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Autore: nevaeh    30/05/2013    9 recensioni
Louis, ventidue anni e una laurea in letteratura, si è appena trasferito a Lassox con sua figlia Eleanor. A volte fa fotografie, ma sempre a sua figlia o a qualche stupido paesaggio.
Harry lavora in una pasticceria con l'insegna rossa e ha le mani sempre calde.
***
Harry alza lo sguardo per la prima volta, da quando sono entrati, e lo guarda.
Ha gli occhi verdi, ma che potrebbero sembrare anche azzurri o magari grigi. Semplicemente, Louis non riesce a distogliere lo sguardo dal suo. E non sa cosa gli sta succedendo, perché non si è mai sentito in questo modo e un po’ è spaventato e un po’ gli fa anche piacere.
“Papà? Papà!” Eleanor lo strattona per un braccio, Louis a fatica interrompe quello sguardo. Si accorge che Harry ha atteggiato le labbra in un mezzo sorriso, e improvvisamente gli fa male lo stomaco.
***
Baker!Harry/Singlefather!Louis [side Niall/Eleanor, Zayn/Perrie]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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N.D.A. Per raccontarvi come è nata l'idea di questa storiella devo assolutamente chiamare in causa Aria che, quelli che sembrano ormai millenni fa, stava parlando di ansgt. La conversazione, quella sera, è andata pressappoco sui toni del mio "perché una storia d'amore non può essere normale? Voglio dire, perché due povere anime non posso incontrarsi, piacersi, uscire e mettersi insieme senza tragedie?" e del suo "scrivici una fanfiction!" del tutto random ma comunque abbastanza appropriato. Il problema, da qui in poi, è stato più o meno quello di ogni mio lavoro: doveva essere una drrabble, poi ho pensato "vabbè, è una flash" solo fino a quando non mi sono resa conto che stava diventando una One Shot. A pagina 39,più o meno, Fra mi ha specificatamente proibito di pubblicare Bakery tutta in una volta, e ora siamo qui! Ad ora, è uno dei lavori che mi ha portato via più tempo e più energie, ma ne sono davvero orogliosa e anche l'idea di pubblicarla mi sta abbastanza a cuore. Come sempre i commenti (e stavo scrivendo i Kudos .-.) sono sempre graditissimi qui, ma anche qui e qui (bugia, non uso mai Tumblr).

Avvertimenti:

♥ - La storia è già conclusa, quindi gli aggiornamenti saranno abbastanza veloci;

♥ - Lassox non esiste, l'ho inventata io e potete posizionarla geograficamente dove più vi aggrada;

♥ - Gli One Direction non mi appartengono, se così fosse avrei già costretto Louis Tomlinson a fare come sposare Aria o, che ne so, colpirsi ripetutamente sul naso; la storia non è stata scritta a scopi di lucro e non intendo offendere nessuno.

♥ - Eleanor, Lily, Maggie e gli altri personaggi originali, invece, mi appartengono.

 

Enjoy

***

 

Louis Tomlinson imposta l’otturatore della sua macchina fotografica seduto al tavolo della piccola cucina inondata da scatoloni. Probabilmente dovrebbe passare quei pochi minuti liberi sistemando i piatti nella credenza o più probabilmente i libri e i cd che riempiono il salotto.  Come ha fatto ad accumulare, poi, tutta quella roba? Se la sera prima avesse trovato almeno la macchinetta per il caffè adesso avrebbe di che fare colazione, ma alla fine non se ne preoccupa più di tanto: dovrà anche esserci una caffetteria lì a Lassox. Finisce di sistemare la sua Canon e si alza, stiracchiandosi. Louis Tomlinson è, a ventuno anni da poco compiuti, un insegnante di lettere e culture classiche alla Queen Victoria Grammar School of Lassox, e lui non potrebbe esserne più orgoglioso. Sicuramente l’essersi dovuto trasferire così lontano da Doncaster non è stata una scelta semplice, ma ora ne è quasi contento: dopo il divorzio da sua moglie Margaret non è stato molto facile per lui, quindi cominciare tutto daccapo non dovrebbe essere una cosa del tutto negativa. Stare lontano dalla sua famiglia, magari, potrebbe essere doloroso, ma alla fine è adulto e ha il diritto e il dovere di cominciare una sua vita.

“Papà? Ho fame.”

