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Autore: Flaqui    12/06/2013    9 recensioni
-Che colore vedi?- gli chiese.
-Nero- rispose Albus e, anche ad occhi chiusi, Rose percepì i suoi movimenti contro il braccio.
-Dai, seriamente. Non te lo ricordi più il gioco?-
D’estate lo facevano sempre, quando erano troppo stanchi per giocare a Quidditch o correre in giro o dare fastidio a Dominique –o dopo aver giocato a Quidditch, aver corso in giro e aver dato fastidio a Molly-. Si stendevano supini nei campi di grano vicino alla Tana, le braccia allargate e le spine di grano che li sovrastavano di parecchi centimetri, svettanti verso l’alto e chiudevano li occhi. Zia Audrey aveva detto loro che, se si concentravano sulle loro palpebre chiuse e stavano immobili per un po’, oltre al nero sarebbe apparso un altro colore.
Da quello, poi, si poteva capire il loro umore e la loro anima.
Rose, quando era diventata più grande, aveva capito che molto probabilmente era stata solo un modo per farli stare fermi per qualche minuto, in modo che tutti li adulti –e la povera Molly- potessero prendere un po’ di respiro.
Ma era divertente fingere di crederci ancora.
{Rose/Scorpius - Summer Days}
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Angolo Autrice

Come posso dire?
Si ritorna alle origini! Non posso stare per troppo tempo lontana dal mio OTP!
Era da tempo che non scrivevo su questi due e l'occasione si è presentata grazie alla sfida lanciatami nel gruppo "Fanfiction Challenges", ovvero una Pairing Rose/Scorpius con Prompt: Vacanze Estive. Cioè, in effetti c'ho un po' paura di essere uscita fuori prompt ma... 
Spero che vi piaccia!
Un ringraziamento alle meravigliose ragazze del gruppo!
Fra

A cosa pensi?


Rose Weasley non fumava le sigarette –ci aveva provato, una volta, ma si era messa a tossire come una pivellina e da quel giorno non aveva più ritentato- ma le piaceva l’odore della nicotina e la sensazione di calma che le lasciava.
Albus se ne stava facendo una proprio in quel momento. Lui non si era mai fatto troppi problemi nel ricorrere a invenzioni babbane, come dimostravano gli innumerevoli paia di occhiali da sole a mascherina –che portava rigorosamente la sera, quando il sole era già tramontato, e che aveva indossato al contrario con convinzione fino a che Dominique non era scoppiata a ridergli in faccia- e la scatola di quadratini colorati che teneva nascosti nel cassetto –Rose aveva preferito sorvolare sull’uso che ci faceva, di quei cosi-.
Era estate, ormai, il vento fresco e leggero che scompigliava i loro capelli e il sole dai raggi obliqui che picchiavano sui loro capi; e Rose si dondolava lentamente sulla vecchia altalena in legno che Teddy aveva costruito quando erano piccoli.
Era sempre stato il loro posto preferito, suo e di Albus, lì alla Tana. Non troppo lontano da perdersi nei campi di grano attorno alla casa dei nonni, ma nemmeno troppo vicino da poter essere visti o rimproverati dalle rispettive mamme. La vecchia altalena era ancorata da delle corde vecchie e sfilacciate, che rimanevano attaccate al ramo dell’albero di melo solo grazie alla magia, e quando si muoveva cigolava appena, ma loro ci andavano ancora.
Era così facile, in quel luogo, fingere che nulla fosse cambiato e che tutto andasse bene. Che lei e Albus fossero ancora due ragazzini di nove anni che si sfidavano a chi si arrampicava più in alto e che il panorama che vedevano dalla cima delle fronde fosse l’unico mondo che avrebbero mai conosciuto.
Le cose erano cambiate, loro erano diventati grandi e Rose ed Albus non avevano più nove anni. Ma l’estate, l’albero e l’altalena erano sempre li stessi.
Albus fece un tiro così profondo che Rose ebbe quasi paura che la ingoiasse, quella sigaretta. Invece lui si limitò a gettare fuori il fumo con una smorfia appena accennata e gettare il capo contro il tronco dell’albero. Rose lo vide chiudere li occhi e, memore di quel gioco che facevano sempre da piccoli, li chiuse anche lei.
«Che colore vedi?» gli chiese.
«Nero» rispose Albus e, anche ad occhi chiusi, Rose percepì i suoi movimenti contro il braccio.
«Dai, seriamente. Non te lo ricordi più il gioco?»
D’estate lo facevano sempre, quando erano troppo stanchi per giocare a Quidditch o correre in giro o dare fastidio a Molly –o dopo aver giocato a Quidditch, aver corso in giro e aver dato fastidio a Molly-. Si stendevano supini nei campi di grano vicino alla Tana, le braccia allargate e le spine di grano che li sovrastavano di parecchi centimetri, svettanti verso l’alto, e chiudevano gli occhi. Zia Audrey aveva detto loro che, se si concentravano sulle loro palpebre chiuse e stavano immobili per un po’, oltre al nero sarebbe apparso un altro colore.
Da quello, poi, si poteva capire il loro umore e la loro anima.
Rose, quando era diventata più grande, aveva capito che molto probabilmente era stata solo un modo per farli stare fermi per qualche minuto, in modo che tutti gli adulti –e la povera Molly- potessero prendere un po’ di respiro.
Ma era divertente fingere di crederci ancora.
«Si che me lo ricordo, Rose» Albus sospirò appena «E’ stupido farlo ancora»
«Era divertente, invece. Era un modo carino per chiederti a cosa pensavi»
«Potresti semplicemente chiedermi a cosa penso, adesso»
«A cosa pensi?»
«Che questa sigaretta è durata troppo poco. Devo farmene un’altra. E tu a cosa pensi?»
Rose aveva gli occhi ancora chiusi e il cuore che batteva forte. Il sole estivo batteva forte e il vento era calato, ma non credeva fosse colpa dell’aumento della temperatura.
Vedo rosso, Al. Vedo rosso dappertutto.
«A niente»
Sarebbe stato piuttosto imbarazzante –assurdo, stupido, idiota- dirgli che pensava a Scorpius Malfoy e alle sue labbra rosse.

