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Autore: Arimi_chan    02/06/2013    5 recensioni
"Un libricino che mi sono portato dietro nell'intento di passare il viaggio in buona compagnia, cade sul pavimento del vagone, costringendomi così a raccoglierlo velocemente.
Una busta stropicciata esce dall'ultima pagina, facendomi sorridere al solo ricordo.
E’ nato così, qualcosa che ancora non riesco a definire, per una lettera mandata per sbaglio."
Fanfic da diabete, estremamente romantica. Protagonista.....a sorpresa =)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Gotta be you.

                                  
 
 
“La vita è una continua ricerca,
un giorno infinito di ore in cui ci si addormenta...”

 
POV …
Dormo. Un rumore mi strattona sul posto, facendomi svegliare in malo modo. I vetri oscurati, l'aria leggermente fresca, la gente intorno a me in silenzio.
Scorrono immagini, mentre il treno continua la sua corsa. I pensieri invadono la testa,  e il mio sguardo rimane fisso sul cellulare muto.
Attimi di solitudine in cui ci si fa forza per inventare nuove creatività nel profondo, che diano l'input per ricominciare il percorso con forza.
Capita, a volte, di arrivare in quel punto imprecisato della nostra vita, dove quanto ci è familiare e rassicurante ci viene meno; ci si fanno domande e si sottolineano desideri.
Il mio riflesso nello sfondo scuro del cellulare che non dà segno di vita, suggerisce una solitudine che tuona il bisogno di amare ed essere amati. Un senso di smarrimento.
Non servono né maglioni né coperte quando il gelo è dentro il cuore... Forse è la fermata giusta per ricominciare.
È bello fuggire se ti sembra giusto e lo vuoi: mentre chiudi la porta alle spalle, ti senti più vivo.
Il treno, il viaggio in sé, è sempre una lunga promessa. Ma quando questo si muove, il vagone diventa una gabbia senz'aria, il domani un tunnel che ti condurrà chissà dove.

