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Autore: Sion    30/05/2013    4 recensioni
[DISCONTINUED] Elliot riceve diverse gomitate da Oz, che smania per illustrargli come farà breccia nel tenero cuore di Alice, ma Elliot è distratto.
«Molto bene, iniziamo. Aprite ‘Il Grande Gatsby’ a pagina uno. Baskerville uomo, leggi».
Il tizio apre la sacca e ne tira fuori una copia un po’ maltrattata del Grande Gatsby, si sistema un po’ più dritto sulla sedia, e poi, con voce espressiva e un po’ raschiante, inizia a leggere.
Elliot lo fissa. E non la smette per tutta la lezione.
( schoolverse, au, longfic. enjoy! )
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville, Oz Vessalius, Sharon Ransworth
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Titolo: Le proprietà della materia
Serie: Pandora Hearts
Rating: Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS: ALTERNATIVE UNIVERSE! School!Verse.
Pairing: Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a Jun Mochizuki; non è intesa violazione di copyright. L’Alternative Universe è banale e non credo sia da credits.
Capitolo: Atto 0: Big Bang.
Note: In fondo!


Atto 0: Big Bang.


Il mattino è limpido e azzurro, punteggiato da nuvole bianche. Un cielo quasi fuori luogo, nell’ottobre pungente e fresco di Cambridge. Uno si aspetta le nuvole grigie e cariche di pioggia dell’autunno alle porte, in Inghilterra, a Ottobre, e invece c’è il sole.
Elliot Nightray arriccia il naso, il viso alzato verso il cielo innaturalmente azzurro e luminoso, e si sistema lo zaino in spalla, controllando poi l’orario sul cellulare. Le sette e cinquantotto.
Oz sarebbe dovuto essere lì da almeno dieci minuti — e di questo passo, come al solito, faranno tardi a scuola — e lui se ne sta lì, impalato come uno stoccafisso, ad aspettarlo. Potrebbe tranquillamente girare i tacchi e andarsene da solo, a scuola, ma Oz l’ha costretto a promettergli che l’avrebbe aspettato, usando come debole scusa ‘ma domani è il primo giorno, per favore’. Ed Oz sa essere pesante quando ci si mette, perciò Elliot ha capitolato dopo diverse proteste, convincendosi ad arrivare all’angolo tra il forno e la libreria, punto d’incontro privilegiato per la sua esatta equidistanza tra casa Vessalius e casa Nightray, alle otto meno venti. Di solito Oz tarda di cinque, sei minuti – è una routine il lasciarsi convincere ad aspettarlo, in realtà, non un evento sporadico limitato all’apertura dell’anno – ma stavolta si sta mettendo d’impegno per fargli fare una brutta figura con i professori. Dovrebbero essere in classe esattamente tra due minuti.
Guarda insistentemente l’orologio, fissando la lancetta ticchettare lungo il quadrante, e proprio mentre scattano le sette e cinquantanove, quando sta per chiamare Oz per sbraitare come solo un cane rabbioso può fare, il suo cellulare squilla, costringendolo a rimandare l’ira e la strage a qualche secondo più tardi.
«Pronto?»
«Elliot, ma che stai facendo? Sono dieci minuti che io e Ada ti chiamiamo, perché te ne stai lì come una statua?»
«Oz. Oz io ti ammazzo». Si guarda intorno nervosamente, cercando lungo la strada trafficata l’auto di Ada. «Siete venuti in macchina? Io ti ammazzo, Oz».
«Sì, su questo punto sei stato abbastanza chiaro. Stai fermo, ora ci avviciniamo».
«Non ho fatto altro che stare fermo per dieci minuti, cazzone!»
Sente la risata cristallina di Oz all’altro capo, e poi il segnale di chiamata libera. Sta per avere una crisi isterica peggiore di quelle che ha Vanessa durante il ciclo, quando l’auto di Ada si accosta al marciapiede, e la testa bionda di Oz Vessalius sbuca dal finestrino del sedile del passeggero, con un’espressione talmente candida e innocente da sembrare quasi credibile.
«Ada non trovava le chiavi», è la giustificazione che celia prima di scrollare le spalle con leggerezza.
Ada, al sedile del guidatore, emette una risatina nervosa, chiocciando un «Scusa, Elliot!».
Elliot Nightray si domanda quante altre volte dovrà reprimere l’istinto di mettere le mani addosso ad una donna per colpa della superficialità di Ada, ma, per una volta, evita scenate primadonnesche e si limita ad entrare nell’auto, lanciando lo zaino dritto contro l’altro sportello e sbattendo il proprio non appena accomodato.