E poi c’è lei. Ha i capelli ricci di sua madre, gli occhi azzurri curiosi mentre si fa strada nella cucina disordinata; Louis si abbassa quasi fino a poterla guardare negli occhi, sistemandole il maglioncino color carta da zucchero che indossa. Ha quasi cinque anni e non potrebbe essere più perfetta; Louis la ama e la venera come se fosse la sua personale dea. “Lo so, amore. Puoi fare colazione, se riesci a trovare i cereali in questo putiferio.”

La bambina scuote la testa, sgrana gli occhioni e raggiunge il padre, “ma io ho fame lo stesso!” si lamenta, il labbro inferiore che trema.

“Facciamo così, finisci di preparare lo zaino e ti porto a fare colazione. Ci stai?”

Lei ci pensa un po’ su e poi si decide a dare il suo consenso, “ma voglio una fetta di torta alle mele. Intera!”

Louis annuisce serio e scoppia a ridere quando la vede correre verso la sua cameretta schivando scatoloni di libri e mobili ancora senza collocazione. Louis è spaventato, per sua figlia. Eleanor Lily Tomlinson è probabilmente la bambina più intelligente che lui abbia mai conosciuto, e non lo dice perché è suo padre. Va bene, non lo dice solo perché è suo padre.

Quando le ha spiegato che lui e la mamma non andavano poi così d’accordo lei aveva annuito, seria, e gli aveva solo chiesto se la mamma avrebbe continuato a volerle bene. Quando le cose con Maggie si erano messe, poi, così male da portare la donna a trasferirsi a Manchester, Eleanor l’aveva abbracciata chiedendole di avvisare, se voleva andare a trovarli, così le avrebbero preparato i biscotti alle mandorle che le piacevano. Quando Louis le aveva detto che avrebbero lasciato Doncaster e nonna Jay, lei ci era rimasta un po’ male, perché così la sua mamma non sarebbe più potuta andare a trovarli. Solo una telefonata a Maggie e la promessa che avrebbe potuto scegliere la sua nuova cameretta l’avevano convinta, a pochi giorni dalla partenza.

Louis prende la borsa di pelle che ha preparato la sera prima, prima di andare a letto. Contiene il tablet, un paio di libri e un blocco per gli appunti, due matite e una penna blu; sistema dentro anche l’occorrente per la fotografia e indossa velocemente una giacca blu.

“Ellie! Corri, che facciamo tardi!” chiama sua figlia mentre cerca disperatamente una sciarpa che – sul serio – ha visto sul divano appena sveglio. Eleanor corre con il cappottino sbottonato e lo zainetto in una mano, così velocemente che suo padre deve quasi prenderla al volo perché lei si fermi. Ridacchia divertita mentre urla di lasciarla andare. Louis esegue, ma solo dopo averla fatta volare in aria un altro paio di volte. La bambina si sistema con le mani minuscole il cerchietto che le tiene indietro i capelli lunghi mentre Louis recupera la borsa di pelle che ha lasciato cadere e si affanna per un minuto cercando di capire come funzioni l’allarme del nuovo appartamento. Sente, intanto, sua figlia che ha già attaccato bottone con qualcuno all’ascensore. Quando finalmente riesce a chiudere e la raggiunge, nota che sta parlando con probabilmente la ragazza più bella che abbia mai visto: ha i capelli lunghi e scuri, gli occhi che sembrano fatti di miele e le gambe più belle – ne è convinto – della nazione.

“Buongiorno. Scusi mia figlia, a volte è inopportuna.” si affanna a dire mentre con uno sguardo ammonitore spinge Eleanor a nascondersi dietro le sue gambe. La ragazza, gli occhiali da sole in testa e una borsa enorme che ciondola dal braccio, ride divertita.

“Stia tranquillo, mi ha solo chiesto cose dovessi metterci in una borsa così grande. Poi mi ha chiesto se qualche volta gliela presto.” informa Louis, che tuttavia non può impedirsi di sospirare divertito.

“Comunque,” prosegue la ragazza rivolgendosi di nuovo ad Eleanor “te la posso prestare, certo, ma solo se mi dici come ti chiami.”

La bambina sorride, uscendo timidamente dal nascondiglio fornitogli dalla figura di suo padre, “Eleanor Lily Tomlinson.” Si presenta, con tanto di manina allungata e pronta per essere stretta. L’ascensore arriva e si apre con un rumore fastidioso che copre la risata della ragazza.

