Inconsapevole
Verbum de Vero Contest, indetto da: Il Presidio - Black Friars (Pagina su Facebook)
Prompts: Cioccolato, neve, tatto
Personaggi: Stephen e Christabel
Pairing: Stephen/Christabel
Rating: Giallo
Note:
Romantico, Missing Moments
Hakanaki yume motomeru kotae naki sekai de.
Cerchiamo sogni fugaci in
un mondo senza risposte.
(Kinya Kotani, Blaze)
C'era un pettegolezzo su Stephen Dalton Eldrige, del quale sembrava
essere del tutto inconsapevole. Si vociferava, con la negligenza di un commento
occasionale, che frequentasse una rediviva bionda, motivo per il quale –
secondo i curiosi – non si curava delle altre donne. Stephen non notava le
occhiate fugaci, le allusioni a mezza voce e le parole interrotte a metà,
semplicemente perché l'argomento delle voci era una circostanza che nemmeno
sfiorava la sua mente.
***
«Questo»
esordì Christabel, prendendo la borsa con lo specchio dalle mani Stephen con
delicata fermezza, «lo prendo in consegna io. Non vorrei che ti ammazzassi nel
tentativo di studiarlo».
Nel
salotto della residenza di lei la tensione scivolava via da loro, lasciandoli
come svuotati. L'aria si alleggeriva, e c'era spazio per parole in più, per
gesti superflui e per quel tono un po' accondiscendente e rilassato.
«Mi
credete così maldestro?» rispose, piccato, assottigliando lo sguardo.
«No,
affatto» gli sorrise, lasciandolo interdetto.
Stephen
non capiva queste sue risposte contraddittorie. Non avevano senso, non erano logiche.
Christabel lo sapeva – e lo faceva apposta.
«Credo
che andrò a riposarmi. Non è stata una notte facile. Ti faccio preparare una
stanza?».
Il
ragazzo scosse la testa. «No. Se posso, vorrei approfittare ancora una volta
della vostra biblioteca».
Christabel
annuì e si voltò per andarsene, la borsa di cuoio saldamente in mano. Vedendola
allontanarsi di spalle, un pensiero balenò nella mente stanca di Stephen.
C'era
un'idea che gli vagava in testa da un po', un'idea a metà tra la mera curiosità
accademica e la tentazione più sfacciata. Un'idea tanto intensa da sfiorare
l'irrazionalità dell'ossessione, e per questo sempre messa a tacere, ma tanto
pressante da farlo parlare ora, – ora che c'era l'occasione, ora che la
stanchezza inibiva un po' il senso delle cose – prima che si rendesse conto di
cosa stesse dicendo.
«Non mi
sembra vi siate nutrita, stanotte. E io dovrò pur ricambiare la vostra
disponibilità nei miei confronti».
Christabel
si voltò, sorpresa. Aveva sentito il fremito di quel pensiero attraversarlo
prima che potesse aprire bocca, ma mai avrebbe immaginato potesse essere quello
il contenuto.
«Tutto
sommato è una proposta piuttosto sfacciata da parte tua, non credi?» prese
tempo. Prese tempo perché non sapeva cosa rispondergli: da un lato era attratta
e incuriosita dal quel ragazzo con le conoscenze e l'esperienza di un uomo
adulto, dall'altro lo riteneva troppo giovane e inesperto. Cos'erano i sedici
anni di Stephen a confronto del secolo di Christabel?
«Chiedo
scusa». Stephen chinò la testa non per rimarcare il rammarico, ma per
nascondere il lampo di irritazione causata dall'essere stato colto in fallo.
«Tuttavia,
non hai torto». Rapida come un battito di ciglia, Christabel aveva posato la
borsa di cuoio sul mobile più lontano della stanza e gli si era avvicinata
tanto da permettergli di sentire il suo respiro, inutile riflesso di quando era
ancora umana che cento anni non avevano ancora cancellato.
Stephen
rialzò lo sguardo per poterla guardare negli occhi. Si disse che voleva meramente
appurare il potere incantatore dei redivivi, si disse che si fidava abbastanza
di lei da non temere nessuna malia, si disse che il desiderio di caderne
vittima era una legittima curiosità scientifica. Non si preoccupò neppure per
un istante che nessuno dei suoi pensieri avesse il benché minimo nesso logico
con gli altri.
