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Autore: Ilune Willowleaf    07/06/2013    0 recensioni
[Yuusha-Oh GaogaiGar]
[Yuusha-Oh GaogaiGar]I membri del GGG, dopo l'arco narrativo di Yuusha-Oh Gaogaigar Final, sono a centinaia di migliaia di anni luce di distanza dalla Terra. Ma torneranno, prima o poi, vero? Io dico di si.
E per qualcuno, tutto quel tempo passato nello spazio, avrà cambiato molte cose.
Renée Shishio Cardiff, giovane cyborg dal passato tormentato e dal pessimo carattere dietro un visino adorabile e una insana passione per il rosa, ha trovato nel cyborg alieno guerriero Soldato J un'anima gemella, e questo legame, nato sul campo di battaglia, cresce come può crescere qualcosa tra due persone assolutamente inesperte dell'amore e, nel caso di Soldato J, anche dei rapporti umani!
Ma non c'è pace per gli eroi: tornati sulla Terra, ci sono sempre nemici da combattere, e il GGG li combatterà sempre, affiancato ora anche dal Soldato J e dalla J-Ark, la sua corazzata/mecha!
NOTA: questa fanfitcion è estremamente lunga. I capitoli sono lunghi. I tempi di scrittura sono MOLTO lunghi. Lettore avvisato, mezzo salvato ^_-
NOTA 2: Renée NON è un pg originale! Appare nei romanzi, nei fumetti e negli OAV, e la coppia con Soldato J è praticamente canon alla fine degli OAV!
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo -2 - confidenze

Quel poco che era stato possibile recuperare delle astronavi componenti la Stazione Spaziale non conteneva i pezzi di ricambio dei Brave Robots, che si erano rassegnati a passare un anno come semplici A.I. allineate sul ponte di comando della navicella. Almeno, potevano fare quattro chiacchiere tra di loro e con gli umani. Piggy, che era l’unica robot ad essere ancora intatta (per la semplice ragione che non era un robot da combattimento, ma un robot-cameriera, anche se alta tre metri e mezzo) aveva chiesto che la sua AI venisse separata dal corpo e di essere messa assieme ai brave robot sul ponte, perché lì fuori non avrebbe avuto altro da fare che disattivarsi, e Entouji l’aveva fatta mettere accanto a Volfogg; la piccola AI bianca ogni tanto emetteva i suoi “bip-bip” che erano il suo linguaggio in un modo che poteva essere definito solamente “molto soddisfatto”.
Erano stati stabiliti i turni di utilizzo della stanza mensa e delle stanze per il riposo, e quindi non c’era molto altro da fare che girarsi i pollici per i successivi mesi necessari all’autoriparazione della J-Ark.
Taiga sapeva che, per quanto quelle quaranta persone fossero tutti amici, oltre che colleghi, una simile situazione di inattività e vicinanza forzata poteva diventare pericolosa. Per questo, neanche ventiquattro ore dopo il lieto annuncio dato grazie alle notizie portate da Soldato J, si stava consultando col professor Liger.
-Non sarà una cosa facile convivere così a lungo in uno spazio relativamente ristretto. - stava dicendo al professore.
-Già, già. Per fortuna la maggior parte dei presenti sono scienziati di qualche tipo. Potrei spronarne parecchi a dedicarsi allo sviluppo di modelli teorici, o qualcosa per cui bastino i portatili che abbiamo a bordo. -
-Il problema è per coloro che non sono scienziati…- Taiga si riferiva a sé e alle altre tre-quattro persone che non potevano trovare svago nel progettare o creare programmi.
-Se non ricordo male, abbiamo anche una bella scorta di mazzi di carte, oltre che una grossa biblioteca, audioteca e videoteca digitali. Ah, ho fatto bene a insistere perché venissero caricate a bordo!-
Taiga pensò che in quell’anno si sarebbe dedicato alla lettura come non faceva più dai tempi dell’università.
-Sì… per fortuna che l’intrattenimento, da quel punto di vista, non ci manca…- sospirò, ricordando mestamente il campo da golf dove trascorreva la maggior parte del tempo libero praticando il suo sport preferito.

Nella stanza dedicata alle attività diurne, Renée se ne stava seduta per terra in un angolo, con un portatile posato per terra davanti a sé. Stava guardando un film della videoteca, e mentalmente stava ringraziando chiunque avesse avuto l’idea geniale di imbarcare parecchio materiale di svago anche nei moduli di salvataggio.
