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Autore: Nivees    30/05/2013    3 recensioni
[Hana no Mizo Shiru]
Le foto giacevano immobili sul pavimento impolverato, fredde e senza anima. Il vecchio continuava ad osservarle assorto, non riuscendo a ricordare chi fossero quei due ragazzi raffigurati in essi; ne tracciava i bordi ormai ingialliti, accarezzava i loro visi piatti e sorridenti, e se le portava al petto come se fossero qualcosa di estremamente importante. Lo sentiva dentro di sé, era quel qualcosa che faceva battere il suo cuore sempre più forte a fargli capire che quei due ragazzi erano la cosa più preziosa che aveva avuto, ma che continuava a restare solo una nebbia fitta e nera ad oscurare i suoi ricordi.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Monochrome frames

 

La porta si aprì con lentezza, emettendo un sinistro scricchiolio come se non fosse stata aperta da tanto tempo. Un uomo anziano, con ormai i pochi capelli che gli rimanevano completamente bianchi e una smorfia stanca sul volto pieno di rughe, entrò nella stanza con passo tremante, tentennando appena sulla soglia prima di fare alcun passo. Si guardò attorno con aria spaesata – tanto che sembrava fosse la prima volta che metteva piede in quel posto in tutta la sua intera esistenza – guardando, senza realmente vederlo, il letto matrimoniale sfatto, con sopra vari scatoloni chiusi e ricoperti di polvere.
Ignorò gli altri oggetti che erano ammassati tra loro nel resto della stanza – infondo non era importante per lui l'armadio vuoto con le ante rotte; o il comodino con i cassetti scoloriti dal tempo e una lampada in pezzi sopra di esso; e nemmeno le tende strappate che ricoprivano le finestre dai vetri opachi che oscuravano quasi tutta la stanza ed emettevano un'atmosfera cupa e tetra –, piuttosto la sua intera attenzione era incentrata principalmente su quel letto, o meglio sugli oggetti che giacevano all'interno degli scatoloni. Si avvicinò ad essi, e con mano inferma strappò il nastro adesivo, aprendo così una delle scatole che, da come gli diceva il suo cuore che batteva forte tanto da rimbombare tra quelle mura silenziose, aveva un vago ricordo di cosa essa conteneva.
Ad una prima occhiata, sembrava che ci fossero solo cianfrusaglie inutili all'interno; il vecchio scavò e scavò, dando poca attenzione agli oggetti che afferrava e che metteva distrattamente da parte, fino a che non sentì qualcosa che aveva una consistenza diversa rispetto a tutta quella roba che aveva trovato fino a quel momento. Lo prese e lo portò più vicino ai suoi occhi deboli – dopotutto, per quanto ricordava la sua vista non era mai stata buona, neanche in gioventù – e ciò che vide fu un album fotografico, e sfogliandolo si rese conto che fosse quasi vuoto tranne solo per tre semplici foto.

Il vecchio guardò la prima foto, e sorrise.
Frame 1.