Malgrado
i tre anni in più in cui era stato congelato il suo corpo, la figura minuta di
Christabel era più bassa di svariati centimetri. Sollevò una mano fredda e
gliela posò sulla guancia: lo sentì fremere al contatto, ma non provò a
ritrarsi. Scese sul collo e tirò i nastri che chiudevano il mantello,
lasciandolo scivolare a terra con un suono sordo. Gli scostò il colletto,
liberandosi un'ampia porzione della sua pelle. Christabel la accarezzò con
calma, premendo sulla giugulare: poteva sentire il cuore di Stephen battere con
il suo ritmo usuale, non era affatto agitato.
Sembrò
esitare – stava scegliendo una vena? ci stava ripensando? - ma non si fermò.
Fece
scivolare la mano sul tessuto della giacca, gli toccò la spalla, il braccio, il
gomito, l'avambraccio, il polso, sfacciata come se quel tessuto non ci fosse.
Si arrestò.
Passò
il pollice sulla parte interna, dove la pelle era più sottile e le arterie più
accessibili. Il ragazzo non sapeva – davvero non sapeva – se lo stesse
ammaliando o meno. Senza smettere di guardarlo, Christabel si portò il polso
destro di Stephen alla bocca.
Il
lampo violento dei canini avrebbe potuto stonare con la dolcezza della sua
figura, se non fosse stata maledettamente bella anche in quel momento.
Lo
morse piano, lenendo con la lingua la carne delicata. Stephen fremette di nuovo
– forse per i canini, forse per la lingua – e di nuovo non provò a ritrarsi.
Era solo un'indagine accademica, perché avrebbe dovuto?
Prevedendo
il rischio di anemia, Christabel lo spinse un poco, fino a farlo sedere sul
divano dietro di loro. Gli si sedette tanto vicino che un lembo della sua gonna
nera andò a coprirgli i pantaloni, tanto vicino da non essere più considerata
una donna rispettabile, se fossero stati in pubblico.
Stephen
si era lasciato condurre inerme, concentrato su quella bocca e su quegli occhi
alzati verso l'alto per poterlo guardare in viso. Era una sensazione ambigua e
piacevole, quella che gli attraversava il braccio partendo dai nervi del polso,
una sensazione che coprì come un'onda sulla spiaggia ogni rimasuglio di
razionalità accademica, spirito scientifico o qualsivoglia altra
giustificazione la mente di Stephen potesse fornire per mascherare la volontà
irrazionale di quel desiderio.
Christabel,
dal canto suo, mise da parte ogni remora – avrebbe pensato a tutto l'indomani –
e si nutrì con calma di quanto aveva bisogno: Stephen aveva avuto ragione, non
beveva dalla notte precedente. Quando estrasse dolcemente i canini una goccia
di sangue le colò dalle labbra e Stephen, intontito, allungò sfacciatamente un
dito intorpidito per raccoglierla. Fulminea, Christabel gli afferrò la mano e
succhiò il suo polpastrello, riprendendosi la sua goccia.
Più
squisitamente intimo e deliziosamente indecente del nutrirsi dalle vene sottili
del polso.
Gli
baciò il polso, toccandolo con la lingua per accelerare la cicatrizzazione, da
lì a pochi minuti avrebbe smesso di sanguinare.
«Credo
che andrò a riposarmi. Non è stata una notte facile. Ti faccio preparare una
stanza».
La
pelle arrossata, la voce alta e ferma, la rediviva si alzò dal divano con
grazia e si avviò verso le sue stanze, la borsa con lo specchio improvvisamente
stretta al petto.
Stephen
rimase sul divano con un'inspiegabile sensazione sotto la pelle e la sgradevole
percezione di un denso velo di nebbia calato a separare la sua comprensione da
quello che – gli – era successo. Doveva fare qualcosa, doveva impegnare la
mente, prima che esplodesse in un vano tentativo di analisi. Recuperò una benda
dalle tasche del mantello, si fasciò il polso per impedirsi di fissare quei due
piccoli segni che lei gli aveva lasciato. Prese quanti più libri
possibili e li impilò sul tappeto, si sedette sull'altro divano per consultarli
– un argomento valeva l'altro.
Il sole
che sorse poche ore dopo lo trovò a sfogliare lentamente le pagine di un volume
di anatomia, freddo e misurato come era solito essere.