-Renée?-
La ragazza alzò lo sguardo, incontrando quello di Liger. Il vecchio professore si sedette accanto a lei.
-Ciao. Hai finito di assegnare i vari compitini di ricerca teorica e vuoi appiopparne uno anche a me?- chiese lei acida.
-Potrebbe interessarti?-
Lei scrollò le spalle. -Ti ricordo che ho a malapena finito il college. Non ho avuto molto modo di studiare per il lycee, negli ultimi anni…- Masticò tra i denti: una delle tante possibilità che la BioNet le aveva strappato, una realtà che le ragazze della sua età trovavano scontata se non addirittura fastidiosa; questo pensiero le provocava una sorda rabbia, i suoi coetanei non potevano sapere come l'essere privata di un'istruzione degna di questo nome rappresentasse per Renée un ennesimo ostacolo ad una vita normale, per avere un futuro.
-Potresti farlo in quest’anno. Avresti tutti i professori disponibili per prepararti all’esame di lycee. -
Renée parve soppesare la proposta: -Non sembra un’idea malvagia. Non c’è molto da fare, ora…-
-Parlando di questo, volevo dirti una cosa. Finora non sono riuscito a correggere il difetto di progettazione nei tuoi impianti che causa il surriscaldamento, ma la verità è che, con lo sviluppo dei Mic e la minaccia degli Zonder e poi dei Primevals, non ho avuto neanche molto tempo per dedicarmici… tu capisci che la protezione della Terra era una priorità, per quanto mi seccasse che un mio lavoro fosse inferiore a quello di Leo…-
-E allora?- Renée era vagamente scocciata da tutte queste divagazioni.
-Beh, dato che ho sempre tutti i tuoi schemi costruttivi con me, potrei chiedere a tre o quattro dei ragazzi più in gamba se hanno voglia di lavorarci assieme a me, per esaminarli di nuovo a fondo e vedere se stavolta riusciamo a scovare il problema e a trovare un modo per risolverlo…-
-Potete farlo davvero?- Renée si era voltata di scatto, quasi rovesciando il portatile, e trattenendosi all’ultimo dall’afferrare la mano del vecchio scienziato.
-Possiamo lavorarci su. Non ti garantisco che riusciremo a trovare una soluzione, ma ti prometto che ci proveremo in ogni modo. -
Era davvero raro vedere Renée sorridere genuinamente, ma quella fu una delle rare occasioni in cui ragazza regalò un vero sorriso di sincera gratitudine al padre.
-Un'istruzione… e una temperatura corporea normale… forse quest’anno nello spazio non sarà così male…- come sempre Renée tentò di nascondere la propria gioia dietro uno schermo d'indifferenza, senza però riuscirci agli occhi acuti del vecchio scienziato.
Liger si trattenne dall’aggiungere “E un uomo a cui piaci”: non gli era sfuggito il gioco di sguardi tra la figlia e Soldato J, ma non era il caso di farla di nuovo richiudere a riccio con una simile osservazione.
    

Forse fu perché erano già abituati alla vita nei locali della stazione spaziale, ma la quarantina di uomini e donne si assestò abbastanza in fretta alla nuova situazione, anche se consci che quelle piccole, inevitabili scomodità si sarebbero protratte per un anno intero.
L’idea di “giocare a fare i professori” aveva entusiasmato parecchi dei presenti, e Renée si trovò a un certo punto con più volontari per aiutarla a recuperare gli anni scolastici di quanti ne avrebbe necessitato per lycee e università. L’unica pecca era che avrebbe avuto una formazione eccellente di matematica, fisica, chimica e biologia, e anche di inglese, ma avrebbe difettato di francese e storia. Beh, quelli avrebbe potuto studiarli una volta tornata sulla Terra, prima di presentarsi come privatista a un esame di maturità.
Ora, assieme a Swan, stava compilando la tabella di marcia degli studi, e le scintillavano gli occhi come se stesse programmando una vacanza esotica tutta spesata.
Swan e Stallion l’avrebbero aiutata anche con l’inglese, anche se alla fine se la cavava abbastanza con quella lingua, usata ogni volta che si trovava in ambiente internazionale, ma entrambi sarebbero stati impegnati assieme a Liger nell’analisi degli schemi degli impianti della cyborg e nel tentativo di capire che cosa, di preciso, causasse quel surriscaldamento, e come correggere tale problema.