Cos'è che mi trasmette questa strana inquietudine? Cosa c'è nell'aria che mi fà vibrare? Perché anche il buio della sera ha i suoi occhi?
Le stelle sembrano tenermi compagnia, nel lungo viaggio che mi cambierà completamente.
Non ho mai avuto la fortuna di prendermi qualche giorno solo per una breve vacanza. Però l'amo.
Amo viaggiare con la mente, pensare a quanto sia bello incontrare nuova gente. Amo sentirmi osservato da occhi indiscreti che si chiedono chi sia quel pazzo che abbia messo piede in una simile città.
Non ho mai avuto la possibilità di spostarmi da casa, se non per cambiare nazione quando i miei non poterono più pagare l'affitto mensile. Ma quello non è stato di certo un bel viaggio.
Poso il cellulare nel borsone, consapevole del fatto che non avrebbe mai suonato fino al mattino seguente, quando mia madre si sarebbe chiesta dove fossi finito, così, senza dirle nulla.
Un libricino che mi sono portato dietro nell'intento di passare il viaggio in buona compagnia, cade sul pavimento del vagone, costringendomi così a raccoglierlo velocemente.
Una busta stropicciata esce dall'ultima pagina, facendomi sorridere al solo ricordo.
E’ nato così, qualcosa che ancora non riesco a definire, per una lettera mandata per sbaglio.
Un giorno, circa un anno e mezzo fa, ricevetti una lettera da uno sconosciuto. Parlava di una casa al mare, di quanto fosse bella la vacanza alle isole Vergini, che la stava facendo cambiare radicalmente.
Candice.
Era questo il nome con cui si era firmata alla fine della lettera. La rilessi un paio di volte, memorizzando e apprezzando la perfetta calligrafia della ragazza. Poi finalmente decisi di risponderle e spiegarle il disguido.
Aspettai la risposta nei giorni seguenti con il cuore in gola. I miei mi presero per pazzo, ma non prestai attenzione ai loro commentini.
Nemmeno io sapevo perché provassi tanta agitazione per una risposta che magari non sarebbe nemmeno arrivata; forse stavo cercando solo qualcosa che mi avrebbe sconvolto la vita. Ed io ci speravo in quella lettera. Le cose non capitano mai, così, per caso.
Passò un mese, quando il postino mi fermò in mezzo alla strada dal ritorno dell'ultima lezione di fisica all'università di biochimica cui frequentavo i corsi, porgendomi una busta con un indirizzo che non riconobbi subito.
Appena tornai a casa, gettai stancamente la borsa ai piedi del letto, stendendomi poi sul morbido materasso che mi cullò nelle ore successive. Poco dopo mi venne a chiamare mia madre, con la scusa della cena pronta in tavola.
Mi alzai di malavoglia, e d'improvviso ricordai di aver lasciato qualcosa di incompiuto: non avevo letto ancora la lettera che il postino mi aveva dato.
Allora la recuperai velocemente, sperando che fosse quella risposta che tanto attendevo da tempo.
Mi diedi dello sciocco da solo; poteva essere di tutto, quella busta: da semplice posta ad una risposta negativa del luogo in cui avevo mandato qualche curriculum per lavoro.
Il cuore aumentò i battiti; sembravo un ragazzino alle prese con una cotta, la prima. Poi lessi il suo nome... Candice. E mi sentii leggermente mancare.
Si scusò sinceramente, ripetendomi varie volte il suo essere sbadata. Mi raccontò un po’ di lei, della sua vita e del perché di quella lettera: era indirizzata alla nonna, una mia ex vicina di casa, ma per distrazione aveva scritto il numero civico sbagliato. Il mio.
Le risposi immediatamente, dicendole che non ci fosse nessun motivo di scusarsi. A volte le cose belle nascono per coincidenza. E diventammo amici di lettera.
Mi raccontò della sua, allora, cotta per Steve, un ragazzo trasandato che non la degnava di uno sguardo. Mi raccontava di tutti i pianti davanti allo specchio, dicendomi di vedere una brutta persona riflessa in esso.
Io invece me la immaginavo bella, i capelli sempre raccolti in una disordinata coda, intenta a studiare a fatica per l'esame di storia romana, l'unica materia che detestava con tutto il cuore. Tanto alla fine morivano tutti, questa era la sua teoria.
Me la immaginavo salire sulle punte durante le dure ore di danza classica che seguiva. Mi aveva raccontato felicemente il suo primo saggio di danza tenutosi durante la festa del suo paese, nelle località vicino Londra.
Ricordavo perfettamente quando mi scrisse di esser stata sbattuta fuori dall'aula di matematica per la prima volta; era la sua materia preferita, ed essere cacciata dalla classe qualche giorno prima dal sostenere l'esame di quella materia la fece sentire, in un certo senso, ribelle. Ed era solo all'inizio della sua carriera universitaria.
Facevamo spesso confronto tra i nostri gusti, ci chiedevamo i pareri su qualcosa di importante, cercavamo di consolarci con il solo supporto di un pezzo di carta e una penna. Amavamo sentirci così vicino a qualcuno anche se in realtà non lo eravamo per niente. Divisi da chilometri, vicini col pensiero.
E la sua voce? Oh, l'apparecchio telefonico non le rendeva giustizia. La voce era sempre bassa ma candida; aveva un acuto che portava ogni volta un sorriso sulle mie labbra.
Stavo minuti, ore al telefono con lei; mi piaceva sentirla ridere e immaginarmela arricciare il naso, mentre gli occhi le brillavano felici.
Fu grazie a lei che decisi di farmi avanti e spiegare ai miei genitori che avevo intenzione di diventare un famoso biologo marino. I miei, purtroppo, non potevano aiutarmi a livello economico e così dovetti per prima cercarmi un lavoro. Fu la prima a sapere della mia promozione dopo solo il primo mese; fu la prima a sapere della lavatrice che regalai a mia madre come per ringraziarla per tutto quello che mi aveva dato fino ad allora. Lei sapeva tutto di me e io sapevo tutto di lei.
Sapevo.
Un giorno decisi di dire tutta la verità, di rischiare e di rompere tutta quell’ armonia, quell'amicizia che si era creata dicendole che finalmente avevo conosciuto la mia ragazza ideale. Aspettai con ansia la lettera di risposta, con una strana aria fiera e felice stampata sul volto. Ma la verità è che non arrivò mai, facendomi pensare che avessi rovinato tutto per il mio solito egocentrismo.

