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Autore: Blackbird_    01/06/2013    2 recensioni
Chomsky è un famoso linguista statunitense. Ferretto è un professore italiano di Filosofia del linguaggio.
Ferretto è segretamente innamorato di Chomsky, ma è arrivato il momento di dichiararsi.
Chi ha studiato linguistica almeno una volta nella vita capirà il senso dei discorsi del "carissimo" Noam Chomsky.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Noam Chomsky era ancora intento a sistemare le scartoffie cartacee sulla sua scrivania nonostante fosse davvero molto tardi. Si sistemò i grandi occhiali sul naso, passò la mano sulla sua già evidente stempiatura e iniziò a grattarsi la testa. Tutti quei fogliacci e quelle richieste di partecipazione in vari tomi di linguistica lo infastidivano. Nel gettare tutto nel cestino della carta, senza degnare nessuno di una risposta, lasciò cadere lo sguardo sull’orologio che teneva sulla scrivania di legno scuro: era davvero troppo tardi. Gettò la maggior parte dei fogli che ancora si trovava davanti, ne conservò un paio richiudendoli in una cartellina verde fosforescente che richiuse accuratamente nel primo cassetto.
Il silenzio del suo lavoro venne interrotto dal rumore di nocche sulla grande porta di noce del suo ufficio.
“Avanti” urlò sbuffando. Perfetto, altro lavoro da fare. Tutto quello che voleva fare in quel momento era lasciare la sua stanza, allontanarsi a grandi passi dal MIT, tornarsene a casa e sdraiarsi sul divano per oziare il resto della serata. Avrebbe accettato di vedere anche un qualsivoglia documentario su Alex, il pappagallo parlante, o anche di Kanzi, lo scimpanzé in grado di comunicare con gli umani, pur di non dover restare dentro l’università un solo minuto di più.
Un ometto magro e quasi del tutto pelato fece il suo ingresso nella stanza. Titubava ad ogni passo, e ad ogni passo il suo sorriso gioviale si tramutava in una smorfia di dolore. Era in preda ad una colica, forse?
“Oh, Francesco Ferretto! Qual buon vento?” lo accolse il linguista. Il suo tono ironico fece svanire anche la smorfia di dolore dal volto del disturbatore, che ora appariva più serio che mai. Lo guardò divertito mentre si contorceva le mani, quasi compiaciuto da tutta l’ansia che procurava nell’uomo appena entrato.
“Senti, Noam. Dobbiamo parlare” prese coraggio il Ferretto. Chomsky sgranò gli occhi. Erano state rare le volte con cui il suo interlocutore si era rivolto a lui chiamandolo unicamente per nome.
“Ma certo, Francis, dimmi pure” replicò a mo’ di sfida. La sua presenza lì dentro lo infastidiva quasi più di un branco di darwinisti invasati.  Incrociò le braccia, spazientito dalla lunga attesa. L’uomo davanti a sé non sembrava più molto convinto a voler parlare. Ogni qual volta provasse ad iniziare il discorso, tornava sui suoi passi e taceva, ritrovandosi a boccheggiare come un ubriaco sul punto di vomitare.
“Io ti amo, Noam. Ti ho sempre amato. Senza di te mi sento come un discorso senza il radicamento al contesto. La mia vita non ha pertinenza senza di te. Non riesco più a tenertelo nascosto, mi dispiace” sproloquiò Ferretto senza nemmeno prendere fiato. Chomsky sentì un calore inaspettato riempirgli le interora. Era sconvolto da quel discorso o era solo lo stomaco che stava iniziando a digerire la cena?
“Non tenere tutto dentro di te, esprimiti” lo pregò l’interlocutore, evidentemente imbarazzato per ciò che aveva appena detto. Il suo sorriso affiorò nuovamente, speranzoso.
Chomsky sbuffò, distogliendo lo sguardo dall’uomo nel suo ufficio. Era ufficiale, lo stomaco aveva iniziato il suo lavoro.  Tirò fuori dal primo cassetto della scrivania una cartellina giallo shocking. Il post-it appiccicato alla meno peggio su di essa recitava “RISPOSTE”. Ne estrasse un foglio qualsiasi, consapevole che fossero tutti uguali, e lo consegnò a Ferretto.
“Su, leggi” lo intimò, con un sorrisetto cattivo a padroneggiare sul suo volto rugoso.
“Non sono interessato all’argomento, chiedi pure a Fodor, lui saprà sicuramente esporti meglio le cose sotto il mio punto di vista” lesse con voce fioca Ferretto. “Cosa vuol dire?” domandò infine, con voce tremante. Stava davvero per scoppiare a piangere.
Chomsky scattò in piedi, furente, battendo le mani sulla scrivania scura. “E’ una perdita di tempo. Il nostro amore è come l’evoluzione del linguaggio: non esiste! Va contro la mia teoria! Tanto peggio per il nostro amore, Francesco!” gridò, voltando il capo da un lato. Non poteva più vedere quell’uomo negli occhi.
Una lacrima scese dagli occhi di Ferretto. “Tanto peggio per Chomsky, allora!” singhiozzò, e svanì via oltre la porta.



Angolo autrice:
Perdonate lo sclero. Chi conosce Chomsky capirà...!

   
 
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