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Autore: hutcherwife    30/05/2013    0 recensioni
Klara Roosvelt è una semplice ragazza abbandonata dal padre, che vive con la madre in una piccola casa. Un giorno si troverà però ad affrontare un drammatico evento, in cui lei dovrà tirar fuori il suo coraggio e la sua voglia di vivere. Intraprenderà un lungo e faticoso viaggio con un ragazzo, che le racconterà i segreti di suo padre, che lei aveva dato ormai per morto. Tra colpi di scena, pallottole mortali e innamoramenti, Klara non guarderà più la vita con gli stessi occhi.
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1 Se esiste una cosa che so fare meglio di chiunque altro, quella è dormire. E’ una cosa che mi riesce naturale. Posso dormire per giorni interi se nessuno mi sveglia, o se mi ci impegno per mesi, come un ghiro. Il fatto è, purtroppo, che c’è sempre qualcuno che mi sveglia. Per andare a scuola, perché al telefono chiedono di me, o perché hanno suonato ed è la mia vicina. Se solo mi lasciasse dormire gli dimostrerei che sono bravissima a fare qualcosa. Per mia madre sono una buona a nulla, si lamenta sempre di come vanno le cose, che è stanca, ha male alla schiena, o che nessuno l’aiuta nei lavori domestici. A volte io mi offro, ma a quanto pare lei capisce che non ne ho la minima voglia, e rifiuta la mia proposta. E devo ammettere, che ne resto sollevata. Ma io so qual è il motivo di questa sua sofferenza. Mio padre. O il mio padre-fantasma perché ci ha abbandonate quando io avevo solo 6 anni. Mi ricordo benissimo i tratti del suo viso, la bocca morbida ma sottile, i suoi occhi nocciola scuro, quel suo naso a punta, per cui l’ho sempre preso in giro. In casa non abbiamo nessuna foto di lui, infatti non ho molte fotografie della mia infanzia, perché mamma non vuole avere neanche un suo ricordo. Il suo studio l’abbiamo trasformato in una stanza per disegnare e cucire vestiti. Mia mamma ha la passione del cucito. Lei insegna ad una scuola elementare, ma quando aveva più o meno la mia età, passava molto tempo con mia nonna a cucire abiti e fare quelle lunghe sciarpe di lana. Ha voluto dare in beneficenza tutti gli abiti e le scarpe di mio padre, tenendo solo qualche maglione che potrebbe indossare lei, ma di rado lo fa, perché su quei maglioni rimane ancora il profumo di papà, che riaffiora in lei vecchi e dolorosi ricordi. Il motivo per cui ci ha abbandonate, io non l’ho mai saputo. Mia madre non ha mai voluto dirmelo, penso perché non vuole che io soffra o forse perché neanche lei ne è a conoscenza. So solo che alcune notti la sento piangere in camera sua, ma non vado da lei, perché non vorrebbe mai che la vedessi in quello stato. E io rispetto la sua volontà. Vorrei solo fare qualcosa per alleviare la sua sofferenza, per aiutarla in qualche modo. Ma mi rendo conto che alla fine sono solo una ragazzina di 16 anni che non può fare niente, se non stare a guardare. Ed è cosi brutto, essere impotenti, guardare mentre la persona che ami di più soffre, tanto. Mi sento come un costume in un freddo giorno invernale: non servo a niente.
