Anime & Manga > Black Lagoon
Ricorda la storia  |      
Autore: 365feelings    10/06/2013    2 recensioni
In cui Revy è un'impiegata d'ufficio troppo bellicosa che entra a far parte della Lagoon Company e che in poco tempo si fa strada facendo il culo a tutti quanti - compreso Rock che, poverino, proprio non ce la fa.
Il sorriso che le distorce il volto mentre anche l’ultimo idiota muore non è un sorriso da segretaria.
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Benny, Dutch, Revy, Rock
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autrice: KumaCla
Titolo: Da segretaria a mercenaria, il passo è breve
Personaggi: Rebecca/Revy, Rock, Dutch, Benny
Rating: giallo
Avvertimenti: one shot, what if
Genere: generale, azione
Prompt: In cui Revy è un'impiegata d'ufficio troppo bellicosa che viene sacrificata per la sopravvivenza dell'azienda in cui lavora. Dopo varie vicissitudini entra a far parte della Lagoon Company e qui, sebbene la credano una segretaria innocente, in poco tempo si fa strada facendo il culo a tutti quanti - compreso Rock che, poverino, proprio non ce la fa.
Note: ringrazio Kuruccha per il prompt che mi ha lasciato per questa splendida iniziativa e mi cospargo il capo di cenere per quello che alla fine ho scritto. Avrei voluto infilarci un po’ di Rock/Revy che mi piace tanto, ma niente. Ho cercato il più possibile di seguire la traccia, ci sono riuscita a grandi linee - era da un bel po' che non scrivevo qualcosa di così lungo.


Le hanno detto di restare in cabina se non vuole trovarsi con un buco in testa, ma Rebecca proprio non ci sta. Non che desideri morire in una sparatoria in alto mare, ma non è nemmeno una che fa ciò che le viene detto – forse, se lo avesse fatto, non si troverebbe neanche lì.
Sul ponte della nave esplodono colpi di proiettili, mente i corpi degli uomini della sicurezza cadono a terra con tonfi sodi e nella cabina in cui è stata messa insieme agli altri passeggeri (ostaggi) rimbomba tutto; una donna inizia a piangere e lei sbuffa.
«Aprite immediatamente!» urla, aggrappandosi alla maniglia «Voglio uscire di qui!»
Qualcuno cerca di fermarla (in certe occasioni è meglio stare buoni), ma lei insiste fino a quando la porta non si apre spingendola a terra. Cade seduta, le gambe aperte proprio come una signorina non dovrebbe fare, soprattutto se indossa una gonna.
Davanti al gruppo spaurito di ostaggi si staglia la figura esile di un giapponese che decisamente non è l’uomo di prima – nero, grosso, cattivo, con una pistola.
Rebecca pensa che forse ha avuto fortuna; uno come quello se lo mangia a colazione.
«Vi prego, cercate di stare calmi» inizia lui, passandosi nervosamente una mano tra i capelli «Mi rendo conto che per voi si tratta di una situazione spiacevole, ma è meglio per tutti se nessuno si fa prendere dal panico. Fra poco sarà tutto finito».
Senza pensarci lo afferra per il colletto della camicia e lo fissa dritto negli occhi: «Non dirmi di stare calma. Io starò calma quando io deciderò di esserlo. Chiaro? E ora voglio andarmene».
«Signorina, non è il caso…»
«Decido io se è il caso o meno» sibila e lo spinge da parte.
Con passo di marcia (quello poco femminile che sua madre le ha sempre rimproverato) si avventura lungo il corridoio, il ticchettio dei tacchi bassi che a mala pena si sente, sovrastato dal ben più forte rumore della sparatoria.
Adrenalina, sì adrenalina, rifletterà poi. È stata proprio quella ad averla spinta ad uscire sul ponte. L’adrenalina e la sua testa calda.
In ogni caso, per la seconda volta in meno di dieci minuti, finisce a terra, un proiettile che fende l’aria davanti al suo naso.
L’uomo di prima l’afferra per un braccio e la riporta al coperto.
«Ma cosa crede di fare?! È pericoloso!» la rimprovera e Rebecca si sente una bambina; una bambina con una calza smagliata, il sedere dolorante, i capelli che sono un disastro e la giacca stropicciata. Sbuffa e pensa che quel giapponese è proprio strano.
«Si può sapere che sta succedendo?» chiede con stizza. Quell’assurda situazione sta andando avanti un po’ troppo per i suoi nervi da impiegata nevrotica.
«Stiamo cercando una cosa».
«Cosa?»
«Una pen drive».
A Rebecca si accende una lampadina e tira fuori da una tasca una chiavetta USB.
«Questa?» chiede candidamente.
L’uomo la guarda, chiedendosi se davvero ha davanti a sé quello per cui la Black Lagoon è stata chiamata. Il marchio sulla pen drive non mente e fa per afferrarla, ma la donna ritrae la mano.
«Non ci pensare».
«Puoi darla a me con le buone o aspettare il mio amico» il tono (ma anche lo sguardo) del giapponese è cambiato «Non ti consiglio di attendere».
Rebecca odia il suo lavoro, è una dipendente svogliata che per l’azienda fa giusto il minimo indispensabile per non essere licenziata, ma non è una sprovveduta: si è perfettamente resa conto che quel piccolo affare di plastica e metallo è letteralmente la chiave di tutto – della sua vita.
Non ha la minima intenzione di morire per il proprio capo e nemmeno di farsi licenziare, ma è una testa calda e le trattative non sono proprio il suo forte – se potesse, prenderebbe a calci in culo tutti.
«Voglio una garanzia» tenta «Voglio che mi portiate con voi».
Il giapponese ride (con che faccia tosta, tra l’alto, si chiede: si è per caso visto, lui, con quell’aria da colletto bianco?) e le prende la chiavetta.
«Rock, andiamo! Benny ci sta aspettando» lo chiama l’altro tizio, quello grosso, quello con la pistola.
Rebecca li guarda allontanarsi, mentre sente indistintamente il suono di una sirena.
È fottuta.

