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Autore: KaienPhantomhive    31/05/2013    3 recensioni
[NUOVA EDIZIONE - VERSO LA PUBBLICAZIONE
Dopo 7 anni di blocco dello scrittore, riprendo in mano finalmente questo progetto, con una revision e correzione integrale dei capitoli già pubblicati, oltre a proseguire la storia.
Indispensabili lettori e recensori, aiutatemi a trasportare questo sogno da EFP alle pagine di un libro!
Completa | Prosegue in: "EXARION - Parte II"]
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"Quando i Signori della Luna penetrarono per la prima volta il nostro cielo, ciò avvenne come un monito, portando con sé il Freddo Siderale. [...] E da quel giorno il Cielo fu d'Acciaio."
Anno 2050: dopo più di un secolo, l'Umanità imparerà ad affrontare nuovamente la sua più mortale nemesi; se stessa.
Zeitland, Natasha, Helena, Arya, Misha, Màrino, Aaron: qual'è il filo invisibile chiamato 'Exarion' che lega queste anime? Quale la vera natura e il segreto del contratto che li lega alle misteriose sWARd Machines, gigantesche entità bio-meccaniche dai poteri soprannaturali? Una storia di Amore e Odio, Ricordi e Desideri, conflitti, legami, alchemiche coincidenze e destini incrociati. La Storia dell'Amore Egoista e dell'ultima Guerra del Mondo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'EXARION: Tales of the EgoSelfish sWARd Machine'
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5.

 

Congiunzione

 

Gli indicatori di Energia VRIL all’interno del Fafner erano raddoppiati, attorniando la ripresa della nuova Macchina nera.

“Una reazione VRIL? Quella sarebbe…un’altra sWARd Machine?!” – la sorpresa poco gradita lasciò Zeit più stupefatto che intimorito – “Dunque anche la Russia ne possedeva una!”

L’idea lo infastidiva, preoccupava e al tempo stesso esaltava: alla sua prima vera missione sulla Terra aveva già scatenato una battaglia tra Divinità Metalliche, come le chiamava il Kaiser. Ma lui era il Cavaliere Nero, era il miglior Meister al mondo, e combatteva per il Reich. Tutto il resto era d’intralcio.

Piegò le gambe e incurvò il busto come un felino pronto a saltare:

“Non ho idea di chi ci sia a bordo, ma in ogni caso non posso permettere che resti in piedi! Vorbereitet, gesichtslose Meister![1]

E il cyborg gigante scattò in avanti, sradicando alberi e terra.

 

Un’ansia nauseante inavse Nataša nel vedere l’inesorabile approssimarsi dell’avversario, mentre tentava di studiare in fretta e furia ciò che riempiva l’abitacolo: “Stamina, libido, sincronia… non ci capisco niente! La dottoressa aveva solo detto di…!”

Pensava troppo lentamente.

I piccoli e minacciosi occhi azzurri di Fafner riempirono lo schermo frontale del suo abitacolo. Quel colore intenso le s’impresse nel cervello.

La investì con tutto il corpo. La Machine nera venne sbalzata all’indietro, rotolando rovinosamente al suolo per decine di metri.

Nataša sentiva tutto il suo corpo rivoltarsi con violenza come quello della sua stessa Unità, mentre arbusti e rocce sembravano schiantarsi sulle pareti della Flam-ber. Sapeva che quella cabina era protetta dalla gabbia toracica del suo robot e che non avrebbe ceduto facilmente, ma ogni singola sollecitazione di quella macchina infernale veniva assorbita e amplificata sulla sua stessa pelle. Pensò istintivamente di voler frenare quella caduta e le dita affilate della gigantessa nera si conficcarono al suolo. Nat si portò una mano al cuore: batteva all’impazzata.

“Il dolore…perché sento tutto questo dolore?!” – ansimò con voce spezzata.

La Macchina-Drago era nuovamente alla carica; la lama della spada falciava gli abeti della radura.

La sWAn nera si rialzò precaria sulle gambe sottili; Nataša non aveva idea di come manovrarla meglio, né di come difendersi. Semplicemente lasciò andare un piccolo gridolino, nella speranza di poter scampare a quel colpo. Sorprendentemente, la sua Machine piegò gli avambracci e poi si lanciò lateralmente: una pantera in fuga.

Fafner affondò a vuoto un fendente, piantando i tacchi nella steppa.

Un respiro di Zeitland rimase spezzato per il rinculo, voltandosi di scatto verso la sua preda mancata: “Wie...?!”

