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Autore: marig28_libra    09/06/2013    2 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 “ In tutto io vivo
tacito come la Morte.
E la mia vita è divina.”

( G. D’Annunzio )

 

 


Rilucevano quelle livree rugiadose di capinera.
Rilucevano quegli intagli di firmamento sfrangiati d’inamovibile pirite. 
Tra le soffici e serrate spine di quelle ciglia, le penombre azzurre della sera liofilizzata  s’incagliavano come pesci inghiottiti da reti argentate. 
Sulle virginee  palpebre, che tacevano occhi in preghiera, un rosato niveo  si gelava vellutando  ditate d'aria.
Una coppia di archi , di pruina lanugine,  biondeggiava  su una fronte carezzevole di soave e irremovibile temperanza. Soltanto un uma  rosso, d’accesa delicatezza, contagiava di sacralità sanguigna la pelle pallida: era l’emblema del centro karmico.

Quel viso era l’espressione compiuta e cristallizzata della dolcezza: una bellezza fiabesca lasciava esalare, tuttavia, un’ aureola di freddura e lontananza  simile al sole che scalfisce , straniante, le notti bianche dell’artico.  
Le guancie ovali, il naso modellato di levità d’ oleandro , le labbra, dune tramontanti nella bonaccia , parevano forgiati in un marmo lucidato di miele trasparente …Canova poteva averli plasmati guidato dalla voce di Iride, regina dell'arcobaleno.  

Che fosse il figlio dell' Aurora quel giovane di stupende fattezze? Ai semplici mortali non era dato sapere la naiade che avesse effigiato gli imprendibili nastri della sua chioma aurea:  ciascun capello gorgheggiava in un lunghissimo afflato di mezzodì.
Il collo aggraziato  era una colonna indenne da macchie di appassimento: esso  si congiungeva sublimemente   alla concavità dove si  fronteggiavano le clavicole. Chiunque desiderava sfiorare quella cute  per saggiare  , con innocente sensualità,  la materialità della luce.
Le spalle si aprivano in un disegno respirante e principesco: non possedevano una ruvida appariscenza  erculea  ma erano dotate di imponenza musicale e lisciata.
Le braccia brillavano affusolate e ben tornite; il torace lasciava affacciare elegantemente i pettorali ;  il ventre , piatto e limpido,  esponeva due teneri assi di addominali.
Le gambe, lunghe, snelle e soffici, erano incrociate nella  posizione meditativa dei sensi.

Shaka, nel giardino del Tempio di Mahabodhi *, remigava in terra e in cielo.
Avvolto da una  tunica d’immacolati sussurri selenici , non si lasciava fuggire alcun strepitio.

Le fronde del silenzio ondeggiavano monottonghi di riflessi vetrosi.
I passeri involavano germogli di omelie al cielo ancora disteso sul seno della tenebra morente.
Il fiume Falgu * sorseggiava e friniva quiete  nell’attesa di protendersi verso labbra di un nirvana epifanico.
I terreni di mattonelle pietrose , i terreni ammollati di  vecchiume , i terreni frangiati di magra erbetta… ogni arena discorreva senza canali vocali.

Il cavaliere della Vergine captava qualsiasi scricchiolio: l’ancheggiamento d’ali di un uccello o la cantilena melanconica dell’incenso.
L’ albero Ashwattha , presso il quale era assiso, s’ergeva proclive  alle volute nuvolose  impregnate  di impercettibili geremiadi.
Secondo la tradizione  buddhista, quel possente fico , catafratto di increspature, fu la pianta sotto la quale Siddhartha raggiunse il bodhi, l’illuminazione.
 
L’adolescente indiano soleva concentrarsi all’ombre dei baroccheggianti rami…
Il tronco dell’arbusto era analogo ad un alido midollo spinale  che si diramava, verso le  estremità superni , in miriadi di vene e sinapsi. Sembrava che effluvi di sangue lucente recassero nutrimento e stimoli all’encefalo del cielo.

Tutto assomigliava ad un equinozio d’equa serenità, inviolabile pianura di razionalità.

No…La calma in realtà  non si chinava ad altra calma…
La calma registrava lo scorrimento delle zolle d’infausti  avvenimenti.
La calma era un  sismografo che consentiva di valutare  le situazioni gravose.

Shaka aveva intuito che al Grande Tempio erano piombate minacce di grandi entità.
In Grecia erano circa le nove e mezza di sera, in India il sole sarebbe sorto tra un’ora…Al di là delle oscurità inamarita  , al di là della luce ancora dilavata, il giovane aveva viaggiato rapidamente col pensiero scandagliando  la consistenza dello spettro maligno che aveva avvolto il Santuario…

“ Veramente inquietante “ ragionava“ ad Atene si sono materializzati due dei legati al Sonno  e alla Morte!  Per quale motivo? Ciò è strano… Ade non si è risvegliato, le centotto stelle malefiche sono rinchiuse…Che Ipnos e Thanatos abbiano trovato la chiave per distruggere  il sigillo che li teneva prigionieri dalla Guerra Sacra del diciottesimo secolo?” 
 
- Desideri approdare ad una soluzione precedendo la nascita del Mattino?

Il ragazzo si voltò a destra.
Un uomo ottantenne ,  di statura slanciata e leggermente ricurva,  avanzò verso di lui.
Era vestito col kesa, l’abito tradizionale dei monaci buddisti.
 
- Maestro Amitabha* .

Shaka si alzò e si inchinò con  affetto referenziale.
L’anziano sorrise ricambiandogli il saluto.
Restò  per  un istante in silenzio…
Prima di  discorrere,  adorava degustare i fluidi della tranquillità analogo ad un  sommelier che distingue le sfumature fruttate dei baritoni del vino.
Osservò con attenzione il fico del bodhi, il cortile che verdeggiava attorno al tempio cosparso di ovatte arboree…
Fin da piccolo, il discepolo   della Vergine amava analizzare quegli atteggiamenti e quegli sguardi che filtravano saggia e tenera sicurezza. Poteva anche incombere alle porte la più terribile delle catastrofi, ma il venerando sacerdote pareva possedere l’incantesimo per deprecare qualsivoglia  disgrazia.
Lo vidimavano i suoi occhi. I suoi occhi un po’ grandi che si riducevano a fessure quando ridevano  o esaminavano la retina delle gocce di pioggia sulle foglie o sulle sculture.
Erano bellissimi e tale si mostrava la loro essenza d’eterea catarsi, da prosciugare i molesti pantani della vecchiaia...Le pupille si mimetizzavano al centro di una coppia di mulinelli  anneriti in modo assai particolare: niente evocava le escoriazioni del legno o delle stoffe bruciati …In quell’oscurità v’erano api di luce che pascevano di propoli i palati  del giorno e della notte.
Gli iridi del maestro brillavano  d’un arancio dorato sotto il presbiterio del sole e di un azzurro nevoso sotto i vigneti  della luna. Da giovane non era mai stato  noto per una straordinaria bellezza : era alto, dotato di muscoli magri e spigolosi, aveva sempre portato il cranio rasato e mantenuto atteggiamenti miti e riservati. Neppure il suo viso esibiva tratti somatici di squisita rarità: la fronte era regolare, il naso normalissimo, le gote ovali e le mascelle si abbassavano leggermente. Gli occhi meravigliosi però rendevano quegli  elementi  gioielli unici e nobili e  la soavità che ne derivava alleviava  le membra segaligne del corpo.
Amitabha si rivelava un’ addizione di numeri precisi, semplici,  di elevatezze famigliari e misteriose.

