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Autore: thebrightstarofthewest    05/06/2013    5 recensioni
"La strada scorreva buia e silenziosa sotto le ruote dell’auto, mentre il vento penetrava violento e freddo dal tettuccio aperto. La notte era oscura e, per quanto si guardasse attorno alla ricerca di un segno di vita, i suoi occhi non riuscivano a cogliere niente, se non altro asfalto, altra desolazione."
La mia primissima fanfiction dedicata al mio preferito, Bruce Springsteen. La storia è tratta dal testo della canzone Valentine's Day ed è, ovviamente, di mia invenzione. Spero vi piacerà.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La strada scorreva buia e silenziosa sotto le ruote dell’auto, mentre il vento penetrava violento e freddo dal tettuccio aperto. La notte era oscura e, per quanto si guardasse attorno alla ricerca di un segno di vita, i suoi occhi non riuscivano a cogliere niente, se non altro asfalto, altra desolazione.
 Un brivido lo percorse, insidioso e repentino come la lama di un pugnale. Una gocciolina di sudore freddo gli attraversò la fronte, scivolò giù per la guancia.
 Aveva paura. Non sapeva bene di cosa, ma sentiva l’inquietudine e lo spavento divorargli le membra, dilaniarlo senza pietà. Ad ogni metro aumentava, lo colpiva seccamente, cresceva. Serrò le mani sul volante, come per farsi coraggio.
La strada pareva interminabile. Una lunga linea nera, dritta come un fuso.
All’improvviso si chiese da quanto stesse guidando, e la paura lo sovrastò con maggior violenza. E poi, soprattutto, perché stava guidando? Perché non poteva fare manovra e scappare? Non voleva più sentire quell’ansia su di sé, voleva tornare ad essere libero; ma sapeva di non potere: anche se non ne era certo, percepiva un’aura come magnetica provenire da lontano, chiamandolo per nome. Quell’urlo, quel richiamo gli rimbombava nelle orecchie, pulsava a ritmo con il sangue nelle sue vene, rendendolo sordo ad ogni altro suono.
D’un tratto il paesaggio cambiò, cogliendolo alla sprovvista. Nell’oscurità fredda di quella notte senza stelle, pallide sagome cominciarono a disegnarsi attorno alla strada. Dritte, cupe e diroccate, apparvero ai suoi occhi delle piccole abitazioni, corrose e spezzate dal tempo e l’abbandono.
Il richiamo si fece più forte, così come i battiti del suo cuore. Strinse i denti e socchiuse gli occhi, ma ogni sforzo fu vano contro quel lontano urlo straziante. Poteva solo continuare, continuare a correre su quella strada polverosa e trovare la voce.
Gli edifici intanto allungavano le loro ombre tremolanti sul percorso, facendolo quasi apparire cosa viva. Si rese solo allora conto di quello che veramente voleva fare in quell’istante: non era tanto scappare, né tantomeno inseguire quel qualcosa la cui esistenza neppure era certa. Voleva solo tornare a casa.
Voleva rivedere il vialetto di casa, voleva aprire la porta di casa, respirare quell’aria familiare che adesso appariva così lontana ed irraggiungibile. Ma riflettendoci, qual era poi più la sua dimora? Da quanto non si sentiva più a proprio agio fra quelle sue quattro pareti?
I pensieri cominciarono a fluttuargli nella mente, apparendo e scomparendo, sfiorandolo appena. Si abbandonò ad essi e chiuse gli occhi. Non gli importava più della strada, voleva sprofondare nelle proprie riflessioni, spaventato solo dal fatto che, sprofondando, si poteva anche annegare.
Ripensò a suo padre, a quante volte gli aveva urlato in faccia, lo aveva odiato, in quella che aveva chiamato casa.
Ripensò a sua madre, ai sorrisi pacati e rassicuranti che gli regalava, in quella che aveva chiamato casa.
Ripensò a quella donna a cui aveva giurato eterno amore e con cui adesso nemmeno più parlava, in quella che chiamava casa.
Il rombo del motore d’improvviso sovrastò ogni altro rumore, le ruote correvano così rapide che sembravano volare. Sì, volare, via di lì, via di lì.
Non era più un’automobile quella, era come una locomotiva. A sbuffi si portava avanti, la velocità lo schiacciava contro il sedile, gli occhi ancora serrati.
Non poteva frenare. O forse non voleva.
L’impatto arrivò, violento. Non sapeva come, sapeva solo che la macchina si era scontrata contro qualcosa e non avrebbe più volato. O forse adesso avrebbe volato per sempre.
I suoi occhi rotearono indietro, sentì ferite aprirsi, fuoco avvampare, il sangue scorrere fra le dita, giù per i vestiti, tra i capelli. Sangue in bocca, il suo gusto amaro sulla lingua… L’ultimo respiro…

Si svegliò d’improvviso, scattò in avanti con gli occhi spalancati.
Le lenzuola attorno a lui erano madide di sudore freddo, il suo sudore. La stanza era silenziosa e buia; solo la pallida luce della luna penetrava dalla finestra. Di auto in fiamme e sangue non vi era alcuna traccia.
Passò le mani sul proprio corpo, studiandolo con attenzione. Non vi trovò alcuna ferita.
Respirò profondamente, ancora scosso, il battito del cuore che non accennava a rallentare. Era solo un sogno, di nuovo. Come la maggior parte delle notti. Solo un incubo.
Una mano piccola e gracile si posò sulla sua spalla.
“Amore, tutto bene?”, sentì dire da una voce pacata e dolce, “Stai bene?”.
Bruce sorrise, andando a stringere quella fragile mano nella sua. Si girò di lato e la vide: non era sua moglie, era Patti, quella donna che tanto amava, in un bagno di luce lunare, bianca come la neve, gli occhi verdi che risplendevano.
“Tutto bene”, bisbigliò in risposta, “Davvero. Solo… solo il solito incubo”.
Lei gli accarezzò il viso e lo baciò delicatamente sulle labbra. Lui la strinse forte, come se non si fosse mai dovuto più staccare. Poi scostando appena il viso si rese conto di star piangendo.
“Tesoro”, lo chiamò allora e tenendogli il volto con dolcezza, “Era solo un sogno. Lo hai detto tu, no? Vieni a dormire adesso. Andrà tutto bene”.
Si distesero, abbracciati, le guance a contatto, la mani intrecciate, i corpi vicini. Lui si mise ad ascoltarla respirare mentre riprendeva sonno, lì, in quel letto colmo di peccato e d’amore, quel letto che condivideva con l’amore della sua vita, ma non con sua moglie, in quel letto in cui tradiva ma ritrovava se stesso, e si pose delle domande. Si chiese soprattutto se alla fine di quella dannata strada ci sarebbe mai arrivato, una notte. E se avrebbe mai trovato le risposte che cercava.
“Finché hai lei fra le tue braccia, hai tutte le risposte che cerchi”, sentì una voce sussurrare in lontananza.
“Finché ho te fra le braccia, ho tutte le risposte che cerco”, ripeté, mentre gli occhi gli si chiudevano, “stringimi forte, dimmi che sarai sempre mia”, continuò mentre il sonno lo coglieva, “e dimmi che sarai sempre la mia unica anima gemella”.
Il sonno lo portò via con sé, quando era ancora così insicuro, pieno di dubbi e domande. Ma con l’amore come più grande certezza.

  
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