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Autore: PollyTheHomeless    12/06/2013    4 recensioni
Dedicata a Jo e Shinushio
Non poteva continuare a vivere così. Poteva davvero chiamarla vita, quella che conduceva ormai da mesi?
Non ricordava più nemmeno quanti ne erano passati, tanto scorrevano così uguali, come fossero gocce di pioggia, che cadendo riempiono ogni superficie concava disponibile. E più piove, più queste si riempiono. Ma arriva un momento in cui si arriva al limite, le gocce sono troppe e il limite viene superato. Gli argini si spezzano e l'acqua inizia a sgorgare lentamente fuori.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Donghae, Eunhyuk, Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Siwon/eunhyuk
Salve!

Leggete queste note prima di leggere!  

Ammetto di essere parecchio in ansia per vari motivi:
1. Non mi sono mai spostata su altri fandom, quindi qui per me è tutto nuovo.
2. La storia non mi convince -approfondirò meglio il punto-
3. Ansia da prestazione (?)

No davvero, mi sa che queste note saranno più lunghe della shot stessa.
Innanzitutto, vi anticipo prima qualcosa: no, non sono spastica. La storia è divisa in parti, piccoli accenni di vita, si susseguono si, ma non per forza in tempi brevi. Prendetele un po' come la descrizione di una routine, poi capirete il perché. Ogni parte pare scritta -o è scritta, non saprei- in maniera diversa, perché ogni parte esprime un qualcosa di diverso dall'altra. Alcune sono legate e scritte in maniera simile, altre no. Ripeto, non prendetemi per un idiota o che so io, è stato fatto volutamente, per rendere al meglio ciò che io penso dei personaggi e contesto e situazioni in cui si muovono. È stato difficile scrivere questa shot proprio per questo motivo: io ho un rapporto complicato con i personaggi delle mie storie, specie se inseriti in un contesto come quello della storia qui sotto. Parlando chiaramente, a scrivere una fic demenziale non mi preoccupo minimamente, ma qui è completamente diverso. Avevo paura di sfociare nel ridicolo, di amplificare a schifo i sentimenti e renderli irreali, cosa che odio e non vorrei davvero fare. Spero sinceramente di non averlo fatto (ecco uno dei perché dell'ansia).
Mi scuso anticipatamente per eventuali errori di qualunque genere (ricontrollo sempre più volte, ma alcuni errori sfuggono sempre).

I personaggi non mi appartengono e bla bla....

Detto ciò, non posso aggiungere altro altrimenti devo descrivervi mezza trama e non mi pare il caso.
Passiamo ad altro!

Ci sono due ragazze che aspettano questa shot da settimane (motivo principale dell'ansia). Due scrittrici fantastiche, che stimo e seguo da tanto tempo, dall'epoca in cui il fandom dei Gazette era IL fandom dei Gazette e ci stava davvero bella gente. 
A queste due ragazze è dedicata la shot: Shinushio e Jo.







A Shin perché mi ha un po' aperto gli occhi sul k-pop, perché scrive da dio, mi ha fatto conoscere gli EXO e condividiamo la stessa passione per Sehun. 


A Jo, perché l'ho ammorbata su fb con i miei dubbi, perché scleriamo sui suju come se non ci fosse un domani e perché è la mia promessa sposa (sono in cerca dell'anello <3).


Ad entrambe, perché vi voglio sinceramente bene e da quando ho detto di voler scrivere una Eunhae, volete leggerla e mi avete aspettato. Spero di non deludervi.


Una dedica speciale va alla mia piccola paperella viola, Kenia. Con tutta probabilità nemmeno leggerà questa dedica, ma non importa. Anche se non è loro fan, e mi picchia quando ne parlo, e mi trascina via a forza dagli altri fandom... Effettivamente non ci sarebbe nessun motivo per dedicargliela, ma le voglio bene, quindi tanto basta <3















A vase full of drop of feelings














Non poteva continuare a vivere così. Poteva davvero chiamarla vita, quella che conduceva ormai da mesi?
Non ricordava più nemmeno quanti ne erano passati, tanto scorrevano così uguali, come fossero gocce di pioggia, che cadendo riempiono ogni superficie concava disponibile. E più piove, più queste si riempiono. Ma arriva un momento in cui si arriva al limite, le gocce sono troppe e il limite viene superato. Gli argini si spezzano e l'acqua inizia a sgorgare lentamente fuori.