Nat voleva correre, voleva scappare. Non aveva intenzione di combattere, non sapeva come fare. Voleva solo fuggire.

Nell’accelerare il passo, la sua sWAn non faceva altro che incespicare a ogni affondo nel terreno di quegli impratici tacchi acuminati.

Il Luogotenente Dietrich digrignò i denti, pervaso da una collera che sfiorava l’umiliazione: “Vuoi giocare al gatto col topo?! Come vuoi: less’ spielen!”

Ora le due Machines scivolavano sull’aria sorrette solo dai propulsori, sfiorando le acque scure del lago. La spada di Fafner infieriva senza pietà contro gli scudi sulle braccia dell’avversaria, perennemente sollevate a coprirle testa e torso.

Du kannst nicht ewig laufen![2] – gridò Zeit e la sua voce risuonò anche all’esterno del suo robot.

Anche se Nat non aveva idea di cosa l’altro pilota le avesse detto, sapeva comunque che era vero.

“Così non riuscirò mai sfiancarlo! Non posso continuare a scappare in continuazione!” – sentiva che era arrivato il momento di mettere da parte scarpette a punta e cerchietti fermacapelli – “Combattiamo anche noi!

Basta lacrime, basta fuggire. Ora sentiva un nuovo istinto crescere in lei: sopravvivenza.

Le braccia Machine si illuminarono di rune viole e le piastre dell’armatura si fusero in due sottili spade nere. Il filo delle lame brillò d’ametista, sibilando. Rallentò fino a fermarsi a mezz’aria, per poi gettarsi verso il suo nemico in una manovra quantomeno azzardata.

Endlich!” – un sorriso si aprì come un taglio sul viso dello Schwarz Ritter – “Ora possiamo fare sul serio!”

 

Tra i resti del laboratorio militare semidistrutto, quel poco che rimaneva del personale tecnico scortò fuori Miša e la dottoressa Asimov. Qualcuno aveva arrangiato sul terreno un paio di portatili Bluetooth e alcuni rilevatori da campo. Miša rivolse gli occhi verso quei due mostruosi esseri meccanici che si sfogavano l’uno sull’altro con ferocia impressionante: “Lì dentro…c’è davvero Nat?”

Al suo fianco, Ekaterina strinse la catenella che portava al collo: “Le sWARd Machines. Viste da qui sono ancora più spaventose di quanto credessi!”

 

Il clangore metallico delle spade risuonava per le colline di Baksheevo. Scintille sprizzavano ad ogni stoccata, scie di luce sfilavano dalle estremità delle braccia-spade della Machine russa, confondendosi con le lingue di fuoco di Fafner.

Nella Camera di Flamel, Zeitland continuava ad agitare il braccio destro che impugnava una copia luminosa dell’arma; i suoi capelli fluttuavano scomposti nella Gravità-0: “Per quanto tu possa tentare di resistere, sarò io vincere!”

Quando l’Unità di Nataša trovò modo per distanziarsi dal suo avversario, i suoi polmoni poterono finalmente ridistendersi per riprendere fiato. Una perla di sudore le scese lungo la tempia e si staccò, rimanendo sospesa. Era il momento. Strinse il petto nudo in corrispondenza del cuore e con tutto il fiato che aveva in gola…gridò a più non posso.

Le lastre a propulsione che aveva al posto dei polpacci sfrigolarono emettendo uno scintillante pulviscolo bianco e violetto.

Il gigante nero si scagliò e trovò il suo nemico ad accogliere l’invito.

I due giganti metallici sfiorarono appena la superficie del lago. Fafner impugnò a due mani la lunga spada avvolta dalle fiamme; la Macchina nera senza nome incrociò le braccia affilate.

Le lame collisero.

Ci fu un bagliore accecante, per un breve istante: una scintilla più intensa delle altre, una croce di luce che allungò i suoi bracci per centinaia di metri.

Si ridusse a un punto di luce e, con un fragore assordante, una cupola di plasma deflagrò al centro del lago come una bomba atomica. Era terrificante e meravigliosa: una sfera di un blu abissale che risplendeva di milioni di diamanti, come se una Galassia intera vi fosse racchiusa. Il vento impetuoso percosse gli alberi della vallata, sradicandoli e spezzandoli come fuscelli. Le acque di Baksheevo si separarono e innalzarono come un abbraccio intorno all’esplosione.

 

Per un momento, le cabine di guida si annullarono.

Gli schermi scomparvero, la visuale perse di consistenza.