- Mio luminoso allievo – disse  con calidità autunnale – deduco  che tu, come me, abbia percepito l’arrivo di tenebrosi numi  all’interno del Gran Santuario.

- Sì, Maestro…- confermò Shaka serio-  ciò mi ha turbato…non mi pare normale l’apparizione di queste auree proprio adesso…

- Non posso negarti che anche io sia rimasto spiacevolmente allibito . La comparsa di Icelo e Morfeo è un greve presagio. Significa certamente che Ipnos e Thanatos siano stati risvegliati senza che noi avessimo avuto la facoltà di accorgercene.

- Credete che anche gli altri  oneroi, Fantaso ed Oniro, si siano potuti manifestare?

- Non lo escludo…Per questa ragione è necessario recarsi ad Atene…Dovremo prepararci. Sarà d’urgente importanza parlare con il Gran Sacerdote, il Sommo Sion e gli altri maestri dei cavalieri d’oro.

- Volete  chiedere la convocazione di  un didaskalon synagein ?

- Esattamente. Occorre che partecipiate anche voi giovani discepoli…Niente di questi sintomi premonitori deve restare oscuro…

- In Grecia vi sono Aiolia, Milo, Aldebaran, Camus e Mu, mentre dalla Spagna stanno giungendo Shura, la Maestra Dora e il Maestro Roikhos .

- Bisognerà mettere a conoscenza Eirene ed Artemis che si trovano nel Nord Europa.

- Signore,  il Maestro Lisandro non è da cinque mesi che soggiorna in Islanda? 

Amitabha  annuì con espressione lievemente divertita:

- Il solare ed effervescente spartano ha già lasciato Reykjavik da due settimane – rise sornione -  dovrebbe approdare al Pireo in meno di due giorni…Sarà stato disagevole, per un uomo della sua gagliarda indole,  perseguire una missione nel grigio gelo .

Shaka si lasciò illuminare da un piccolo sorriso.
Lisandro Kaikna era un cavaliere d’argento audace in tutti i sensi : se da una parte godeva di immensa stima  per via della sua valorosa e leale forza, dall’altra veniva bollato dai guerrieri  anziani e censori  quale pericoloso untore di anime giovani e facilmente infervorabili. I ragazzi , infatti, adoravano l’ atteggiamento bonariamente irriverente dell'uomo che faceva uso sapiente del proprio fascino per conquistare donne.
Amitabha sorvolava su quelle abitudini di sensuale intrattenimento poiché conosceva la veridica  sostanza  di Lisandro: egli era un servitore d’Atena di onorevoli serietà e nobiltà di mente.
Aveva compiuto una scelta di enorme responsabilità: addestrare non uno ma ben due cavalieri d’oro. La sua costellazione guardiana, il Narvalo * , guidava il Leone e lo Scorpione.

- Il Maestro Lisandro ha compiuto una  coraggiosissima decisione – affermò Shaka con ammirazione-  occuparsi dell'apprendistato di due guerrieri dorati capita raramente, se no quasi mai…

- E’ vero – mormorò l’anziano – dopo la morte di Aiolos , Lisandro ha deciso di occuparsi di Aiolia e dopo ha preso sotto la sua egida anche Milo che è  rimasto orfano del padre Kletias …Quei  ragazzi sono stati fortunati. 

Shaka sgocciolò un piumoso sospiro.
Corrugò leggermente la fronte  sotto il velame solivo   della sua frangia.

- Maestro Amitabha – interloquì con voce abbassata – mi  domando come possano combattere in nome della savia Atena uomini di spregiudicato spirito…Perché un guerriero quale Serse di Cariddi  serve la giustizia? Son cose inconcepibili…se penso che l’armatura del Cancro sia  stata conquistata da Death Mask  covo profondi  dubbi sul mio dovere. Avrò in battaglia  compagni demoni? Significa che , tutto sommato,  anche sulle nostre lande giacciono stracci di inferi?

L’anziano non poté obiettare nulla al proprio discepolo.
Lo guardò oltre quelle sue palpebre serrate, oltre quella pelle che non palesava i meravigliosi occhi che restavano in letargo per non disperdere il potere della vista.

- Shaka…anche io  credevo che gli esseri umani non potessero appartenere ad un’unica razza…Non è così. Abitiamo tutti sulla terra, vediamo tutti lo scorrere delle stagioni,  siamo tutti  capaci di compiere atti benevoli e atti empi. Non potremmo essere costituiti di un solo materiale. Il nostro cervello non è creato per ricevere soltanto impulsi di bontà e luce; la vista non può rimirare esclusivamente la mera bellezza, le orecchie catturano melodie e trambusti, il naso percepisce profumi e afrori, la bocca avverte il dolce, l’amaro, il salato, l’aspro ; il tatto scivola sul velluto, sulla pietra, sul viscido, sul lindo…Le corde vocali parlano, cantano, urlano, gracchiano…La sensatezza di questo baccanale risiede nella capacità di selezionare bruttezze, delizie, ragionevolezze e deliri. Pensi che chiunque sappia interpretare la filologia dei versi di questa realtà? La maggior parte degli individui se ne infischia di imparare a leggere veramente. Si convincono che sia tempo perso e perciò preferiscono velocizzare i minuti…fatalmente.

Il ragazzo rise con lenta ed appannata asprezza.

- Effettivamente – soggiunse – ci si lamenta che non si ha mai tempo a sufficienza…ma se siamo proprio noi a corrodere e sprecare minuti come degli amministratori o burocrati incapaci di gestire preziosi documenti?

- Questo è perché ci lasciamo governare dal dolore e dalle sue gradazioni di dispiacere…Sai perfettamente cosa intendo, vero figliolo?

Shaka spalancò improvvisamente gli occhi. Quel  cilestrino di iridi , annaffiato di recondita trepidanza, tallì l’aria di soggezione.
Amitabha aveva cognizione della sua luce: era la fragilità d’un infante, era la coscienza di un uomo tristemente intelligente.
Contemplò tacitamente le foglie polpute e larghe dell'albero del bodhi.
L’adolescente attese  quesiti in un mutismo d’agitata calma.
Il saggio domandò:  

- Dorato apprendista…sai spiegare la sacra semantica di Ashwattha, il nome di questo poderoso albero?

Shwa  definisce il  domani,  è una particella di negazione , tha  designa “ quello che resta”Ashwattha significa  “ quel che non resta uguale domani “ * .

La Guida sorrise discreta e densa di gravità.

- Non avevo alcun dubbio sulla tua conoscenza… da quando eri bambino non hai mai smesso d’involare il tuo cosmo verso le vie che l’Alto manifesta. Hai forgiato lo spirito nello scorrere dei giorni evitando che ogni domani che si profilava restasse incarcerato nella pericolosità dello stagnamento e della paralisi.

- In che modo  si può abbandonare  la propria crescita se qualunque fattore del  mondo soggiace  al divenire? Non affermava Eraclito che “ Acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi” ?

