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Autore: Mia    16/12/2007    4 recensioni
Come Paride, figlio di Priamo, abbandonò la moglie Enone per cercare Elena, il dono che Affrodite gli aveva promesso.
Genere: Generale, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso: Questa storia si ispira ad un mito minore di quelli che ruotano attorno alla guerra di Troia narrata nell'Iliade, perciò, sebbene la storia si trovi nella sezione Originali, la trama non è interamente da me inventata, ma trae ispirazione da un mito già esistente. I personaggi non mi appartengono e storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


IL POMO DI ERIS

 

Ancora non ci credevo.

Io ero il figlio del re di Troia!

Fino a quella mattina ero solo l’erede di un comune pastore per poi scoprire nel pomeriggio di essere il figlio di Priamo di Troia.

Dovevo scendere in campo contro il principe Ettore, in modo da poter tenere il mio toro.

Avevo appena finito di spogliarmi ed ero sceso in campo, completamente nudo, come era obbligatorio durante gli incontri di lotta.

Poco dopo era giunto anche Ettore, privo di vestiti a sua volta.

Io e lui ci eravamo scrutati a lungo per poi cominciare a combattere.

Io non amavo le lotte, ma dovevo difendere il mio onore e riprendermi il toro nero che io stesso avevo tanto amorevolmente allevato.

Ettore era molto abile e forte; più di quanto mi aspettassi.

In breve tempo mi atterrò e si mise seduto sul mio torace.

-Ti arrendi dunque, giovane pastore?- mi chiese, con un ghigno sul bel volto.

Io ero disteso nella polvere, ancora stordito per via del colpo che avevo ricevuto dal mio antagonista.

-Mai sarò così vile da arrendermi, nobile principe Ettore, figlio del molto regale Priamo di Troia, città sacra ad Apollo Saettatore: io continuerò a lottare fino a quando Ares, signore della guerra, figlio di Zeus, me ne darà la forza! Dovrai uccidermi, principe Ettore, prima che io rinunci a lottare.- riuscii a farfugliare, quando mi fui ripreso.

-Sei molto tenace, giovine Paride, figlio di Agelo il pastore, ma bada: questa molto nobile qualità che è la determinazione potrebbe essere un male per te in questo momento ed in queste misere condizioni. Coloro i quali hanno la pelle delicata, faranno bene a non battersi con Ettore figlio di Priamo: ho sconfitto e ferito avversari molto più temibili di te, giovane Paride, rammentalo.- detto questo rise.

Poco dopo riuscii ad alzarmi e continuai a lottare.

Afferrai Ettore per le spalle e cercai di atterrarlo, ma i nostri corpi, unti di oli, scivolavano l’uno contro l’altro.

Mi gettai su di lui in un ultimo, debole, tentativo di atterrarlo, ma ottenni solo il risultato opposto e cioè fu lui che mi gettò a terra.

Mi rialzai di nuovo, ignorando le risate del pubblico e del mio avversario.

Stravo per attaccare di nuovo, quando una voce sospese il combattimento.

Io ed Ettore ci voltammo.

A parlare era stato il re.

Mi fissava l’omero con interesse e stupore.

Lo stesso faceva la regina.

-Avvicinati, giovane pastore!- mi disse infine il sovrano.

Io mi avvicinai a lui, che continuava a fissare il mio omero destro.

Infine allungò la mano fino a toccare la cicatrice che avevo sull’omero. Era una vecchia ferita e non mi ricordavo neppure quando me la fossi fatta, ma indubbiamente aveva una forma singolare: assomigliava ad una delle costellazioni che brillavano nel cielo di Troia nelle notti più limpide.

-Da quanto tempo hai questa ferita sull’omero del tuo braccio destro, giovane e coraggioso mandriano?- mi domandò.

-Per quanto io riesca a rammentare, nobile sire Priamo, signore di Troia dalle alte mura e dei Troiani domatori di cavalli, da sempre.-

Il re si sedette sul suo trono, si portò una mano al mento ed assunse un’espressione meditabonda.