“Ma guarda un po’,” dice “mi chiamo Eleanor anche io. Eleanor Jane Calder.” si presenta, abbassandosi al livello della bambina e stringendole la mano. Lei sembra apprezzare.

“Ah, mi hai rubato il nome!”

Eleanor sorride, “tecnicamente. In realtà tutti mi chiamano Ella. Puoi chiamarmi anche tu in questo modo, se ti va.”

La bambina annuisce, mentre Louis si schiarisce la voce, “Io sono Louis, invece.”

“Piacere, Louis. Vi siete trasferiti qui ieri, giusto? Ho sentito il baccano che avete fatto con le valige.”

Louis avvampa, si passa una mano dietro al collo in imbarazzo, “mi dispiace.”

“Non ti preoccupare, comunque nessuno stava dormendo.” l’ascensore si ferma e tutti escono, l’uomo porge una mano alla bambina che l’afferra prontamente.

“E’ stato un piacere conoscerti, Eleanor.”

Quella sorride, apre il portoncino e si sistema gli occhiali da sole sugli occhi, “no, davvero, chiamami Ella! Ci vediamo, Louis.” poi manda un bacio volante alla bambina, che risponde con un sorrisone e un bacio, e si allontana a grandi passi – e indossa un paio di tacchi quindici? Ma come fa? – verso un fuori strada parcheggiato poco lontano.

La città non è molto grande, e comunque previdentemente Louis ha fatto in modo che casa, primary school e liceo non fossero troppo distanti: non era abituato ad andare al lavoro in auto o con i mezzi, a Doncaster, e vuole davvero mantenere questa tradizione. La scuola elementare, veramente, non dista molto dall’appartamento, e per i due non è difficile raggiungerlo. Eleanor continua a ciarlare della sua cameretta delle principesse e del nuovo piumone che le ha comprato nonna Jay, Louis la ascolta intervenendo ogni tanto, giusto il minimo perché la bambina possa continuare a chiacchierare con quella voce sottile e a tratti ancora incerta che suo padre ama.

La scuola è indicato da un cartello in finto legno, che avvisa che a cento metri c’è “L’oasi del bambino felice” – che razza di nome è? -, ma Eleanor lo strattona per una mano, indicandogli con la manina una vetrina, su cui c’è solo scritto “Bakery” in rosso.

“La torta alle mele, ricordi papà?”

Louis annuisce e si fa trascinare volentieri verso la pasticceria, da cui proviene un buon odore di caffè. E’ piccola, pulita, con tanti tavolini da quattro e un sacco di dolci di tutti i tipi. Eleanor lascia la mano di Louis e corre verso il bancone di legno, poggiando le mani contro il vetro che protegge il cibo. Una ragazza con i capelli lilla si avvicina alla bambina, Louis fa lo stesso.

“Ciao, piccola. Cosa ti do?”

Eleanor davvero non lo sa, cosa vuole, perché ci sono talmente tanti tipi di torte e muffin e ciambelle che ha l’acquolina in bocca al solo pensiero.

Così spara velocemente un “tutto!” che fa ridere i due adulti.

“Andiamo, amore, non far perdere tempo alla signorina che deve lavorare.” la ammonisce lui mentre prende la reflex e il portafogli dalla sacca.

“Facciamo così, oggi ti faccio assaggiare questo muffin al mirtillo perché Harry li ha appena sfornati e così sono ancora più buoni. Domani, se torni, ti farò assaggiare qualcos’altro. Va bene?” la ragazza prende un muffin e lo porge alla bambina, che sorride contenta mentre lo prende.

“Eleanor, come bisogna dire?”

Eleanor, che stava per dare un morso, si ferma e guarda suo padre, poi sbatte le palpebre e sorride alla ragazza dicendole “grazie, signorina.” che fa annuire orgoglioso Louis.

La pasticcera ridacchia lusingata, si poggia con i gomiti sul bancone, “chiamami Perrie, piccola. Tu come ti chiami?”

“Io mi chiamo Eleanor, mi sono trasferita qui ieri sera col mio papà.”

Perrie annuisce, sorride alla bambina che mangia estasiata il suo muffin, “benvenuti a Lassox, allora!”

“Grazie.” Louis sorride alla ragazza, poi torna a rivolgersi a sua figlia “com’è il muffin?”