«Siamo in ritardo».
Oz annuisce, tranquillo, cercando una stazione alla radio. «Me ne rendo conto».
«Sappi che non mi prenderò responsabilità».
L’altro alza il volume e si stravacca sul sedile, con grande irritazione di Elliot, mentre gli risponde «Lo so bene».
«Cosa intendi fare a riguardo?»
«Andiamo Elli, è un ritardo il primo giorno di scuola, capirai che tragedia! Dovresti smetterla di preoccuparti così tanto. Non intendo fare assolutamente nulla, perché non c’è assolutamente nulla da fare».
La pragmaticità della risposta mette Elliot fuori gioco per diversi secondi, e, con qualche borbottio, lo costringe al silenzio. «Non chiamarmi Elli. E potevi almeno avvertirmi», mugugna, prima di guardare nuovamente l’orario sul cellulare. Le otto e due minuti.
Alza gli occhi fuori dal finestrino, cercando di isolare la voce sgraziata di Oz ed eliminarla, perché sta canticchiando canzoni già di per sé poco gradevoli, figurarsi se cantate con la sua voce, e prova invece a concentrarsi sui passanti, la maggior parte studenti, e quasi tutti diretti verso la scuola.
«Sai, ho saputo da mio zio che quest’anno ci saranno due studenti nuovi nella nostra classe».
Questo accende la curiosità di Elliot, che sposta lo sguardo davanti a sé, dove ipoteticamente ci sarebbero gli occhi di Oz. «Ah davvero?»
«Già. Ha detto che i genitori sono tipo... ricercatori? Non ne ho idea. Comunque, studiano chimica all’Università».
Elliot storce il naso a sentire la parola ‘chimica’, e si agita sul sedile, incrociando le braccia al petto.
«Wow. Impiego interessante», bercia, con tono saccente, interrotto dal ‘Siamo arrivati!’ squillante di Ada, che parcheggia poco lontano dall’entrata con una manovra poco convenzionale e sicuramente scomoda per chiunque, poi, vorrà passare dalla strada stretta che costeggia l’edificio.
«Oz, non per farmi i fatti vostri, ma come ha passato l’esame di guida tua sorella? Ha parcheggiato da schifo».
Oz gli lancia un’occhiata di fuoco da sopra il poggiatesta del sedile, inalberandosi subito. «Mia sorella guida benissimo, pensa a tuo fratello».
Elliot sta per domandare ‘A quale dei tanti devo pensare’, ma capisce quasi subito dopo che si tratta di Gilbert (che, a onor del vero, parcheggia anche peggio di Ada e riesce a grattare la frizione anche su un rettilineo).
Ada replica alla critica acida di Elliot con uno sorriso mortificato e sfila le chiavi dal quadro, sistemandole nella borsa. «Scusa, devo ancora prenderci la mano».
Elliot sbuffa ma tronca la conversazione, e sbatte nuovamente la portiera dietro di sé una volta sceso dall’auto, controllando – per l’ennesima volta – l’orario. Le otto e cinque. Quasi scatta in una corsa da velocista verso l’ingresso, ma Oz lo ferma stringendogli il gomito e alzando gli occhi al cielo. «Elliot, per la bontà di Dio, c’è ancora un sacco di gente che sta arrivando, piantala di fare la gazzella irrequieta e calmati».
«Ma-»
«Ma niente, non è la prima volta che arriviamo in ritardo e, credimi sulla parola, non sarà l’ultima».
Non gli ci vuole un grande sforzo di immaginazione per credergli, considerata la lentezza proverbiale dei Vessalius al mattino.
Si incamminano – Elliot davanti, Oz ed Ada a pochi passi di ditanza – verso l’ingresso, superando la folla di matricole sovreccitate e il gruppetto dell’ultimo anno cui Ada prontamente si unisce, lasciandoli soli all’entrata dell’edificio.
Oz guarda l’altro con divertimento, per poi passarsi una mano tra i capelli e mettere su il sorriso più disgustosamente attraente che riesce a fare.
«Beh, a caccia».

C’è una prassi che dura da almeno quattro anni – da quando facevano le medie ed Elliot era ancora totalmente insofferente ad Oz –: inizia il primo giorno di scuola con la ‘caccia’ di Oz alla studentessa più carina dell’anno e termina al ballo di Primavera, con l’invito alla suddetta a partecipare con Vessalius – per essere, poi, prontamente scaricata al ritorno dalle vacanze pasquali per dargli la possibilità di invitare almeno – almeno, perché c’erano stati casi in cui le invitate erano più di una – una nuova ragazza al ballo di fine anno.