Da dietro la porta del bagno, Misaki restava seduto di fronte ad essa con tutta l'intenzione di non voler far entrare l'altro ragazzo per niente al mondo. Aveva le mani chiuse attorno alle labbra e il viso di solito chiaro come la neve era chiazzato da macchie rosse, semplice segnale che era imbarazzato fino all'inverosimile, e quel giorno persino più del so
lito.Il motivo era tanto banale quanto strano. Insomma, Youichi sapeva bene che le reazioni di Misaki erano ben diverse rispetto a quelle che solitamente avevano le ragazze – o chiunque in generale – ma non credeva che avrebbe agito in questo modo persino in una situazione del genere. In ogni caso, comunque, restò di fronte a quella porta senza arrendersi, aspettando che il suo ragazzo gli aprisse la porta per poter continuare almeno a parlare guardandosi negli occhi.
“Misaki, per favore, apri la porta” ripeté per l'ennesima volta, bussando con delicatezza contro il legno liscio. “Mi spieghi che bisogno c'è di nasconderti? Non mi pare di averti minacciato di saltarti addosso se fossi rimasto accanto a me” ridacchiò, sentendo poi dei rumori strani provenire dalla stanza ma a cui diede poco peso, troppo occupato a cercare delle parole giuste per convincere Misaki ad uscire da lì.
“Arikawa” si sentì chiamare, dopo pochi minuti, senza che però la situazione cambiasse minimamente, “La mia risposta è no”.
“Davvero?”, cercò di non fargli sentire il tono leggermente deluso che la sua voce aveva preso; nonostante sapesse benissimo che Misaki avrebbe reagito così in ogni caso, non poté fare a meno di restarci male a quella risposta così rapida. “Non vuoi pensarci nemmeno un po' su?”.
“No. E non capisco nemmeno perché tu mi abbia chiesto una cosa del genere se sai benissimo che non è possibile... per noi... non è possibile una cosa del genere per noi.” La sua voce si era incrinata ad un certo punto e ciò fece sospirare Youichi, immaginando perfettamente cosa stesse passando nella testa dell'altro ragazzo. E il fatto che si fosse chiuso in bagno lo rendeva più ansioso, se possibile, perché Youichi non voleva che Misaki piangesse da solo e si chiudesse così ancora di più in se stesso – soprattutto dopo tutto quello che aveva fatto per avere la sua più totale fiducia.
“Non è possibile il fatto che tu diventa mia moglie, Misaki?”.
Dopo quelle parole, Youichi sentì altri rumori vaganti provenienti dal bagno, prima che la porta della suddetta stanza si aprisse di scatto, facendolo persino sobbalzare per il repentino movimento inaspettato. “No. No che non è possibile”. Misaki era lì davanti a lui, con una mano sulla maniglia della porta come a volersi mantenere in piedi perché non sapeva se le sue gambe avrebbero retto a lungo, e il viso rosso e umido a causa delle lacrime che stavano continuando a sgorgare dai suoi occhi. Piangeva, Misaki piangeva per colpa sua e non riusciva a capire perché.
Youichi alzò una mano, portandola sul suo viso per poter togliere ogni traccia di quel liquido salato dalla sua pelle e lui lo lasciò fare, non riuscendo però a guardarlo dritto negli occhi. Si avvicinò tanto da riuscire ad avvolgerlo tra le sue braccia, poi gli chiese: “Piangi perché non sai come rifiutare la mia proposta di matrimonio, o perché non possiamo, in effetti, sposarci?”.
Sorrise vagamente, sentendo le dita affusolate di Misaki stringere con forza la stoffa della sua maglietta e la sua voce bassa e roca sussurrare un “Idiota”. Conosceva Misaki da così tanto tempo che ormai aveva imparato a come agire quando lui era così instabile, quasi come se lui si sentisse inadeguato alla situazione. Soprattutto quando piangeva – e Misaki non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce – non voleva restare da solo, voleva qualcuno da stringere e che asciugasse le sue lacrime.
“Diventare il tuo compagno a tutti gli effetti mi renderebbe la persona più felice di questo mondo. Dovresti saperlo, Arikawa... Ma non possiamo. Se io fossi una donna, forse, ci sarebbero meno problemi e diventerei tua moglie senza pensarci nemmeno due volte” aggiunse poco dopo, con voce appena udibile. Youichi lo strinse a sé un po' di più, poi lasciò momentaneamente la presa per poter cercare qualcosa nelle sue tasche e quando lo trovò, gli prese la mano e glielo cedette, sorridendogli con dolcezza, soprattutto quando le sue lacrime cominciarono ad uscire di nuovo dai suoi occhi e a bagnargli il volto.
“Ma intanto, l'anello lo puoi mettere, giusto?”.
E Youichi non fermò quel pianto, in quel momento.

