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Autore: ViKy_FrA    11/06/2013    2 recensioni
Concentrata sui rumori che faceva Stephen nella biblioteca, sfogliando gli ultimi volumi che lei aveva acquistato, Christabel affondò le dita in una tazza di cioccolata bianca come la neve. Scottava, ma non le dava fastidio, era morbida e pastosa, densa e profumata – la situazione tra di loro.
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Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christabel Von Sayn, Stephen Eldrige
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Inconsapevole

 

 

 

Verbum de Vero Contest, indetto da: Il Presidio - Black Friars (Pagina su Facebook)

 

Prompts: Cioccolato, neve, tatto


Personaggi: Stephen e Christabel

 

Pairing: Stephen/Christabel

Rating: Giallo

Note: Romantico, Missing Moments

 

 

 

Hakanaki yume motomeru kotae naki sekai de.

Cerchiamo sogni fugaci in un mondo senza risposte.

 (Kinya Kotani, Blaze)

 

 

C'era un pettegolezzo su Stephen Dalton Eldrige, del quale sembrava essere del tutto inconsapevole. Si vociferava, con la negligenza di un commento occasionale, che frequentasse una rediviva bionda, motivo per il quale – secondo i curiosi – non si curava delle altre donne. Stephen non notava le occhiate fugaci, le allusioni a mezza voce e le parole interrotte a metà, semplicemente perché l'argomento delle voci era una circostanza che nemmeno sfiorava la sua mente.

 

 

***

 

 

«Questo» esordì Christabel, prendendo la borsa con lo specchio dalle mani Stephen con delicata fermezza, «lo prendo in consegna io. Non vorrei che ti ammazzassi nel tentativo di studiarlo».

Nel salotto della residenza di lei la tensione scivolava via da loro, lasciandoli come svuotati. L'aria si alleggeriva, e c'era spazio per parole in più, per gesti superflui e per quel tono un po' accondiscendente e rilassato.

«Mi credete così maldestro?» rispose, piccato, assottigliando lo sguardo.

«No, affatto» gli sorrise, lasciandolo interdetto.

Stephen non capiva queste sue risposte contraddittorie. Non avevano senso, non erano logiche. Christabel lo sapeva – e lo faceva apposta.

«Credo che andrò a riposarmi. Non è stata una notte facile. Ti faccio preparare una stanza?».

Il ragazzo scosse la testa. «No. Se posso, vorrei approfittare ancora una volta della vostra biblioteca».

Christabel annuì e si voltò per andarsene, la borsa di cuoio saldamente in mano. Vedendola allontanarsi di spalle, un pensiero balenò nella mente stanca di Stephen.

C'era un'idea che gli vagava in testa da un po', un'idea a metà tra la mera curiosità accademica e la tentazione più sfacciata. Un'idea tanto intensa da sfiorare l'irrazionalità dell'ossessione, e per questo sempre messa a tacere, ma tanto pressante da farlo parlare ora, – ora che c'era l'occasione, ora che la stanchezza inibiva un po' il senso delle cose – prima che si rendesse conto di cosa stesse dicendo.

«Non mi sembra vi siate nutrita, stanotte. E io dovrò pur ricambiare la vostra disponibilità nei miei confronti».

Christabel si voltò, sorpresa. Aveva sentito il fremito di quel pensiero attraversarlo prima che potesse aprire bocca, ma mai avrebbe immaginato potesse essere quello il contenuto.

«Tutto sommato è una proposta piuttosto sfacciata da parte tua, non credi?» prese tempo. Prese tempo perché non sapeva cosa rispondergli: da un lato era attratta e incuriosita dal quel ragazzo con le conoscenze e l'esperienza di un uomo adulto, dall'altro lo riteneva troppo giovane e inesperto. Cos'erano i sedici anni di Stephen a confronto del secolo di Christabel?

«Chiedo scusa». Stephen chinò la testa non per rimarcare il rammarico, ma per nascondere il lampo di irritazione causata dall'essere stato colto in fallo.

«Tuttavia, non hai torto». Rapida come un battito di ciglia, Christabel aveva posato la borsa di cuoio sul mobile più lontano della stanza e gli si era avvicinata tanto da permettergli di sentire il suo respiro, inutile riflesso di quando era ancora umana che cento anni non avevano ancora cancellato.

