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Autore: Centomila    09/06/2013    0 recensioni
"Che in questo momento vorrei starle vicino, vorrei ripeterle ancora una volta di non preoccuparsi e che andrà tutto bene, ma sono stanco di mentirle, stanco di mentire a me stesso, le distanze si accorceranno anche con le parole, ma le emozioni non si sbiadiscono."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le lingue di fuoco riscaldavano l’atmosfera, si attorcigliavano ai ricordi che m’infestavano la mente e li riducevano in cenere.
Eppure li sentivo ancora tentennare sulla spina dorsale, danzando dal bacino sino al midollo osseo.
Poi mi canticchiavi quella canzone che ci piaceva tanto e sembravano scomparire nel nulla, ancora.
La nostra relazione, per quanto instabile, mi piaceva così, mi piaceva vederti una volta ogni tre mesi, mi piaceva perdermi tra le corde della tua chitarra e tra i tratti della tua grafite, mi piaceva persino passare le nottate a fissarci su skype.
Ed erano mesi che non vivevo per aspettarti, come se fossi stato bloccato, alla stazione dei treni, quelli che non arrivano mai.
E sentivo che nulla avrebbe rovinato quella serata, perché tu eri finalmente lì con me, davanti ad una fiamma, con i nostri amici, con i nostri sorrisi vivi per la prima volta dopo tempo.
E ‘nostri’ mi suona strano ancora adesso, che n’è passato di tempo.
Ma non m’interessava, non m’importava se un ‘noi’ non c’era ancora o se non ci sarebbe mai stato, mi avevi in pugno, avresti potuto decidere di gettare via i miei sentimenti da un momento all’altro, ed invece non l’avevi mai fatto, e mi ricordo che accennasti a qualcosa che suonava come quella parola tanto consumata inutilmente che è ‘amore’, ma io non t’avevo mai creduto.
Mi lasciai catturare dai tuoi occhi, sembrava bruciassero di blu, spaziassero di colori indefinibili, così indecifrabili che ci affogavo ogni volta.
Sentivo ricostruirsi le nostre emozioni che venivano frantumate troppo spesso da un paio di pixel, o da centinaia di chilometri.
“Devo parlarti” mi accennasti.
Colpito ed affondato. Deglutii tutte le parole che mi avevano occupato la testa fino a quel momento.
Se qualcuno avrebbe rovinato quella serata non potevamo essere che noi, con i nostri discorsi seri, i nostri masochismi involontari, o ancora i nostri silenzi scomodi.
“Dimmi” abbozzai un sorriso, fingendo che le due paroline di prima mi fossero scivolate addosso.
Avvicinasti la testa alla mia spalla, portandoti poi le ginocchia al petto.
Avevo già capito di cosa si trattasse, ti cinsi le spalle con il braccio, e ti strinsi più forte che potessi, come se in questo modo sarei riuscito a non farti andare via.
“Mia madre” ti si spezzò la voce.
“Dove dovrai andare?”.
“Vancouver” dicesti d’un fiato.
  
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