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Autore: __mindgames    31/05/2013    0 recensioni
[Skandar Keynes]
[Skandar Keynes]Beatrice ha 20 anni ed il suo ex ragazzo,Silvano,le ha spezzato il cuore. Si ritrova così a condividere il regalo di compleanno,una crociera di 15 giorni in Norvegia,con il migliore amico Dante,nella speranza di dimenticare o almeno di non pensare. Quello che Beatrice non sa,però,è che la "vacanza forzata" le riserverà una sorpresa che supera qualsiasi sua immaginazione. E una vacanza inizialmente fatta controvoglia assumerà tutta un'altra tinta!
"Ma dimenticavo,i sogni non si avverano. Non possono avverarsi se espressi da dei comuni mortali come noi. Solo a quelli famosi va tutto bene alla fine,solo a loro i sogni si realizzano. Noi dobbiamo accontentarci dei sogni di seconda mano,quelli che sono stati usati talmente tanto che è impossibile che si avverino da quanto sono consumati. "
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ore 17.30
Ho come l’impressione che la Norvegia ce l’abbia con me. Non si spiega altrimenti come anche stamattina,all’arrivo nel porto di Hellesylt,ci abbia accolti ancora una volta un nebbione bestiale e la pioggia fitta e scrosciante.
<< Sarà mai possibile questo tempaccio? >> ho borbottato contrariata entrando in teatro,al seguito di Dante,zaino in spalla e reflex al collo sopra al giubbotto pesante da sci.
<< Vedrai che migliorerà… >> ha tentato inutilmente di consolarmi lui,vedendomi così sconsolata.
<< Sì,ma se il buongiorno si vede dal mattino… >> ho grugnito io. Oggi ci è pure toccato aspettare molto di più prima che chiamassero il nostro autobus,un’attesa di circa mezz’ora durante la quale ho sgranocchiato la brioche al cioccolato che Dante era andato a prendermi su al buffet (dicendo che dovevo mangiare perché quella di oggi sarebbe stata una lunga escursione) e sono quasi morta di caldo,bardata com’ero; quando finalmente siamo riusciti ad uscire,con il numero di bus 49 attaccato alle giacche,ci ha accolti una pioggia scrosciante e una folata di vento che mi ha letteralmente divelto l’ombrello.
<< Buongiorno! >> mi ha sorriso la guida,una donna sulla trentina,alta e mora. Più norvegese di così si muore insomma…
<< Buongiorno un cavolo. >> ho bofonchiato io in risposta consegnandole il biglietto dell’escursione e salendo sull’autobus trascinando i piedi. Anche oggi sono riuscita a conquistare il posto in prima fila (almeno in questo si può dire che ho fortuna),evitando così i miei soliti,tragici mal di autobus. Mentre l’autobus iniziava a riempirsi la guida ha iniziato a presentarsi: si chiamava Daniela e,come mi aspettavo,era italiana(triestina per la precisione,ciò spiegava l’accento vagamente sloveno). Ci ha tenuto subito a precisare che oggi il nostro sarebbe stato un autobus di soli italiani,cosa che mi è da una parte un po’ dispiaciuta. Non si pensi infatti che io sia fredda come il marmo fino in fondo,ho un cuore anche io ed è da ieri sera che non faccio che pensare e rileggere il bigliettino di Skandar senza tregua,e mentre gli ultimi passeggeri salivano sull’autobus ne ho parlato a Dante,finora all’oscuro di tutto.
 << Secondo me dovresti chiamarlo >> ha suggerito lui.