Shaka si mostrava deciso, fermo, sfitto da qualunque oscillazione.
Amitabha estimava enormemente quella facoltà di valutazione, ricerca, misurazione: il suo allievo era estraneo alle spensieratezze e leggerezze tipiche dell’adolescenza. A quindici anni sembrava detenere l’eloquio e lo spessore di un uomo di mezza età. Non c’era da stupirsi se i vecchi sacerdoti nutrivano, per lui,   fiducia e venerazione sconfinate.
  
- Le tue parole rispecchiano la veridicità – riprese l’anziano-  Gli elementi che fluttuano nell’immenso ventre della realtà non hanno consistenza peritura. Nascono, si disgregano e scompaiono. Nella ciclicità di tali  metamorfosi è necessario camminare sulla via della maturazione. Una maturazione  che dovrà giungere al compimento della pace perfetta.  

- Sì…E’ la non permanenza dei materiali e delle sensazioni della vita che causa sofferenza…All’inizio può apparire insopportabile l’ infelicità e una via che conduce al di fuori di essa è più dissetante di qualsiasi fonte…Eppure… la maggior parte degli individui  si rifiuta di ascoltare seriamente questo  precetto…E’  contraddizione…. Si vuole evitare il dolore per poi desiderare di non separarsene?

- Shaka… il dolore non è causa del mondo, né del Fato e  né della pura causalità. Esso ha genesi dentro di noi, da quell’impetuosa fame di felicità che ci conduce a cercare la realizzazione nelle cose transitorie.  Vi è la brama verso gli oggetti sensuali, il  " kāmatrsnā " ;  la brama di esistere ," il  bhavatrsnā " ;  la brama di annullare la propria esistenza , il " vibhavatrsnā" .  Le divinità dal malefico intelletto sfruttano le nostre fragilità per imporre un loro costrutto di oscura coercizione. Per tale motivo la liberazione dalle catene dell'afflizione si deve avverare…L’illuminazione ci consente di non indietreggiare dinanzi al disfacimento con cui ci minacciano gli incubi e la morte.

Il biondo monaco  levò il viso al cielo per trovare una simmetria tra l’azzurro dei propri occhi e quello dell’Eliseo…
Parve non trovarla…
Amitabha, in silenzio, stacciava profondamente quei timidi  squassi:  l'apprendista era considerato il cavaliere più vicino agli dei però nessuno lo sondava al disotto dell'epidermide, dei muscoli, dei tendini…
Shaka appariva adulto ma non si dimoiava ancora dai greppi della giovinezza.
 
- Maestro…- fece con delicata gravezza- molto ho appreso dalle Quattro Nobili Verità che mi avete trasmesso…il " duhkha satya" , la verità del dolore; il " samudaya satya" , la verità dell’origine del dolore; il " nirodha satya" , la cessazione del dolore e infine il " marga-satya" ,  il nirvana…Il nirvana per giungere all’Illuminazione profonda : l’ " anuttara-samyak-sambodhi" . Un sentiero per ghermire la totalità di un potere purificatore…un sentiero per non avvertire più  le sobillazioni dei  demoni…Tuttavia…è  legittimo questo processo? È esatto abbandonare le istanze della terra? L’intelletto non rischia di mutare in un’arma a doppio taglio?

Ecco che Shaka decelerava.
Ecco che si defalcava dalla compattezza.
Ecco che snudava la sua paventata dicotomia.
Amitabha  attendeva quel fallo linfatico.

- Sei una bizzarra equazione, mio giovane seguace – dichiarò con tenera asciuttezza – inizialmente le tue cifre paiono dare risultati precisi ed inconfutabili… invece si scoprono numeri con radici cubiche e approssimazioni inverosimili oltre le virgole. Sei irrazionale matematica. Quante parentesi di operazioni bisognerà  risolverti?

Il ragazzo sorrise un po’ affranto per la propria reità di astenia.
Il Maestro lo squadrò con tenue severità e intensa penetranza.

- Possiedi una mente e un cuore abbaglianti più dell'oro ma non ignori i decreti dell'orgoglio, del disprezzo, della solitudine, della paura.

Shaka comprese il significato di quelle amare constatazioni.
Amitabha,  flemmatico ed austero, gli aveva scomposto, con l’abilità di un pittore cubista, le facce del suo animo mostrandogli più prospettive in una sola volta. 

Il giovane venne  costretto ad obiurgare se stesso.
Sì …La solitudine lo escoriava però, alla fin fine, non ramingava volontariamente nell’intingolo della protervia?
I suoi compagni lo consideravano una sorta di alieno e lui non faceva nulla per smontare quelle tesi e rendersi avvicinabile. Preferiva comportarsi da istrice  e accentuare,  con fredda aria intimidatoria,  il suo grande potere. 
Se poi pensava che si sarebbe dovuto addestrare in Italia con Shura e , soprattutto,  con  Aphrodite, Death Mask si sentiva assalito da una combustione  di acide vertigini.
Non sopportava il divario che esisteva tra la sua persona e il resto dei cavalieri d’oro…In un certo senso ne era quasi spaventato in quanto non voleva ascoltare le opinioni che lo riguardavano…
Che cosa dicevano di lui gli altri ragazzi?
Detestava figurarsi i  disparati  giudizi e  le prese in giro  di cui  poteva essere  bersaglio da quintana.

Ricordava  uno sgradevolissimo episodio capitato durante il periodo dei preparativi  per la Triade Templare d’Oriente * …
Lui e i compagni si trovavano ad Istanbul…
Gli allenamenti di quella giornata erano terminati…
 


Sulle acque del Bosforo, il sole salivava le ultime scorie rossastre di pelle viva…
I piroscafi, i pescherecci e alcuni battelli strisciavano , con ampolloso rigore,  i loro ventri abbacinati  di alghe e ruggine appiccicose di salsedine.
Il  porto del Corno D’Oro brulicava di marinai, operai e guardie costiere che componevano i tasselli  di un ultimo e caotico scarabeo prima che la sera lasciasse emergere in ava scoperta turisti ed allegria  di divertimenti.
Ai limiti di questo collare di formicaio, stava un vivace ed ampio bar con  tavolini quadrati esposti in una piazzola circolare. A delimitarli  file di acacie e panchine di legno.   


- Per la miseria…- si lamentò Aphrodite storcendo, scocciato,  il labbro superiore  – ma lo hai visto oggi il  mistico bonzo?

- Merda! – rispose Death portandosi alle labbra una bottiglia di birra-  scommetto che  quello non si farebbe annusare le ascelle neanche dal Gran Sacerdote in persona!

Il bellissimo svedese sghignazzò  bevendo un amaro dal suo bicchiere di vetro.

- I suoi poteri telecinetici mi sorprendono – disse con teatrale e derisoria serietà – ma mi sorprende  ancor di più la sua straordinaria aurea immacolata…Non sei accecato da siffatto bagliore, amico mio?

Il siciliano scoppiò a ridere senza  ritegno.

- Caro Aphro! Il santone indiano ha paura di pigliarsi qualche infezione se va a pisciare o cagare dove lo abbiamo fatto noi! Ha le chiavi per i cessi divini, lui!