“Il migliore che io abbia mai assaggiato.” afferma, serissima, Eleanor. Ha il viso sporco di zucchero a velo e le mani impiastricciate di marmellata al mirtillo; Louis pensa che sia bellissima.

“Lo dirò ad Harry, allora.” Perrie sorride, poi prende le cinque sterline che Louis le porge.

“Mi prepari anche un caffè nero doppio senza zucchero, per favore?”

“Certo. Non vuoi nient’altro?”

Louis fa segno di no, cercando con lo sguardo dei tovagliolini; “sei un disastro, amore.” Eleanor sorride e se ne sta buona mentre suo padre le pulisce il viso e le mani, poi Perrie da loro il caffè e il resto e sorride a qualcuno che è appena entrato facendo tintinnare lo scacciapensieri appeso alla porta. Louis mette a posto i soldi nella borsa notando con la coda nell’occhio un ragazzo con i capelli e la carnagione scura che si avvicina al bancone e saluta Perrie con un bacio e un mezzo sorriso. Con un cenno saluta mentre esce, prendendo la mano della bambina ancora appiccicaticcia per farle attraversare la strada. Controlla per un istante l’orologio che gli hanno regalato alla laurea e sorride rendendosi conto che è in perfetto orario. Meglio, odia essere in ritardo.

“Allora, Ellie,” si abbassa per arrivare a guardare negli occhi la bambina “so che è il primo giorno, ma tu sei una bambina bella e simpatica, sono sicuro che ti farai un sacco di amici.” Eleanor annuisce, ma non sembra poi così convinta.

“Non posso venire con te? Giuro che mi metto a disegnare e non ti do per niente fastidio!” Louis ride quando sua figlia tenta persino la tecnica del labbro tremolante e per un istante è anche tentato di accettare. Alla fine scuote la testa e le sistema il cerchietto.

“Fai la brava e non far arrabbiare le maestre, va bene? Quando vengo a prenderti voglio trovarti contenta e piena di un sacco di cose da raccontarmi.”

Eleanor  annuisce senza convinzione, gli lascia un bacio sulla guancia e corre verso l’entrata. Louis si assicura che sia dentro, poi prende il cellulare e compone un numero che sa a memoria, avviandosi verso il suo liceo.

“Dannato Louis Tomlinson! Dovevi chiamarmi ieri sera e non ti sei fatto più sentire! Ma dico, sei impazzito?” la voce squillante di Lily lo investe come un fiume in piena, al giovane viene da ridere immaginandola in pantofole nell’appartamento dei suoi a Doncaster mentre fa avanti e indietro per la stanza. Si trattiene, però, in un eccesso di amor proprio.

“Mi dispiace, Lily, davvero! Ho dovuto sistemare almeno le camere da letto e il bagno, poi sono praticamente crollato e Ellie anche.”

Lily è, probabilmente, la migliore amica che chiunque potrebbe desiderare. È simpatica, intelligente, gli può dare dell’imbecille a piacimento e non dice mai te l’avevo detto.

“Te l’avevo detto di non partire nel tardo pomeriggio, imbecille!” be’, quasi mai.

Louis scuote la testa, divertito, “mi dispiace, davvero, Lily.”

“Ovviamente, Lou. Allora, come sta la mia bambina?” cambia improvvisamente argomento. A volte Louis si chiede se la sua migliore amica voglia più bene a lui o a sua figlia, soprattutto dal momento che è la sua madrina di battesimo. Gliel’aveva anche chiesto, una volta. Non gli piace rivangare la risposta.
“Sta bene, Lily, davvero.” risponde invece con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli. Riesce a vedere, adesso, l’edificio imponente della scuola. Ci sono dei ragazzini in divisa grigia che gli passano acanto, altri che scendono da un autobus poco più avanti.

La sua migliore amica, intanto, sta sospirando, “va bene, Lou. Mi mancate già così tanto.”

“Ti ho pregato in ginocchio di venire con me fino a ieri a pranzo.” le ricorda con un mezzo sorriso, perché si conoscono da quando erano entrambi in fasce e non riesce quasi ad immaginare la sua vita senza quella specie di sorella.

Lily sbuffa, “lo sai che avrei voluto, ma tra il dottorato e tutto il resto è praticamente impossibile. Non è che si diventa biologi in un niente.”

“Lo so, lo so. Almeno vieni a trovarmi presto, va bene?”