<< Ma lo sai,Dante! >> ho risposto io, << io le cose preferisco dirle in faccia. È il mio carattere! >>
<< E allora parlaci oggi! Invitalo a fare due passi,due foto sui ponti esterni,invitalo a fare merenda con te o stasera chiedigli se vuole venire a ballare con te al Gran Bar oppure vedere un film in 4D! >> Ci ho pensato qualche secondo prima di chiedergli << E come faccio a parlargli oggi…? >>
<< È molto più semplice di quello che pensi… >> si è limitato a dire Dante indicandomi qualcosa fuori dal finestrino. Sono diventata quasi viola,ho sentito gli zigomi prendere fuoco nel momento stesso in cui ho visto Skandar,a bordo del bus numero 50,mi stava guardando con un sorrisetto sulle labbra. Ho distolto subito lo sguardo e ho iniziato a concentrarmi su quello che Daniela stava spiegando,mentre piano piano il bus usciva dal parcheggio del porto di Hellesylt. Da quello che ha spiegato,ho capito che questo è un paesino di circa 200 anime(il tipico paesino norvegese,a quanto pare),meta di villeggiatura prediletta di circa l’80% dei norvegesi per il clima mite durante l’estate (e se questo è clima mite,ho pensato,non oso immaginare l’inverno come sia!).
 << Anche Edvard Grieg aveva la casa delle vacanze qua a Hellesylt,e durante uno dei suoi soggiorni pare che abbia composto molte arie del suo celeberrimo Peer Gynt! >> ha esclamato poi sorridendo. Edvard Grieg a quanto pare è come il Boccaccio,o il Manzoni,della Norvegia,ne parlano tutti e ovunque(anche a Bergen) trovi la Edvard-Griegstredet (via Edvard Grieg).
<< Mi scusi, >> ha chiesto la signora dietro di noi,una con l’accento piemontese,circa dell’età di mia madre. << Ma come possono stare in villeggiatura così tante persone in un posto così piccolo? >>
<< Se pensa che i norvegesi sono in tutto 5 milioni,non è poi così difficile da pensare… >> ha risposto Daniela cortesemente. Altro motivo per amare la Norvegia,ho pensato subito; non è da escludersi che in futuro decida di venire qui,ad evadere da quello schifo di realtà che mi attende a Firenze quando tornerò a casa. Dopo circa 20 minuti siamo arrivati alla prima tappa di questo circuito di circa 25 km che ci avrebbe portati a Geiranger a prendere la nave. La prima tappa è stata un albergo a 4 stelle in una località di cui non ricordo neanche il nome,tanto era lungo.
<< Cosa ci facciamo qui? >> ho chiesto a Daniela entrando nella hall dell’hotel al suo seguito. Lei non mi ha risposto,ma ci ha portati in un giardino esterno dell’hotel,dal quale si contemplava la vista più incantevole che io abbia mai visto. Non so se mi spiego: avevo davanti agli occhi proprio il lago Hornindal,il lago più profondo d’Europa. Ho fatto qualche passo incerto su una delle passerelle,alle quali erano ancorate delle piccole barchette di legno,e mi sono chinata ad osservare l’acqua: così limpida,eppure così scura,così misteriosa,mi ha trasmesso al tempo stesso un senso di profonda pace e inquietudine. La cosa più bella,però,è stata un raggio di sole che è riuscito a fare capolino fra le nuvole e ha illuminato la superficie del lago,riempiendola di una luce cristallina e permettendo alle montagne circostanti di riflettersi su di essa,specchiandosi come delle dame un po’ vanitose nella loro camera da letto. Ero così incantata che penso di aver scattato un centinaio di foto solo alla superficie del lago. Sono risalita sull’autobus con aria a dir poco entusiasta e ho iniziato a mostrare a Dante tutte le foto che avevo scattato,con l’aria di una bambina che è stata a vedere uno spettacolo di delfini.
<< Promettimi che un giorno torneremo in Norvegia,Dante >> gli ho sussurrato mentre l’autobus si accodava agli altri e riprendeva la sua lenta marcia verso la prossima tappa.
<< Ci torneremo,Bea,tranquilla >> mi ha risposto lui scompigliandomi i capelli. Sono riuscita pure a farmi scappare un sorriso,nonostante la giornata non fosse iniziata nel migliore dei modi. Dopo 30 minuti di tragitto,paesaggi mozzafiato e case sperdute nel fiordo l’autobus si è fermato in una piazzola riservata all’inizio di un paese.