Stephen rialzò lo sguardo per poterla guardare negli occhi. Si disse che voleva meramente appurare il potere incantatore dei redivivi, si disse che si fidava abbastanza di lei da non temere nessuna malia, si disse che il desiderio di caderne vittima era una legittima curiosità scientifica. Non si preoccupò neppure per un istante che nessuno dei suoi pensieri avesse il benché minimo nesso logico con gli altri.

Malgrado i tre anni in più in cui era stato congelato il suo corpo, la figura minuta di Christabel era più bassa di svariati centimetri. Sollevò una mano fredda e gliela posò sulla guancia: lo sentì fremere al contatto, ma non provò a ritrarsi. Scese sul collo e tirò i nastri che chiudevano il mantello, lasciandolo scivolare a terra con un suono sordo. Gli scostò il colletto, liberandosi un'ampia porzione della sua pelle. Christabel la accarezzò con calma, premendo sulla giugulare: poteva sentire il cuore di Stephen battere con il suo ritmo usuale, non era affatto agitato.

Sembrò esitare – stava scegliendo una vena? ci stava ripensando? - ma non si fermò.

Fece scivolare la mano sul tessuto della giacca, gli toccò la spalla, il braccio, il gomito, l'avambraccio, il polso, sfacciata come se quel tessuto non ci fosse. Si arrestò.

Passò il pollice sulla parte interna, dove la pelle era più sottile e le arterie più accessibili. Il ragazzo non sapeva – davvero non sapeva – se lo stesse ammaliando o meno. Senza smettere di guardarlo, Christabel si portò il polso destro di Stephen alla bocca.

Il lampo violento dei canini avrebbe potuto stonare con la dolcezza della sua figura, se non fosse stata maledettamente bella anche in quel momento.

Lo morse piano, lenendo con la lingua la carne delicata. Stephen fremette di nuovo – forse per i canini, forse per la lingua – e di nuovo non provò a ritrarsi. Era solo un'indagine accademica, perché avrebbe dovuto?

Prevedendo il rischio di anemia, Christabel lo spinse un poco, fino a farlo sedere sul divano dietro di loro. Gli si sedette tanto vicino che un lembo della sua gonna nera andò a coprirgli i pantaloni, tanto vicino da non essere più considerata una donna rispettabile, se fossero stati in pubblico.

Stephen si era lasciato condurre inerme, concentrato su quella bocca e su quegli occhi alzati verso l'alto per poterlo guardare in viso. Era una sensazione ambigua e piacevole, quella che gli attraversava il braccio partendo dai nervi del polso, una sensazione che coprì come un'onda sulla spiaggia ogni rimasuglio di razionalità accademica, spirito scientifico o qualsivoglia altra giustificazione la mente di Stephen potesse fornire per mascherare la volontà irrazionale di quel desiderio.

Christabel, dal canto suo, mise da parte ogni remora – avrebbe pensato a tutto l'indomani – e si nutrì con calma di quanto aveva bisogno: Stephen aveva avuto ragione, non beveva dalla notte precedente. Quando estrasse dolcemente i canini una goccia di sangue le colò dalle labbra e Stephen, intontito, allungò sfacciatamente un dito intorpidito per raccoglierla. Fulminea, Christabel gli afferrò la mano e succhiò il suo polpastrello, riprendendosi la sua goccia.

Più squisitamente intimo e deliziosamente indecente del nutrirsi dalle vene sottili del polso.

Gli baciò il polso, toccandolo con la lingua per accelerare la cicatrizzazione, da lì a pochi minuti avrebbe smesso di sanguinare.

«Credo che andrò a riposarmi. Non è stata una notte facile. Ti faccio preparare una stanza».

La pelle arrossata, la voce alta e ferma, la rediviva si alzò dal divano con grazia e si avviò verso le sue stanze, la borsa con lo specchio improvvisamente stretta al petto.

Stephen rimase sul divano con un'inspiegabile sensazione sotto la pelle e la sgradevole percezione di un denso velo di nebbia calato a separare la sua comprensione da quello che – gli – era successo. Doveva fare qualcosa, doveva impegnare la mente, prima che esplodesse in un vano tentativo di analisi. Recuperò una benda dalle tasche del mantello, si fasciò il polso per impedirsi di fissare quei due piccoli segni che lei gli aveva lasciato. Prese quanti più libri possibili e li impilò sul tappeto, si sedette sull'altro divano per consultarli – un argomento valeva l'altro.