E’ la mattina dell’8 giugno, e fra due giorni, termina il mio secondo anno di liceo. Questa è l’unica cosa che mi fa alzare la mattina, altrimenti sarei rimasta spaparanzata nel letto fino al pomeriggio. Ma tanto poi sarebbe arrivata mia madre con le mani tra i capelli urlano che era tardi e che dovevo scendere subito dal letto per non perdere l’autobus. Così mi alzo da sola, evitando una crisi isterica a mia madre. Il mio letto è un letto a castello, ma senza quello sotto; al suo posto c’è una scrivania piena zeppa di libri e altre cose, messe a casac- cio, divise un po’ per tipo di oggetto. Non che la mia poltrona-portavestiti si messa meglio. Un paio di short, due canottiere e qualche paia di calzini formano una piccola montagnetta sulla mia poltrona dell’Ikea. Infilo uno shorts di jeans, che mi arriva appena sopra il ginocchio e una canottiera bianca fuori gli shorts. Raccolgo i miei capelli in una cipolla un po’ ammaccata proprio nel punto più alto del mio capo, e indosso una collana d’ottone che raffigura una piccola rosa. Infilo due calzini a fantasmino molto leggeri e indosso le mie bellissime scarpe di marca Vans blue-jeans, per non fare arlecchino. Fa un caldo infernale e quindi salto la colazione, che comprendeva latte e qualche biscotto. Rinuncio sì alla colazione, ma non potrei mai fare la stessa cosa con la merenda mattutina che facciamo a scuola, e quindi metto nel mio piccolo borsello due merendine al cioccolato. Chiacchiero per qualche minuto con mia madre, in attesa dell’arrivo dell’autobus, che si ferma proprio davanti alla mia casa. Quando arriva, do un bacione sulla guancia di mia madre, e l’abbraccio. – Ti voglio bene. – le dico quando il mio capo è appoggiato sulla sua spalla sinistra. La sento sorridere. Ha bisogno di sentirselo dire dopo quello che ha passato. Rimaniamo abbracciate per qualche istante, ma a me sembra durare un’eternità. Sento il suo respiro sul collo e il mio mento sfiora i suoi biondissimi capelli. Il clacson dell’autobus mi riporta alle realtà e mi stacco da lei. Uscendo prendo cellulare e chiavi di casa, mettendoli velocemente nel mio borsello. Fuori ad aspettarmi c’è l’autobus, con le porte spalancate e l’autista che nel suo bianco sorriso, mi dice – Sali Klara, e in fretta, che mi licenziano se faccio tardi. - Spalanco le labbra, mostrando il mio sorriso migliore, e salendo sull’autobus, gli porgo le mie scuse per il ritardo. – Non fa niente. – esclama. – Stavo solo scherzando. - Il signor Sullivan è un uomo molto simpatico e scherzoso. Lo conosco praticamente dalle medie, quando ho cominciato a prendere l’autobus, perché mia madre non mi poteva accompagnare. Fin dal primo giorno c’era lui alla guida, ed è stato la prima persona a rivolgermi parola il mio primo giorno di scuola alle medie. Cammino fino agli ultimi posti dell’autobus, dove so che mi aspettano Georgia, Sarah e Alicia. Alicia è la mia migliore amica. Ci conosciamo da 4 anni e mezzo, perché lei è arrivata in classe mia, a metà anno della prima media. Io non avevo ancora molti legami con i compagni di scuola e, vedendomi seduta da sola, si è accomodata accanto a me, con quella cipolla in testa e un sorriso enorme – Ciao, io mi chiamo Alicia. – mi aveva detto, prima ancora che io le dessi il consenso di sedersi accanto a me. All’inizio mi stava molto antipatica, ma a vederci ora non si direbbe. Mi tiene sempre un posto accanto al suo, occupandolo col suo zaino rosa pastello. – Sei arrivata finalmente! Credevo che sarei rimasta qui sull’autobus in eterno. – e scoppiò in una risata, abbracciandomi forte. – Bhe, sarebbe stato meglio. – ribatto io. – Almeno non avrei dovuto sopportarti ancora. – aggiungo in modo scherzoso. Mi da un debole schiaffo sulla spalla e si siede. In quel momento, l’autobus riparte e io mi ritrovo sul pavimento a pancia in sotto. Sento Alicia che si scompiscia dalle risate, seguita dalle risate di Georgia e Sarah. – Non è divertente. – dico alzandomi. Cerco di rimanere seria, ma una volta essermi seduta accanto a Sarah, scoppio anch’io in una risata che si risente per tutto l’autobus. Sarah e Georgia stanno sedute ai due sedili accanto ai nostri, come sempre. Ho sempre amato i capelli di Alicia, di colore rosso mela. Oggi indossa una t-shirt a gialla e pantaloncini bianchi, che risaltano ancora di più il colore dei suoi capelli. Georgia invece indossa sempre quasi il verde marcio, o verde scuro, perché si accoppia bene alla sua carnagione scura. Lei è nata in un paese dell’Africa, e poi è stata adottata da una coppia che abita nel quartiere dopo il nostro. Non faccio in tempo ad accorgermene, che siamo arrivati alla fermata successiva. Qui salgono tre ragazzi, che noi abbiamo soprannominato ‘Jonas Brothers’ perché sono