***

 
«Tieni troppo sulla destra»
Rose si è tolta la casacca Grifondoro e l’ha gettata per terra, quasi morendo dalla voglia di saltarci sopra per la rabbia e la frustrazione. Se la scopa che ha in mano non fosse la sua unica, meravigliosa, sacra scopa da corsa avrebbe gettato per terra anche quella.
Prende a camminare velocemente, incurante della figura alta e magra di Scorpius Malfoy che la segue senza nemmeno dover accelerare il passo –maledette gambe lunghe, maledetto lui-.
Non si gira e non gli rivolge la parola fino a che non arriva al cortile pavimentato. A quel punto, con grossi nuvoloni sopra la testa e la strana –assurda, odiosa, orribile- voglia di mettersi a piangere, gli getta addosso la sacca degli allenamenti.
«Che cosa diamine vuoi, Malfoy?-
Scorpius Malfoy è il migliore amico di suo cugino Albus. Rose non ci ha mai passato troppo tempo insieme –Scorpius è un Corvonero e passa tutto il suo tempo in biblioteca a leggere libri di cui non importa nessuno. Ci passa interi pomeriggi, con il naso immerso fra vecchie pagine e Rose crederebbe quasi che sia un vampiro, se non lo vedesse camminare alla luce del sole- e non hanno mai parlato davvero –solo una lunga serie di “Buongiorno”, “Mi passi delle radici di valeriana?”-, eppure a Rose sembra di sapere tutto quello che c’è da sapere su di lui.
Scorpius è noioso, parla poco e ti fissa sempre con quei suoi occhi grigi spalancati. Sta sempre con le labbra sottili –rosse, ha le labbra così rosse- chiuse in una smorfia che Rose non riesce mai a capire se è un sorriso o no, non gioca a Quidditch e, prima che lei entrasse nella Squadra di Grifondoro, non l’ha mai visto entrare nello Stadio.
«Che tieni troppo sulla destra. È per questa che Nott ti ha disarcionato tanto facilmente. Se ti sbilanci troppo, è più facile buttarti giù
»
Rose lo guarda con lo sguardo che scintilla e lui sembra aver frainteso perché continua a parlare –Rose non l’ha mai sentito parlare così a lungo-.
«Nott, per esempio, ha la brutta abitudine di tenere la mazza con una mano sola, quindi, se riusciste a fargli per…»
Rose lo manda a quel paese perché Nott l’ha disarcionata, perché la testa le fa male per il colpo e perché Grifondoro ha perso per un dannatissimo punto –quello che avrebbe dovuto segnare lei- e perché… perché Scorpius Malfoy non sa proprio nulla di Quidditch e della sua vita. Non si sono mai considerati, mai, mai.
Mentre corre evitando le pozzanghere per terra –il temporale alla fine è arrivato- si sente i suoi occhi grigi addosso e percepisce le sue labbra rosse strette, ma a Rose non frega assolutamente nulla.
Ha perso la partita.
Piove e ha perso la partita.
Scorpius Malfoy che si improvvisa esperto di Quidditch non le serve proprio.
 