Infine mi domandò: -Dove hai dimora, giovane pastore e chi sono coloro che ti generarono?-

-Io abito sul verde monte Ida dimora di Ninfe e Dei, grande re Priamo, e mio padre è il buon pastore Agelo, il quale porta le tue meravigliose mandrie al fiorito pascolo e si prende cura del tuo bestiame.-

-Certo… potresti tu, giovine pastore, portare qui il tuo buon padre in modo che possa parlare con lui?-

-Non c’è bisogno che tu mandi questo giovane a chiamarmi poiché sono qui, mio grande sovrano, Priamo figlio di Laomedonte.- mi voltai e vidi mio padre camminare verso il re.

-E così… non hai rispettato gli ordini che anni fa ti diedi, buon Agelo. Lo vedo da colui che mi sta davanti in questo momento.-

-Egli è dunque mio figlio? Il figlio che io stessa partorii anni fa nella bella reggia di Priamo sovrano, che come una stella appariva ai miei occhi e che tuttora di quella luce risplende?- domandò la regina.

-Si, maestà, nobile Ecuba figlia di Dimante. Quando lo affidaste a me affinché lo esponessi sul verde monte Ida, dimora di Dei, non ebbi nel cuore il coraggio di eseguire i vostri ordini, perciò lo allevai io nella mia umile casa, insegnandogli il mestiere di pastore…- le rispose il mio finto padre.

Cadde un silenzio intenso.

Il re fissava me ed il mio padre adottivo, ma infine sorrise e disse:-Sono molto lieto che il tuo nobile cuore abbia avuto pietà per il mio regale figlio; così adesso egli abiterà con il padre e la madre che lo generarono a Troia dalle alte mura, nella bella reggia di Priamo, sovrano dei Troiani domatori di cavalli e delle Troiane dai bei pepli. Vieni qui, figlio mio.-

Ero il figlio del re, quindi?

Tutto ciò in cui avevo creduto era falso?

Avrei dovuto abbandonare colui che mi aveva fatto da padre.

Avrei dovuto abbandonare Enone…

Enone.

Aveva ragione dunque: se fossi andato a Troia non sarei più tornato da lei.

Avevo capito che qualcosa nella mia vita sarebbe cambiato da parecchi anni ormai, da quel giorno in cui mi avevano fatto visita le Bellissime.

Le tre Immortali: Hera, signora degli Dei, Atena, figlia prediletta di Zeus Egioco, ed Afrodite Pandemia, la Dea dell’amore figlia di Dione.

Mi trovavo sul monte Ida, al pascolo con le capre di mio padre, quando una brezza piacevole mi aveva avvolto e, poco dopo, mi ero trovato dinnanzi a quattro persone.

Le osservai.

Non erano persone comuni, lo capii dall’aurea dorata che li circondava.

Tre donne ed un uomo.

Tutti e quattro bellissimi ed irraggiungibili, capii che erano Immortali.

Il primo a parlare fu l’uomo.

Giovane, con corti capelli dorati ed un gran paio di occhi azzurri, un sorrisetto dispettoso dipinto sul bellissimo volto efebico.

-Giovane Paride, tu sei stato scelto, fra tanti mortali che abitano la terra, dal grande padre, Zeus Tonante, signore dell’Olimpo dorato e degli Immortali, per porre fine ad una sciagurata lite che provocò dissidi fra le Bellissime dell’Olimpo. Tu dovrai giudicare, con cuore imparziale, chi fra di loro sia la più bella del sacro monte Olimpo, dimora di Dei. Il premio per la vincitrice di tale titolo sarà questa.- detto ciò tirò fuori da non so dove una mela d’oro e me la porse.

Io la presi e la osservai.

Su di essa c’era scritto “THI KALLISTHI TWN QEWN”, “Alla più bella delle Dee”.