*
Stephen
aspettava Christabel con due cavalli, nel giardino della sua residenza
ricoperto di neve. Aveva parlato con Ross ed era pronto ad attuare il piano di
fuga. Non era agitato: aveva vagliato tutte le eventualità possibili ed era in
grado di far fronte ad ognuna. Dover far affidamento sulla rediviva non era un
problema: non era una questione di fiducia, semplicemente sapeva che lei
non avrebbe fallito.
Il
rumore dei suoi passi, attutito dalla neve, attirò la sua attenzione.
Christabel avrebbe potuto emergere dal buio in silenzio, bella e letale, ma era
solita usargli cortesie del genere, come palesare la sua presenza con segnali
tipicamente umani – un lieve bussare, un suono di passi, un finto colpo di
tosse...
Con un
rapido assenso gli comunicò che Axel ed Eloise stavano bene, e che sapeva
dell'esistenza di un piano. Stephen le passò un involto estratto da una sacca
affrancata alla sella del suo cavallo e Christabel lo aprì con inevitabile
grazia.
«Una
parrucca scura», commentò, indovinando il loro ruolo di diversivo. «Semplice e
insospettabile. Degno di tutti voi». Afferrò le redini dell'altro cavallo e
fece per salire.
«Sono
due giorni che non ti nutri. Hai bevuto?» le parole di Stephen la
immobilizzarono con un piede nella staffa. Lo rimise a terra e si voltò verso
di lui, rigida.
«Abbastanza.
Potremmo dover combattere. Tu devi restare in forze».
«Se
dovremo combattere io potrò fare molto poco di utile» rispose calmo.
«Quindi?»
la voce era stizzita, all'improvviso stranamente umana. «Dovrei portarti con me
come ci si porta dietro una cesta da pic nic la domenica pomeriggio?».
«Non
sarebbe una cattiva idea». Non era ironico. Era maledettamente serio.
Aveva
ragione – sia sulla sua inutilità, sia sull'ultima volta in cui si era nutrita
– e questo non faceva altro che irritarla ancora di più. Malvolentieri si
arrese all'evidenza di non aver bevuto abbastanza, lasciò le redini e si
avvicinò a lui. Prevedendo la sensazione di debolezza, Stephen arretrò fino a
trovare il sostegno dell'umido muro di cinta alle sue spalle, e con la stessa
clinica indifferenza con cui un paziente si toglie la camicia si aprì il
mantello ed estrasse il braccio sinistro dalla giacca. Christabel gli afferrò
il polso e passò le dita sui lacci della manica. Sembrava stesse per
scioglierli, quando infilò l'indice freddo sotto il bordo, a contatto con la
pelle del polso e, guardandolo con dispetto, lacerò la manica fino al gomito.
Sapeva che Stephen non avrebbe fatto una piega, ma lo constatò comunque con
disappunto.
Sotto
le dita sentiva distintamente il flusso del sangue del ragazzo, insieme alla
forma dei suoi muscoli cresciuti, rispetto a qualche anno prima. Lui non lo
immaginava, ma Christabel avrebbe potuto descrivere minutamente ogni suo
cambiamento dalla prima volta che si erano incontrati.
In
silenzio la rediviva calò sull'interno del gomito, senza curarsi di non fargli
male. Era arrabbiata, aveva ceduto di malavoglia, e voleva che lui lo sapesse.
Stephen non proferì un gemito, non ebbe nemmeno l'ombra del riflesso di
sottrarle il braccio. Christabel succhiò con avidità quanto le serviva,
sentendo il corpo del ragazzo farsi più molle contro il muro e lasciando che
qualche goccia di sangue cadesse sulla neve bianca.
La
posizione le permetteva di fissare la terra sotto di loro, coperta dall'ultima
nevicata. Il rosso del sangue di Stephen spiccava ai suoi occhi come se fosse
stato giorno, quel sangue che lui credeva fosse l'unica cosa che potesse darle.
Arrabbiata per un motivo che nemmeno lei si sarebbe saputa spiegare, affondò
ancora di più i denti nel braccio del ragazzo. Degno compare del principe che
era riuscito a uccidere un’anziana rediviva, Stephen rimase ancora immobile, ma
le gocce in mezzo al bianco aumentarono, e si fecero più grosse. A quella vista
Christabel si ritrasse, come si sarebbe ritratta dalla fiamma di una candela,
estraendo rapida i canini dalla pelle di Stephen.