Lily ridacchia, “scommetto che casa tua sembra una trincea.”

“Mi sa che è anche peggio.” ammette lui con una risata, entrando nel parco della scuola. Sorride istantaneamente, “io sono arrivato a scuola, stasera ti chiamo così ti faccio parlare con la bambina, va bene?”

“Va bene. Stai attento, Lou, soprattutto ad Ellie. Stalle vicino.” Lily sospira.

“Ovviamente, Lily, è mia figlia. A stasera, ti voglio bene.”

“Te ne voglio anch’io.” La conversazione si chiude, e Louis raggiunge velocemente lo studio del preside. Ci sono un sacco di presentazioni, poi, molte frasi di circostanza, un numero considerevolmente stomachevole di sorrisi. C’è il preside che spiega le politiche della scuola e che gli fa firmare una pila infinita di documenti, c’è una segretaria che entra con la mappa della scuola e il prospetto delle sue lezioni. E, d’un tratto, Louis è in classe, con un sacco di bambinetti del primo anno che lo guardano scetticamente.

“Buongiorno a tutti. Sono il nuovo professore di letteratura, mi chiamo Louis Tomlinson.”


 

Le lezioni finiscono alle tre e un quarto, Louis saluta distrattamente Liam Payne, un ragazzone più o meno della sua età che allena i ragazzi della squadra di atletica leggera e che lo ha invitato a pranzo con lui e si avvia a passo svelto verso la scuola elementare; Eleanor esce alle tre e trenta, quindi non ha molto tempo. Non è poi tanto male, Lassox, se non si tengono in conto il clima tropo umido per i suoi standard e l’accento strano che hanno tutti. A Louis piace questo posto, gli altri professori non sono male e gli studenti del primo anno che deve seguire non danno troppi problemi. Ama la letteratura che dovrà insegnare in questo semestre, in fondo le opere di Wild sono state le prime anche per lui, quindi non è che un piacere tornare ad approfondirle con gli studenti. Arriva davanti alla scuola con sette minuti di anticipo, rendendosi conto di aver quasi corso pur di arrivare in orario. Si guarda un po’ intorno per la prima volta, notando la fermata degli autobus – Lassox non è abbastanza grande, a quanto pare, per avere una linea di metropolitana – e alcune panchine di legno lungo il marciapiede. E, nuovamente, la pasticceria dove era stato solo poche ore prima. È quasi deserta, adesso, ed è forse per questo che lo vede subito. Indossa una maglietta a mezze maniche bianca, i capelli ricci e scuri tenuti a freno da un berretto di lana colorato. Louis non può fare a meno di notare i mille tatuaggi che costellano le braccia muscolose, la scollatura della t-shirt mette in risalto un enorme disegno addirittura sul petto. Ha le spalle larghe e i fianchi strettissimi, su cui si poggiano un paio di skinny jeans neri che si tengono in piedi come per magia. È bellissimo, si ritrova ad ammettere, mentre una mano è già scattata alla borsa di pelle. Prende la reflex senza pensarci, la sistema con gesti che ormai potrebbe fare ad occhi chiusi e tenta di riprendere il ragazzo. Cosa lo spinga, quando si accorge di essere decisamente troppo lontano dal soggetto, ad avvicinarsi fino alla vetrina con su scritto in rosso Bakery, non se lo spiega e nemmeno se lo chiede. Sa solo che vuole immortalare quella perfezione, magari una parte di lui si aspetta che la macchinetta non lo riesca a contenere, perché quel ragazzo sembra far parte di un mondo più bello e completamente sconosciuto mentre sistema la vetrinetta sotto il bancone ormai quasi senza dolci. Louis nota le sue mani. Dio, le sue mani. Bianche, enormi, la destra si macchia di cioccolato mentre cerca di spostare su un’unica fila le fette di crostata, il giovane lo trova adorabile mentre si guarda intorno alla ricerca di un fazzoletto e poi, non trovandolo, si porta distrattamente il dito alle labbra. Louis fotografa in silenzio, ammaliato, ogni suo piccolo movimento. Sa che è ancora troppo distante perché le foto siano perfette, ma non potrebbe fare altrimenti. Il ragazzo si volta ed entra in una stanzetta che dovrebbe essere il laboratorio, per poi riuscirne qualche secondo dopo con due teglie di biscotti tra le mani. Comincia a distribuirli con gesti meccanici in piccoli piattini di porcellana, per poi mettere quelli al sicuro nella stessa vetrinetta. Quando ha finito nell’ultima teglia ne sono rimasti due, lui si stringe nelle spalle e ne morde uno, posa l’altro sul bancone e porta le teglie vuote nel laboratorio. Louis è incantato, perché ha studiato per anni poeti che cantavano di donne e uomini perfetti, di angeli, di bellezza, ma non riesce a trovare una sola dannata ballata che possa descrivere quelle labbra pienissime e rosse che masticano il biscotto, o un sonetto capace di cantare le dita lunghe che si sta succhiando per togliere il residuo di ripieno. Louis deglutisce, scatta l’ennesima fotografia e si da anche dello stalker mentre lo fa. Dio, quanto può essere inquietante fotografare ragazzi all’esterno di una pasticceria in un lunedì pomeriggio qualsiasi?