Così era adesso l'anima di Hyukjae: un contenitore che si era riempito piano piano, sopportando in silenzio il peso di quel liquido all'apparenza trasparente ma che al buio della notte sa diventare di un nero così profondo che non ne vedi la fine. Era diventato troppo per essere ancora sopportato, ed era crollato, schiacciato da quel peso al petto, all'altezza del cuore.
Da quanto tempo non dormiva decentemente? Da quanto tempo non mangiava più con gusto? Aveva perso quella voglia di vivere che lo distingueva, quella vitalità che era parte integrante del suo carattere. Il suo sorriso tutto gengive era ormai perennemente celato dietro le labbra secche e serrate, chiuse in una linea dura e dritta, che al massimo si piegava in smorfie sofferenti e per niente consone al suo viso.

L'unico momento in cui riusciva a distrarsi e tornare lo Hyukjae di sempre era quando andava in sala prove a danzare. Lì, da solo, la musica che aleggiava nella stanza, il grande specchio a parete dove si riflettevano i suoi movimenti. Si sentiva libero. Libero di essere se stesso, di sfogarsi, di divertirsi. Ma puntualmente bastava un secondo, una nota più grave o un passo sinuoso e fluido e tutto ciò che aveva faticosamente allontanato dalla sua mente ritornava prepotentemente a galla. E l'unica cosa che riusciva a fare era rannicchiarsi in terra, stringere le ginocchia al petto e piangere.
Lo specchio rifletteva -oramai sempre più spesso- l'immagine di un ragazzo fragile, triste e spento. Un ragazzo che aveva conosciuto la felicità, l'amore.
Un ragazzo a cui la felicità era stata strappata dall'amore stesso, e che adesso non riusciva più a raggiungere.

Si chiedeva perché la vita fosse stata così ingiusta con lui, perché proprio lui dovesse vivere quello strazio. Perché aveva un cuore? Perché amava? Chi glielo aveva insegnato? Avrebbe preferito non saper amare, si sarebbe risparmiato quel macigno che ora gli gravava addosso e sembrava volerlo schiacciare da un momento all'altro, ponendo fine alla sua vita. Ma in fondo era consapevole che quel peso insostenibile era stato lui stesso a legarlo a sé, portandolo consapevolmente sulle sue spalle. Poteva porre fine a quello strazio. Poteva, ma non lo faceva. Era forse un debole per questo? Forse. Ma i sentimenti rendono deboli. E forse lui provava troppi sentimenti, talmente tanti che adesso era vulnerabile e debole come una piccola fogliolina appena nata, esposta alle intemperie del mondo.

Ma anche una piccola foglia viene protetta dalla natura. La folta chioma dell'albero la protegge, la nasconde al mondo. E la sua chioma era Donghae. Lo aveva sempre protetto, lo sosteneva, gli era sempre vicino. Se qualcosa non andava, sapeva che lui c'era, gli avrebbe dato una mano nel bene e nel male.  Aveva sempre accettato di buon grado la sua presenza. Ma questa volta era diverso. Teneva lontano tutto e tutti, e Donghae non faceva eccezione. L'amico aveva provato a tirarlo su, gli aveva parlato a lungo, sbattendogli in faccia la realtà dei fatti più di quanto la realtà stessa non avesse già fatto precedentemente. E lui si era chiuso nel suo riccio di dolore, isolandosi e impedendo all'altro di aiutarlo in alcun modo.