 
POV Candice
Ho sempre amato la pioggia, quel lento ticchettare sulle finestre, quel profumo dolce e rinfrescante, la sensazione che dopo una brutta giornata uscirà un sole splendente pronto a rischiarare le lunghe giornate primaverili. Mi piace starmene tranquillamente sul divano del mio appartamento, con una tazza di thé alla vaniglia, il mio preferito, a leggere un buon libro, meglio se un grande classico della letteratura inglese.
Se c’è una cosa che, invece, odio, è essere disturbata in questi momenti di profonda pace che provo durante un temporale.
Purtroppo però, bussano alla porta e la morale dice che dovrei alzarmi ed andare ad aprire allo scocciatore.
Quello che mi trovo davanti è un uomo bassino e paffuto, con qualche capello bianco, con indosso un’uniforme bianca con dei particolari catarifrangenti di colore verde. In poche parole, il postino.
“Buongiorno, Lei è la signorina Sullivan?” Mi chiede con forte accento londinese.
“Si, mi dica.”
“C’è un pacco per lei, dovrebbe mettermi una firma qui.” Mi dice indicandomi un foglio di carta.  Prendo la penna che, gentilmente, mi offre e firmo le carte.
“Ecco a lei” mi dice porgendomi il pacco “e c’è anche questa cartolina. Grazie e arrivederci.” Mi saluta facendo un cenno con il capo.
Lo saluto e lo ringrazio a mia volta, e subito decido di vedere chi mi ha scritto.
Noelle, la mia migliore amica. Appena laureata in medicina, sta facendo un viaggio studio a New York. Ed è proprio da lì che è partita anche la cartolina.
Apro il pacco, e trovo la felpa dell’Hard Rock Cafè che desideravo tanto.
Felice del regalo ricevuto, decido di conservare la cartolina nel mio scatolo di latta, in cui conservo le più belle cartoline della mia collezione.
Entro in camera mia e velocemente apro l’armadio, forse con un po’ troppa foga, sta di fatto, però, che mentre prendo la scatola, ne urto un’altra ed il suo contenuto si sparpaglia, come una gigantesca macchia bianca, sul pavimento della camera. Per qualche secondo resto a fissare tutte quelle lettere, sperando che non si siano danneggiate, poi mi abbasso e decido di raccoglierle, ed i ricordi mi vengono sbattuti in faccia, come un lunghissimo, quanto corto flashback.
Lo avevo conosciuto per caso, da una lettera arrivata ad un indirizzo sbagliato. Lui mi aveva risposto,  e così ho fatto anche io, e dopo pochi  mesi di risposte eravamo arrivati al punto di doverci sentire il più spesso possibile, che fosse una lettera, o una semplice telefonata, perché si, ci sentivamo anche per telefono ultimamente, mi migliorava la giornata. Aveva una calligrafia chiara e facilmente comprensibile, la sua voce, invece, era calda ed avvolgente, un porto sicuro in cui rifugiarmi se venivo assalita dalle tempeste della vita. Apprezzavo tutto di lui: le sue risate, il suo accento, la sua voce allegra e melodiosa, quando era felice, o bassa e seria, quando, per esempio, mi parlò del suo sogno di diventare biologo marino. In un anno eravamo cresciuti insieme, eravamo diventati grandi ed autonomi, e con il passare del tempo mi sorprendevo sempre di più del fatto che mi fidassi completamente di uno sconosciuto.  Ma la verità era che mi stavo, lentamente, innamorando di una persona che non avevo mai visto in vita mia, e nonostante la cosa mi agitasse parecchio,  ne ero completamente affascinata.
Per un anno abbiamo continuato questa bellissima corrispondenza, era diventato un punto cardine della mia vita, il mio migliore amico, quella persona di cui ti fidi incondizionatamente. Peccato però che la sua ultima lettera mi abbia lasciato piuttosto perplessa, con un senso di vuoto e smarrimento. Promisi a me stessa che un giorno gli avrei risposto, e invece son passati 4 mesi. Ho cambiato anche numero di telefono,  sono praticamente scomparsa per lui, e non c’è cosa che mi ferisca di più al mondo, perché ho bisogno di lui come ho bisogno dell’ossigeno. Prendo una lettera a caso e inizio a leggerne dei pezzettini.