E visto che Oz è perfettamente coerente con le sue abitudini, inizia a scandagliare la folla di studenti nell’atrio cercando di individuare il ‘viso più bello dell’anno’.
Elliot, di solito, non gli presta troppa attenzione, e si limita ad avviarsi verso il proprio armadietto da solo e fermamente intenzionato a non ascoltare le ciance di Oz per le seguenti sette ore e mezzo, ma, suo malgrado, la preda puntata da Oz per quest’anno si trova esattamente accanto al suddetto armadietto. Non se ne accorge fino a quando, raggiunto il lucchetto, non si ritrova Oz di nuovo a fianco, con un sorriso a trentadue denti, che intrappola la preda tra il muro e le proprie braccia.
Elliot si prende un po’ di tempo per osservare la malcapitata, prima di far calare il sipario sulla penosa scenetta riparandosi dietro l’anta dell’armadietto. È una ragazzina abbastanza graziosa, occhi grandi e castano scuro, quasi rossi, e lunghi capelli color cioccolato acconciati in una coda che lascia cadere alcune ciocche disordinate lungo le guance e la fronte.
«Hey, cretino, levati».
Elliot apre l’anta dell’armadietto, infilandoci i libri che ancora non gli servono e prendendo un quaderno, e si sofferma ancora un po’ a fissare l’interno, su cui ha attaccato solamente una fotografia di famiglia – in cui, a dirla tutta, sembrano tutti abbastanza rigidi, compreso suo fratello Ernest, completamente ingessato in un completo un po’ troppo elegante per il suo stile – ed una fotografia scattata da Gilbert, che ritrae lui ed Oz in una risata quantomeno rara. In tutta franchezza, quella fotografia l’ha attaccata Oz, ma lui, per qualche motivo, non ha mai avuto il cuore di toglierla.
Sente un certo brusio dall’altra parte dell’armadietto, e quando lo chiude vede Oz, da solo, con una mano sulla guancia – rossa e improvvisamente gonfia – e gli occhi sgranati e lucidi.
«Mi sono innamorato».
Elliot inserisce il lucchetto alla serratura e poi sistema lo zaino in spalla, inarcando le sopracciglia e arricciando il naso.
«Chi è?»
«Non ne ho idea, ma mi ha sfondato lo zigomo. È la preda, Elliot!»
Quest’ultimo alza gli occhi al cielo e lo spinge verso la classe, ignorando il suo chiacchiericcio sconnesso sulla straordinaria ragazza.
Oz si interrompe solo quando Sharon Rainsworth, capelli biondo miele legati in una treccia e maglioncino di un giallo improbabile, li raggiunge, stringendo una cartellina al petto.
«Hey, ragazzi!», cinguetta, aprendo la cartellina, «Ho gli orari! Anche quest’anno abbiamo il professor Regnard come insegnante di chimica!»
C’è una sorta di euforia nel tono, ed Elliot si ritrova un po’ combattuto, perché adora il professor Regnard, per carità, ma detesta la materia che insegna – nonostante abbia cercato in tutti i modi di eccellere per colpirlo e non farsi guardare con quello sguardo di divertita sufficienza che hanno i professori quando sanno che ti impegni ma, ahimè, sei un asino.
Perciò replica con un neutro «Che bello».
«E di letteratura chi c’è?», chiede Oz. L’anno prima avevano un professore estremamente preparato ma terribilmente pedante, Arthur Barma, cugino del professore di storia – la parentela è solo supposta, ma visto lo stesso cognome, gli stessi capelli rosso fuoco e la stessa irritante pretenziosità, devono per forza essere parenti.
«Un tale Oswald Baskerville. È nuovo», commenta Sharon, scorrendo la lista dei professori. «Per il resto, tutto regolare. Barma per storia e filosofia, Lunettes per matematica, Regnard per chimica e fisica, e tuo zio per scienze motorie».
Oz ridacchia, ricordando il giovane zio dai lunghi – troppo lunghi – capelli biondi intento a far fare salti in lungo e corse forzate ai primini.
«Che materie alternative sceglierete quest’anno?», chiede Sharon, aprendo la porta dell’aula di letteratura, ed entrando per prima.