- Dai, Death! Shakino non può abbassarsi ai nostri infimi livelli! Chi è in grado di sorbirsi  l’apnea delle meditazioni e delle ascesi?

- Chissà che bello maciullarsi le palle con  seghe mentali di grande luce! 

- Oh ma lui è troppo incommensurabile e…puro.

I due sogghignarono con goliardica velenosità.

- Oh – fece Death dando una gomitata all’amico – secondo te come reagisce il verginello  se una femmina gli apre le cosce? E’ frigido o gli si rizza ?

- Vediamo -  scherzò Aphrodite fingendosi gravemente assorto – può morire con una violenta epistassi al naso oppure… può sperare in un’eiaculazione precoce per preservarsi intatto!

L’italiano,  che stava bevendo,  tossì bruscamente.
Ridendo e sputacchiando birra esclamò:

- Vaffanculo, Aphro!  Non mi devi sparare ste’  cose mentre sto drinkando!

Gli diede un pugno sul braccio.

- Ehi! – fece l’altro spintonandolo – mi hai posto un quesito e  ho risposto!

- Ma ti immagini se portiamo il biondino in qualche night club? Magari lo facciamo sbronzare e  si metterà a ballare con l’uccello da fuori per le tardone ninfomani!

- Nooo! Gli   dobbiamo trovare un’onesta zoccola  con grosse esigenze spirituali!

- Seee! Esigenze  spirituali! Voglio vedere se una pensa all’illuminazione quando un pesce le entra nella fessura!

Aphrodite sorrise maliziosamente e bevve .

- Scommettiamo, Death! Che tipo di cavallo è Shaka? Da trotto o da corsa?

- Bah…bisogna vedere quanto sa dare nel montare una puledra...Chissà se si ammoscia subito o è uno che  tromba off limits!

- Sei  molto fiducioso!

- E’ l’uomo più vicino agli dei! Quel puttaniere di Zeus gli avrà dato qualche consiglio su come sbattere una donna nella maniera più celeste possibile!

I due amici esplosero, ormai alticci, nell’ennesimo scroscio di risa da iene.
 
- Quanto sei stronzo! – esclamò Aphrodite posando l’avambraccio sulla spalla del compagno- non ci avevo pensato a sta scemenza! Grande!

Continuò a ridacchiare un po’ inebetito.
Dopo aver ruttato,  Cancer aggiunse con sorriso sghembo:

- Che ne dici, se mettiamo una bella rivista porno sotto il lettino del piccolo Buddha?

- Non ne ha bisogno…

- Perché?!

- Scusa, secondo te Shaka come ha fatto a raggiungere il settimo senso?

- Boh…che cazzo ne so!

Ridendo come un cicisbeo impomatato, Aphrodite mandò giù un’altra dose d’amaro e rispose:

- Semplice, Death:  Virgo ha amplificato la sua forza sbavando sul kamasutra!

L’amico rise  urlando e sbattendo ripetutamente  il pugno sul tavolino del bar.

Shaka, invisibile e con il cosmo occultato, si alzò dalla panchina sulla quale era assiso.
Si allontanò di fretta.

Non appena raggiunse una parte solitaria del porto della città, ricomparve.

Poggiato sulla parete di un enorme magazzino,  scivolò a sedere per terra.
I lunghi capelli biondi  gli si bagnarono  degli anoressici raggi del tramonto.
La camicia e il pantalone bianchi  gli  s’impolverarono maldestramente privi di  rumore.

Lacrimava.
Lacrimava scartocciato,  furibondo, umiliato.

Cominciò a singhiozzare senza un rosone verso il quale rivolgersi…
Senza un rosario da stringere con carezze di preghiere e conforti.

 


Shaka…la traversata per arrivare nella capitale della perfezione è lunghissima…

Le parole scandite dalla voce soave di Amitabha dissiparono le fumarole sgradevoli dei ricordi.
Il ragazzo tornò superficialmente temperato per tentare di rigenerarsi  con lo sguardo benefattore del Maestro.

- Sono convinto che vedrai la luce ultima – continuò l’anziano- apprenderai la più grande delle metamorfosi: quella dell'ottavo senso, lo stadio che ti condurrà oltre l’oscurità azzerante della morte.

Virgo sentì il cuore impregnarsi di sangue ossigenato, carbonico, bianco.
Un leggero capogiro lo fustigò.

- Signore…- sussurrò- voi…credete che sarò all’altezza di compiere tale trasformazione?

Il monaco gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla.

- Caro ragazzo…-  pronunciò con soffice rimprovero – tu già sei in alto. Il tuo dilemma è che scivoli continuamente dalle  vette. Tocchi l’azzurro intoccabile e poi sprofondi assaporando con inspiegabile masochismo la nebbia dei dolori. Sei geloso dei tuoi tormenti e temi seriamente una trasmigrazione del tuo animo nel compimento…Sai sentire profondamente…lo so…ti lasci sconvolgere dalla bassezza dei mali piccoli e grandi…Non tolleri gli orrori, le miserrime furbizie, i sotterfugi…Dispiega  la luce della tua sensibilità in verticale. Verso la pace che ti allontanerà dai disordini altrui  e di te stesso.

- M-Maestro…quante cose perderà il mio vascello nell’attimo in cui attraverserò quest’oceano?

- Tante, Shaka. Perderai tante cose perché il conseguimento della perfezione porta sempre la lacerazione  dalle debolezze. Conosci il tuo ruolo nell’orbita dello zodiaco dorato. La giustizia e la salvezza della pace terrestre le potrai garantire in uno stato di equilibrio coerente, sincero, e privo di sbavature. Niente ti dovrà far vibrare. Niente ti dovrà avvelenare: né l’angoscia, né l’abbattimento e neanche l’irragionevole gioia.

Con celata mestizia, il ragazzo si inchinò di fronte alla Guida baciandole le mani.

- Quando la meridiana segnerà le sette – lo avvertì l’uomo – raggiungimi nel Tempio…ci organizzeremo per il viaggio ad Atene e stabiliremo, per il prossimo anno, i mesi in cui ti dovrai recare in Sicilia per prepararti con Shura, Aphrodite e Death Mask…La prova della Triade Templare D’Occidente avrà luogo ad agosto*. 

-  Attendetemi, Maestro.

Shaka si congedò con deferenza.
Si allontanò per andare a pregare davanti la statua del Buddha che si trovava oltre l’albero Ashwattha.

Amitabha scrutò l’adolescente che camminava…
Avanzava diritto, elegante, con la chioma che bisbigliava ballate di silenzio e giunchiglie…
All’immagine meravigliosa del ragazzo si sovrappose quella mingherlina e cedevole del remoto bambino…Quel piccolo con la tunichetta immacolata, forse un po’ larga e sbuffante che lo faceva sembrare un canarino impicciato nella stoffa…
L’anziano ricordava le volte in cui il bimbo piangeva solo senza concludere l’amaritudine  delle  prime meditazioni. Era solito a prenderlo in braccio e a rassicurarlo incoraggiando piano piano ad avanzare…
Pareva, a momenti, bislacco ridisegnare  Shaka quale infante dalle braccine paffute, con il visino tondeggiante spesso umido e le piccole mani che non riuscivano a gestire le perle della grande corona di Buddha.