“[…] L’esame è andato benissimo, sai? Con molte probabilità riuscirò anche a laurearmi in anticipo, e sto risparmiando molti soldi per riuscire a pagarmi un viaggio per l’Australia, sarebbe il mio sogno. Perché non vieni con me? Tra escursioni ed immersioni ci divertiremmo come  pazzi.”
Mi sarebbe piaciuto seguirlo, vedere nei suoi occhi lo stupore e la felicità per quel nuovo mondo che desideravamo vedere. Ripiego il pezzo di carta e lo infilo nella sua busta, poi, prendo un’altra lettera.

“[…] Candice, davvero, lo dico per te. Smettila di farti paranoie inutili. E’ vero, non ti ho mai vista, ma a me piaci così, sei una persona fantastica e non hai bisogno di perdere quei maledetti cinque chili. E poi, non lo sai che gli uomini preferiscono la carne alle ossa? =)”
Ero giù di morale in quel periodo, stress da esame universitario, e come prova del mio grande studio, avevo preso qualche chilo, e mi sentivo scoppiare perché non vedevo la vecchia Candice allo specchio. Solo ora mi rendo conto che la vecchia Candice ha smesso di esistere da quando ha conosciuto quell’uomo stupendo. Rimetto da parte anche questa e poi decido di prendere l’ultima lettera che ho ricevuto.
“[…]E poi volevo raccontarti di Sandra.  E’ una ragazza che frequenta i miei stessi corsi, ci siamo conosciuti dopo un esame e adesso ci vediamo due o tre volte a settimana. Penso che mi piaccia, che sia quella giusta, nonostante non stia sentendo le famose farfalle nello stomaco. Però mi sento felice e voglio seriamente provarci con lei. Tu che ne dici? Aspetto una tua risposta, un bacio.”
Una lacrima solitaria esce prepotentemente dal mio occhio destro. Nonostante siano passati quattro mesi, non riesco a togliermi dalla testa quelle parole, e la cosa peggiore è quando il mio cervello le rielabora  e mi sembra di sentirlo. Lui, che al telefono parla di Sandra, nonostante non sia mai successo. Con rabbia mista a delusione e tristezza raccolgo le lettere e le metto da parte, chissà un giorno potrei anche rispondergli e dirgli la verità, dirgli che mi ero innamorata di  lui, grazie alla sua voce e alle sue parole.
Dopo aver sistemato le lettere, la cartolina e la felpa, decido di guardare un film. Prendo una coperta e mi stendo sul divano cercando di prestare attenzione ai due protagonisti che cercano, invano, di non farsi trasportare da una squallida storia di sesso.


Mi sveglio due ore dopo affamata  e affranta. In fondo quel film mi interessava. Decido di sistemare il salotto e, subito dopo, di prepararmi una bella cioccolata calda.  Mi muovo agilmente tra gli scaffali ed i mobili della cucina, finché non noto, dalla finestra, una figura, osservarmi dal giardino.
Il cuore mi batte all’impazzata, che sia un assassino? O uno stalker? Decido di ignorarlo e di calare la tenda per sentirmi meno osservata.

Dopo aver preparato, e mangiato, la mia cioccolata, porto la tazza in cucina e la poggio delicatamente nel lavello. Scosto di poco la tenda e scopro che il ragazzo è ancora lì a fissarmi.
Infastidita decido di uscire fuori e fare due chiacchiere con il visitatore molesto.
Esco dalla porta principale e vedo lui guardarmi con ammirazione. Ancora più nervosa decido di rivolgermi a lui.
“Scusa, posso sapere cosa hai da guardare?” Dico posizionandomi di fronte a lui a braccia incrociate.
“Tu sei Candice, giusto?” Mi chiede lui con voce tremante. Una voce che già ho sentito, ma dove?
Annuisco facendo un cenno con la testa.
“Sono felice di incontrarti, finalmente.” Inizia il discorso. Vedo le sue guance diventare di una tenera sfumatura di rosso e lo sguardo rivolto all’erba del mio piccolo giardino.
“Ci conosciamo?” Chiedo ancora più irritata, chiedendomi mentalmente se il giovane mi stia prendendo per i fondelli.
Lo vedo intristirsi, come se il fatto che io non mi ricordi di lui sia grave.
“Si, ci conosciamo. Non ci siamo mai visti, ma so tantissime cose su di te.”
Adesso si che sono convinta a rientrare in casa. Ci mancava solo lo psicopatico, oggi.
“Ascoltami, io non so chi tu sia, ma ti conviene smammare, prima che chiami la polizia.” Dico voltandogli le spalle e avviandomi verso la porta di casa.