<< Qui siamo a Stryn >> ha annunciato Daniela prendendo il microfono. << Adesso sono le 11,da qui avete tempo un’ora  e mezzo per girare per il paese,fare spese se volete farne e fare una passeggiata. Il paese non è grandissimo,sono 2000 abitanti,ma è molto caratteristico. Alle 12.30 ci ritroviamo qui all’autobus e andiamo a pranzo all’Hotel Stryn,che si trova qui vicino. >>
Io e Dante in un’ora e mezzo siamo riusciti a visitare tutto il paesino,a ficcanasare in tutti i negozi (dove fra l’altro ho potuto pure ricomprarmi un ombrellino,blu con le renne) e anche a scattare qualche foto e a farcene scattare. La cosa più bella di tutte però è stata un negozio di abbigliamento che nello spiazzo all’entrata esibiva un grosso trattore rosa. Abbiamo strabuzzato entrambi gli occhi,come se avessimo visto degli alieni atterrare davanti a noi,finché una guida non ha chiarito i nostri dubbi(probabilmente vedendo le nostre facce gli sarà pure scappato da ridere) e ci ha spiegato
<< Questo negozio fa parte di una catena molto famosa in Norvegia,è stata creata da due ragazze norvegesi e si chiama Moods of Norway. La catena riprende i modelli tipici norvegesi (maglioni con fiocchi di neve,cappelli di pelo,pantaloni pesanti) e li riadatta per giovani e adolescenti. Il simbolo di questi negozi,come potete ben vedere,è un trattore rosa… Ne vedrete un sacco di questi negozi in giro! >> Ovviamente abbiamo gironzolato per tutto il negozio,e io mi sono presa pure la libertà di comprare una cartolina del negozio che ovviamente allegherò a fine resoconto.
Il pranzo all’Hotel Stryn è stato quanto di più tipicamente norvegese riusciate a immaginare: zuppa di funghi,trancio di salmone affumicato con insalata e una strana torta gelato con crema e nocciola. Io che non sono una grande amante del pesce ho finito in men che non si dica quel trancio che sapeva di tutto tranne che di affumicato,tanto era saporito e cucinato bene. Non c’è che dire,i norvegesi in queste cose ci sanno proprio fare. Finito il pranzo sono uscita fuori dall’hotel per prendere una boccata d’aria,e mi sono seduta su di una panchina a riguardare tutte le foto scattate in questi giorni. Mentre ero assorta a ricontrollare e scartare quelle venute male,una voce mi ha distolta dai miei pensieri.
<< E così oltre che scrittrice sei pure fotografa? >> mi ha chiesto una voce alquanto familiare con un accento inglese che faceva innamorare. Immaginate un po’ quanto abbia iniziato a balbettare quando Skandar si è seduto accanto a me sulla panchina,sorridendomi.
 << Io,cioè… Ecco… Diciamo… >> niente da fare,non mi è riuscito per più di 5 minuti a spiccicare una frase sensata. Alla fine ho spento la reflex e ho detto la cosa più stupida e fuori luogo che potessi dire.
<< Devi scusarmi per ieri sera. Sono stata molto scortese. >> Me ne sono pentita 5 nanosecondi dopo,e ho continuato a mordermi le labbra finché lui non mi ha messo la mano sulla spalla dicendomi << Non preoccuparti,non fa niente. >> Poi il suo sguardo è passato dai miei occhi alla macchina che tenevo fra le mani.
<< E così ti piace anche fotografare? >>
<< È un hobby,nulla più. La fotografa di casa è mia sorella. >> ho risposto io,cercando un po’ di sciogliermi e nascondere il fatto che la voce mi tremava. Per quale strano motivo lui voleva sapere qualcosa riguardo alla mia vita? Specie quando mi ero comportata in modo così stupido con lui…
<< Scommetto invece che sei bravissima >> mi ha sorriso lui,facendomi arrossire ancora di più. La mano sinistra ha iniziato a stringere l’obiettivo della reflex e a tremare,come succede sempre quando sono nervosa.