A questo punto chiesi:-Perché mai dovrei essere io, un misero mortale di umili natali, a giudicare gli Immortali, abitatori dell’Olimpo dorato, i quali l’indegno occhio umano neppure potrebbe vedere?-

L’uomo sorrise e disse:-Non conosco la risposta a questa tua domanda, giovane Paride. Non sono a conoscenza del motivo per cui il padre degli Dei, il grande Zeus Cronide, scelse proprio te fra tanti mortali abitatori della terra per giudicare gli Dei Immortali, abitatori del monte Olimpo. Io non sono altro che un messaggero della sua divina parola. Ermes figlio di Zeus, che cari ha i messaggeri, i mercanti ed i ladri, riferisce i messaggi del padre, signore dell’Olimpo, non dà spiegazioni.- mi disse lui.

Allora io volsi il mio sguardo alle tre Dee.

Una di loro mi si avvicinò e mi sorrise.

-Che il tuo nobile cuore non tema, giovane Paride, bellissimo fra i mortali. Il signore dell’Olimpo, il potente Cronide Zeus, ha affidato a te il compito di scegliere fra di noi, tre Dee Immortali, la più bella, perciò io sono certa che saprai ben giudicare. Io sono Hera, signora degli Dei, protettrice dei matrimoni mortali e divini, sorella e consorte di Zeus Tonante. Se la tua decisione verterà su di me, la potente signora dell’Olimpo, ti prometto ricchezze eterne in terra. Mai oro ti verrà a mancare e mai di nulla sarai privo in vita. Solo chi ha ricchezza e potere, fra gli uomini mortali, è realmente felice ed io ti do la possibilità di esserlo in eterno.- disse.

La osservai bene.

Era bella.

Bellissima.

Lo sguardo fiero della regina era castano e privo di pupille.

Non osai incontrarlo ancora una volta, poiché la prima mi fece rabbrividire.

I lunghi capelli fulvi, coperti di riflessi dorati, sembravano rame colato.

La pelle bianca e liscia era più tesa sul ventre e sui seni prosperosi, come fosse incinta di pochi mesi. Questo faceva capire il suo ruolo di protettrice dei parti e dei matrimoni.

Dopo che Hera ebbe parlato, mi si avvicinò la seconda Dea.

-Prendi la tua decisione con giudizio e senno, giovane Paride. Io sono Atena, figlia prediletta di Zeus Egioco e Dea della giustizia terrena e divina. Se tu mi giudicherai la più bella fra le Dee Immortali ti prometto vittoria ed onore eterni in guerra sulla terra abitata dai mortali. Solo chi possiede saggezza e valore, fra gli uomini mortali, può essere ben accetto. Io ti offro questa luminosa possibilità: quella di essere il migliore come senno e come valore fra i capi della Frigia e della Troade.-

Guardai meglio anche Pallade Atena.

Bella.

Bellissima anche lei.

I lunghi capelli erano neri e lisci come seta.

Gli occhi grigio-azzurri erano freddi, intelligenti ed astuti.

Aveva la pelle bianca come madreperla e le mani da tessitrice.

I suoi seni erano piatti come quelli di una bambina, ma questo non sminuiva la sua bellezza.

Infine mi si avvicinò l’ultima Dea.

-Giudica, giovane Paride, ma lascia che la decisione venga dal tuo cuore e non dalla freddezza della mente, che fa morire i sentimenti, o condizionato dalla potenza, che tanto affascina gli uomini mortali. Io sono Afrodite, figlia di Zeus e di Dione. Qui ti sono stati promessi eterna gloria, molto onore, grande ricchezza ed invidiabile intelligenza, ma dimmi bel Paride, cosa sono tutti i valori umani davanti all’amore? L’amore colpisce così gli uomini mortali come gli Dei Immortali. Se tu mi giudicherai la più bella fra le Dee io invero ti prometto l’amore della più bella donna del mondo. Desideri tu come moglie diletta la più bella donna del mondo, giovine Paride?- ponendo questa domanda, la Dea non si aspettava una risposta immediata.