“Lei non è la donna della mia vita, Candice. E l’ho capito solo quando non ho più potuto sentire la tua voce, quando non ho visto nessuna lettera arrivare a casa. Sandra fa già parte di un capitolo chiuso della mia vita.”
Mi giro di scatto, incredula alle parole che io stessa sono sicura di aver sentito.
“T-tu…Oh mio Dio, non ci credo. Che cosa ci fai qui?” Non so se sentirmi triste, felice, arrabbiata, nauseata, delusa o tradita, troppe emozione tutte insieme.
“Sono qui per inseguire il mio sogno.” Dice guardandomi negli occhi.
“La facoltà di biochimica migliore del Regno Unito si trova a Manchester, non a Londra, non lo sapevi?” Chiedo stizzita.
“Sei informata, vedo. Comunque non parlavo della facoltà, parlavo di te.” Mi risponde, dando maggiore enfasi alla parola “te”.
Vorrei saltargli al collo, ma mi contengo, ho paura che per la prima volta non sia sincero con me. In effetti, chi mi garantisce che in un anno lui non mi abbia raccontato un mucchio di frottole?
“Candice, io…ti prometto che accanto a me non soffrirai, non una lacrima uscirà dai tuoi occhi, la paura ti diventerà sconosciuta, lo giuro.” E’ terribilmente serio mentre pronuncia queste poche parole ed io rimango impalata, come un sasso, al mio posto, senza parlare o fiatare, mi è difficile addirittura percepire il mio stesso respiro.
“Ascolta, so di averti delusa, di averti fatto del male, e so benissimo che non lo meritavi, perché sei l’essere più bello e perfetto che abbia mai incontrato in vita mia, ma per favore, possiamo riprovarci ancora una volta?”
Ormai non riesco più a contenere i lacrimoni che spingono per uscire. In poco tempo mi trovo con la vista appannata e le sue parole, a ripetizione, nel cervello.
Cautamente si avvicina e porge una mano verso il mio braccio, appena lo sfiora sento tutte le mie difese crollare, come un castello di sabbia, e, come nei miei sogni più segreti, mi stringo a lui e sfogo mesi di frustrazione  e angoscia, di tristezza e malinconia. Le sue braccia sono abbastanza forti e lunghe da riuscire a  stringermi perfettamente. Mi bacia delicatamente la tempia, poi con un dito, mi fa alzare il volto e mi intima a guardarlo negli occhi.
“Resta con me.” Sussurro quasi fosse una supplica.
“Fin quando mi vorrai al tuo fianco, io ci sarò. Prima però, c’è una lettera che non ho mai avuto il coraggio di inviarti, e vorrei che la leggessi.”
Si scosta di poco da me e dalla tasca del suo borsone ne estrae una lettera piuttosto sgualcita. Con mani tremanti me la passa ed io, con molta calma e delicatezza, quasi avessi tra le mani una reliquia, la apro ed inizio a leggere. Risale a due mesi fa.

“Mia cara Candice,
per la prima volta non so cosa dirti, e spero riuscirai a perdonarmi. Ho sbagliato, lo so, non avrei dovuto correre con Lei, e non avrei dovuto lasciarti scappare così in fretta. Mi manca ogni cosa di te, anche la più insignificante, anche il tuo vizio di bere il thè mentre parli al telefono, o le tue paranoie universitarie.  Il vizio di mangiucchiarti le unghie quando sei nervosa o le tue “O” piene e tonde in quei pezzi di carta che custodisco gelosamente. Spero di vederti un giorno e di riuscire a parlarti, magari davanti ad una cioccolata calda, bianca possibilmente, giusto? Per adesso, posso solo sperare in una tua risposta. Ma stavolta voglio lasciarti dicendoti quello che avrei dovuto dirti tanto tempo fa. A presto Candice, un bacio.

                                                                                              Ti amo, tuo per sempre, 
                                                                                                        Zayn Malik.

 

Nota delle autrici: 
Buonsalve a tutti. Chi vi parla qui, sono Simona e Sofia ( in love with horan). Speriamo possa piacervi, e che ci facciate sapere il vostro punto di vista, positivo o negativo che sia. Vi ringraziamo in anticipo.
Prima però, una delle immagini che ci ha ispirato. A presto =) Simmy&Sofia.     




                                   
   
 
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