<< E dimmi,quanti anni hai Beatrice? >>
<< Chiamami Bea >> ho risposto io più veloce possibile. << E comunque ho appena compiuto 20 anni. Questa crociera sarebbe il mio regalo di compleanno. >>
<< Oh,ma tanti auguri allora! >> Io non capivo perché continuasse a sorridermi,non lo capisco ancora che cosa lo porti a voler conversare con me in tutti i modi,però se nella vita ho imparato qualcosa è stare zitta e accettare le cose per come sono. Specie quando sono belle così. << Senti… >> ho detto di getto. << Stasera ti andrebbe di venire a fare due passi con me sul ponte esterno,dopo cena? >> Eccola,ce l’avevo fatta a chiederlo. Dante sarebbe stato fierissimo di me.
<< Alle 9 e mezzo al ponte semicoperto? >> ha risposto lui con un sorrisone che gli illuminava il viso. In quel mentre è arrivato Dante col mio zaino e,dietro di lui,Daniela e tutto il resto del nostro gruppo. << Andiamo Bea! >> mi ha incitata lui.
<< Volentieri. A stasera allora! >> ho risposto io prima di andare e seguire il mio migliore amico. È bastato uno sguardo fra me e lui per intenderci che tutto era andato bene,che ero riuscita nel mio intento e che ero felice: ci siamo abbracciati come due persone che hanno appena vinto la lotteria e siamo risaliti sull’autobus,mentre fuori ricominciava a piovere. Ma non ho mai visto una pioggia così bella,sinceramente.  
Il tragitto in autobus stavolta è durato molto di più di quanto mi sarei aspettata: sotto la pioggia scrosciante abbiamo attraversato paesaggi mozzafiato,montagne brulle e silenziose,il fiordo che si allungava accanto a noi,laghi ancora mezzi ghiacciati,mentre Daniela continuava a spiegare cose che io non sentivo tanto ero occupata a fotografare ogni centimetro quadrato di quella meraviglia. Forse forse però,ogni tanto mi farebbe bene anche ascoltare,mi risparmierebbe molte scene imbarazzanti come quella che è seguita.
Infatti,dopo poco l’autobus ha deviato dalla strada a curve,che già di per sé era stretta ma almeno andava in piano e costeggiava un lago dopo l’altro,e si è inerpicato su per una stradina ancora più a curve e ancora più stretta,oltre che ripida. Ma la cosa più inquietante in tutto questo era il fatto che non esisteva neanche un minimo accenno di guard rail,e più di metà tragitto era esposto a degli strapiombi abissali. Sono letteralmente sbiancata e mi sono aggrappata con forza al braccio di Dante,cercando di scandire le parole mentre chiedevo dove stessimo andando.
<< Siamo diretti al Monte Dalsnibba! >> ha risposto Daniela. << è il monte più alto della zona,e dalla cima si gode un panorama meraviglioso sul fiordo di Geiranger! >>
Daniela,nonostante il suo ottimismo ed entusiasmo,non aveva fatto i conti con il fatto che la pioggia non aveva smesso di cadere dal cielo neanche per un minuto,e di conseguenza dopo mezz’ora di quella stradina nella quale io ho rischiato di perdere 25 anni di vita dalla paura,quando siamo arrivati sulla vetta del monte Dalsnibba la nebbia era così fitta che riuscivo a malapena a vedere la mano di Dante,alla quale ero rimasta attaccata anche dopo scesa dall’autobus. Oltretutto,essendo comunque in vetta a una montagna,tirava un vento allucinante,e ho ringraziato di aver sempre avuto tanto appetito e quindi di avere un peso sufficiente a tenermi ben ancorata a terra e non iniziare a fluttuare in aria come in Pomi d’Ottone e Manici di Scopa.