Il sole che sorse poche ore dopo lo trovò a sfogliare lentamente le pagine di un volume di anatomia, freddo e misurato come era solito essere.

*

 

Stephen aspettava Christabel con due cavalli, nel giardino della sua residenza ricoperto di neve. Aveva parlato con Ross ed era pronto ad attuare il piano di fuga. Non era agitato: aveva vagliato tutte le eventualità possibili ed era in grado di far fronte ad ognuna. Dover far affidamento sulla rediviva non era un problema: non era una questione di fiducia, semplicemente sapeva che lei non avrebbe fallito.

Il rumore dei suoi passi, attutito dalla neve, attirò la sua attenzione. Christabel avrebbe potuto emergere dal buio in silenzio, bella e letale, ma era solita usargli cortesie del genere, come palesare la sua presenza con segnali tipicamente umani – un lieve bussare, un suono di passi, un finto colpo di tosse...

Con un rapido assenso gli comunicò che Axel ed Eloise stavano bene, e che sapeva dell'esistenza di un piano. Stephen le passò un involto estratto da una sacca affrancata alla sella del suo cavallo e Christabel lo aprì con inevitabile grazia.

«Una parrucca scura», commentò, indovinando il loro ruolo di diversivo. «Semplice e insospettabile. Degno di tutti voi». Afferrò le redini dell'altro cavallo e fece per salire.

«Sono due giorni che non ti nutri. Hai bevuto?» le parole di Stephen la immobilizzarono con un piede nella staffa. Lo rimise a terra e si voltò verso di lui, rigida.

«Abbastanza. Potremmo dover combattere. Tu devi restare in forze».

«Se dovremo combattere io potrò fare molto poco di utile» rispose calmo.

«Quindi?» la voce era stizzita, all'improvviso stranamente umana. «Dovrei portarti con me come ci si porta dietro una cesta da pic nic la domenica pomeriggio?».

«Non sarebbe una cattiva idea». Non era ironico. Era maledettamente serio.

Aveva ragione – sia sulla sua inutilità, sia sull'ultima volta in cui si era nutrita – e questo non faceva altro che irritarla ancora di più. Malvolentieri si arrese all'evidenza di non aver bevuto abbastanza, lasciò le redini e si avvicinò a lui. Prevedendo la sensazione di debolezza, Stephen arretrò fino a trovare il sostegno dell'umido muro di cinta alle sue spalle, e con la stessa clinica indifferenza con cui un paziente si toglie la camicia si aprì il mantello ed estrasse il braccio sinistro dalla giacca. Christabel gli afferrò il polso e passò le dita sui lacci della manica. Sembrava stesse per scioglierli, quando infilò l'indice freddo sotto il bordo, a contatto con la pelle del polso e, guardandolo con dispetto, lacerò la manica fino al gomito. Sapeva che Stephen non avrebbe fatto una piega, ma lo constatò comunque con disappunto.

Sotto le dita sentiva distintamente il flusso del sangue del ragazzo, insieme alla forma dei suoi muscoli cresciuti, rispetto a qualche anno prima. Lui non lo immaginava, ma Christabel avrebbe potuto descrivere minutamente ogni suo cambiamento dalla prima volta che si erano incontrati.

In silenzio la rediviva calò sull'interno del gomito, senza curarsi di non fargli male. Era arrabbiata, aveva ceduto di malavoglia, e voleva che lui lo sapesse. Stephen non proferì un gemito, non ebbe nemmeno l'ombra del riflesso di sottrarle il braccio. Christabel succhiò con avidità quanto le serviva, sentendo il corpo del ragazzo farsi più molle contro il muro e lasciando che qualche goccia di sangue cadesse sulla neve bianca.

La posizione le permetteva di fissare la terra sotto di loro, coperta dall'ultima nevicata. Il rosso del sangue di Stephen spiccava ai suoi occhi come se fosse stato giorno, quel sangue che lui credeva fosse l'unica cosa che potesse darle. Arrabbiata per un motivo che nemmeno lei si sarebbe saputa spiegare, affondò ancora di più i denti nel braccio del ragazzo. Degno compare del principe che era riuscito a uccidere un’anziana rediviva, Stephen rimase ancora immobile, ma le gocce in mezzo al bianco aumentarono, e si fecero più grosse. A quella vista Christabel si ritrasse, come si sarebbe ritratta dalla fiamma di una candela, estraendo rapida i canini dalla pelle di Stephen.