«Io credo che sceglierò teatro ed economia», cinguetta Oz.
«Musica e teatro, come al solito», aggiunge Elliot, lanciando i libri sul banco prediletto – al quale nessuno si avvicina dal secondo anno quando in un impeto di rabbia aveva urlato contro ad una tale Echo perché aveva cercato di sedersi lì – a destra dell’aula, vicino alla finestra.
Oz gli si siede accanto, e Sharon alle spalle, beandosi della totale copertura che le offrono per dedicarsi a inviare messaggi e scarabocchiare sul uso blocco per gli appunti.
Alla spicciolata, entrano anche gli altri studenti, con le solite facce sbattute da inizio anno, ancora animate da una scintilla di vitalità, strascico delle vacanze estive, e forse rischiarate dal bel tempo.
Echo – la ragazzina contro cui aveva urlato Elliot – si siede in prima fila, esattamente davanti alla cattedra, e lancia uno sguardo indecifrabile al suddetto, che, con un po’ di vergogna, distoglie il proprio.
Non appena la porta sbatte per l’ultima volta, la figura slanciata del professor Rufus Barma – faccia di cazzo, capelli rossi legati sulla spalla sinistra, un panciotto decisamente fuori moda ed un doppiopetto nero in stile ‘maniaco da parco pubblico’ - si avvicina a lenti passi alla cattedra.
«Buongiorno».
Un coro di ragazzi svogliati gli risponde, mollemente in piedi per una forma di rispetto assolutamente superflua, considerato l’astio evidente che il professor Barma prova nei confronti delle loro ‘grette e limitate menti’.
«Sono assolutamente mortificato di dovervi vedere anche quest’anno, ma la mia richiesta di ottenere la cattedra all’Università è stata – inettamente – rifiutata anche quest’anno. Perciò temo che saremo costretti a collaborare un altro anno».
Ogni anno la prima lezione di letteratura si apre, da manuale, con questa frase ritrita, che Oz ascolta quasi con interesse, visto che diventa più lunga ed ostile di anno in anno.
La massa di studenti si risiede, mentre Barma rimane in piedi, circumnavigando la cattedra per porsi di fronte alla classe.
«E sono ancor più mortificato di annunciarvi che avremo tre altre teste vuote da riempire, quest’anno. Perciò accogliete con la dovuta cortesia i nostri nuovi acquisti».
La porta della classe si apre, e, con somma gioia di Oz, entrano tre figure praticamente identiche, anche se cromaticamente differenti.
La ragazza che aveva puntato – e che l’ha prontamente pestato per questo – si trova in mezzo a due altre figure: una femminile (identica a lei con la sola differenza che è tutta bianca, tutta completamente bianca, dai capelli – argentei e sciolti sulle spalle – alla pelle, allo scamiciato che indossa), ed una maschile.
E se Oz spasima per la ragazza dai capelli scuri, ad attirare l’immediata attenzione di Elliot è la figura a sinistra, un po’ nascosta dietro alle ragazze, vestita male e pettinata peggio, col viso mezzo coperto da un paio di occhiali spessi e una massa di capelli disordinati, neri e ribelli.
«Vi presento Alyss, Alice e Leo Baskerville. Tre al prezzo di uno. Accomodatevi, signori».
Ad uno ad uno, i tre si siedono nei posti liberi rimasti. Alyss, quella tutta bianca, si siede dietro Sharon, mentre Alice, evidentemente sua sorella, le si siede accanto, e alle spalle di Elliot subito inizia a levarsi un brusio di vocine femminili e presentazioni. Il tipo strano, invece, si siede due banchi avanti ad Oz, lasciando cadere la sacca sdrucita sul banco e sedendosi scompostamente sulla sedia, scomparendo quasi dietro al banco.
Elliot riceve diverse gomitate da Oz, che smania per illustrargli come farà breccia nel tenero cuore di Alice, ma Elliot è distratto.
«Molto bene, iniziamo. Aprite ‘Il Grande Gatsby’ a pagina uno. Baskerville uomo, leggi».
Il tizio apre la sacca e ne tira fuori una copia un po’ maltrattata del Grande Gatsby, si sistema un po’ più dritto sulla sedia, e poi, con voce espressiva e un po’ raschiante, inizia a leggere.
Elliot lo fissa. E non la smette per tutta la lezione.