fratelli. In realtà si chiamano James, Matthew e Josh, e stanno in classe nostra. Matthew ha una cotta per Alicia da 2 anni, dall’inizio del liceo e lei ne è al corrente. Ma le piace troppo il fatto che qualcuno le vada dietro, che ha paura che se ci si mettesse insieme, lui si stancherebbe e lei non avrebbe nessuno spasimante. A me viene sempre da ridere ogni volta che parlano, perché in realtà si piacciono, ma Alicia è troppo orgogliosa per ammetterlo. James, invece, devo dire con molto dispiacere, che è omosessuale. Lo dico con dispiacere perché è un gran bel ragazzo e io ho avuto una cotta per lui i primi mesi, che se n’è andata subito dopo aver scoperto la verità. Ora andiamo sempre insieme a fare spese, perché mia madre è sempre impegnata, Alicia dopo un po’ si stanca, invece lui è una fonte di energia inesauribile. E’ un po’ come avere una sorella al maschile. Si siedono ai sedili dietro di noi, normalmente Matthew dietro a quello di Alicia, che recita benissimo sbuffando. – Ciao, belle fanciulle! – urla Josh. Noi lo azzittiamo, perché è mattina presto e stiamo ancora tutti un po’ dormendo. – Allora, come va il terzultimo giorno di scuola? – chiede pimpillante. Rispondiamo tutti con un verso di stanchezza, cercando di calmare il suo entusiasmo, ma otteniamo l’effetto contrario dato che comincia a cantare a squarciagola la canzoncina dei sette nani – Andiam, andiam! Andiamo a studiar! Para pa pa pa andiamo a studiar! -. Alicia poggia le mani sul sedile e si gira dietro – Oh mio dio! La pianti? - Scoppiamo tutti in una piccola risata, mentre noto che Matthew è rimasto fisso a guardare Alicia negli occhi. – Oh, Matthew. Se non la smetti di fissarmi, giuro che ti lancio una scarpa dritta nell’occhio, così la finisci di fissare in generale. – e detto questo, Alicia riprende la sua comoda posizione sul sedile. – Non voltarti mai indietro! – afferma sarcasticamente Georgia. Non voltarti mai indietro. Lo diceva sempre mio padre. Ogni volta che combinavo qualche pasticcio, mio padre diceva quella frase – Non voltarti mai indietro. Ormai il danno l’hai fatto. Pensa a ripararlo, piuttosto. - Capisco di avere lo sguardo fisso nel vuoto, quando Alicia mi schiocca le dita davanti al viso, esclamando – Ehi? Ci sei? Terra chiama Klara! - E io scuoto appena la mia testa e faccio un mezzo sorriso per far vedere che sono cosciente. – Tutto bene? – mi domanda Alicia. – Oh si certo. – mi limito a dire. Ma non va tutto bene. Non va per niente bene.
L’autobus frena davanti alla scuola e le porte si aprono. Uno ad uno scendiamo ed educatamente salutiamo il nostro leggendario autista. Ognuno a proprio modo. Io mi limito a dire – Buona giornata, Carl! – e lui sfoggia il suo solito sorriso. Ci incamminiamo verso il portone, spettegolando sulle ultime novità che si sono verificate nella scuola. C’è chi si è messo con chi, chi ha fatto cosa con chi … ma sinceramente a me queste cose non sono mai piaciute. Di solito non sono una che spettegola e parla degli altri alle spalle, ma di qualcosa bisogna pur parlare durante il tragitto dall’autobus al portone, no? Le mie amiche sembrano averlo capito bene. Mi si avvicina Josh, che mi ha vista un po’ annoiata ed esclama – Allora Klara, Georgia ti ha convinto a venire alla mia festa in piscina questo venerdì? Ci vengono tutti! Non puoi mancare tu. - Oh no. Una festa in piscina. Quanto le odio. – Dai che si festeggia la fine dell’anno! – continua per convincermi. – Guarda Josh, non lo so, perché forse parto e sai ho tante cose da fare.. la valigia, i passaporti, i biglietti. Sai è un po’ complicato. – cerco di giustificare. Vedo un accenno di sorriso scocciato sul viso di Josh. – Si certo. E da quando a te piacciono i viaggi? Li hai sempre odiati. - Ora non so come rispondere. – Beh, tu mi conosci da soli due anni. La gente può cambiare molto. Sono circa 712 giorni -. – Vabbè, fai come vuoi. Ti perderai una grande festa. – e detto questo, accelera il passo cercando di seminarmi. C’è rimasto male, lo so. L’ho capito. Ci teneva che andassi a quella festa. Mi costringerò ad andarci. Ma per il momento mi riunisco al gruppo delle pettegole e mi immergo nella loro conversazione. Stanno parlando di una certa Cassandra, che da quello che riesco a captare, sta per entrare a far parte del gruppo delle cheerleader. E pensare che fino a quel momento, io non sapevo neanche che la mia scuola avesse un gruppo di cheerleader. Cerco di origliare per farmi un po’ gli affari degli altri, quando suona la campanella della prima ora. PER IL PROSSIMO CAPITOLO VI PREGO ALMENO 3 RECENSIONI. GRAZIE MILLE E' LA PRIMA VOLTA PER ME SIATE GENTILI. VORREI VEDERE SOLO SE PIACE COME SCRIVO. UN BACIO A TUTTI!
  
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