 

Il vecchio guardò la seconda foto, e chiuse gli occhi.
Frame 2.

Un bicchierino di liquore in più, si era detto, non gli avrebbe fatto male. Youichi sapeva perfettamente che Misaki poco reggeva l'alcohol, ma quella sera era una serata speciale e uno strappo alla regola il suo fidanzato poteva anche farlo. E poi gli piaceva osservarlo mentre ingeriva un bicchiere dopo l'altro, con l'anello all'anulare sinistro in bella vista che gli gonfiava il cuore di gioia ogni volta che i suoi occhi si posavano su di esso, quindi non lo aveva fermato quando aveva visto i suoi begli occhi diventare sempre più lucidi, e le sue guance sempre più rosse.
Ma nonostante sapesse che l'alcohol e Misaki non andassero per niente d'accordo, mai si sarebbe aspettato un simile atteggiamento dall'altro ragazzo. Ritrovarsi Misaki sopra di sé di sua spontanea volontà era un evento più unico che raro – o per meglio dire, fino a quel giorno non era mai capitato. Se questi erano gli effetti, Youichi avrebbe fatto in modo di far venire il loro anniversario più spesso, per poterlo festeggiare proprio come si prospettava quella sera.
“A–rika–wa” ansimò Misaki contro la sua bocca, non riuscendo a trattenere i tremiti del proprio corpo sotto il tocco ormai esperto del suo fidanzato, “A–spet–ta...”.
“Cosa dovrei aspettare?”. Youichi sentì la propria voce bassa e roca, probabilmente perché se avesse alzato anche solo di poco la sua voce non era molto sicuro di cosa sarebbe uscito fuori – un gemito, un ansimo, o forse anche un urlo, non saprebbe dirlo. Nonostante lui non stesse ancora traendo piacere da nessuna parte, il solo vedere Misaki in quello stato, completamente nudo sopra di lui, ansante mentre gli stringeva alcune ciocche di capelli, era una fonte di calore insostenibile.
“N–on lo s–“, fu bloccato da uno spasmo più violento dei precedenti, e da quel momento in poi Misaki non fu più in grado di articolare qualcosa di comprensibile che non fosse un qualche “Ah” appagato per l'amplesso.
Era proprio vero che quando si era ubriachi si facevano cose che normalmente nessuno farebbe mai. Se Misaki si era donato a lui così spudoratamente, il motivo era facile da capire e Youichi poté vederlo chiaramente nei suoi occhi lucidi: voleva essere stretto da braccia che amava, voleva sentire la sensazione di essere posseduto con dolcezza, voleva essere baciato e accarezzato ovunque. In poche parole, voleva essere semplicemente amato come ormai accadeva sempre più di rado, a causa del troppo tempo che tra il lavoro e le ricerche in laboratorio volava via.
“You–ichi...” ansimò Misaki, muovendosi tremante sopra di lui. Era raro sentirlo pronunciare il suo nome, e ciò accadeva solo in casi particolari. Youichi ricordava vagamente di averlo sognato, una volta; ricordava di aver sognato Misaki che lo chiamava per nome e lo baciava, ma ormai nemmeno più lui riusciva a distinguere la realtà dalla fantasia – anche perché la scena che ricordava era uguale a quella che stava vivendo in quel preciso istante, e il tutto era così vero da fargli quasi male perché i graffi sanguinavano, i morsi dolevano e i baci bruciavano.
“Shouta...”. E in quelle rare occasioni, anche lui si lasciava completamente andare, chiamandolo con quel nome che usava cosi poco da sembrargli quasi estraneo, ma che rendeva il viso di Misaki sempre più rosso, ad ogni sillaba e ad ogni spinta.
E finirono con il raggiungere insieme l'apice del piacere sul pavimento della cucina, con le varie bottiglie vuote di liquore sparse per il tavolo e la loro pelle che non aveva intenzione di staccarsi da quella dell'altro.