Sospira e riesce a distogliere lo sguardo dal ragazzo, concentrandosi sull’orologio. Sono le tre e mezza, adesso, e in fretta raggiunge l’uscita della scuola in attesa di Eleanor, che nota poco dopo mentre corre verso di lui. Ha, ovviamente, il cappotto sbottonato e lo zainetto in disordine, ma a nessuno dei due importa mentre la bambina lo raggiunge e gli salta praticamente addosso.

Louis la prende tra le braccia, “allora, amore? Com’è andata?”

“Benissimo, papà!” quasi urla Eleanor, un sorriso enorme sul visino rotondo “ho conosciuto Lena ed Emily e Lucy. C’era anche un bambino, Matt, che mi ha fatto un dispetto, ma io gli ho detto che se si permetteva di nuovo chiamavo papà!”

Louis scoppia a ridere, lascia andare Eleanor e le abbottona il cappotto prima di lasciarle una carezza tra i capelli, “ah, sì? Brava bambina, ti proteggo io da tutto.” e ride ancora mentre lo dice, anche se solo lui sa quanto è dannatamente vero quello che sta dicendo.

“Papà?”

Louis prende la mano della bambina, facendo mente locale per ricordare dove sia il supermercato, “cosa?”

“Voglio il succo di frutta, ce n’è a casa?”

Louis si passa una mano sul viso, “no, Ellie. Non c’è assolutamente nulla a casa.” risponde. Questo sì che è un problema.

“Stasera per cena cosa mangiamo?”

“Qualcosa ci inventiamo, tranquilla.” ma mentre lo dice non ci crede nemmeno lui. Intanto raggiungono  di  nuovo la pasticceria ed Eleanor lo strattona per un istante.

“Papà! C’è Perrie! Andiamo a salutarla?” sta già correndo dentro il negozio, però, così che Louis non possa fare altro che seguirla. Lei sta parlando nuovamente con la ragazza del banco, e il giovane può prendersi qualche secondo per fissare nuovamente l’attenzione sul ragazzo di poco prima. Sta semplicemente con i gomiti sul bancone, adesso, e sorride a sua figlia. Dio, il suo sorriso, non può fare a meno di pensare. Vorrebbe fotografare le fossette che si sono formate agli angli della bocca,immortalare i piccoli taglietti delle labbra screpolate su cui ogni tanto passa la punta della lingua. È perfetto, semplicemente.

“Quindi sei tu Harry! Ho mangiato un tuo muffin stamattina!” sta dicendo intanto Eleanor.

“Uh, davvero? E com’era?” ha la voce roca, come se avesse appena finito di urlare, il tono cadenzato e un accento che Louis non saprebbe collocare, ma che è certo non appartenga a quella zona.

Eleanor sorride, “il muffin più buono del mondo!”

E anche il ragazzo – Harry – ride, mostrando i denti bianchi.

“Vuoi assaggiare un’altra cosa che ho appena finito di preparare?”

La bambina guarda Louis, prima, e solo dopo che lui le ha dato il tacito permesso annuisce. Harry alza lo sguardo per la prima volta, da quando sono entrati, e lo guarda.

Ha gli occhi verdi, ma che potrebbero sembrare anche azzurri o magari grigi. Semplicemente, Louis non riesce a distogliere lo sguardo dal suo. E non sa cosa gli sta succedendo, perché non si è mai sentito in questo modo e un po’ è spaventato e un po’ gli fa anche piacere.