Le cose in realtà non erano  variate.
Il ragazzo non piangeva più.
Non piangeva più dinanzi agli altri…ma con se stesso?
 
Rasentava la perfezione divina e , ciononostante,  permaneva nell’esitazione. Amitabha sapeva che  non era un atto d’incoscienza puerile e che l’allievo desiderava con strana convinzione non attraversare il ponte di loto che l’avrebbe portato all’oblio della terra.

Il ragazzo non aveva ancora fabbricato il suo esercito di terracotta che l’avrebbe fatto trionfare oltre la muraglia della tristezza, oltre gli urli uggiosi degli unni.

Egli soffriva.
Soffriva recitando , con orgoglio gelante ed alienante,  il ruolo di uno straordinario imperatore che mai si sarebbe allontanato dalla sua Città Proibita d’oro, d’ambra e di turchesi. Mai avrebbe smantellato il suo Katai di sete speziate e di misteri sanscriti.

Egli soffriva.
Soffriva diffidando con abissale spietatezza dei propri compagni, di quegli  altri cavalieri troppo disconnessi dal suo sistema di calcolata ragionevolezza. 

Egli soffriva.
S’illudeva di pareggiare i numi sparendo dalle anagrafi del mondo. Dimenticare. Dimenticare. Mutare nella totalità di una potenza apatica.

Voleva essere timorosamente e solamente normale.
Normale.
Camminare davvero dentro scarpe o sandali scomodi, bollarsi di acquee vesciche, indurirsi e spellarsi i talloni  di sobria fatica.  

Certo, negli addestramenti sulle rive del Gange s’era ammantato di sforzi assurdi e aveva  tastato l’ipogeo della miseria nelle città : fiatate di moscerini e mosche segmentate di mortifero sterco, stracci di persone infradiciati dai succhi gastrici del sole, abitazioni sbaragliate da piogge ingrassate e microbi pestilenti.
Aveva compiuto missioni salvifiche per tamponare i sarcomi  delle distruzioni …tuttavia…ogni volta che terminava il proprio dovere  scompariva.
Si allontanava senza dare alla gente il tempo per guardarlo in volto.

Cosa aveva imparato da tutto quello?
Aveva imparato a tagliuzzare e rimescolare il dolore con cesoie sideree? Aveva imparato ad eseguire delicate operazioni chirurgiche con bisturi sproporzionatamente  disinfestati e guanti di talco  antibatterico?

Quei doveri non per stare vicino all’umanità ma per accrescere la propria anomalia?
Bere astrazione?

Shaka voleva discorrere minutamente, con umiltà tangibile, sentire comunemente.
Voleva imparare a ridere senza impolverare le sue labbra di cloroformio.

Voleva, voleva, voleva…Tanti desideri quasi irrealizzabili poiché difficilmente avrebbero ottenuto la cittadinanza della sua intransigente psiche.
Cambiare era come contorcersi attraverso  una brutale lobotomia.

Amitabha chiuse gli occhi diluendo l’azzurrognolo dell'aurora con l’ebano sotterrato delle ciglia.

Rama…Danae…” meditò rivolto al paradiso “ prima che la fatica mi usuri mortalmente i moti del sangue , giuro che completerò la mia opera…Vostro figlio è splendido come voi…Ha bellezza, sottigliezza di sguardi, uno sterminato intelletto di scibile…Necessita però di ingenti sicurezze…E’ così strano ed estraneo per il suo stesso spirito…Si erge su un piedistallo apparentemente incrollabile evolvendosi per poi… cadere. Cade…Cade molte volte e lo fa impaurito e con virale determinazione…E’ di un metallo luccicante e terribilmente fragile…”

L’anziano aggrottò le ciglia con dispiacere ma con speranzosa serenità.
Credeva amorevolmente nel suo discepolo. Aveva compreso che la strada fosse affannosamente lunga.
Un tempo l’aveva intrapresa anch’egli. Per evadere da un ‘ecatombe di sanità logica. Per evadere dall’uccisione di ogni unità luminosa.
Parecchi e atroci erano stati i suoi patimenti di gioventù.
Lanzichenecchi con le picche scintillanti di esecuzioni.

Amitabha aveva conosciuto l’emarginazione su  muretti sovraffollati di sassi aguzzi, aveva conosciuto la meravigliosa pericolosità dell'amore vero, aveva conosciuto la bestiale purificazione nell’ascesi della solitudine…

Prove che gli avevano sottratto lacrime di terra.
Prove che gli avevano trasfuso un nuovo purgatorio.

Nonostante quella marea d’acqua, lava e sabbia egli rivelava quotidianamente uno sguardo fresco, come se fosse un ragazzo tatuato di  rughe per evitare di alimentare  invidia nei vecchi che avevano perduto slancio.

“ O Buddha d’auree vista e materia di spirito “ pregò “  fai sì che io riesca a realizzare l’essenza divina di Shaka oltre queste roccaforti d’ostacoli addolorati…Fai sì che io possa spirare nella ciclicità dell'eterno al termine di codesta missione. La mia costellazione guardiana, gli Alberi di Sala, mi aspetta lentamente per vedermi seppellire sotto le sue fronde…Mai sono stato avvezzo alle armi e alla lotta…Le mie vestigia sono d’argento vegetale. Sono state costituite per comprendere e servire la luce. Io sfumerò nell’invisibile e nella  pace del glorioso sonno quando avrò visto  l’unione del mio discepolo con l’Iperuranio.

 


Shaka sedeva a gambe incrociate , con la schiena eretta, di fronte alla scultura dell'Illuminato.
Tentava di pietrificarsi assieme all’immobilità delle ultime dormite della natura…
Sarebbe stato stupendo assumere la consistenza della creta del cielo da sempre vaccinata contro la pietà verso le vicende umane.
Sarebbe stato stupendo non avere un cervello, gonfiarsi e sgonfiarsi di sinuosità pari a meduse che fulminano e inghiottono pesci proseguendo   il nuoto in una zittita indolenza di noia.

Niente  poteva essere stupidamente facile.

Virgo desiderava divenire un’ameba per sbattere sugli scogli senza avvertire la cognizione della ferite…
No…
I punti di sutura delle cicatrici  li contava fin troppo bene.

Vibrava ancora di livore  se tornava , con la mente ,  ai volgari cacciaviti con cui Death Mask e Aphrodite l’avevano smontato in Turchia…Shura, invece,  si era mostrato, in quel periodo di addestramento, l’unico compagno dotato di diligenza e senno…Certo, aveva avuto modo di distrarre la mente con ragazze, ma mai aveva osato denigrare e comportarsi grettamente…
Quel dato positivo poteva considerarsi una più che valente consolazione ma l’indiano non riusciva ad apprezzare totalmente.

Continuava a sussistere in lui il resoconto della propria diversità…
Era riuscito qualche volta a impastare un brandello di parole chiarificatrici?
No.
Gli altri non capivano lui e lui aveva timore di capire gli altri.

L’unico con il quale era riuscito ad imbastire un impianto d’intesa era stato Mu.
Mu che gli aveva sorriso per la prima volta senza invadergli il suo spazio.
Mu che gli chiedeva, da bambino,  di giocare …
Mu che lo aveva adornato di una speciale normalità facendolo sentire libero di essere piccolo e disarmato.