Il vecchio guardò la quarta foto, e si portò una mano al petto dolorante.
Frame 3.

Il silenzio era regnato sovrano fin da quando avevano rimesso piede in casa. Youichi osservò ogni singolo movimento di Misaki, che sembrava così strano da non sapeva precisamente quando e aveva gli occhi persi chissà dove. Quell'atteggiamento sospetto lo preoccupò un po', e intanto mentalmente pensava a cosa avrebbe potuto mai fare di male per farlo reagire così – sempre se era stata colpa sua, cosa che non dubitava quasi per niente –, mentre lo osservava fare gesti meccanici come posare distrattamente la busta della spesa sul tavolo e infilare le chiavi di casa nella serratura.
Non si accorse nemmeno che gli si stava avvicinando, troppo perso nei suoi pensieri; una volta che gli fu così vicino quasi da sentire la sua schiena a contatto con il suo petto, lo circondò con le braccia e portò una mano sul suo viso per alzarglielo, in modo che lui lo guardasse dritto negli occhi, e che non scappasse come era solito fare quando c'era qualcosa che gli nascondeva e che non voleva dirgli, per non turbarlo o altre di quelle stupidaggini che partoriva la sua testolina.
“Misaki, qualcosa non va?” gli chiese con pacatezza, stringendolo a sé un po' di più.
Lui lo guardò con sguardo fisso per poco più di qualche secondo, prima di abbassare repentinamente gli occhi verso il pavimento – per quanto le sue dita attorno al viso glielo permettessero – e scosse lieve il capo, “Niente” rispose soltanto, con voce appena udibile.
Youichi, dopo tutti quegli anni assieme, aveva ormai imparato che quando Misaki non voleva confessargli cosa lo turbava, la sua risposta sarebbe stata sempre e solo quella ad ogni sua domanda. E aveva imparato anche ad aspettare che fosse lui stesso a prendere il coraggio necessario per esternargli i suoi dubbi, perché Misaki era sempre stato abituato a tenersi tutto dentro e non riusciva a fidarsi di nessuno senza avere la paura di rovinare qualcosa con i suoi problemi. Youichi, almeno su questo, sperava che dopo anni di convivenza qualcosa sarebbe cambiato, ma aveva capito che faceva parte del carattere di Misaki e aveva imparato così ad accettarlo – e ad amare ogni cosa di lui, anche cose del genere.
“Va bene” gli disse allora, smettendo di abbracciarlo per poter andare a preparare la cena, “Come vuoi, ma sappi che se vuoi io sono qui e ti ascolto”. Gli sorrise e gli diede le spalle, allontanandosi verso la cucina.
Almeno, fino a che qualcosa non lo bloccò, tirandolo per la giacca che non aveva ancora tolto. Si rese ben presto conto che Misaki lo aveva fermato, e non voleva che lui si allontanasse anche solo per poco, ma non glielo avrebbe mai detto ad alta voce. Così restò immobile, sentendo le sue braccia avvolgergli la vita e il suo viso affondare nella schiena.
“Ti ho visto come guardavi quella donna” mormorò Misaki contro la stoffa della sua giacca, e Youichi sbiancò, cercando almeno di ricordare di quale donna l'altro si stesse riferendo ma non arrivando ad alcuna conclusione. Era più che convinto di non aver guardato nessuno – non nel modo che sicuramente lui intendeva – perché per lui c'era solo Misaki e solo lui ci sarebbe stato per sempre, ma l'unico problema era farglielo capire. “Quella donna che abbiamo aiutato a portare quelle borse pesanti, ricordi?”.
E allora ricordò. Si girò verso il suo fidanzato, guardandolo seriamente in volto; non riusciva a capire cosa c'era che non andava, era una donna in dolce attesa, come avrebbe mai potuto guardarla? “Che stai cercando di dirmi, Misaki?”.
Lui abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore con insistenza prima di iniziare a parlare: “La guardavi con tenerezza, quasi. Non so... sembravi invidioso, e ti confesso che lo ero anche io. Ero invidioso del fatto che lei tra poco tempo sarebbe diventata mamma, e noi... noi non potremmo mai diventare genitori. Sai, non te l'ho mai detto, ma mi sarebbe piaciuto avere un bambino un giorno” confessò, senza guardarlo. Le sue parole lo avevano lasciato senza fiato, non si sarebbe mai aspettato un simile discorso proprio dal suo Misaki. “Io non potrò mai donarti un bambino, mai. Io non sono una donna...” aggiunse, con voce rotta dal pianto, affondando il viso nel suo petto per non mostrargli così il suo viso chiazzato di rosso e lacrimante.
Youichi avrebbe tanto voluto sussurrargli parole di conforto, rassicurarlo in tutti i modi che conosceva: si era stancato di vederlo piangere, di vederlo soffrire nonostante lui rendesse Youichi l'uomo più felice della terra, eppure dalle sue labbra non uscì alcun suono. Si limitò a stringere ancora Misaki tra le sue braccia, sperando di infondergli il calore che gli mancava anche se non trovava le parole per farlo.
“Vorrei... Vorrei tanto essere nato donna, per renderti completamente felice...”.
E ancora, Youichi non seppe come rispondergli.