Tutto, dimensioni ed eoni, mutò in qualcosa di indefinito: sembrava di navigare in un fugace attimo d’Universo, irradiato dal fulgore di miliardi di stelle, Nebulose e superstringhe in vibrazione.

E i due Meisters – i corpi nudi resi come pura luce – si videro a vicenda. I loro occhi si incrociarono per un singolo istante in cui miliardi d’anni di vita dell’Universo sembrarono scorrere intorno a loro e dentro di loro.

Era un incontro voluto dal destino. La Congiunzione.

 

La luce dell’esplosione cessò di palpitare e i due umanoidi giganti vennero rigettati diametralmente.

La Machine di Nataša crollò rovinosamente sulla riva del lago, rimanendo stesa con il dorso immerso per metà. La ragazza gemette per il dolore che le attraversò la spina dorsale. Quando riaprì gli occhi, vide l’immensa sagoma rossa di Fafner sovrastarla.

Il robot-drago sollevò un piede e lo piantò con forza sul suo braccio sinistro; la lamina d’acciaio che costituiva il tacco si conficcò nello snodo del gomito, penetrando l’armatura.

Un dolore lancinante le trafisse l’articolazione, mentre il Mercury-D – ora visibile nella sua bizzarra cromatura – iniziò a ribollire in corrispondenza del danno. Nat gridò.

“Non ho idea di chi tu sia, ma non ho intenzione di farti vivere abbastanza per scoprirlo!” – Zeit sputò quelle parole come veleno, fissando trionfante la sua inerme avversaria.

L’euforia della Sincronizzazione gli stava dando alla testa. La sWAn dalle corna dorate sollevò un braccio, puntando la spada verso il volto della gigantessa nera.

La calò con violenza.

In un attimo, Nat vide la sua vita scorrerle nella mente e nell’inconscio chiese perdono alla sua famiglia per non essere stata in grado di abbracciarli ancora una volta. Sentiva l’ultimo alito della Morte e strinse gli occhi, aspettandola.

Ma non arrivò.

Riaprendoli, vide la punta della spada di Fafner puntata a pochi centimetri dalla sua visuale. Ma era ferma, quasi titubante.

Was…?!” – il fiato di Zeit rimase spezzato, nel vedere la sua Machine bloccarsi prima di aver affondato il colpo – “Non ha funzionato?!”

Provò a mimare il colpo con il suo stesso corpo, ma il braccio meccanico non intendeva muoversi di un millimetro.

Verdammt! Perché non vuoi muoverti, Fafner?!”

Per risposta, l’Unità si limitò solo a un brontolio rauco; i sottili occhi azzurri sbarrati e rigidi su quelli della sua vittima.

La mente di Nat incominciava a divenire sempre più fragile: gigantesche armi umanoidi grandi come palazzi, esplosioni e morte ovunque, dolori laceranti che le attraversavano le ossa pur rimanendo illesa. E ora era a un passo dalla morte.

Non importava se quella spada restava sempre là ferma, non importava se quell’abitacolo in cui si trovava poteva essere il luogo più sicuro al mondo. Lei aveva paura.

Paura di smettere di vivere, paura di cessare di provare emozioni, paura di non poter nemmeno dire a suo fratello che lei era più grande di lui avrebbe dovuto smetterla di prenderla in giro, paura perfino di stare facendo tardi alla sua festa di compleanno e chissà se ora i suoi genitori erano in pensiero per lei, se i suoi amici la stava aspettando inutilmente davanti al ristorante o se qualcuno aveva intuito che quel giorno non ci sarebbe stato nulla da festeggiare, chissà se avevano disdetto il tavolo e chissà…

Che pensieri idioti. – le suggerì la coscienza.

Poi ancora la paura.

“Non voglio morire…non voglio…” – piagnucolò in prede al terrore, con gli occhi sbarrati e umidi di lacrime – “…non voglio morire così!

Con un sibilo acuto, gli occhi della Machine nera si illuminarono sotto il visore d’amestica e un laser dello stesso colore esplose verso l’alto.

Istintivamente, Fafner saltò a oltre duecento metri di distanza, ma non abbastanza in fretta da impedire al raggio di segargli di netto un corno. Atterrò pesantemente al centro del lago, con lo squarcio incandescente sull’elmo ancora fumante.

Quella mossa aveva colto il Cavaliere Nero di sorpresa: “La Machine…si è riattivata?!”