“Papà? Papà!” Eleanor lo strattona per un braccio, Louis a fatica interrompe quello sguardo. Si accorge che Harry ha atteggiato le labbra in un mezzo sorriso, e improvvisamente gli fa male lo stomaco.

“Cosa c’è, Ellie?”

“Harry ha detto che posso assaggiare una cosa che ha preparato. Posso, vero?”

Louis le sorride, sistemandole i capelli con un gesto automatico, “ti ho già detto di sì.”

Eleanor si avvicina al banco e prende uno dei biscotti che Harry aveva messo nei piattini poco prima. Perrie torna al lavoro quando entrano due clienti, Harry si pulisce la mano contro il grembiule nero che porta legato i fianchi stretti e si riappoggia al banco con i gomiti.

“Ti ho visto, prima.” è la prima cosa che dice, senza nemmeno guardarlo. Entrambi continuano a posare la loro attenzione sulla bambina che mangia il biscotto, Louis addirittura la sistema e la siede sul bancone. Avvampa.

“Posso almeno vederle? Ne erano un sacco.” il ragazzo torna a parlare, apparentemente tranquillo.

“Io… mi dispiace.”

Lui sorride soltanto, prende un tovagliolino e pulisce le mani di Eleanor, che ha finito il biscotto, “il più buono buonissimo! Papà, perché tu non li sai fare i biscotti cosi?”

Harry ridacchia, “non preoccuparti, pulce, quando vuoi un biscotto vieni qui e te lo do io.”

Louis deglutisce, sempre più a disagio, “guarda che potrebbe prenderti in parola.” prova a dire per smorzare la tensione.

“Lo spero.” è l’unica cosa che risponde Harry. Sta sorridendo di nuovo, non sembra arrabbiato. Louis scuote la testa e prende in braccio Eleanor, aiutandola a scendere dal bancone.

“Quanto ti devo?”

“Solo le fotografie.”

Louis scuote la testa, sospira, “non sono niente di speciale.”

“Sono foto mie. Voglio almeno vederle.”

“Te le farò vedere, ma non adesso. Devo andare.” prende una mano di sua figlia e la strattona delicatamente verso l’uscita, mentre lei trilla un “ciao Harry! Ciao Perrie!” abbastanza contento.

Louis è imbarazzato come poche volte è stato nella sua vita, ma ciò nonostante non riesce a togliersi dalla testa il suono della risata di Harry mentre lui usciva dal locale.


 

Louis riesce a rimediare, alla fine, una cena a base di hamburger ed insalata in busta che ha comprato in un Tesco trovato miracolosamente dietro l’angolo di casa sua. Ha comprato anche il pane, dei detersivi, il latte e i cereali per la colazione e della frutta che – il commesso l’ha giurato – era ancora di giornata. Col frigo pieno ed Eleanor che si rifiuta di mangiare la carne che ha ne piatto si sente improvvisamente più tranquillo, come se fosse davvero a casa.

“Sei sicura di non aver più fame?”

Eleanor annuisce, allontanando il piatto con una smorfia. Non ricorda dove, ma una volta Louis ha letto che non bisogna forzare i bambini a mangiare, così si limita a togliere la cena intatta della bambina per mangiarla.

“Da domani niente più merenda in pasticceria, allora.” la ammonisce, però.

Eleanor sorride, mostrando delle adorabili fossette, “ma papà! Non è colpa mia se i biscotti erano buonissimissimi!”

“Ho capito, amore, ma non è colpa mia se non hai voluto cenare!”

La bambina sbuffa, poi salta giù dalla sedia invitando Louis a fare lo stesso. Lava i piatti con la televisione di sottofondo - che trasmette un DVD della Bella e la bestia - canticchia sottovoce le parole della canzone asciugando i due bicchieri e mettendoli al loro posto, poi tranquillamente comincia a mettere via gli scatolini che ingombrano la cucina. Eleanor lo raggiunge dopo qualche minuto, forse incuriosita dal fracasso.

“Papà, ma che stai facendo?”

Louis, una pila di piatti verdi dell’Ikea tra le mani in procinto di cadere, si volta a guardare sua figlia, “metto a posto le cose per la casa nuova.”

“Mh… mi piace. Posso aiutarti?”

Il giovane sorride, annuisce, “fammi mettere a posto questa roba e ti raggiungo in salotto, va bene?”