Le foto giacevano immobili sul pavimento impolverato, fredde e senza anima. Il vecchio continuava ad osservarle assorto, non riuscendo a ricordare chi fossero quei due ragazzi raffigurati in essi; ne tracciava i bordi ormai ingialliti, accarezzava i loro visi piatti e sorridenti, e se le portava al petto come se fossero qualcosa di estremamente importante. Lo sentiva dentro di sé, era quel qualcosa che faceva battere il suo cuore sempre più forte a fargli capire che quei due ragazzi erano la cosa più preziosa che aveva avuto, ma che continuava a restare solo una nebbia fitta e nera ad oscurare i suoi ricordi.
Completamente solo seduto ai piedi del letto in quella stanza, si chiedeva dove adesso fossero quelle due persone a lui tanto care, che fine avessero fatto, se stessero bene e se fossero ancora insieme. Annuì a se stesso, il vecchio, convincendosi da solo che ovunque fossero, erano ancora insieme, felici come li vedeva in quelle foto che aveva adesso tra le mani e dalle quali non riusciva a separarsi.
Non sapeva che ciò non era vero. Non lo sapeva che uno dei due era morto tanto tempo prima, e che l'altro ormai era diventato così disperato e solo senza di lui da non ricordare neanche il suo stesso volto. Non lo sapeva, quel povero vecchio. E non riusciva a spiegarsi nemmeno perché ora quelle foto fossero bagnate e perché ora i suoi deboli e stanchi occhi bruciassero così tanto.
Perché stava piangendo, adesso?

 






Giuro di aver scritto questa storia con tanto amore, perché io questi due li amo tanto - nonostante abbia scritto una cosa relativamente triste, ma dettagli. 
Il titolo non è preso a caso (proprio no!). Allora, dato che Arikawa qui non ricorda niente a causa della vecchiaia/disperazione per la morte di Misaki, quelle scene che 'ricorda' li vede come appunto dei fotogrammi di un film, dove lui non è il protagonista - anche se lo è, ma lui non ricorda nemmeno il suo stesso viso, quindi vede se stesso e Misaki come due persone sconosciute, ma in qualche modo soffre lo stesso. Cosa molto complicata e manco l'ho spiegata bene, but anyway. 
Per ogni dubbio, potete chiedermelo benissimo in una recensione! *fischietta* 
Ultima cosa: la storia partecipa ad un contest, questo, ed è in attesa dei risultati. *incrocia le dita* 
Saluti a tutti e spero tanto vi sia piaciuta ♥
Niv.
  
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