Senza
guardarlo, tornò sull'interno del gomito per lenire le ferite con la saliva.
Indugiò a lungo, fissando ancora quei cerchi rossi in mezzo al bianco, per fare
rimarginare al più presto la pelle, per farsi perdonare di un torto di cui – lo
sapeva – Stephen non si sarebbe curato.
Quella
violenza latente era stata una sorta di cattiveria gratuita, una specie di
piccola vendetta, per non perdere del tutto la partita contro la sua
razionalità. Tuttavia, quando aveva estratto i canini non aveva potuto fare a
meno di baciarlo lì dove l'aveva ferito.
Continuando
a non guardarlo in viso, Christabel montò velocemente a cavallo, mentre Stephen
si rinfilava la giacca; gli porse una mano che ignorò orgoglioso e montò anche
lui a cavallo. Se si era offerto era perché sapeva di poterlo fare senza
compromettere l'esito della missione. Questo pensiero fugò il rancore della
rediviva: Stephen non era certo tipo da aver bisogno di protezione.
Senza
dire nulla, con addosso ancora la sensazione ambigua che gli dava il suo bacio di
sangue e irritato da quegli atteggiamenti che non capiva, il ragazzo
diede un colpo di staffe ai fianchi del cavallo. Christabel lo seguì in
silenzio.
*
Il
corpo di Christabel era freddo come la pietra e insieme inspiegabilmente
morbido. Stephen non poteva sapere se dipendesse dal fatto che fosse una donna,
o piuttosto dal fatto di essere una rediviva: non aveva termini di paragone, e
inesplicabilmente non aveva interesse a trovarne. Però sapeva molte altre cose:
ad esempio, sapeva che di lì a poco l'avrebbe sentito scaldarsi contro la sua
schiena come si scalda una pietra al sole, in virtù del suo stesso sangue. E
sapeva anche erano occorsi anni a loro due, per trovare il giusto compromesso
tra ciò che desiderava l'uno e ciò che desiderava l'altra. Uno degli
inconvenienti che si hanno quando quello dei due che ha poteri ammaliatori
decide di non usarli.
Christabel
stava passando le mani sulle sue spalle nude, saggiando le vene e le arterie: i
suoi polpastrelli potevano sentire distintamente anche il minimo pulsare del
più piccolo capillare. Sul comodino dei pezzi di cioccolata aromatizzata
spandevano profumi che Stephen poteva solo intuire, mentre Christabel poteva
chiaramente distinguere. La rediviva li sceglieva con la stessa cura che
riservava alla ricerca dei vini e delle rose con cui profumava le stanze, ed
erano il rimedio che usavano per ovviare la spossatezza che un bacio di sangue
poteva causare al ragazzo. Uno degli inconvenienti che si hanno quando quello
dei due che può scegliere quando dormire ha un turno la mattina presto alla
Misericordia.
«Letto
nulla di interessante mentre mi aspettavi?». Il soffio freddo delle sue parole
arrivò tra il collo e la spalla sinistra, la vena che preferiva.
«Naturalmente
sì. Ma non credo ti interessi davvero saperlo».
«Sfacciato».
Un respiro dietro la nuca, sotto i capelli che aveva sollevato affondandovi le
dita di entrambe le mani.
«In
realtà ultimamente è altro a darmi pensieri...».
«Quel
cofanetto?». Era tornata alla curva del collo.
«Te ne
ricordi?».
«Naturalmente
sì. Ma non credo ti interessi davvero saperlo...».
Christabel
sentì un fremito di frustrazione corrergli sotto la pelle. Non amava essere
preso in giro e soprattutto non amava risposte che non capiva. Lei fece finta
di nulla e finalmente iniziò ad addentare la parte prescelta, lenendo la pelle
con la saliva.
Stephen
abbandonò la testa all'indietro, posandola sulla spalla di lei, chiudendo gli
occhi. Pensò confusamente a qualcosa riguardo a un'informazione contenuta
nell'ultimo libro sui redivivi che aveva letto proprio in quella casa, poi la
sensazione di quel morso coprì la sua mente come un'onda e si lasciò svuotare.