Guardai anche Afrodite Pandemia.

Bellezza travolgente anche la sua.

Lunghi capelli aurei le cadevano sulle spalle ed oltre la schiena.

Gli azzurri occhi Immortali sorridevano maliziosamente.

Il suo corpo era perfetto e suscitava grande desiderio carnale.

“Oh grandi Dei, perché proprio io fui scelto dal potente Zeus Tonante per prendere una simile decisione!?” mi domandavo “Come potrebbe un misero mortale giudicare gli Dei Immortali? Come potrebbe un uomo mortale giudicare la bellezza di tre Dee Imperiture!?”

Sapevo che se ne avessi scelta una, le altre mi sarebbero state ostili, ma purtroppo non avevo altra scelta.

Dovevo scegliere una di loro.

Le guardai di nuovo.

Infine mi decisi.

-Bellissime siete tutte voi invero, ed io non ritengo di essere in grado di giudicare con giustizia la vostra eterna bellezza: tutte voi infatti, a mio parere, meritereste la stessa mela d’oro e se io ne avessi tre a disposizione le porgerei contemporaneamente a tutte voi, in modo da non offendere la vostra bellezza ultraterrena con la mia indegna decisione. O se solo potessi, dividerei questa stessa mela che ora tengo in mano in tre parti perfettamente uguali e ve le porgerei simultaneamente. Purtroppo però una scelta mi è stata imposta dal grande Zeus Tonante, signore degli Dei abitatori dell’Olimpo e dei mortali abitatori della terra, e perciò io porgo la mela d’oro a te, Afrodite, figlia di Zeus.-

Lei mi sorrise, mentre le altre due, stizzite, scomparvero.

-Hai fatto la tua scelta col cuore, giovane Paride. Il mio dono arriverà a te molto presto.- detto questo se ne andò a sua volta ed io rimasi lì, ancora incerto su quanto mi fosse accaduto.

Appena un’estate dopo questo avvenimento incontrai Enone.

Era bellissima ed era figlia di un Dio Fluviale.

Me ne innamorai e pensai fosse lei la donna promessami da Afrodite.

La sposai e la invitai a vivere con me nella capanna di mio padre.

Lei accettò.

Abbandonò il tempio in cui era sacerdotessa, suo padre e sua madre.

Tutto questo per stare con me.

Erano ormai alcuni anni che vivevamo insieme, quando era arrivato Ettore a casa nostra e noi non avevamo ancora avuto figli.

Avevo capito che questa era la punizione per il mio giudizio.

Hera, regina degli Dei, mi negava un erede solo perché io non l’avevo giudicata la più bella.

Proprio ora, quando finalmente Enone era rimasta incinta dopo anni ed anni di delusioni, io ero stato costretto ad abbandonarla.

Appena avevo scoperto di essere figlio di Priamo ed ero stato invitato da lui ad abitare a palazzo, avevo capito che non era Enone la donna promessami da Afrodite.

Fu forse per questo che non la invitai a vivere a palazzo con me.

Sapevo che il dono di Afrodite era un altro ed io non volevo rifiutarlo, rischiando di offendere un’altra Immortale.

Così ero arrivato a Troia ed avevo scoperto di essere il figlio del re.

Pensavo che non avrei trovato nessuno sulla mia strada che potesse ostacolare la mia ascesa, quando vidi avvicinarsi a mio padre il re una ragazza più giovane di me di circa due inverni.

Era molto bella, aveva lunghi capelli neri ed un gran paio di occhi castani dorati, come quelli di un gatto selvatico.

I suoi occhi mi misero paura.

Affianco alla ragazza c’era un ragazzo della sua stessa età.

Anche lui aveva i capelli neri e gli occhi dorati.

Dovevano essere gemelli , poiché si assomigliavano molto, troppo per essere semplici fratelli.