Senza guardarlo, tornò sull'interno del gomito per lenire le ferite con la saliva. Indugiò a lungo, fissando ancora quei cerchi rossi in mezzo al bianco, per fare rimarginare al più presto la pelle, per farsi perdonare di un torto di cui – lo sapeva – Stephen non si sarebbe curato.

Quella violenza latente era stata una sorta di cattiveria gratuita, una specie di piccola vendetta, per non perdere del tutto la partita contro la sua razionalità. Tuttavia, quando aveva estratto i canini non aveva potuto fare a meno di baciarlo lì dove l'aveva ferito.

Continuando a non guardarlo in viso, Christabel montò velocemente a cavallo, mentre Stephen si rinfilava la giacca; gli porse una mano che ignorò orgoglioso e montò anche lui a cavallo. Se si era offerto era perché sapeva di poterlo fare senza compromettere l'esito della missione. Questo pensiero fugò il rancore della rediviva: Stephen non era certo tipo da aver bisogno di protezione.

Senza dire nulla, con addosso ancora la sensazione ambigua che gli dava il suo bacio di sangue e irritato da quegli atteggiamenti che non capiva, il ragazzo diede un colpo di staffe ai fianchi del cavallo. Christabel lo seguì in silenzio.

*

 

Il corpo di Christabel era freddo come la pietra e insieme inspiegabilmente morbido. Stephen non poteva sapere se dipendesse dal fatto che fosse una donna, o piuttosto dal fatto di essere una rediviva: non aveva termini di paragone, e inesplicabilmente non aveva interesse a trovarne. Però sapeva molte altre cose: ad esempio, sapeva che di lì a poco l'avrebbe sentito scaldarsi contro la sua schiena come si scalda una pietra al sole, in virtù del suo stesso sangue. E sapeva anche erano occorsi anni a loro due, per trovare il giusto compromesso tra ciò che desiderava l'uno e ciò che desiderava l'altra. Uno degli inconvenienti che si hanno quando quello dei due che ha poteri ammaliatori decide di non usarli.

Christabel stava passando le mani sulle sue spalle nude, saggiando le vene e le arterie: i suoi polpastrelli potevano sentire distintamente anche il minimo pulsare del più piccolo capillare. Sul comodino dei pezzi di cioccolata aromatizzata spandevano profumi che Stephen poteva solo intuire, mentre Christabel poteva chiaramente distinguere. La rediviva li sceglieva con la stessa cura che riservava alla ricerca dei vini e delle rose con cui profumava le stanze, ed erano il rimedio che usavano per ovviare la spossatezza che un bacio di sangue poteva causare al ragazzo. Uno degli inconvenienti che si hanno quando quello dei due che può scegliere quando dormire ha un turno la mattina presto alla Misericordia.

«Letto nulla di interessante mentre mi aspettavi?». Il soffio freddo delle sue parole arrivò tra il collo e la spalla sinistra, la vena che preferiva.

«Naturalmente sì. Ma non credo ti interessi davvero saperlo».

«Sfacciato». Un respiro dietro la nuca, sotto i capelli che aveva sollevato affondandovi le dita di entrambe le mani.

«In realtà ultimamente è altro a darmi pensieri...».

«Quel cofanetto?». Era tornata alla curva del collo.

«Te ne ricordi?».

«Naturalmente sì. Ma non credo ti interessi davvero saperlo...».

Christabel sentì un fremito di frustrazione corrergli sotto la pelle. Non amava essere preso in giro e soprattutto non amava risposte che non capiva. Lei fece finta di nulla e finalmente iniziò ad addentare la parte prescelta, lenendo la pelle con la saliva.

Stephen abbandonò la testa all'indietro, posandola sulla spalla di lei, chiudendo gli occhi. Pensò confusamente a qualcosa riguardo a un'informazione contenuta nell'ultimo libro sui redivivi che aveva letto proprio in quella casa, poi la sensazione di quel morso coprì la sua mente come un'onda e si lasciò svuotare.