Il
corpo di Christabel stava iniziando a riscaldarsi contro di lui, quando lei
estrasse lentamente i canini, premurandosi di far rimarginare le ferite con la
sua saliva di rediviva. Il corpo di Stephen aveva la chiara percezione che
fosse troppo presto, ma la sua mente non era abituata a dare credito a quel
tipo di consapevolezza, e si risvegliò più confusa che sorpresa.
«All'ingresso
c'è un messaggero dei Vandemberg». Parlava a voce bassissima, accanto al suo
orecchio. «Dice che Axel ti vuole da lui immediatamente. E' grave e riguarda
Altieres».
Imprecando
nella lingua di Salimarr, Stephen si prese qualche istante contro la solida
figura di lei prima di alzarsi, per scongiurare capogiri. Raggiunse la sponda
del letto, e prima di recuperare i vestiti per la stanza addentò un paio di
pezzi di cioccolato. Il profumo si fece più intenso per Christabel nel momento
in cui Stephen ne scoprì il sapore. Uno degli inconvenienti che si hanno quando
due corpi diversi fanno percepire il mondo in maniera diversa.
Nervoso
e vagamente arrabbiato, Stephen si rivestì, lasciando scappare qualche altra
colorita e indecifrabile espressione. Christabel non capiva se erano dettate
dalla gravità della situazione che aveva intuito, o dal dover interrompere
l'incontro con lei. Qualche anno prima non avrebbe avuto dubbi – ma adesso? Adesso preferiva crogiolarsi
nel pensiero che non volesse lasciarla, senza indagare la realtà.
«Temo ci
dovremo vedere un'altra volta», disse il ragazzo, quando fu pronto.
«Fammi
avere un biglietto», gli rispose ancora seduta al centro del letto. Esitò, e
poi si decise ad aggiungere: «Per farmi sapere se stai bene».
Stephen
si fermò a guardarla per un lungo istante. Ancora una frase che non capiva.
Eppure...
«Stai
attento!» aggiunse lei.
«Naturale!».
Una risposta scontata – perché qualcuno di razionale come lui avrebbe dovuto
fare qualcosa di stupido? –, però questa volta c'era una nota calda nel suo
tono di voce, una sorta di sorriso nascosto, come di chi ha letto qualcosa tra
le righe.
Ma
forse Christabel si stava solo immaginando tutto, permettendo ai propri sensi
di rediviva di offuscarsi inseguendo un sogno.
Stephen
uscì dalla stanza, e lei seguì i suoi passi fino all'ingresso, lo sentì parlare
col messaggero, salire in groppa a un cavallo e sparire nelle vie della Città
Vecchia. Seguì il galoppo degli zoccoli finché le fu possibile.
Christabel
si lasciò ricadere sul letto, sospirando in una maniera stupidamente umana. Le
lenzuola avevano l'odore di Stephen, la sua veste da notte aveva l'odore di
Stephen, e anche il pezzo di cioccolato rimasto aveva l'odore di Stephen. E lo
poteva sentire così distintamente proprio perché era così diversa da lui.
E le
piaceva, che tutto avesse il suo odore.
*
Si era
innamorata.
Non era
la prima volta che le capitava, in oltre settant'anni di seconda vita, ma ogni
volta era stato così magnificamente – umanamente – diverso.
Concentrata
sui rumori che faceva Stephen nella biblioteca, sfogliando gli ultimi volumi
che lei aveva acquistato, Christabel affondò le dita in una tazza di cioccolata
bianca come la neve. Scottava, ma non le dava fastidio, era morbida e pastosa,
densa e profumata – la situazione tra di
loro. Le era sembrato che lui l'avesse gradita, l'ultima volta, così
l'aveva fatta preparare di nuovo. Chissà se aveva notato l'accortezza?
Il
tempo scorreva veloce e Stephen stava lentamente imparando a dare un senso
anche alle frasi che apparentemente per lui non ne avevano. Tutto sommato, per
Christabel non era un problema: Stephen non era eterno come lei, ma ancora
giovane, avevano davanti tutta la sua vita, e lei sapeva essere
paziente.
«Il
volume di chirurgia è straordinario». Stephen entrò nel salotto e si accomodò
sul divano con la libertà che anni di abitudine gli avevano dato.
«Lieta
di essere utile», sorrise.
Lui
scrollò le spalle. «Non ti frequento certo solo per i libri». Un tono troppo
cristallino per nascondere malizia. Lo sguardo di Stephen si posò sugli
occhiali dalle lenti scure sul tavolino – era da poco passato il tramonto.