-Nobile padre, – disse la ragazza – perché mai tu offri ospitalità ed accogli nel tuo palazzo dalle mura dorate costui, che tu stesso facesti portare via in fasce quando appena la madre l’aveva partorito, affinché venisse esposto sul verde monte Ida, dimora di Dei? Anni fa Esaco caro ad Apollo ti disse che uno dei figli nati da te e da Ecuba dagli occhi belli, nobile figlia di Dimante, avrebbe portato la sacra Troia dalle belle mura alla rovina, ed egli aveva ragione, padre! Costui porterà Troia dalle alte mura alla rovina e alla distruzione. Le fiamme e la guerra la avvolgeranno e nessuno potrà salvarci, quando esse si abbatteranno sulla nostra amata città.-

Il ragazzo si fece avanti e disse:-Mia sorella, la molto nobile Cassandra dai luminosi occhi, ha ragione, regale padre. Perché abbandonarlo sul verde monte Ida, dimora di Ninfe e Dei, per poi riaccoglierlo a Troia dalle mura possenti? Tu, regale Priamo figlio di Laomedonte, dotato di senno e di saggezza, non puoi certo permettere che la più grande rovina si abbatta sulla nostra bella città che gli stessi Dei Immortali edificarono con l’aiuto del nobile Eaco, figlio di Zeus Tonante. Io ti assicuro che sarà una calamità più grande ancora della pestilenza che Apollo Saettatore, signore della luce, adirato dopo l’ingratitudine dimostrata dal sovrano di Troia divina, mandò a devastare Troia dalle belle mura ai tempi di Laomedonte!-

Io non capivo a cosa alludessero.

Capivo solo che quei due non mi volevano lì.

Mio padre li osservò con aria severa.

-Molto mi stupisco di te, nobile Eleno caro ad Apollo Saettatore! Adesso appoggi ciò che dice tua sorella, la bellissima Cassandra dagli occhi luminosi? Pensavo fossi più assennato e che di buon senso fosse dotata la tua mente, ma mi sbagliavo. Ho ritrovato uno dei miei amati figli ed ora non lo posso abbandonare di nuovo, perciò d’ora in poi, il bel Paride abiterà a Troia dalle belle mura come voi, che pure miei figli siete.-

Io mi avvicinai a quelli che, intuii, erano i miei fratelli, e chiesi gentilmente:-Perché mai, nobili figli del regale Priamo, figlio di Laomedonte e sovrano di Troia divina, e di Ecuba dagli occhi luminosi, figlia di Dimante, nonché miei nobili fratelli, io dovrei portare Troia dalle belle mura alla rovina?-

Il ragazzo di nome Eleno si voltò verso di me e fece per rispondermi, ma sua sorella lo anticipò e disse bruscamente:

-Non rispondergli Eleno, caro ad Apollo Saettatore! Se egli è così poco dotato di senno da rimanere a Troia dalle sacre mura e così poco interessato alla sorte della sua divina patria da non andarsene, noi non dovremmo sprecare parole e tempo con lui.-

Detto questo si allontanò, seguita dal gemello.

Io non sapevo cosa dire, ma non avevo certo intenzione di andarmene.

Così rimasi lì.

 

***

 

-Giovane Paride, vieni, presto: nostro padre, il molto nobile Priamo signore di Troia dalle possenti mura, ha convocato il consiglio e desidera che tutti i suoi regali figli vi prendano parte. Sbrigati perciò e non farlo più aspettare.-

-Arrivo subito, nobile fratello, grande Ettore.- dissi io, dopo ciò che mi aveva detto Ettore.

“Chissà perché il nostro regale padre, Priamo figlio di Laomedonte, ci convoca?” mi chiesi “Forse per la consegna di un regalo speciale al nobile Ettore per festeggiare il suo compleanno?”

Difatti Ettore aveva compiuto gli anni il giorno prima.

Mi avviai verso la sala delle riunioni e trovai lì tutti i miei fratelli.

Quando anche io mi fui seduto, nostro padre cominciò a parlare.