-Sembri piuttosto contenta, Renée. - le disse piacevolmente sorpresa Swan.
-Si nota così tanto?- Renée fece un impercettibile sorrisino tra sé e sé -Beh, lo sono. Tra un anno torneremo sulla Terra, e avrò ancora nove mesi per prepararmi su ciò che non riuscirò a studiare qui a bordo. E poi potrò diplomarmi. - sovrappensiero fece un vacuo ghirigoro sul tavolo col dito -Non è come andare a scuola tutti i giorni con compagni e compagne, e sarà un pezzo di vita che non sperimenterò mai, ma finalmente non mi sentirò più un'analfabeta accanto a tutti voi laureati. -
-Oh, ma nessuno lo ha mai pensato, sai! AnRyu e KouRyu dicono che sei un capitano di squadra mobile eccezionale, e al Chasseur tutti ti rispettano!- le ricordò con insistenza l'altra donna.
La cyborg evitò di incrociare lo sguardo della bionda americana. Non poteva capire, lei così bella e socievole, la sensazione terribile di essere sì rispettata… ma come soldato, non come ragazza. Quando la gente la guardava ciò che vedeva soprattutto non era la tormentata adolescente che viveva sopportando con coraggio e incredibile forza la condizione a cui era costretta, bensì l'arma umana che nessuno di loro poteva pienamente comprendere e prevedere. A volte aveva persino la sensazione che alcuni la guardassero con sospetto, come se temessero che il suo carattere difficile potesse rivolgersi contro di loro con la stessa violenza che riservava ai suoi esecrati nemici. Non per la prima volta, e continuando a maledire la propria debolezza mentre lo faceva, desiderò con tutto il cuore una persona al suo fianco che la vedesse veramente per ciò che era, e le volesse bene esattamente per quella ragione.


(undici mesi al ritorno)
Soldato J aveva preso l’abitudine di passare liberamente dalla J-Ark alla nave del GGG, con un pretesto a caso o semplicemente senza fornire alcuna spiegazione. D’altra parte, dopo un mese abbondante, nessuno ci faceva più caso.
Da una parte gradiva il silenzio e la quiete che regnavano nel suo ponte di comando, rotte solo dal lieve ticchettio delle minuscole zampette di mini-robot di riparazione, che gli consentiva di meditare in tranquillità o semplicemente abbassare il livello di allerta dei suoi sistemi interni, l'equivalente del relax per una creatura in carne ed ossa.
Dall’altra, trovava affascinanti gli esseri umani, e ne studiava silenziosamente il comportamento così complesso e variegato.
E poi, malgrado il fatto che tra tutti gli esseri umani fosse senza dubbio la più difficile da capire, e a volte lo lasciasse disorientato, apprezzava in modo particolare la compagnia di Renée.
Attraversò senza fare rumore la zona con le stanze dedicate al sonno, a rotazione, dell’equipaggio, e guardò nella sala ricreazionale, dove era in corso un serrato torneo di mahjong.
Swan notò che cercava qualcosa o qualcuno con lo sguardo. Gli fece un cenno con la mano per attirarne l’attenzione, e poi indicò verso la sala mensa.
J chinò leggermente il capo, in segno di ringraziamento, e proseguì per il corridoio fino al locale successivo.

-Scusa se t'interrompo, ma cosa stai facendo?- fu l'educata domanda.
Renée neanche si girò: il suo super-udito aveva udito i passi in avvicinamento e aveva riconosciuto la falcata ampia e sicura del guerriero di Abel. -Equazione di primo grado. - borbottò in risposta tra i denti. Essendoci poca carta a bordo, per gli esercizi usava una tavoletta e una penna speciali, che registravano quanto tracciato sopra e lo convertivano in file digitali, mostrando al contempo la “pagina” sullo schermo del computer. Il suo foglio digitale con l’esercizio era pieno di scarabocchi e cancellature.
-Pensavo che i calcoli li faceste eseguire ai computer…- fece notare logico J.
-Non quando si impara ad eseguirli. - sbuffò la ragazza, prima di cancellare tutto e riprendere l’equazione da capo. Si illuminò, capì dove stava sbagliando (un più che era diventato un meno per la distrazione), e risolse l’equazione in maniera scorrevole, memorizzando trionfante l’esercizio svolto.