Sono iniziate le vacanze ma il maltempo non se ne va, ancora.
Rose è di cattivo umore –Dominique le dice sempre che lei è come il tempo- e il rumore alla Stazione le da fastidio.
McLaggen non si è arrabbiato troppo, per la sconfitta contro i Serpeverde.
«Ci riproviamo l’anno prossimo» ha detto, scrollandosi appena nelle spalle.
Rose non vuole riprovarci l’anno prossimo. Vuole solo entrare in treno e lasciarsi quel terribile sesto anno alle spalle. Il prossimo -il settimo, l’ultimo- sarà ancora peggio, se lo sente.
I M.A.G.O. incombono su di lei, promettendole notti intere passate a recuperare tutto quello che non ha studiato nei precedenti sei anni –per il Quidditch. Tutti quelle cose lasciate indietro per il Quidditch, lo Scadente in Pozioni e in Artimazia, li allenamenti ad ore impossibili della notte, tutto per il Quidditch, per essere disarcionata come una ragazzina di primo- e la fine della sua adolescenza.
«Rose!» suo cugino Albus le fa cenno con la mano. È in treno, ormai, e la saluta dal finestrino «Rose, muoviti! Ti tengo il posto!»
Rose annuisce e si china a prendere i suoi bagagli. Quando cerca di caricarli in treno c’è la mano pallida di Scorpius Malfoy ad aiutarla, i suoi occhi grigi e le sue labbra rosse.
Lei vorrebbe dirgli che non le serve una mano –grazie tante, davvero, ma no- ma è stanca e annoiata anche della silenziosa guerra che ha portato avanti con lui per quelle due settimane. Se prima non si parlavano, dopo l’incontro alla partita i rapporti si sono raffreddati ancora di più. Non si sono nemmeno salutati, fino alla fine delle lezioni.
Scorpius Malfoy la aiuta con i bagagli e, senza che lei glielo dica, maneggia con cautela il manico della sua scopa, adagiandola con cura sopra il baule. Poi salgono insieme sul treno e si siedono nello stesso scompartimento, con Albus che parla e fuma fra di loro.
Non si sono parlati, per due intere settimane, ma Rose è stata consapevole dei occhi suoi puntati sulla sua schiena e della smorfia sulle sue labbra rosse.
Non è normale, se lo dice in continuazione, non è proprio normale.
Scorpius Malfoy non è normale. Ha le labbra troppo rosse, per essere così pallido.
E’ un vampiro. Passa tutto il suo tempo rinchiuso in biblioteca e le sue labbra sono rosse per il sangue delle sue vittime.
Rose non è normale neanche lei.
 
Il giardino della Tana è inondato dai raggi del sole e l’estate sembra ormai reale e presente.
Hugo, che ha ereditato dal nonno la passione per li oggetti babbani, sta cercando di smontare un vecchio stereo della mamma e Rose vorrebbe solo che la smettesse di fare chiasso.
È stupido, si chiese, continuare a pensare alla sconfitta sul campo da Quidditch?
Suo padre non ne sarebbe affatto contento, se lo sapesse.
Lei è una Weasley. I Weasley non perdono a –pensano alle labbra di- Quidditch –Scorpius Malfoy-.
Sua madre le si siede accanto e Rose se ne stupisce un po’. È seduta accanto alla finestra e guarda fuori, i giorni d’estate che passano lenti con niente ad occuparli se non i pensieri.
«A cosa pensi, Rosie?»
Rose si ricorda del gioco che faceva con Albus e si chiede se potranno ancora farlo, quando saranno abbastanza grandi da poter guardare indietro senza sentire un buco all’altezza del petto e una grande nostalgia e rimpianto.
Chiude gli occhi e cerca di concentrarsi su un colore.
Ma vede solo le labbra di Scorpius Malfoy e quel rosso la invade e l’acceca.
«A niente»
 

***


«Scorpius arriverà domani, sai?»
Rose sussultò appena, ritornando al presente.
Lei e Albus erano stesti per terra, sotto l’ombra del grande melo con l’altalena che dondolava lenta appena sopra le loro testa.
Per un attimo ebbe paura che avesse letto i suoi pensieri ma, dopo essersi data della stupida, cercò di annuire senza destare troppi sospetti.
«Ah si?»
«Mh-mh. Rimane per un po’. Sai, i suoi genitori sono stati invitati per una settimana dai cugini francesi e Scorpius li odia da morire, quindi…»
Rose, improvvisamente, si rese conto di non sapere assolutamente nulla di Scorpius Malfoy se non che aveva li occhi grigi, che gli piacevano i libri e che aveva le labbra rosse –troppo rosse, troppo, troppo-.
«Al, secondo te io come gioco a Quidditch?»
«Che?»
«Gioco bene? Insomma… c’è qualcosa che dovrei migliorare o…?»
«Tieni troppo sulla destra, forse»
 
Rose si chiese se, quando Scorpius Malfoy sarebbe arrivato alla Tana, in un tiepido e soleggiato giorno d’estate, avrebbe avuto voglia di darle qualche consiglio sul Quidditch.
Magari le avrebbe fatto anche provare le sue labbra rosse.



Piccola Nota Finale.
La scelta di introdurre il primo e l'ultimo paragrafo con il tempo passato, e i tre intermedi al presente è voluta.
Discutibile, forse. Ma mi piaceva l'idea di presentare l'evolversi del rapporto e dei pensieri dei due protagonisti al presente, per coinvolgere maggiormente il lettore! Spero che questo non disturbi troppo la lettura!
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