Lentamente, la sagoma slanciata del robot-cigno iniziò a sollevarsi sulle gambe; senza nemmeno fare leva sulle braccia, semplicemente aveva inarcato il dorso e aveva puntato i piedi al terreno. Quel movimento unico e dinoccolato le faceva perdere umanità: somigliava più a un rettile o a un insetto.

Sollevò di scatto la testa.

 

Fissando incredulo la scena, Miša biascicò quel poco che riuscì a mettere in fila: “Che cosa sta succedendo al robot di Nat?!”

“Non ne ho idea.” – mormorò Ekaterina Asimov, osservando con la coda dell’occhio lo schermo del suo portatile sciorinare una cascata di codici binari – “Quell’Unità non si era mai attivata prima d’ora, non posso prevedere cosa questo comporterà!”

 

La Macchina nera si piegò sulle ginocchia e distese le braccia. Parve scomparire alla vista. Fafner fu superato con tale sveltezza da causare un vuoto d’aria e Zeit ebbe appena il tempo di rendersi conto di essere stato scavalcato senza poter muovere un solo dito:

“Che velocità incredibile! Da dove viene tutto questo potenziale?!”

La sWAn draconica si voltò appena in tempo per poter riagganciare il contatto visivo: “Non posso lasciarti vincere!”

E con quanta maggior velocità disponibile i vettori meccanici sulla schiena di Fafner si estesero. Fendettero l’aria gelida, inseguendo la Machine che scivolava a pelo d’acqua; serpeggiavano e curvavano pennellate sconnesse di un pittore folle, senza mai raggiungere il loro obiettivo. Poi, con una rigida virata di novanta gradi, l’Unità senza nome tornò indietro.

La rabbia per l’improvviso capovolgimento degli eventi stava facendo ribollire il sangue nelle vene di Dietrich. Era sempre stato volenteroso, zelante e obbediente per il nuovo Reich e e proprio ora che aveva la possibilità di dimostrare il suo valore in un’operazione in solitaria stava perdendo. E lo stava facendo a bordo di Fafner, la stupefacente arma da battaglia della Divisione Schwarz Pik. Era imperdonabile.

Verschwinden für alle mal![3] – gridò con violenza.

Le fruste meccaniche del Drago-Stella Cadente saettarono e schioccarono con veemenza. L’Arma Umanoide che custodiva la giovane figlia di Novikov saltò a un’incredibile altezza.

I Vettori si impennarono, aggrovigliandosi in una matassa inestricabile. Gli schermi dell’abitacolo di Nat mostravano solo un caotico turbinare di tentacoli affilati in ogni direzione, come un tornado che l’avvolgeva interamente. Lei non faceva niente, non ne aveva la forza: si limitava a stringersi il più possibile le ginocchia nude al petto, in posizione fetale. Piangeva e gemeva, mentre decine di grafici sfrigolavano in sovraccarico. Sapeva di non stare pilotando un bel niente: era quella stessa Machine a muoversi di sua spontanea volontà. Lei, semplicemente, non voleva morire.

 

In caduta libera, la sWAn nera si avvità su sé stessa, fendendo con le lunghe spade le code di Fafner a ogni movimento. Si era aperta un varco; il gigante rosso era ora solo a pochi metri da lei. Scudo e lama si scontrarono. Lo spostamento d’aria sollevò una gran quantità d’acqua. Il la gigantessa nera si portò alle spalle del nemico, allungando un secondo colpo. E un altro. E un altro ancora. Cinque, otto, dieci sferzate portate a distanze e altezze differenti, come un alito di vento tagliente che spirava tutt’intorno all’Unità nazista. Riatterrò conficcando braccia e gambe nel suolo: sembrava un ragno.

Si rimise in piedi e distese il braccio destro: ammassi di plasma ametista si condensarono in una grossa e rozza struttura metallica scura: una specie appena abbozzata di cannone, un lanciatore a ingranaggi che sostituiva l’arto fino alla spalla. Una gigantesca lama frastagliata spuntò dall’imboccatura.

“Cosa…?!” – boccheggiò incredulamente Zeit – “Ha materializzato un’arma del genere con la sola Energia VRIL?!”

Nataša si strinse ancora più forte nelle braccia: “Fa che smetta, fa che smetta! Fallo sparire!”

Un ruggito sommesso risuonò da sotto il casco dell’Unità, nel sollevare l’enorme sperone. Con un rinculo abbastanza potente da farle affondare i piedi per almeno tre metri nel suolo, la lama fu sparata come un missile, trascinandosi dietro a una catena nera simile a una colonna vertebrale.