Dopo esserci fatti scattare le foto di rito accanto al pannello elettronico che riportava la scritta “Monte Dalsnibba,22 Luglio,ore 15.40,temperatura -4°C” ,ci siamo appoggiati all’autobus aspettando che Bjorn,l’autista,tornasse ad aprirci. Dopo poco è arrivata però Daniela,che ci ha guardati con il suo solito sorriso e ci ha chiesto << Avete fatto già la torretta coi sassi? >>
L’ho guardata con una faccia come se mi avesse parlato in arabo,credo,perché è scoppiata a ridere e mi ha indicato la piana accanto al parcheggio degli autobus. Solo allora mi accorsi che,fra la nebbia,spuntavano torrette fatte con sassi di varia forma e di varia altezza,e c’erano un sacco di persone che stavano costruendo la propria.
<< A che cosa servirebbe? >> ho chiesto incuriosita. << è come un messaggio che lasci alla Norvegia >> ha spiegato Daniela, << è come se tu volessi dire “ Sì,prima o poi tornerò,non temere. Questo non è un addio,solo un arrivederci. “ >>. Dante mi ha guardata,io l’ho guardato e,inutile dirlo,ci siamo subito capiti. Ho lasciato la reflex in mano a Daniela e sono andata col mio migliore amico nella piana piena di sassi. Abbiamo preso 2 sassi per uno e abbiamo cercato un posto dove costruire la nostra torre,fino a che non abbiamo trovato un punto riparato da una serie di sassi più grandi che formavano una specie di grotta. Lì,cercando di non congelarci le mani con le ventate gelide che arrivavano da ogni parte,abbiamo faticosamente messo in piedi la nostra torretta,e come ciliegina sulla torta ho preso un fazzoletto e una penna dalla tasca del giaccone,ho scritto i nostri nomi e la data odierna e l’ho incastrato tra il sasso alla base e la fredda superficie liscia del masso che sorreggeva la torretta.
 << Ora dobbiamo tornare per forza,sappilo. >> ho detto al mio migliore amico con aria di sfida puntandogli contro il dito mentre tornavamo all’autobus.
Il tragitto per scendere da quel monte si è rivelato una mezz’ora di puro film dell’orrore,ho creduto per un attimo di morire(anzi,in più di un attimo) e quando abbiamo raggiunto nuovamente valle e siamo tornati sulla strada in piano diretti verso il paesino di Geiranger ho riguadagnato almeno 6 o 7 anni di vita tutti insieme. Il resto del viaggio è proceduto in tutta tranquillità,e abbiamo visto dei panorami incredibili,che non avrei mai creduto di vedere dal vivo. Ho sempre pensato che le guide turistiche prendessero in giro.
Dopo circa una mezz’ora abbiamo varcato il cartello con la scritta Geiranger e lì è accaduto il danno. Sì,perché il pulman ha fatto un rumore strano e si è sentito quasi un botto. Bjorn è stato costretto a fermare l’autobus,e ha scoperto di avere una gomma forata.
<< Degna fine di una giornata allucinante… >> ho borbottato io riponendo la reflex nello zaino e preparandomi a scendere. L’ultimo tratto di strada,circa un chilometro fino al porticciolo di Geiranger dal quale ci saremmo nuovamente imbarcati,lo abbiamo fatto a piedi. Fortuna che aveva smesso di piovere…
Adesso siamo nuovamente a bordo,la nave è già ripartita e io penso che andrò a farmi la doccia visto che tra un’ora abbiamo la cena. Stasera il tema sarà il bianco,quindi devo trovare qualcosa da mettermi visto che di solito non metto mai niente di quel colore. Aggiornerò più tardi,almeno vedremo un po’ cosa succederà. E quali sorprese riserverà questo misterioso Skandar Keynes.
 
Ore 1.00
Una sola cosa da dire: serata fantastica! Mi sento come se avessi appena toccato il cielo con un dito,è una sensazione bellissima. Mi sento più o meno come Jacopo Ortis quando riesce a baciare Teresa(visto che super riferimenti a Foscolo che tiro fuori?! È il risultato di frequentare Dante Bernardeschi!),anche se nel mio caso non c’è stato nessun bacio. Ma è stato molto meglio di tutti i baci del mondo.