Poi, si voltò verso J. -Non nasciamo già con tutte le conoscenze matematiche: occorrono lunghi anni di studio per apprenderle. Matematica, fisica, chimica, scienze biologiche… - accennò alla tavoletta-quaderno -Poi possiamo inserire dati e programmi nei computer e lasciare che loro facciano in pochi istanti conti che a noi richiederebbero ore o anche giorni, ma prima è indispensabile imparare a farlo con le nostre sole forze. -
Il cyborg annuì, assimilando quella nuova informazione sugli esseri umani. Si ricordava vagamente di come Arma gli avesse parlato un poco della scuola e di quel che vi si faceva, ma gli pareva di ricordare che, normalmente, tale attività impegnasse solo l’infanzia e l’adolescenza degli umani. Quando chiese delucidazioni alla ragazza, lei distolse lo sguardo e imbronciò le labbra nel modo che, ormai J lo stava imparando, indicava che era leggermente in imbarazzo, o che non era lieta di parlare di certe cose.
-Le persone dotate possono proseguire con un ulteriore ciclo di studi, l’università. Ma io sono arrivata a malapena alla fine del secondo ciclo, il college francese. Per causa di forza maggiore, ho dovuto smettere di studiare quando avevo appena quattordici anni, e anche quando poi sono tornata libera, lo studio è stato una priorità molto bassa… mio malgrado. -
J si sedette sullo sgabello accanto a quello su cui era appollaiata Renée. Poggiò il mento sulla mano, e il gomito sul tavolo, in un gesto umanissimo, e le sorrise comprensivo.
-Causa di forza maggiore? C’entra qualcosa con quei criminali… la BioNet?-
Renée arrossì, scoprendosi piacevolmente sorpresa che lui riuscisse a intuire con tanta disinvoltura cosa le passava per la testa. -Come fai a saperlo?-
-Quando hai nominato questa “causa di forza maggiore”, hai stretto i pugni e serrato i denti, come fai ogni volta che parli di loro. - fece notare J.
Renée sospirò, chiuse il portatile e spostò indietro la tavoletta di scrittura, implicitamente prendendosi una pausa dagli esercizi di matematica.
Armeggiò con la macchinetta ricostruttrice di cibi, ottenendo due tazze di tè (avrebbe tanto voluto un caffè espresso all’italiana, ma pareva che quell’accidenti di ferraglia riuscisse a fare solo un pessimo caffè all’americana), e ne posò una davanti al compagno. Si sedette nuovamente, senza una parola.
-Credo che sia venuto il momento di vuotare il sacco. - disse a un certo punto.
J attese pazientemente senza dire una parola, intuendo che la ragazza stava riordinando i pensieri, quasi venendo a patti con se stessa.
-Sono una G-cyborg, ma la cosa non mi piace affatto. - esordì con decisione -Guy era letteralmente morto prima che lo ricostruissero come cyborg. Non aveva scelta. Io avevo una mia vita, avevo una famiglia, e un'adolescenza davanti. -
Insicuro di come reagire davanti alla terribile amarezza che trapelava dalle parole della ragazza come sangue da una ferita, il combattente del Pianeta Rosso fece appello alla nuda logica per stemperare quell'esplosione di sentimenti dolorosi che aveva il potere di turbarlo in un modo che lui stesso non riusciva a spiegarsi: -Nonostante questo, se tu non fossi una cyborg, non potresti combattere con efficacia la BioNet. -
Renée strinse con forza il bicchiere di carta, che si piegò pericolosamente, ma se ne accorse per tempo ed evitò che tracimasse.
-Se non fosse stato per la BioNet, io non sarei una cyborg. - rovesciò l’affermazione.
-Non ho ricordi d'infanzia del vecchio. E' uscito dalla mia vita quando non avevo neanche tre anni. Mia madre non mi parlava mai di lui, e io non chiedevo. Vivevamo in Francia, e facevamo una vita normale. O almeno lo credevo.
In realtà... mio madre era un'agente della BioNet. -
Strinse le labbra. Quella era una verità amara e acida come un rigurgito di fiele.