Shaka aveva sentito orribilmente la mancanza del tibetano. Si era tristemente pentito di non essere riuscito ad allestire una ferrea amicizia.
Si augurava disperatamente di farcela…almeno avrebbe cominciato ad abbattere la palizzata dei propri tentennamenti…

Vi era qualcosa d’inconcluso che, tuttavia, lo escludeva da un’esigenza di pura ariosità.
Vi era  qualcosa che gli scartabellava paragrafi di tensione e acari tossici.
 
Adorava Mu.
Invidiava Mu.
Temeva Mu.
Non vi era alcuna cattiveria in quei contrastanti sentimenti ma si scorgeva un malessere di superbia, incertezza, manchevolezza.
Shaka era l’uomo più vicino agli dei ma il successore di Sion lo superava in molti altri contesti:  possedeva una spiritualità sterminata , riusciva a convivere con la diversità dei suoi compagni, era un poliglotta di diplomazia, si manteneva introverso ma si esponeva cautamente nei momenti giusti…
Forse Mu meritava per davvero il serto divino . Virgo non se ne capacitava.
Dentro si sentiva madido di rabbia: perché l’Ariete lo sorvolava? Perché?! Era inaccettabile…Lui, Shaka, lui che portava il nome di Buddha Shakyamuni, lui che aveva raggiunto il settimo senso, lui che poteva privare crudelmente gli altri guerrieri dei sensi…

A cosa servivano i poteri straordinari?
A stare sempre più lontano…
Mu riparava le vestigia divine.
Mu poteva rinnovellarle di vita.
Era lui la continuità autentica dello zodiaco.

“ Vorrei odiarti “ rifletteva l’indiano stringendo i pugni “ vorrei poterlo fare senza scrupoli ma non è possibile…buttarti a terra sarebbe il più disgustoso e infame dei crimini…Non meriti nessuna tortura…Ti ammiro troppo e  mi dai atrocemente  fastidio, sogno di essere il tuo migliore amico e desidero diventare il tuo rivale numero uno! Quanto non mi sopporto, Mu! Vedi come sono assurdo? Il Maestro Amitabha  ha ragione a definirmi irrazionale matematica…Quando sarò ad Atene mi precipiterò a parlare da te e ti scaraventerò in faccia tutto!  Ti riempirò di domande e saprai la densità della mia stima e del mio stolido astio…Ci affronteremo in duello perché non posso tollerare che tu mi superi! Che tu sia migliore! Devi smetterla di tirarmi giù ! Io sono il Cavaliere della Vergine! L’incarnazione di Buddha! Cosa sei, maledetto?! Cosa diavolo sei?! “

Shaka placò le sue elucubrazioni terrorizzato.
Un insano e immotivato rancore lo stava pericolosamente ottenebrando.
Si mise una mano sul cuore: rimbombava forsennatamente iniettato di virus.
Si toccò il fianco destro : il fantasma verdastro di una cirrosi lo voleva consumare. 

“ No..” si disse “ no…Non devo crollare in questo modo….No…Non posso pensare queste mostruosità…”

Respirando affannosamente si mise in ginocchio con le braccia e il capo che baciavano il suolo.
I capelli setosi e liscissimi gli scivolarono davanti come nastri d’estate spauriti.

“ Non sono in grado di pugnalarti , Mu…Mai lo potrei fare! Mai…sei stato  il primo a interpretare la mia lingua…il solo che lo abbia fatto con convinzione…Innumerevoli volte mi hai teso la mano…”

Si levò col busto.
Fissò la statua di Buddha dallo sguardo serrato ed ascoltatore.
La mano destra era sollevata nel gesto dell'abhyamudra, l’incoraggiamento, la mano sinistra era posata aperta sul ginocchio nel gesto del varadamudra , l’esaudimento delle preghiere.  

“ Shakyamuni d’immortale e lucente  saggezza…” invocò l’adolescente “ insegnami ad essere pari al cavaliere del Montone Bianco, rivelami la soluzione  per non finire dissociato in pezzi…Sai com’è lui…Lui può diventare invincibile perché conosce la padronanza del sangue per infondere vita… Io…non so che infondermi disordini d’idee…”  

Un lampo.
Un lampo silenzioso e addensato d’enorme energia.
Un atterraggio raggiante e avvitante in un incantesimo di stordimento.

Il cavaliere della Vergine scattò in piedi.
Si voltò verso la macchia arborea che ornava il giardino del santuario.

Qualcosa si spandé in filigrane  di architravi di luce.

Uno sfarfallio sfavillante sfamante sfumante.
Volò, vociò, vorticò.
Illuminò illudendo che il carro di Febo fosse sorto in anticipo..
Tuonò fresco detonando tra le frasche  centilitri di vanigliata  aureola. 

Shaka si mise a correre anormalmente scosso. 
Sfrecciò tra i tronchi che esibivano  incartamenti  di sughero zuccheroso. Sfrecciò sotto i trafori delle frasche che filtravano luci azzurrine e violette di etere.
 
 Saettava silente eguale ad un Ermes che danza sulle crocchie agglutinate dei cirri.
La tunica bianca gli aderiva alle gambe e  al busto formando  sottili dossi di lattea fragranza.
I capelli nuotavano  effondendo trilli  di xilofono. 
 
Pareva l’ arcangelo Gabriele intimorito di tardare  l’annunciazione alla vergine Maria.

I suoi passi veloci divoravano le folate imprendibili delle fotosintesi clorofilliane.
I suoi occhi,  d’azzurre melanconie cuneiformi, erano aperti e imperversanti di scintille. 

Si arrestò.
Era giunto vicino alla fonte di misteriosa vivacità.

Davanti a dalie e piante d’agave, nubi di rosolia arancioni e bianche, giaceva una fanciulla.
Era priva di sensi.

Shaka si precipitò a soccorrerla.

Era piuttosto insolito che  si comportasse in maniera ansiosa e palpitante. I monaci  lo  vedevano sempre imperturbabile ed ibernato nella compostezza…
Adesso la circolazione gli fremeva, cadeva dal controllo simile ad una ruota di fieno incendiata che scivola dalla schiena di un colle. 

Il ragazzo non si spiegava il perché di quelle emozioni…Era come se si stesse delineando una rivelazione, un colpo di stato che avrebbe rovesciato qualcosa di ancora  sconosciuto…

Paura? Angoscia? Felicità? Imbarazzo di sé?  Shaka trepidava confuso e contuso.
Riuscì , tuttavia, di nuovo a placarsi ed ottenere un po’ di temperanza.

S’inginocchiò affianco la ragazza.
Era sdraiata supina…
Semplice. Chimerica. Splendida. Essenziale.
Possedeva una beltà disadorna della luminosità sensuale di Afrodite. Era dotata di un’armonia elementare, umile eppure anelante di spiazzante metafisica.
Il suo viso, di distese vaporate, si modellava , gentilmente lungo,  verso il mento. Il naso era piccolo e terminava con una morbida punta. La bocca ,fine e sinuosa,  si cromava di un indaco rosato. Le ciglia erano le trine nere di sottane notturne. I capelli, di media lunghezza, rifulgevano di un castano cioccolato fondente. Due ciocche ondulate cascavano ai lati del viso mentre un cespuglio leggero di riccioli accarezzava la snella nuca.
Non si mostrava alta ma la sua deliziante figura era slanciata e areata. Aveva membra filiformi e probe. Una veste leggera, di un lilla che sfumava nel celeste, le copriva le grazie: le maniche lunghe lasciavano trasparire le sagome delle braccia sottili, il seno, elegante e soffuso,  veniva encomiato e sottolineato  da una pudica e sottile cintura di perle blu. 