-Vi ho chiamati tutti qui, miei amati figlioli, perché mi sono riaffiorati alla mente brutti ricordi di antica data. Difatti molte estati fa, proprio in questo stesso giorno, i Danai bellicosi, vestiti di bronzo, vennero a Troia dalle belle mura. Essi uccisero barbaramente mio padre, il molto nobile Laomedonte, i miei regali fratelli e rapirono le mie belle sorelle. Ed è certo che sarei morto anche io se non fosse stato per mia sorella Esione dagli occhi belli, la quale si offrì come schiava al giovane Telamone, re di Salamina dalle spiagge bianche e figlio di Eaco discendente di Zeus, per salvarmi la vita… – si fermò per un attimo ed infine aggiunse – Io certamente non sarei qui oggi se non fosse stato per lei e per il suo coraggioso gesto, perciò desidero che uno di voi, che siete i miei nobili figli, si rechi a Salamina dalle ampie spiagge dal bel Telamone per recuperare mia sorella Esione dagli occhi belli.-

Tutti noi ci guardammo.

Cinquanta figli maschi aveva Priamo, ma nessuno di quei cinquanta pareva intenzionato ad andare in Grecia, dove i Troiani erano malvisti.

Infine fui io ad offrirmi.

Priamo si illuminò:-Davvero amato figliolo, andresti a recuperare la tua cara zia, la bella Esione dalle fresche gote, nella terra dei crudeli Danai vestiti di bronzo?-

-Sì nobile padre, lo farò se questo potrà procurarti gioia.- risposi io.

-Allora ti farò preparare delle navi veloci , in modo che tu possa partire subito alla volta di Salamina dalle vaste spiagge, regno del bel Telamone, figlio di Eaco.-

Se non fosse stato per la voglia di mio padre di recuperare sua sorella Esione, tutto ciò che è accaduto non sarebbe mai successo…

O forse si sarebbe verificato lo stesso, poiché al Fato non si può sfuggire.

Così, una settimana dopo, partii per la Grecia, intenzionato a ritrovare mia zia Esione.

 

***

Non sapevo da quanto eravamo in viaggio, ma finalmente riuscimmo a scorgere la terra ferma.

Ci guardammo intorno.

-Questa che scorgiamo dinnanzi a noi, miei nobili compagni di viaggio, non può certo essere Salamina dalle larghe spiagge, regno del bel Telamone figlio di Eaco: non è infatti un’isola!- esclamai io, rivolto ai miei uomini.

Essi si guardarono l’un l’altro ed infine uno di loro si fece timidamente avanti.

-In effetti è vero ciò che tu dici, nobile principe Paride, figlio del grande sovrano di Troia dalle belle mura Priamo, venendo qui abbiamo visto l’isola di Creta dalla bianca sabbia, dove regna il grande re Minosse, figlio di Zeus e di Europa dalle bianche braccia. Questo vuol dire che gli Dei ventosi, Noto, Euro, Borea e Zeffiro, ci portarono fuori della stabilita rotta.-

Io sbuffai e chiesi spazientito:-E dove siamo finiti adesso, di grazia?-

-Questa vasta regione dovrebbe essere la bella Laconia, nobile principe Paride, la quale accoglie nel suo seno Sparta dalle belle strade.-

Io mi guardai intorno e poi domandai:-E ditemi amici, che voi sappiate, chi è il re di Sparta dalle belle strade?-

I miei uomini si consultarono e poi uno di loro disse:-Ritengo che il sovrano che governa Lacedemone dalle ampie strade sia il buon Tindaro, figlio di Ebalo.-

-No, ti sbagli: adesso infatti, il vecchio re Tindaro, nobile figlio di Ebalo, ha ceduto il suo trono al genero, il biondo Menelao, fratello del grande re di Micene dorata, Agamennone signore dei popoli.-

-Molto bene, allora ci recheremo a Sparta dalle ampie vie e chiederemo ospitalità al biondo re Menelao, degno genero del buon Tindaro, figlio di Ebalo.-

 

***

 

Risalimmo il fiume Eurota fino a che non scorgemmo le mura di una grande città.