Eleanor sembra d’accordo e torna correndo nell’altra stanza, si sente chiaramente il film che viene bloccato. Louis mette a posto i piatti, i bicchieri e sistema le posate nei cassetti; una montagna di canovacci piegati finiscono ordinatamente in un altro tiretto e le pentole vengono buttate nelle mille ante della cucina, il giovane dimentica dove ha messo le varie cose nell’esatto istante in cui esce sul pianerottolo per poggiare gli scatolini finalmente vuoti ma non ci da peso: ha intenzione di rimanere lì il più a lungo possibile, avrà tutto il tempo di imparare dove ha messo i mestoli.

“Papà?” Eleanor se ne sta nel salotto, le manine che cercano di aprire un pacco con su scritto “libri 1”. Accendono la radio, allora, e si mettono al lavoro. La bambina è contenta perché suo padre le da il permesso di sistemare i cd come vuole lei sulle mensole più basse, intorno all’impianto stereo. Gli racconta, intanto, di Miss Moore che ha spiegato alla classe come si conta da dieci a venti e come è fatta una pianta. Louis sorride continuando a mettere sulle mensole libri, soprammobili e cd, contento soltanto di sentire il chiacchiericcio di sua figlia e una bella canzone in sottofondo.

"Allora, che ne dici di andare a fare il bagno? Solo le nove e un quarto, quasi.” Eleanor sbuffa, perché non ha per niente voglia di andare a letto, ma si alza perché sa che suo padre non sarebbe mai d’accordo a farla rimanere alzata oltre quell’ora.

“Emily mi ha detto che lei tutti i martedì va a danza. Posso andare a danza anche io, papà?” chiede d’un tratto, immersa completamente nell’acqua calda.

Louis ci pensa un po’, “non so nemmeno dove sia, questa scuola di danza.”

“Ma papà!” Eleanor ridacchia “Emily ha detto che posso andarci con lei e sua madre!” prova a convincerlo.

“Facciamo così,” Louis prende l’accappatoio rosa e avvolge sua figlia, abbracciandola forte per non farle sentire freddo “domani quando vengo a prenderti parlo con la mamma di Emily, e vediamo cosa si può fare.”

Eleanor, visibilmente contenta, annuisce e nasconde il nasino gelido nel collo del padre, “grazie grazie grazie! Sei il papà migliorissimo del mondo!”

Ogni sera, anche quando lui e Maggie stavano insieme, Louis aveva il compito di far addormentare Eleanor. E, nonostante a cinque anni la bambina sia più che capace di mettersi a letto da sola, dopo averle infilato il pigiamino e legato i ricci in una coda di cavallo, Louis la porta in braccio nella camera delle principesse e le rimbocca le coperte. Solitamente le legge qualcosa, ma Eleanor sta già sbadigliando sonoramente quindi a lui basta stendersi sul lettino accanto a lei e cominciare a canticchiarle nell’orecchio una canzoncina spagnola che ha imparato nemmeno lui ricorda dove, sorridendo mentre le accarezza i capelli. Sta ancora sussurrando “que ves, una cosita y que cosita es. Empieza con la i” quando si accorge che ormai sua figlia sta dormendo. Borbotta ridacchiando un improponibile “que seri que seri que seri.” mentre le posa un bacio tra i capelli e poi un altro, appena più in basso sulla fronte. Si alza cercando di non fare rumore, spegne la lucina sul comodino ed esce lentamente dalla stanza, lasciando un’ultima occhiata alla sua bambina che riposa placidamente. Il cuore gli si riempie di orgoglio e venerazione. Come ha fatto lui, ragazzino si sedici anni pieni di problemi, ad aver creato un cosa tanto perfetta? Non chiude la porta,torna in salotto e spegne la radio. Continua a mettere a posto gli effetti per un’altra ora, quando finisce va ad aggiungere scatoloni a quelli già presenti sul pianerottolo e sospira passandosi una mano sul viso. Pensa per un istante di chiamare sua madre, dal momento che Lily l’ha sentita prima di cena, ma poi controlla il suo orologio Panerai, che costerà probabilmente quanto tutti i mobili di quell’appartamento messi insieme, e sbuffa rendendosi conto che è troppo tardi. Fa una doccia velocemente e si mette a letto, accende il computer. E per la prima volta, quella sera, si permette a collegare la sua reflex per guardare le fotografie.

 

***

 

I ringraziamenti all'epilogo.

   
 
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