Una semi divinità? Una fata?  Lo spettro di una principessa?

Shaka provò a studiare il cosmo di quella magnifica creatura: non possedeva l’immensità di una dea e neppure l’aurea  di un demone benevolo o di una ninfa.
Non era umana malgrado le sembianze fisiche.
Apparteneva a qualcosa di spaventosamente elevato, una dimensione imperscrutabile assai difficile da tracciare sugli atlanti celesti.

Il ragazzo era rintronato come fosse stato trafitto da una letale insolazione.
Guardava l’enigmatica fanciulla, la squisitezza del colore che emanava…

Annebbiato e scolorito nella mente da quell’incarnato, desiderò sfiorarlo…Lo fece simile ad un tremito d’antenne di coccinella…
Col palmo della mano carezzò una gota della giovane: stranissima. Possedeva la dolcezza salata dell'oceano seghettato  dalla melanina del cielo.
L’assolo più decantato era il respiro d’ella: il cavaliere lo sentì gattonare sulle proprie dita… Le odorò stupito:  decifrò l’aroma spugnoso e agrodolce della mimosa, le morbide protuberanze della lavanda, la calura sciolta della camomilla.

Il cuore gli esplose in un’estasi di carnale misticismo.
Non fu più in grado di dettare parole ragionate.
Divenne  vigile in un’ubriacatura dormiente.
Non comprendeva mitigazione.  Era assente e follemente assorto.
Il senno gli si congelò analogo ad un fenicottero che si paralizza su un pomeridiano lago di ceramica. 
Bramò di conoscere le striature delle labbra di lei.
Dove sarebbe stato convogliato? Dove sarebbe atterrato?  Avrebbe visto un Taj Mahal  più leggero dei chicchi di riso e d’avena?

Candido di curiosa puerizia, accostò lentamente il viso a quello della ragazza…I lunghissimi capelli gli cascarono, solleticanti e sibilanti, sulle spalle e sul petto d’ella…
Inspirò sodio di tenerezza pari ad un anemone cullato dalle digestioni dei fondali…
Gli spifferi dei suoi battiti  fecero attrito con quelli della vergine…
I polmoni si sollevavano e si abbassavano eguali a pellegrini della Mecca in preghiera…
I trambusti del sangue pulsante giungevano granulati e cavernosi come se facessero le fusa all’interno  di gusci di conchiglie…
Shaka, che amoreggiava con la bocca, si accorse che la fanciulla ebbe un lieve sussulto: mosse il volto sfiorandogli, con languida incoscienza, il naso.
Lui  , sgamato nuovamente dalla  monastica razionalità,  avvampò violentemente.
Si risollevò in modo colpevole con la frangia un po’ scomposta.

Sgranò gli occhi quasi per rimproverare se stesso: era la prima volta che cercava un contatto fisico. Da piccolino, nei momenti di grave tristezza,  era stato lui ad attendere, a volte,  gli abbracci di Amitabha  per rifugiarsi nel sollievo. Mai, però, prendeva l’iniziativa di avvicinarsi ad una persona.

La bella aprì a rilento gli occhi.
Mosse indolenzita le braccia…
Tentò di sollevare un po’ le ginocchia…

Virgo la rimirò stregato come  stesse vedendo  una ninfea nell’atto di aprire la mitra  di petali…
Vide che si appoggiò debolmente su un gomito…
Con spontaneità imprevista, le circondò delicatamente le spalle aiutandola a sedere.

- Come…ti senti? – soffiò con soggezione.

La ragazza, malgrado fosse esausta,  lo contemplò con viva e dolce attenzione.
Il suo sguardo era di un marrone centellinato  di castagneti soleggiati.
Le belle labbra le si alleggerirono in un sorriso.

- Sei un cavaliere dorato della somma Atena? – domandò rosea e un po’ dismessa-  la tua costellazione guardiana è la Vergine?

Il ragazzo, stupito, asservì:

- Sì…Sono  Shaka Sukhavati* Gautama…Custodirò la Sesta Dimora dello Zodiaco…

La fanciulla parve coccolarlo con una tenue risata:

- Sono felice che il mio travagliato viaggio si sia concluso nel migliore dei modi…Temevo di precipitare in zone oscure ma per fortuna…sono stata capace di seguire la scia…d-delle tue stelle…

Si sentì di nuovo debole.
Reclinò in capo in avanti.
Shaka l’abbracciò con premura rivitalizzandole l’ aurea infreddolita col proprio cosmo. 
I flussi di luce si fusero in un amplesso privo di lussuria.

- Va meglio, adesso? – domandò il giovane con un mormorio.

La ragazza lo annientò innocentemente  con gli occhi.

- Ti ringrazio – fece dissetandolo di tenerezza – credo…che potrei…provare ad alzarmi…

Aiutata dal monaco, si mise lentamente in piedi ma dopo alcuni secondi barcollò.
Scontrò sofficemente il viso  col petto di lui che trasalì arrossendo.

- Non riesco a camminare bene sulla Terra – constatò ella abbacchiata- dovevo immaginarlo che non sarebbe stato facile abituarsi subito…

- E’ m-meglio… che ti porti in un luogo sicuro – azzardò timidamente Shaka -  scusa…

Con angelica morbidezza, la prese in braccio...
Si accorse che era più leggera di qualsiasi proiezione onirica…
Ebbe l’impressione di aver sollevato un fascio di crisantemi…

La fanciulla posò trepidamente la testa sulla spalla del giovane.
Il soccorritore venne sommerso dall’effluvio di ciliegie e menta dei suoi capelli…
Rimase , per alcuni istanti, assolato e frizzato dal succo inespugnabile di tale magia…

- Shaka.

Il ragazzo si voltò indietro.
Era stato talmente assorto dal profumo della giovane da non essersi accorto del Maestro Amitabha  che l’aveva raggiunto.

L’uomo fissava lui e la diafana creatura colpito ed impensierito.

- Le porte del Cielo Ultimo si sono inaspettatamente spalancate – disse solenne e perplesso .

La fanciulla gli chiese armoniosa.

- Voi siete il Maestro di quest’illuminato cavaliere?

L’anziano si inchinò rispettosamente.

- Mi chiamo Amitabha Sukhavati – dichiarò – sono sommo sacerdote e cavaliere d’argento che custodisce lo spirito della costellazione degli Alberi di Sala. Tu, giovane d’etere, provieni invece dalla dimensione posta al di sopra del nostro cielo?

La ragazza sollevò la manica della sua veste mostrando al sacerdote un piccolo tatuaggio…
Una scritta in caratteri greci, una strana parola d’ordine:

Uranòs Penta.

Il vecchio maestro e il discepolo inarcarono  le sopracciglia sbalorditi.