Chiedemmo ospitalità e ci fu accordata.

Ad accoglierci fu Menelao in persona, che fu molto cortese.

Lo osservai.

Era un uomo abbastanza alto, ma esile.

Era più vecchio di me di alcuni anni ma il suo sguardo solare ed ingenuo lo faceva apparire parecchio più giovane.

Aveva i capelli lisci di un biondo scuro, un grande paio di occhi verdi ed il viso imberbe, cosa strana per un uomo della sua età.

-Dimmi dunque, giovane straniero che ho avuto il piacere di accogliere nella mia casa assieme ai suoi nobili compagni di viaggio, chi sei e da dove vieni? Cosa cerchi a Sparta dalle belle strade?- mi domandò più tardi.

-Io sono Paride, figlio del nobile re Priamo, che con giustizia governa su Troia dalle belle mura. La mia meta iniziale, in realtà, non era Lacedemone dalle grandi vie, ma Salamina dalle ampie spiagge, patria di Telamone figlio di Eaco. Mio padre, il nobile figlio di Laomedone, Priamo, mi aveva affidato un compito che io devo portare a termine su quell’isola.-

-Capisco la tua fretta e mi rendo conto perfettamente che tu voglia portare a compimento il compito affidatoti dal tuo regale padre il più presto possibile. Ma fermati presso la bella Sparta dalle spaziose vie almeno per un paio di giorni, figlio di Priamo di Ilio dalle mura gloriose. Io sarò molto lieto di rifornire la tua veloce nave, in modo che tu possa partire per l’isola di Salamina dalle bianche coste, regno del nobile Telamone figlio di Eaco, quando più ti farà piacere.-

Ringraziai ed accettai molto volentieri l’ospitalità.

Rimasi a Sparta per alcuni giorni, durante i quali udii parlare molto della leggendaria bellezza della moglie di Menelao, ma non la vidi mai.

Rimasi nel dubbio per molti giorni, fino a che non fu il marito a richiedere la sua presenza alla nostra tavola.

Quando entrò io rimasi senza parole.

Credei di trovarmi di fronte ad Afrodite in persona, ma poi mi ricordai l’aspetto della Dea e capii che non era lei, ma una presenza femminile altrettanto bella.

I capelli aurei e morbidi erano raccolti sulla testa sotto un diadema dorato.

Gli occhi azzurri erano di un colore strano, che mai avevo veduto prima di allora.

La pelle era bianca come il latte.

Doveva essere più giovane di Menelao di alcuni anni, dato che sembrava avere la mia stessa età.

Teneva per mano una bambina piccolissima.

Le assomigliava molto: doveva essere sua figlia.

Appena ella entrò nella stanza tutti si voltarono e sul volto di Menelao si dipinse un’espressione orgogliosa.

-Dunque, mio nobile amico, degno figlio del grande re Priamo di Ilio dalle alte mura: questa è mia moglie, la bella Elena dalle bianche braccia e quella è la nostra bambina adorata, Ermione dagli occhi luminosi.- si fermò e mi guardò.

-Cosa ne pensi, giovane principe Paride? Ella non è forse bella come te la dipingevano le nobili genti spartane?-

Io annuii, senza staccarle gli occhi di dosso.

-Sì, nobile re, che con giustizia governi Lacedemone gloriosa in guerra. La tua amata consorte, la nobile Elena dalle bianche braccia, è proprio bella come me l’hanno descritta le genti di qui, se non di più.- dissi io.

Poco dopo il marito le fece un cenno e lei venne a sedersi accanto a lui, con in grembo la piccola Ermione.

Le tenni gli occhi addosso tutta la sera.

Il marito non se ne accorse, ma lei sì, ed infatti cercava di non guardami, con notevole imbarazzo.

Avevo capito.

Il dono promessomi da Afrodite era lei: Elena.

Ormai avevo deciso: Elena sarebbe stata mia!

  
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