Finisce a terra un’altra volta e si rialza indolenzita, mente sente i tre uomini litigare per la sua presenza a bordo.
Si è tolta le scarpe, si è arrotolata la gonna sui fianchi ed è saltata giù dalla nave: tutto sommato poteva andarle peggio.
Si liscia inutilmente il tailleur ormai sgualcito, senza in realtà preoccuparsi troppo di come possa apparire agli occhi dei tre contrabbandieri; è l’ultima volta che indossa simili abiti, se lo promette.
«Signorina» inizia quello grosso «Non è il luogo più adatto ad una donna questa imbarcazione».
«Me ne frego» ribatte, trattenendo un sorriso di scherno e piantando per bene i piedi a terra.
«Troppo tardi, Dutch» si intromette quello che per esclusione è Benny «Oltre alla marina sta arrivando un’altra barca».
Seguono un'imprecazione e un "sempre complicazioni", poi l'attenzione ritorna su di lei:
«Appena sbarchiamo lei leva le tende».

L’imbarcazione sfreccia sull’acqua cristallina e Rebecca si gode il sole.
Tutta quella storia è assurda, se ne rende conto, ma non può far a meno di pensare che forse è l’unica vita che può abbracciare, quella, e non le dispiace affatto.
Fuggitiva, ammaccata, insieme a dei contrabbandieri: la realtà è più eccitante dei sogni, c'è poco da fare.
Non gliene frega niente della famiglia, del lavoro e di tutte le boiate che sua madre, se fosse lì, vomiterebbe; non è mai stata tagliata per la vita da brava cittadina, onesta lavoratrice e chissà, magari moglie e madre. Guarda il cielo limpido e poi l'acqua trasparente: che si fottano tutti, lei sta bene lì.
Non sa niente del mondo in cui vivono Rock, Dutch e Benny, ma istintivamente sente che quello è anche il suo mondo – peggio della noiosa routine non può certo essere. 


«Quegli stronzi ci hanno sparato contro un missile!» esclama una volta scampato il pericolo di saltare tutti per aria.
«Benny crede che lavorino per la tua azienda» le dice Dutch «E ora vai sotto coperta con Rock».
«Non ci penso nemmeno, non sono mica una rammollita come lui».
Ma l’uomo la spinge verso la porta.
«Non ho intenzione di sprecare munizioni per salvarti il culo».

«Non dovresti essere qui» le dice Rock.
«Sto dove meglio credo».
«Torna a casa, non è posto per te».
Rebecca vorrebbe prenderlo a pugni, ma una brusca manovra la fa rotolare sul pavimento; gliele suona quando toccheranno terra, pensa.
Non fa a tempo a rialzarsi che la porta si spalanca e un uomo che non è Dutch punta loro contro una pistola.
«La pen drive» ordina e, mentre vede che Rock gliela sta per consegnare, Rebecca pensa che quel tizio sta compromettendo il suo piano per ricominciare una vita nuova – non che lei ce l’abbia davvero un piano, non è tipo da organizzarsi.
Benny esce dalla cabina dei computer giusto in tempo per vedere la segretaria afferrare la pistola che Dutch aveva lasciato sotto coperta perché senza munizioni e puntarla contro l’aggressione – la situazione è peggiore di quanto pensasse.
Rock cerca di mediare, è il suo lavoro, no? Ma la donna non sembra essere una che fa come le viene detto. Atipica, come segretaria, ma di certo neanche una pistolera.
Nel momento esatto in cui Rebecca preme il grilletto, l’uomo stramazza al suolo; Dutch compare con la pistola fumante in mano e una spalla ferita. Benny e Rock tirano un sospiro di sollievo.
«La smetta di giocare. Dalle nostre parti le cose non vanno come nella città in cui vive».
«Ho intenzione di restare» sentenzia, invece, lei. È arrivata fin lì non certo per sentirsi dire che deve tornare a casa. Davvero, che si fottano tutti, pensa.
«Qui si uccide per denaro».
Da segretaria a mercenaria, il passo è breve.
«Si uccide anche per molto meno».

Tre settimane dopo Revy bestemmia e scarica il caricatore contro tre cretini che pensavano di fotterle il lavoro. Con chi credevano di avere a che fare? Perfino Dutch si era mostrato sorpreso per le sue inaspettate qualità di pistolera una volta che le avevano messo in mano un’arma carica.
Il sorriso che le distorce il volto mentre anche l’ultimo idiota muore non è un sorriso da segretaria.
«Rock» latra «Avvisa Dutch e Benny che qui ho finito».
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Black Lagoon / Vai alla pagina dell'autore: 365feelings