Dopo cena Dante ha provato a chiedermi di andare a teato,ma dalla mia aria estremamente tesa ha capito che forse non era il caso,perciò siamo andati al Gran Bar,quello con la pista da ballo,e abbiamo ordinato qualcosa da bere. Dante mi ha costretta a prendere qualcosa di alcolico,adducendo come scusa che l’alcol scioglie la lingua e i pensieri,e così mi sono ritrovata con un bel Martini in mano e il mio migliore amico che annuiva con aria saccente sorseggiando il suo cocktail analcolico alla frutta. Credo che lo segnerò sulla lista dei motivi per vendicarmi.
Alle 9 e 20,più puntuale di un orologio svizzero,mi sono alzata poggiando il bicchiere ancora vuto sul tavolino e ho accennato un sorriso a Dante,i nervi che mi sarebbero potuti scoppiare da un momento all’altro.
<< Che farai stasera? >> gli ho chiesto. Lui ha scrollato le spalle e ha sorriso sornione,e ho capito subito che il suo programma aveva il nasino all’insù di Pauline e i lunghi ricci biondi di Marion. Gli ho sillabato con le labbra Non fare danni prima di avviarmi a passo deciso verso gli ascensori. Mentre l’ascensore saliva verso il nono piano mi sono guardata allo specchio: leggins bianchi,maglia lunga e appena scollata dello stesso colore con decorazioni floreali a colori pastello e le mie inseparabili Superga bianche,sulle quali troneggiava una bella macchia di caffè versato pochi giorni prima di partire e che non avevo fatto in tempo a smacchiare. E non ho neanche fatto in tempo a trovare una soluzione perché la voce registrata dell’ascensore ha annunciato << Ponte nove/Deck nine  >> e le porte si sono aperte. Sospirando,ho seguito i cartelli alle pareti e mi sono avviata verso il lido semicoperto.
Lui era già lì,appoggiato alla balaustra delle scale che portano al decimo piano,con indosso una maglia bianca dell’Hard Rock di Boston,un paio di jeans e delle Converse bianche che mostravano un vistoso buco nella stoffa vicino alla punta e dal quale si vedevano dei calzini blu a righine bianche. Penso che abbia capito a cosa stavo pensando mentre scoppiava in una leggera risatina e mi si avvicinava.
 << Ancora non mi so quale sia il tuo nome completo >> ha detto poi mantenendo il sorriso sulle labbra.
<< Beatrice Capitani. Ma chiamami Bea,non voglio complicazioni >> ho risposto io,memore forse della mia corrispondente russa quando ai tempi del liceo feci lo scambio con la scuola. Il mio nome venne storpiato in ogni modo possibile,tralasciamo i vari nomi che mi sono sentita affibbiare. Oltre al fatto che non voglio divagare ulteriormente sul mio racconto.
Insomma,dopo qualche attimo di silenzio lui ha alzato il capo verso il tetto semovente del ponte,bagnato da leggere goccioline di pioggia,e ha arricciato il naso con un certo disappunto.
<< Io non ho la giacca, >> ha osservato poi,tornando con lo sguardo su di me. >>
<< Non ce l’ho neanche io >> ho risposto dalla mia, << ma al self service c’è un tè verde buonissimo! >> Dopo cinque minuti eravamo seduti a un tavolo accanto ai finestroni del self service,sorseggiando tè verde fumante e mangiando dei mini-assaggi di torte e semifreddi che distribuivano al buffet,accanto alle macchine del gelato. Di là dalle vetrate,il sole continuava a illuminare il self service come se fosse mezzogiorno,riempiendo il mare di luci che a vederle da lontano sembravano tanti piccoli diamanti. Il vestito da sera ha messo pure i lustrini. Uno spettacolo da lasciare senza fiato.
Nella silenziosa atmosfera del self service,vuoto ad eccezione di qualche cameriere qua e là a pulire i tavoli, io e Skandar abbiamo cominciato a parlare del più e del meno,tra un sorso di tè e un cucchiaino di mousse al cacao. Ho scoperto che frequenta l’università di Cambridge e studia storia e cultura del Medio Oriente(avendo origini libanesi,la cosa non mi ha affatto stupita) e sta per laurearsi. Mi ha parlato dei suoi hobby,della sua famiglia e dei suoi timori per il futuro. Dal canto mio,gli ho parlato dei miei studi di scienze politiche a Firenze,facoltà che non amo particolarmente ma che in futuro mi aiuterà a trovare lavoro sicuro,della mia passione per il canto,la chitarra classica e la scrittura e del sogno,per ora irrealizzato,di riuscire a vincere un giorno un concorso fotografico.
