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Autore: giulia_strayeah    11/06/2013    1 recensioni
Questa è una fanfiction su un artista musicale italiano, Emanuele Corvaglia, ma la pubblico in questa sezione perchè EFP non mi permette di pubblicarla nella sua categoria.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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  Domenica mattina. 
Ore 10:03.
Mi sono alzata di scatto, ho sempre odiato le sveglie, soprattutto nei giorni festivi.
La scuola era finita, ma come del tutte le domeniche, non potevo fare a meno di godermi una mattinata così soleggiata nella piazza mio piccolo paesino in provincia di Napoli.
Mi sono “affrettata” a vestirmi(beh, forse “affrettata” non è proprio la parola adatta, diciamo che non stavo del tutto dormendo in piedi con la camicia in mano) e ho avvertito mia madre che stavo per uscire.
Mi chiamo Giulia e ho… si, questa è la fase più dura, ho solo quattordici anni.
Detesto la mia età, per svariate ragioni.
Non mi sento “sfortunata” come molte altre ragazze, le cose essenziali le ho.
Ho genitori, parenti ed amici che mi vogliono bene, e nonostante non vivessi nel lusso più totale ho tutto quello che mi serve per “continuare a vivere”.
Insomma… non mi reputo la persona più felice del mondo, ma comunque vivo abbastanza serena.
Poi si sa, l’adolescenza è un po’ strana, è come se ti mancasse sempre un qualcosa, un qualcosa di estremamente importante, un qualcosa che ti completa, un qualcosa di cui hai estremamente bisogno.
Vivo di musica, amo recarmi in piazza ad ascoltare i musicisti di strada, soprattutto la domenica mattina, in giornate come questa.
Ed eccomi qua.
Seduta in panchina con un esta-thè in mano, con gli occhi socchiusi, a godermi la magia di quelle poche, pochissime note in grado di portarmi in un universo parallelo, un giro turistico che vorrei non avesse mai fine.
Oramai i musicisti mi conoscevano benissimo e osavano scambiare quattro parole con me tra un pezzo e l’altro.
Mi incantava chiacchierare con loro, avevano sempre qualcosa di interessante da dirmi, sapevano tante, tantissime cose.
“Ora vado al bar ‘chè le mie amiche mi staranno aspettando da un pezzo, credo che dovrò lasciarvi. Passerò più tardi per un saluto, a dopo!”
“A dopo Giulia!” rispose Lorenzo. Lorenzo non era un suonatore di flauto come tanti. Lui era la persona con la quale osavo confidarmi, alla quale chiedevo una miriade di consigli, sapeva sempre cosa rispondermi.
Era un amico. Avere un amico di trent’anni alla mia età può sembrare un po’ buffo, ma dato che “buffo” è la mia parola d’ordine non c’è nulla di che stupirsi.
“Lore, noi ci vediamo sulla nostra panchina, come al solito!”
Mi recai al bar dove le mie amiche aspettavano impazienti. Lo sguardo spietato di Sara diceva tutto.
“ Come al solito, sono già le undici!” Iniziò a lamentarsi in tono sarcastico.
“Tanto non hai neppure finito di bere la Coca-Cola.” Replicai.
“Ahahah. Che si dice di bello?” chiese Paola, domanda scontatuccia.
“Dico che tra un po’ devo andare. Mia madre mi ha chiesto di rincasare presto.” Non era vero. La verità era che mi scocciavo di stare lì ad ascoltare i soliti pettegolezzi.
“ Uhh Giù, sei la solita. Vieni in ritardo e resti con noi solo pochi minuti.”
“Non è mica colpa mia! Mi alzo tardi e per salutarvi devo fare i salti mortali!” un’altra balla.
Squilla il telefono. Bel pretesto per darmela a gambe.
“D’oh, questa è lei. Starà già brontolando. Ragazze dovete perdonarmi…”
“Ok, va bene. Ci vediamo domani per gli esami orali.”
“Au revoir.”
Sul retro del bar, dovevo correre sul retro del bar!
Tutte le domeniche me la svignavo lì.
Mi sedevo sulla panchina e aspettavo che arrivasse Lorenzo.
Quella era la “nostra panchina”.
Peccato che quella mattina c’era già qualcun altro seduto lì, cosa mai capitata da quando Lorenzo ed io abbiamo iniziato a darci appuntamento in quel luogo.
Era un ragazzo sui diciotto anni intento ad accordare una chitarra. 
Strano, non l’avevo mai visto in giro prima d’ora.
Senza troppe esitazioni mi feci avanti[...]
  
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