- Sono un' Alchimista di Eu Topos* – rivelò la creatura – provengo  dall’universo dell'Iperuranio. Il mio nome terrestre è Evelin  e sono giunta qui, in seguito ad un lungo sentiero di metamorfosi, per avvertire voi , detentori della protezione di Atena, che l’armonia che sorregge le dimensioni celesti verrà minacciata in modi estremamente gravi.

Amitabha e Shaka erano stravolti.
La leggenda degli Alchimisti di Eu Topos, era ancora più antica e sfuggente di quella del continente di Mu.
Davvero esigui erano i frammenti letterari che li riguardavano. Poco o niente si sapeva di quegli esoterici esseri lontanissimi dalla Terra e , a momenti , dal mondo degli dei…
Soltanto Platone aveva definito l’Iperuranio, l’oltre cielo, il luogo perfetto delle idee…

- E’ incredibile – fece Amitabha –Nel corso della storia delle Guerre Sacre, il vostro Ordine è intervenuto solo due volte. Se vi hanno dislocati , all’interno di quest’era…significa,  celeste Evelin, che gli eventi si evolveranno più letali del previsto! Gli dei mirerebbero a sconvolgere persino gli equilibri con l’Iperuranio…  

- Maestro -  si rivolse Shaka – ci conviene partire per Atene prima che qui, a Bodh Gaya , sorga la notte.

- Sì…- appoggiò l’uomo – occorre accelerare i preparativi. La nostra fanciulla tuttavia…pare non ancora nel pieno delle forze…

Il ragazzo guardò Evelin.
Stringendola a sé,  con soave e impercettibile vigore, enunciò fermo:

- Mi prenderò cura  di lei. Giuro, signore, sul nome dell'Illuminato e della saggia Atena, che sarò responsabile della sua incolumità. 

Evelin rimase deliziosamente spiazzata.

Amitabha sorrise serio e occultamente preoccupato.
L’allievo si sarebbe preservato cultore della propria temperanza?

La spiritualità istintuale  pareva stesse per ottenere  l’ipoteca della ragione…
I dubbi capitombolavano dalle guglie frastornate dell'’imprendibile imprevedibilità.

 


 
Note:

Tempio di Mahabodhi* : è un tempio buddhista a Bodh Gaya dove Siddhartha Gautama ottenne l’illuminazione ( Bodh Gaya si trova a circa 96 km da Patna, capitale dello stato federato del Bihar, India)

Fiume Falgu* :  il corso d’acqua presso il quale Buddha, dopo tre giorni e tre notti di meditazione,  ottenne l’illuminazione. E’ situato vicino Gaya, distretto della divisione di Magadh, nello stato federato del Bihar ( parte nord orientale dell'India ) . 

Amitabha* : il nome del maestro di Shaka è stato ripreso da questo  Buddha celestiale narrato in alcuni sutra ( i testi canonici ) della scuola Mahāyāna di Buddhismo. Secondo queste scritture, Amitabha è un illuminato che possiede innumerevoli meriti in virtù delle molte azioni buone compiute durante le sue differenti vite. Dopo aver vissuto nel samsara ( il mondo terreno) , risiede nel Paradiso Occidentale.

Narvalo*: cetaceo appartenente alla famiglia dei delfinatteri, presenta la peculiarità di avere un lungo  dente sul muso , simile ad una vite, che ha dato origine alla leggenda dell’unicorno. Vive nei mari dell'Artico.

Ciò che non resta uguale domani” * :  Shaka riprende l’interpretazione di Ashwattha dal filosofo hindu Shankaracharya  ( vissuto tra 788 e il 820 d.C ,  secondo le fonti moderne, o tra il 509 e il 477 a.C, secondo quelle più antiche, influenzò profondamente lo sviluppo e la crescita dell'induismo). Nonostante sia una versione di significato induista, ho ritenuto giusto e coerente adoperarla nella narrazione per la sua funzionalità  semantica e filosofica. 

Sukhavati *: nome sanscrito che designa le “ Terre Pure” , oltre l’Occidente, dove Amitabha Buddha ha la facoltà di far rinascere coloro che lo invocano. I suoi discepoli apprendono insegnamenti per diventare bodhisattva ( illuminati) e poi Buddha completi.

Eu Topos*  : dal greco antico “ eu” bene + “topos” luogo che  significa “ luogo felice” .   E' una delle radici etimologiche di utopia , termine che compare per la prima volta nel Cinquecento, nel saggio di teoria politica del filosofo inglese Thomas More. L’utopia viene identificata  quindi , come isola felice ma anche come “ non-luogo “ ( Ou –topos ) . Incarna la dimensione ideale della perfetta ed equilibrata società politica. 


Note inerenti ai capitoli precedenti:

…durante il periodo dei preparativi  per la Triade Templare d’Oriente*  “


La prova della Triade Templare D’Occidente avrà luogo ad agosto* ”  : entrambi i richiami a queste prove li trovate nel CAP 5 – conchiglie di storie : tra le rovine dell'Acropoli. 

 


Note personali:
salve a tutti!! ^^ a distanza di un mese preciso torno ad aggiornare!! Mi dispiace non averlo fatto prima -.-  questo capitolo mi ha fatto un po’ ammattire ( tutta la documentazione inerente alla filosofia buddhista…) !  Sono stata contentissima di averlo sfornato poiché compare, FINALMENTE, Shaka  della Vergine, il mio great love dopo Mu X3  Ho adorato delineare in maniera problematica il suo carattere assai particolare e…divinamente sensibile…Affianco al caro biondino, ho poi  posto la figura di Amitabha, il venerando Maestro…insomma, va bene che Virgo è l’uomo più vicino agli dei, ma mi pareva assurdo che non avesse mai posseduto una guida! E’ fondamentale avere un mentore e un protettore che conduca alla maturazione… Altri elementi “ remoti”  di questi due  personaggi verranno svelati nei prossimi episodi ;) specialmente il vecchio Amitabha che qui resta ancora avvolto nel mistero…
E’ scontato dirvi che l’enigmatico ordine degli Alchimisti di Eu Topos vi verrà chiarito  gradualmente…Le dovute spiegazioni verranno date ! Ci mancherebbe altro!! XD Evelin poi…eh!eh! E’ dalla notte dei tempi che avevo programmato di farla irrompere nell’esistenza di Shaka! Dopo tanti rimescolamenti di ideuzze alla fine ho desiderato renderla un personaggio anormale…Shaka non poteva iniziare a tessere legami con una fanciulla comunemente terrena…Vedrete…Le sorprese continuano a non esaurirsi…Evelin è davvero un’entità molto strana…e qui mi fermo :P
Tra più o meno tre capitoli avrete modo di conoscere direttamente Lisandro del Narvalo, il maestro di Aiolia e Milo ( anche qui mi sono posta lo scrupolo di chiedermi: chi è il benedetto uomo che si occupa dell' addestramento di sti due figlioli dopo le dipartite di Aiolos e Kletias ? )
Detto questo vi spoilero soltanto che nel cap 16 si ritorna al gran Santuario…^^ vedrete alcuni aspetti inediti di una certa…persona. Non specifico nulla XD
E’ quasi impossibile che riesca ad aggiornare a fine giugno -.- A luglio è sicuro ;)

Un salutone!! ^^

   
 
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