«Sai, penso di riuscirne a fare un paio con delle lenti più leggere e
trasparenti...».
«Queste
vanno benissimo...».
«Ma è
un peccato nascondano del tutto un viso così bello». Il tono di voce si era
fatto leggermente torbido, forse ci si poteva arrischiare a leggervi un
complimento.
Stupidamente,
Christabel sorrise.
***
C'era
un pettegolezzo su Christabel Von Sayn, del quale sembrava
essere perfettamente consapevole. Si vociferava, con la noncuranza di una frase
casuale, che frequentasse uno studente della Societas di Medicina, motivo per
il quale – secondo i curiosi – non si curava più dei suoi facoltosi ammiratori.
Christabel spiava con segreto divertimento le occhiate fugaci, le allusioni a
mezza voce e le parole interrotte a metà, aspettando.
Dalla
sua parte aveva tutto il tempo di una vita.
Hatenaki
yume motomeru shirube naki sekai de...
Cerchiamo sogni senza fine in
un mondo senza guida...
(Kinya Kotani, Blaze)
BHA
BUBBOLE!!! – note a caso
Tutti gli
eventuali dettagli non coerenti con la saga dipendono dal fatto che non ho
avuto tempo di rileggermi le oltre 1500 pagine dei tre volumi pubblicati fin’ora
dalla natura della fanfic, che permette cambiamenti
in virtù della sua stessa sostanza. Tutto calcolato, ovviamente.
Ho
perso il controllo dei personaggi a metà fic, per cui
prendetevela con loro *cuoricino*. E siccome il mio beta questa volta è stato
Bill Gates tramite l’opzione “controllo ortografia e grammatica” di Office Word
2007, prendetevela con lui. Con me potete lamentarvi solo del fatto che a volte
potrei aver scritto “Crystalball” al posto di “Christabel” (“non rompe niente e poi non macchia”, a parte
nella seconda scena). Del resto sono del tutto esaurita in questi giorni. O
forse ho solo fame.
Tornando
alla storia… Come sempre con Black
Friars mi devo ancorare alle vicende della saga: ho
il terrore di lanciarmi in castronerie oltre a quelle causate dalla mancata
rilettura.
Riguardo
la prima scena: nel libro non mi dava l’idea fosse la prima volta, ma siccome
questa fic è strutturata per momenti precisi, ho
preferito rileggerla in questo modo… Quando avrò più
confidenza col fandom in quanto fandom
(eh?) magari mi lancerò nella scrittura di quello che mi ero immagina leggendo
=)
Ah, “avrebbe pensato a tutto l'indomani” è Rossella O’Hara, inutile dirlo. *cuoricino*
Riguardo la seconda scena: Bryce non approverebbe.
Riguardo la terza scena, ovvero quando i personaggi mi sono partiti per la tangente: c’è
un dubbio che mi ossessiona: cosa fa
praticamente un vampiro con un umano??? (In BF, non nel quarto film di Twilight). Sono stata ambigua (lo sono stata, vero?)
proprio perché non so quanto osare con questo fandom
per lasciarvi libertà di immaginazione, ovviamente ;)
Riguardo
i prompts: sono arrivati quando già avevo in mente la
storia… Ma in verità mi avevano fatto venire in mente
milioni di altre scene, alla faccia della struttura di questa OS.
Un’ultima
cosa: la fic alla fine prende una sfumatura di
soluzione della situazione di stallo che NON volevo darle, ma la parte
narrativa del mio cervello fa quello che vuole. L’ottusità di Stephen l’ho un
po’ ricalcata su quella della Brennan in Bones. In realtà
penso che il personaggio in questione abbia una sorta di autismo ad altissimo funzionamento,
più per le espressioni che a volte l’attrice le dà, che per le frasi o le
capacità, ma questo non c’entra niente. Quello che mi piaceva, per chi conosce
la serie, è la sua assoluta razionalità che non le fa capire le battute e l’ironia,
che qui si trasforma nell’assoluta razionalità di Stephen che non gli permette
di comprendere una frase di preoccupazione per lui, se per lui il pericolo non
c’è. Ecco.
* Incrociate
con me le dita per il contest =) *
Grazie
a tutti per aver letto, e a presto =)
Viki