-Prima che io nascessi, era stata mandata a sedurre il vecchio per carpire segreti. Per legarlo a sé ha persino messo al mondo me. Lui si era innamorato come una pera cotta. Poi però si è innamorata anche lei, e, insomma, quando non avevo neanche tre anni, mi ha preso, ha lasciato l'America, è tornata in Francia, ha cambiato nome e si è nascosta. Per proteggerlo. Per proteggermi, e proteggere sé stessa. - la ragazza bevve un sorso del tè solubile troppo zuccherato, senza sentirne veramente il sapore.
-Per undici anni abbiamo vissuto come una famiglia normale. E poi, un giorno...- si interruppe, finché il silenzio non divenne pesante. Negli occhi azzurri della ragazza c'era l'ombra di un ricordo, un trauma che riaffiorava. J non voleva essere invadente, ma ora c'era una certa dose di curiosità. E inoltre, non voleva lasciarla a rimuginare su brutti ricordi.
-Cosa accadde?- la esortò J.
-Quelli della BioNet ci trovarono. - su la risposta secca.
J la vide serrare le labbra e chiudere gli occhi, un respiro corto e secco, un ricordo che faceva solo male. Per un attimo si pentì di averle chiesto di riaprire quelle ferite. Lui stesso sapeva più che bene quanto fosse spaventoso rievocare gli spettri del passato, rifletté, mentre contro la sua volontà l'ombra del Re Macchina Pizza fremeva nella parte più oscura della propria memoria.
-La uccisero. Sotto i miei occhi. Le spararono allo stomaco e la freddarono con un colpo alla testa. Poi mi trascinarono via. Tentarono di convincermi a sottomettermi, ad accettare la loro guida, ad essere addestrata e istruita da loro e diventare un loro agente. Non sapevo perché avessero ucciso mia madre, né perché mi avessero rapita. Ma, ovviamente, rifiutai.
E dato che non li avrei serviti con le buone...- inspirò, secca. - Mi usarono come cavia per i loro primi tentativi di creare un cyborg da combattimento. Forse era anche una sorta di sfregio nei confronti di mio padre, non lo so… -
Renée aveva parlato in tono neutro e basso, ma c’era una vibrazione nella sua voce che parlava di lacrime a malapena trattenute.
-Vorrei poter dimenticare tutto quello che mi hanno fatto. Vorrei non svegliarmi più urlando dopo aver sognato di essere ancora nelle loro mani, a subire quelle iniezioni che bruciavano come ferro fuso, a supplicarli di smettere…- i pugni della ragazza si erano serrati, la sua voce tremava.
La mano di J si posò ferma e salda su quella di Renée, riportandola al presente.
Lei osservò senza vedere veramente la mano guantata di nero di lui sulla sua, così piccola a confronto che spariva nella stretta. I suoi occhi tornarono a fuoco sulla realtà. Le sue dita sottili si strinsero con forza attorno a quelle lunghe e forti di lui.
Era tutto passato. Non era più un loro oggetto.
-Poi… quando mi ebbero usata per sperimentare i loro primi impianti, decisero di utilizzarmi come arma umana. Dovetti imparare a usare le armi da fuoco che mi avevano impiantato nelle braccia. Avrei dovuto… uccidere. - serrò le labbra. -Uccidere persone che avevano tradito la BioNet, come mia madre. O persone sospettate di essere spie. Uccidere innocenti, per fare terrorismo. Uccidere i loro nemici. Ma io mi rifiutai. E quando mi convocarono per ricordarmi che, se non avessi obbedito ai loro ordini, avrebbero fermato i miei impianti e lasciato morire il mio corpo… - una scintilla si accese nei suoi occhi -Io preferii morire combattendo, che vivere come loro oggetto. Li mitragliai con le stesse armi che mi avevano impiantato. - un sorriso amaro. -Ironico, no?-
-È un fondamentale diritto ribellarsi a un padrone che tenta di strapparci la nostra stessa natura e ridurci a suoi oggetti. - le disse solidale e rassicurante J, trasmettendole il suo massimo sostegno. La sua mente tornò ancora agli Z-Master, che avevano dapprima zonderizzato Tomoro e poi lo avevano inviato a zonderizzare lui, trasformandolo da Guerriero di Abel in un Re Macchina, strumento di un servo di coloro che aveva combattuto con tutte le sue forze fino a quel momento.