Fafner si sollevò in volo, per allontanarsi il più rapidamente possibile, ma la lama incatenata continuava a inseguirlo come un cobra intento a non lasciar sfuggire la sua preda, in un nevrotico zig-zag che sembrava non avere fine.

D’un tratto la lama-razzo accelerò più del suo obiettivo, oltrepassandolo, tornando indietro e collidendo contro lo scudo di Fafner. La copertura iper-rinforzata si incrinò vistosamente e un fiotto di scariche elettriche nere si propagò ovunque.

“Il mio Jericho…non reggerà?!” – Zeit sgranò gli occhi nel vedere l’ologramma dello scudo lampeggiare sul suo braccio in modo preoccupante – “Ma come…?!”

Troppo tardi.

Con un’ulteriore spinta, il rostro a propulsione sfondò in mille pezzi lo scudo e tranciò di netto il braccio della Machine. Un fiotto di liquido scarlatto simile a sangue spruzzò dal moncherino con tale pressione da sembrare un idrante rotto. Zeitland Dietrich gridò fin quasi a strapparsi le corde vocali. Il suo braccio era ancora al suo posto ma un dolore inimmaginabile lo pervadeva; le vene erano sul punto di scoppiare e il Mercury-D sembrava impazzito, nel tentativo di assorbire il trauma.

La catena della Machine nera si riavvolse nel lanciatore e poi si dissolse nella stessa luce da cui si era formata. Nel suo abitacolo ormai rosso per la quantità di allarmi aperti, Nataša portò le mani al viso stravolto dall’orrore: “Quel…quel sangue…”

L’arco di liquido scarlatto che continuava a zampillare dal braccio del robot nemico sembrava assumere più consistenza: erano petali di rose.

“…che diavolo sono questi mostri?!

E anche lei – artigliandosi la testa con le unghie – urlò con quanta più disperazione la sua anima gli permettesse di vomitare.

Unendo tra loro le punte delle lunghe braccia-spade, la Machine nera puntò verso il nemico ferito. Il filo delle lame si irradiò di una luce spettrale. Una sfera di plasma sfrigolante si formò davanti al suo torace. Poi, emettendo un verso stridulo, rilasciò la reazione atomica facendola degenerare in un possente raggio.

 

*   *   *

 

Contemporaneamente. Sala di Controllo. Base Golgotha.

 

Istintivamente, alla vista di ciò che si sarebbe di lì a presto consumato sulla Terra, il dottor Zwei Stein ordinò il più in fretta possibile: “Steins Gatter: rückübertragung!”[4]

 

*   *   *

 

Una frazione di secondo prima che il raggio potesse vaporizzarla, la Machine rossa si smaterializzò in un nugolo di scintillii. Il raggio perforò l’oscurità di quella notte e sfondò le dense nubi nel cielo, perdendosi nell’orizzonte puntellato di stelle.

 

*   *   *

 

Sala di Controllo. Base Golgotha.

 

La pioggia di corpuscoli diamantini ricostituì il corpo di Fafner, al centro dei due anelli di Trasporto Satellitare. La cassa toracica del robot si sollevò e la Flam-ber si aprì con uno sbuffo di gas.

Zeitland Dietrich – i cui abiti erano nuovamente integri – aveva perso i sensi.

 

*   *   *

 

Settore-1; Sala del Mond-Kaiser; stessa Base.

 

Sull’enorme schermo al centro del pavimento un’immagine portentosa si prospettava: un pianeta dai colori vividi e incantevoli – la Terra – immerso nel nero dello Spazio e un sottile, vibrante, raggio color ametista che si allungava da esso, verso ignote profondità del Cosmo.

Una maschera d’oro luccicò su un tavolino.

L’Imperatore Lunare sorrise.

 

*   *   *

 

Baksheevo. Terra.

 

Dopo il frastuono, la violenza e le fiamme, il silenzio aveva ora preso possesso della vallata. Tra le nebbie della battaglia, la mole ciclopica e della gigantessa nera troneggiava al centro della scena.

Era buio.

“Sarebbe questa la vera…” – ansimò Miša, in ginocchio.

“…potenza di una sWARd Machine?!” – concluse la dottoressa Asimov, stupefatta del risultato a cui i suoi stessi studi avevano condotto.

Il visore ottico del robot tornò buio.

Crollò fragorosamente a terra.

 

 

 

[1] “Preparati, Meister senza volto!”

[2] “Non puoi fuggire per sempre!”

[3] “Sparisci una volta per tutte!”

[4] “Gatter: trasmissione inversa!”

   
 
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