga.
Ariel
sospirò, rassegnata. Non aveva molte alternative se non continuare la sua vita
di sempre. Si rituffò in acqua, affrettandosi a ritornare a casa.
Non
voleva certo che il padre scoprisse dove era stata e ciò che aveva fatto.
Note
Salve
a tutti!
Eccomi
qui con questa storia che avevo in mente già da un po’, ma ho preferito
aspettare che finisse la seconda stagione per avere qualche informazione in più
su Hook e sull’isola che non c’è.
Prima
di chiarire un paio di cosette, vorrei dedicare questa storia a Lilyhachi,
per ringraziarla di avermi supportato in questa pazzia. Ne approfitto anche per
dirvi di passare dalla sua storia ‘The little mermaid’, se avete voglia di leggere una Hook/Ariel.
Passiamo
ora ad alcune precisazioni:
-
Come avrete notato, in questa storia sono presenti sia il termine ‘Neverland’ che il termine ‘isola che non c’è’. Non si
tratta di un errore; con il primo intendo il mondo in cui si trovano l’isola
che non c’è e Atlantica, fra le altre cose. Questo perché in inglese ‘land’ ha il significato più generico di ‘terra’.
-
L’idea della collana che dota Ariel di particolari poteri l’ho presa dal
trailer di ‘Once upon a time
in Wonderland’, notando la collana di Cirus, il genio
di cui Alice si innamora. Non so se quella collana sia soltanto sua, se gli dia
qualche potere particolare, se sia una caratteristica di tutti i geni… Non lo so. xD Io ho voluto
trasporla su Ariel e su tutte le sirene, spero di non aver fatto una cavolata.
-
Forse alcuni avranno storto il naso nel vedere Uncino come Bimbo Sperduto, ma
ho voluto renderlo così dopo alcune mie riflessioni. Quando, dopo la morte di Milah, va a Neverland ne parla a
Spugna come se già la conoscesse; io ne ho tratto spunto e la mia mente ha
elaborato questa teoria.
-
Ho preferito il termine ‘Ragazzi Sperduti’ a quello di ‘Bimbi Sperduti’ perché
da quello che ho visto nella 2x22 non mi sembrano teneri e simpatici come
quelli del film Disney. La parola ‘bimbi’ personalmente mi evoca qualcosa di puccioso, per cui ho preferito sostituirla.
Credo
sia tutto.
Spero
che il prologo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensare^^
Non
so quando aggiornerò, indicativamente spero ogni due settimane, dato che la
tanto temuta sessione estiva incombe e devo darci dentro con esami e tesi, se
voglio laurearmi entro dicembre.
A
presto :)
Sara