-Si. Ma avevano ancora il coltello dalla parte del manico. I miei impianti erano telecomandati a distanza. Semplicemente premendo un pulsante, li spensero, lasciandomi cosciente ma inerte come una bambola. Mi portarono in un altro laboratorio per fare altri esperimenti, e poi distruggermi. - sorrise amara -Per caso gli uomini del Chasseur scelsero proprio quel giorno per fare irruzione e compiere una retata. Mi trovarono, immobilizzata e pronta per essere trasformata in Dio solo sa cosa. Implorai che mi uccidessero, che ponessero fine alla mia miserabile esistenza. In quel momento soffrivo così tanto che invidiavo mia madre: una pallottola in testa, e tutto sarebbe finito.-
L'espressione di Soldato J s'indurì, e sotto la visiera dell'elmo i suoi occhi azzurri come il cielo estivo divennero cupi come se offuscati da fitte nubi: -La morte è una via di fuga disonorevole per un guerriero, se non sopraggiunge sul campo di battaglia. - affermò recitando il suo credo con incrollabile convinzione.
Renée si voltò di scatto verso di lui. -Disonorevole! Sai quanto me ne fregava dell’onore? Soffrivo, J, soffrivo così tanto che volevo morire, e non ho mai provato così tanto dolore come in quei giorni. Ero solo una ragazzina di sedici anni. Mi avevano tolto tutto, mia madre, la mia vita, persino parti del mio corpo. Ero stata torturata per spezzare la mia volontà. Volevo solo che tutto finisse. - si coprì gli occhi con la mano sinistra -Volevo solo… riposare. -
J non era certo di capire. Non era mai stato un bambino o un ragazzino, era nato già adulto, votato al campo di battaglia. Era stato creato allo scopo di combattere fino alla fine contro un nemico troppo numeroso e potente, in una guerra che la stessa Abel sapeva persa in partenza, a cui con ogni probabilità nessun membro del Battaglione Soldato sarebbe sopravvissuto. Arrendersi e lasciarsi morire non era una cosa che poteva concepire. Specialmente in una donna che aveva visto incrollabile come Renée.
-Ma non ti hanno uccisa. - le strinse la mano, come a confermarle anche fisicamente l'unica realtà che contava.
-No. - Renée si asciugò gli occhi. Le tremava leggermente la mano. -No, mi hanno portata al Chasseur. Forse volevano interrogarmi, forse gli ho fatto pietà, forse volevano solo studiarmi per capire fino a che punto di sviluppo tecnologico quei delinquenti della BioNet erano arrivati. Non credo che mi avessero riconosciuta… non mi avrebbe riconosciuto neanche mia madre, in quello stato. Mi sono risvegliata in un laboratorio, un posto del tutto diverso da quel covo di pazzi della BioNet, con Liger e Papillon. Mi avevano ricostruito il corpo, avevano sostituito quasi tutti gli innesti della BioNet, e mi avevano messo un generatore con G-Stone nel braccio destro. - mosse le dita del braccio meccanico, e la G-Stone scintillò -Mi avevano anche ricostruito il braccio sinistro e le gambe, che mi erano state pesantemente trasformate in maniera irreparabile. - sospirò, pensando con tristezza alla cara amica che non c’era più.
-Non so come abbia fatto il vecchio a riconoscermi: l'ultima volta che mi aveva vista probabilmente portavo ancora il pannolone. Mi ha rimessa in sesto e se l'è svignata di nuovo in America prima che io riprendessi del tutto conoscienza. Forse aveva paura che gli rompessi il muso. Credevo ancora che mia madre fosse stata abbandonata dal mio padre biologico, non che fosse stata lei ad andarsene. - scosse il capo. -I primi tempi non parlavo, e non mi muovevo dalla stanza che mi era stata assegnata. Non sapevo cosa volevano da me, anche se mio padre mi aveva detto che sarei potuta tornare a fare una vita normale. - sbuffò -Normale! Con una temperatura corporea di cinquanta gradi centigradi, un braccio meccanico color oro e un cappotto criogenico da indossare per non morire! Proprio una vita normale... -
-E come sei diventata un membro del Chasseur?- indagò sinceramente incuriosito J, percependo che dalle parole dell'amica trapelava un umore meno pesante, la sofferenza ora messa in secondo piano al pensiero delle persone che le erano state vicine.