«Quel tipo mi sembra un cretino», esordisce non appena usciti dall’aula di letteratura, guardando allontanarsi Leo Baskerville, tampinato a breve distanza da Alyss, Alice e Sharon, che ha già iniziato a civettare con la sorella bruna, prendendola a braccetto ed illustrandole le dinamiche della scuola.
«Ma dai, legge davvero bene e sembra un tipo a posto. Cosa abbiamo adesso?»
Elliot guarda l’orario, borbottando «Non mi convince. Comunque, Matematica con Lunettes».
«Non fare il bullo, è nuovo. Lascialo ambientare».
«Sì, sì, certo. Andiamo, o facciamo tardi».

Dopo un’ora di matematica passata nuovamente a fissare il nuovo arrivato alle prese con la disarmante disponibilità di Reim Lunettes, e un’ora di educazione fisica in cui non ha avuto la possibilità di studiare più a fondo il soggetto perché Jack Vessalius è un mostro e li ha costretti a fare flessioni per una mezz’ora abbondante, Elliot Nightray è convinto che il tipo sia una sagoma da evitare.
Tanto per incominciare, è scontroso. A metà della lezione di matematica, Oz ha cercato di presentarsi e tutto ciò che ha ricevuto è stata un’occhiata astiosa – o almeno, la sensazione è stata quella, considerato che gli occhi del tipo sono completamente coperti – e durante educazione fisica non ha parlato con nessuno, arrancando durante la corsa e rifiutandosi categoricamente di fare le flessioni adducendo come scusa ‘Non sono un militare e questo non è un corso preparatorio. Me ne vado a leggere’, e andando ad accomodarsi sugli spalti del campo da baseball. Inoltre, negli spogliatoi, ha respinto ogni tentativo di avvicinamento di qualsiasi studente.
Perciò, a pranzo, è abbastanza sorpreso di ritrovarselo seduto praticamente accanto.
Oz alza gli occhi dal piatto e fissa il viso di Elliot, congestionato e pronto all’esplosione, mentre Leo Baskerville si accomoda a pochi centimetri da lui e gli scaglia praticamente la sacca sui piedi.
«Scusami, cretinetti, ma chi ti credi di essere? Non ti abbiamo invitato a questo tavolo».
Leo Baskerville, con una calma sconcertante, si volta a guardarlo e gli risponde «Scusami, principessa, ma il tavolo non ha il tuo nome scritto sopra, perciò mi siedo dove voglio. E poi è stata Sharon ad invitarci».
«Cos-».
Pochi millesimi di secondi dopo, una mano delicata ma incredibilmente violenta gli piove sulla nuca, ed una voce che denota rabbia a stento trattenuta chioccia «Elliot, che maleducato che sei. Sono ragazzi nuovi, dobbiamo comportarci bene. Ho invitato Leo, Alice ed Alyss a stare con noi a pranzo per la prossima settimana, così da farli ambientare».
Oz non potrebbe essere più felice, vista l’espressione che mette su quando si ritrova seduto tra Sharon ed Alice.
«Infatti, Elliot, non fare il cafone», bercia, facendo cenni decisamente poco discreti del capo per indicare Alice e lanciandogli un’occhiata implorante.
Elliot si volta verso Leo, che gli fa un sorriso inquietante ed inizia a mangiare la sua zuppa dal colore indecifrabile.
E, ritrovandosi costretto a capitolare, abbassa il capo e accetta le nuove, invadenti presenze.
«Sarà un anno fantastico!», celia Oz, provando a mettere un braccio intorno alle spalle di Alice e ricevendo una gomitata nello stomaco che gli provoca una ridarella irritante.
«Sì», mugugna Elliot, «da paura».



Note:
Avevo in mente questa fanfiction da secoli, e finalmente ha preso forma. E la sto postando senza aver riletto o corretto, perché Neko No Yume ha detto che mi picchierà con un sedano se non posto entro oggi a pranzo, cosa che sto facendo. I won.
Dunque, la situazione è questa: è la prima longfic che pubblico da... non lo so, da quando mi sono iscritta col nuovo account, perciò siate clementi se sarò lenta. Considerato che questo è solo il prologo, poi, aspettatevi capitoli belli lunghi, quindi ne varrà la pena di aspettare.
Beh, un bacione a chiunque leggerà e recensirà. Spero che vi piaccia, e che continui a piacervi in seguito.
(Ah, lo so che il titolo fa schifo, ma diciamo che tutto l’impianto della storia è basato sulla fisica e la termodinamica. La scuola fa male. E boh, il titolo mi faceva ridere, perciò ciaux)
A.


  
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