<< è per questo che sei venuta qui? >> mi ha chiesto lui.
<< A dire il vero,sto fuggendo dai miei ricordi >> ho risposto io stringendo nervosamente la tazza di tè. Erano quasi dieci ore che riuscivo a non pensare a Silvano,e Skandar cosa fa? Mi chiede cosa ci faccio qui,ovviamente. Ma in questo mondo non si pensa mai che uno voglia andare in vacanza per rilassarsi?! Ho iniziato anche a martellare il piede per terra come quando sono particolarmente nervosa,cosa che al ragazzo non deve essere passata inosservata perché mi ha stretto la mano destra e ha tirato fuori quel fottutissimo sorriso che ha turbato tutte le notti della mia adolescenza. Il mio cuore ha seriamente rischiato un infarto,e il viso deve essermi diventato davvero tanto rosso perché ho sentito un caldo che neanche fossi stata alle Bahamas.
<< Stai tranquilla,ora sei qui e i tuoi ricordi sono rimasti a Firenze. >>
<< Per fortuna >> ho aggiunto io allentando la presa sulla tazza di tè ormai vuota e sorridendo,un sorriso che penso sia andato da orecchio a orecchio,mentre dentro di me pensavo che avevo appena fatto la peggiore figura di merda di tutta la mia vita. Per evitare di peggiorare ulteriormente la situazione mi sono affrettata a chiedere << E tu,cosa ci fai in Norvegia? >> Lui ci ha pensato un po’ prima di rispondere,lasciando la presa sulla mia mano(cosa che,in effetti,mi è un po’ dispiaciuta…)
<< In effetti,anche io ho qualche ricordo da cui scappare. Penso che tra tutti e due,io e te,siamo anime in fuga da qualcosa che sappiamo benissimo cos’è e abbiamo il terrore che ci raggiunga. Sbaglio? >> ha aggiunto mangiando anche l’ultimo boccone di un delizioso semifreddo al pistacchio. Ho annuito con lo sguardo assorto prima di parlare.
<< Penso che da certi ricordi non te ne scappi via così facilmente. >>
La conversazione poi si è spostata verso argomenti più piacevoli,visto che nessuno dei due aveva voglia di intristirsi più di tanto. Abbiamo parlato di musica,e ho scoperto che anche a lui piacciono tantissimo i Nickelback,uno dei miei gruppi preferiti e l’unico del giorno d’oggi che reputo degno di essere chiamato tale. A parte i Duran Duran ovviamente,ma quel figo di Simon LeBon non fa testo. E non lo fanno neanche Paul McCartney e Elton John. Loro non invecchieranno mai.
Abbiamo aiutato il cameriere,un ragazzo cileno molto simpatico che si è presentato con il nome di Carlo,a sparecchiare il nostro tavolo mentre scambiavamo due chiacchiere,poi siamo tornati verso le cabine continuando a chiacchierare. Mi ha lasciata davanti alla porta della mia cabina esattamente 25 minuti fa,con due baci sulle guance e un invito da parte mia a unirsi a noi l’indomani,invito che lui ha chiaramente accettato senza alcuna esitazione. Dante per fortuna sta già dormendo come una caffettiera,almeno mi sono risparmiata il terzo grado,anche perché sono stanchissima e penso proprio che cercherò di dormire. Anche se,tra il sole che filtra dalle tende e il pensiero della serata appena passata,chi potrebbe mai dormire?!
Ah,dimenticavo,prima di mettermi a letto allego,come promesso,la cartolina della Moods of Norway e di quel magnifico trattore rosa,e una cartolina del lago Hornindal. Et voilà!

  
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