Renée strinse le spalle. -Papillon. Passava tutto il suo tempo libero con me. Mi parlava del Chasseur, e di cosa faceva. Mi convinse a uscire. Mi aiutò a recuperare il gusto di vivere. E poi mi chiese se non volevo lavorare per il Chasseur, come dipendente, non come oggetto di proprietà, affiancata da altri agenti più esperti contro terroristi, criminali… e la BioNet. - sospirò -Renée Cardiff, la ragazzina che sognava di diventare una cantante, una ballerina e anche una fioraia, era morta da tempo. Non potevo tornare indietro, me ne sono resa conto molto presto. Così giurai a me stessa di dedicare la mia vita ad estirpare la BioNet fino all’ultimo uomo, e di far patire loro tutti i dolori che mi hanno inflitto, direttamente o indirettamente. -
Afferrò il bicchiere di tè, ormai a malapena tiepido, e lo trangugiò con un sorso, gettando il bicchiere vuoto nell’atomizzatore che lo avrebbe fatto tornare a semplici atomi.
-Adesso capisco perché li odi tanto. - J capiva perfettamente cosa significava essere privati della propria natura. Solo che nel suo caso, grazie ad Arma e alla sua Purificazione, era potuto tornare alla natura con cui era nato, emergendo dal labirinto oscuro della falsa identità in cui era stato sprofondato. Per Renée non esistevano ali da spiegare, per uscire da quella prigione di metallo che era anche ciò che la teneva in vita.
-Mi hanno rubato mia madre, la mia adolescenza, il mio corpo. La mia innocenza. - si guardò le mani, come si aspettasse di vederle grondare sangue -Si, la perdita dell’innocenza. Quando smisi di essere una bambina e divenni un'assassina. Premo il grilletto, sparo, uccido. Ho ucciso, J: non solo invasori alieni, non solo armi semoventi. Ho ucciso esseri umani, e l’ho fatto a sangue freddo. L’ho fatto senza esitazione, e lo rifarei ugualmente senza esitare. A quattordici anni non riuscivo neanche a vedere un film con le sparatorie, e ora, cinque anni dopo, ho perso il conto di quanti uomini e cyborg ho ucciso.
E spesso… ho paura. Paura di perdere la mia umanità. -
Tacque, per alcuni istanti. Poi si voltò verso J, con un sorriso tirato -Credo di aver parlato davvero troppo. Adesso ti sembrerò una ragazzina complessata e frignona, vero?-
-Affatto. - fu la sincera risposta di lui, che le strinse di nuovo la mano sorridendole per esprimerle tutta la propria solidarietà -Malgrado tutto, non ti sei mai piegata, né spezzata. So bene quanto la tua volontà sia forte. -
-Io… vorrei solo poter vivere come una normale ragazza della mia età. So bene che sul lato pratico è perfettamente indifferente che io rimanga ignorante come una capra o che prenda il diploma del lycee e magari anche una laurea: perché tanto sarò sempre, prima di ogni cosa, una cyborg da combattimento del Chasseur. Però… però ogni tanto mi piace illudermi che potrei essere qualcosa di diverso. - riaprì il portatile, risvegliandolo dallo stato di stand-by -E rompermi la testa sugli esercizi di matematica fa parte di queste illusioni. - sorrise mestamente.
Aveva voglia di piangere, avvertiva un groppo in gola, ma ora si sentiva leggera, come svuotata da un enorme peso. Non aveva mai parlato a nessuno, neanche a Papillon, così apertamente.
La scienziata amazzonica aveva intuito e capito da sé molto del passato e del dolore subito dalla cyborg, grazie anche alla sua capacità speciale di sentire le voci dello spirito; ma Renée, per quanto le volesse bene, non le aveva mai chiesto di dividere con lei il fardello del suo passato, la sua angoscia, la sua rabbia. Sapeva che l’esile e sensibilissima ragazza non avrebbe retto un simile carico emotivo.
Cosa che invece sapeva di poter fare, e non aveva esitato, con un cyborg da combattimento creato dalla scienza aliena di un pianeta lontano migliaia di anni luce dalla Terra, la cui lunga e difficile strada era stata singolarmente parallela alla propria finché non si erano incrociate; ma queste cose non erano importanti: l'unica cosa che contava era lui, che era lì e le sorrideva e le stringeva la mano, al suo fianco in senso fisico e spirituale come mai nessun altro era riuscito ad essere.
Silenziosamente seduto accanto a lei, Soldato J le tenne compagnia mentre fingeva di essere una normale ragazzina alle prese con gli esercizi di matematica, per tutto il pomeriggio.


  
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