Il corpo di Christabel stava iniziando a riscaldarsi contro di lui, quando lei estrasse lentamente i canini, premurandosi di far rimarginare le ferite con la sua saliva di rediviva. Il corpo di Stephen aveva la chiara percezione che fosse troppo presto, ma la sua mente non era abituata a dare credito a quel tipo di consapevolezza, e si risvegliò più confusa che sorpresa.

«All'ingresso c'è un messaggero dei Vandemberg». Parlava a voce bassissima, accanto al suo orecchio. «Dice che Axel ti vuole da lui immediatamente. E' grave e riguarda Altieres».

Imprecando nella lingua di Salimarr, Stephen si prese qualche istante contro la solida figura di lei prima di alzarsi, per scongiurare capogiri. Raggiunse la sponda del letto, e prima di recuperare i vestiti per la stanza addentò un paio di pezzi di cioccolato. Il profumo si fece più intenso per Christabel nel momento in cui Stephen ne scoprì il sapore. Uno degli inconvenienti che si hanno quando due corpi diversi fanno percepire il mondo in maniera diversa.

Nervoso e vagamente arrabbiato, Stephen si rivestì, lasciando scappare qualche altra colorita e indecifrabile espressione. Christabel non capiva se erano dettate dalla gravità della situazione che aveva intuito, o dal dover interrompere l'incontro con lei. Qualche anno prima non avrebbe avuto dubbi – ma adesso? Adesso preferiva crogiolarsi nel pensiero che non volesse lasciarla, senza indagare la realtà.

«Temo ci dovremo vedere un'altra volta», disse il ragazzo, quando fu pronto.

«Fammi avere un biglietto», gli rispose ancora seduta al centro del letto. Esitò, e poi si decise ad aggiungere: «Per farmi sapere se stai bene».

Stephen si fermò a guardarla per un lungo istante. Ancora una frase che non capiva. Eppure...

«Stai attento!» aggiunse lei.

«Naturale!». Una risposta scontata – perché qualcuno di razionale come lui avrebbe dovuto fare qualcosa di stupido? –, però questa volta c'era una nota calda nel suo tono di voce, una sorta di sorriso nascosto, come di chi ha letto qualcosa tra le righe.

Ma forse Christabel si stava solo immaginando tutto, permettendo ai propri sensi di rediviva di offuscarsi inseguendo un sogno.

Stephen uscì dalla stanza, e lei seguì i suoi passi fino all'ingresso, lo sentì parlare col messaggero, salire in groppa a un cavallo e sparire nelle vie della Città Vecchia. Seguì il galoppo degli zoccoli finché le fu possibile.

Christabel si lasciò ricadere sul letto, sospirando in una maniera stupidamente umana. Le lenzuola avevano l'odore di Stephen, la sua veste da notte aveva l'odore di Stephen, e anche il pezzo di cioccolato rimasto aveva l'odore di Stephen. E lo poteva sentire così distintamente proprio perché era così diversa da lui.

E le piaceva, che tutto avesse il suo odore.

*

 

Si era innamorata.

Non era la prima volta che le capitava, in oltre settant'anni di seconda vita, ma ogni volta era stato così magnificamente – umanamente – diverso.

Concentrata sui rumori che faceva Stephen nella biblioteca, sfogliando gli ultimi volumi che lei aveva acquistato, Christabel affondò le dita in una tazza di cioccolata bianca come la neve. Scottava, ma non le dava fastidio, era morbida e pastosa, densa e profumata – la situazione tra di loro. Le era sembrato che lui l'avesse gradita, l'ultima volta, così l'aveva fatta preparare di nuovo. Chissà se aveva notato l'accortezza?

Il tempo scorreva veloce e Stephen stava lentamente imparando a dare un senso anche alle frasi che apparentemente per lui non ne avevano. Tutto sommato, per Christabel non era un problema: Stephen non era eterno come lei, ma ancora giovane, avevano davanti tutta la sua vita, e lei sapeva essere paziente.

«Il volume di chirurgia è straordinario». Stephen entrò nel salotto e si accomodò sul divano con la libertà che anni di abitudine gli avevano dato.

«Lieta di essere utile», sorrise.

Lui scrollò le spalle. «Non ti frequento certo solo per i libri». Un tono troppo cristallino per nascondere malizia. Lo sguardo di Stephen si posò sugli occhiali dalle lenti scure sul tavolino – era da poco passato il tramonto. «Sai, penso di riuscirne a fare un paio con delle lenti più leggere e trasparenti...».

«Queste vanno benissimo...».

«Ma è un peccato nascondano del tutto un viso così bello». Il tono di voce si era fatto leggermente torbido, forse ci si poteva arrischiare a leggervi un complimento.

Stupidamente, Christabel sorrise.

 

 

***

 

 

C'era un pettegolezzo su Christabel Von Sayn, del quale sembrava essere perfettamente consapevole. Si vociferava, con la noncuranza di una frase casuale, che frequentasse uno studente della Societas di Medicina, motivo per il quale – secondo i curiosi – non si curava più dei suoi facoltosi ammiratori. Christabel spiava con segreto divertimento le occhiate fugaci, le allusioni a mezza voce e le parole interrotte a metà, aspettando.

Dalla sua parte aveva tutto il tempo di una vita.

 

 

Hatenaki yume motomeru shirube naki sekai de...

Cerchiamo sogni senza fine in un mondo senza guida...

(Kinya Kotani, Blaze)

 

 

 

BHA BUBBOLE!!! – note a caso

 

Tutti gli eventuali dettagli non coerenti con la saga dipendono dal fatto che non ho avuto tempo di rileggermi le oltre 1500 pagine dei tre volumi pubblicati fin’ora dalla natura della fanfic, che permette cambiamenti in virtù della sua stessa sostanza. Tutto calcolato, ovviamente.

 

Ho perso il controllo dei personaggi a metà fic, per cui prendetevela con loro *cuoricino*. E siccome il mio beta questa volta è stato Bill Gates tramite l’opzione “controllo ortografia e grammatica” di Office Word 2007, prendetevela con lui. Con me potete lamentarvi solo del fatto che a volte potrei aver scritto “Crystalball” al posto di “Christabel” (“non rompe niente e poi non macchia”, a parte nella seconda scena). Del resto sono del tutto esaurita in questi giorni. O forse ho solo fame.

 

Tornando alla storia… Come sempre con Black Friars mi devo ancorare alle vicende della saga: ho il terrore di lanciarmi in castronerie oltre a quelle causate dalla mancata rilettura.

Riguardo la prima scena: nel libro non mi dava l’idea fosse la prima volta, ma siccome questa fic è strutturata per momenti precisi, ho preferito rileggerla in questo modo… Quando avrò più confidenza col fandom in quanto fandom (eh?) magari mi lancerò nella scrittura di quello che mi ero immagina leggendo =)
Ah, “avrebbe pensato a tutto l'indomani” è Rossella O’Hara, inutile dirlo. *cuoricino*
Riguardo la seconda scena: Bryce non approverebbe.
Riguardo la terza scena, ovvero quando i personaggi mi sono partiti per la tangente: c’è un dubbio che mi ossessiona: cosa fa praticamente un vampiro con un umano??? (In BF, non nel quarto film di Twilight). Sono stata ambigua (lo sono stata, vero?) proprio perché non so quanto osare con questo fandom per lasciarvi libertà di immaginazione, ovviamente ;)

Riguardo i prompts: sono arrivati quando già avevo in mente la storia… Ma in verità mi avevano fatto venire in mente milioni di altre scene, alla faccia della struttura di questa OS.

 

Un’ultima cosa: la fic alla fine prende una sfumatura di soluzione della situazione di stallo che NON volevo darle, ma la parte narrativa del mio cervello fa quello che vuole. L’ottusità di Stephen l’ho un po’ ricalcata su quella della Brennan in Bones. In realtà penso che il personaggio in questione abbia una sorta di autismo ad altissimo funzionamento, più per le espressioni che a volte l’attrice le dà, che per le frasi o le capacità, ma questo non c’entra niente. Quello che mi piaceva, per chi conosce la serie, è la sua assoluta razionalità che non le fa capire le battute e l’ironia, che qui si trasforma nell’assoluta razionalità di Stephen che non gli permette di comprendere una frase di preoccupazione per lui, se per lui il pericolo non c’è. Ecco.

 

* Incrociate con me le dita per il contest =) *

 

Grazie a tutti per aver letto, e a presto =)

Viki

 

 

 

   
 
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