***


Rannicchiato con le ginocchia al petto in un angolo del davanzale interno della finestra, osservava pigramente il panorama che quel giorno era velato da un sottile strato di grigio creato dalla pioggia che scendeva fitta da diverse ore, ormai. Rigirò tra le mani la tazza di tè caldo preparato solo qualche minuto prima. Ci soffiò dentro per raffreddarlo, chinando la testa e rimanendo per qualche attimo ad osservare il liquido chiaro all'interno della tazza muoversi e creare della piccole onde dorate che andavano ad infrangersi contro i bordi chiari della ceramica. Soffiò un'ultima volta e portò la tazza fumante alla labbra, prendendo un solo piccolo sorso della bevanda . Una delle poche cose che riusciva ancora ad ingerire, dato che il suo corpo ormai rifiutava ogni tipo di cibo solido. Mandò giù il liquido caldo leccandosi le labbra umide e tornò a guardare fuori dalla finestra .Gli piaceva quell'angolino, ricoperto da cuscini morbidi e comodi. Da lì guardava pigramente fuori dalla finestra le gocce di pioggia riempire un piccolo contenitore giusto accanto alla vetrata. Lo aveva comprato e posizionato lì lui stesso, come piccola vaschetta per gli uccellini di passaggio. Gli piacevano gli animali ma, per uno motivo o per un altro, non aveva mai avuto la possibilità di prenderne uno. Così in pomeriggi come quelli, si dilettava a guardare gli animaletti che, stanchi di sbattere freneticamente le ali per librarsi in cielo, facevano una pausa giusto lì, lavandosi le piume colorate con minuzia, bevendo l'acqua fresca per poi dirigersi nuovamente lontano da lui.
In quel momento, un piccolo e solitario uccellino -dalle piume colorate ora bagnate dalla pioggia- svolazzava in giro, andando a posarsi sulla piccola vaschetta che stava riempiendosi sempre più delle lacrime che il cielo piangeva da ore. Stette a guardarlo per qualche minuto, fin quando non volò via e l'acqua piovana non fu troppa per essere contenuta dalla piccola vasca e qualche goccia straripò, seguita poi a ruota da altre centinaia di compagne che si accalcavano verso l'esterno . Nascose la testa tra le ginocchia e pianse tutto quel dolore che adesso sembrava troppo per poterlo contenere nel suo ormai provato cuore.

Il problema, di fondo, era soltanto uno: se nel suo cuore avesse continuato incessantemente a piovere, non avrebbe mai potuto liberarsene del tutto.



***


Lo scatto di una serratura, seguito dal tonfo di una porta malamente chiusa. Non si voltò né chiese chi fosse. Solo una persona oltre lui sarebbe potuta entrare in quella casa senza suonare o avvisare. A testa bassa, continuò a tagliare le verdure che aveva intenzione di preparare per cena -per l'altro ovviamente. Lui avrebbe solo fatto finta di assaggiare qualcosa, tanto non se ne sarebbe comunque mai accorto. I passi pesanti del suo compagno si avvicinarono alla cucina. Sospirò preparando il suo cuore, la sua anima -e tutto se stesso- ad indossare quella maschera di serenità che utilizzava oramai da mesi. 
«Ben tornato» lo salutò quando entrò in cucina, rivolgendogli un debole sorriso forzato, talmente debole che non riuscì nemmeno a scoprire le gengive rosee -tipiche del ragazzo. Il moro non gli rispose, dirigendosi a passi veloci verso il frigorifero. Lo aprì con malagrazia, ne afferrò dall'interno una lattina di birra e, silenzioso come era arrivato, se ne andò verso il soggiorno probabilmente a sedersi sul divano, stanco dopo una giornata di duro lavoro. Abbassò la testa cercando di trattenere le lacrime e concentrarsi sulla preparazione della cena. 
«È pronto tra dieci minuti» avvisò sporgendosi verso la porta che collegava le due stanze adiacenti. Come ogni volta non ricevette risposta. Si morse per l'ennesima volta le labbra ormai martoriate, secche e piene di tagli. Subito il sapore forte e ferroso del suo sangue invase i suoi sensi, nauseandolo come ogni volta. Odiava il sangue e ancor di più odiava il suo sangue. Lo odiava perché faceva male. Si odiava perché si faceva male. Odiava lui perché gli faceva male. Ma in realtà non era quell'uomo seduto sul divano in eco pelle la causa di quel dolore. Era relativo. Si morse ancora le labbra a quei pensieri, e si odiò nuovamente quando il suo sapore gli provocò l'ennesimo conato di vomito.


***


«Com'è andata oggi a lavoro?» glielo chiedeva tutti i giorni, sperando in una risposta diversa, in una conversazione. Magari in un'altra domanda.
A te com'è andata oggi? se lo chiedeva da solo, quando tornava a casa dalle prove, perché sapeva che una volta chiuso dentro quelle quattro fredde mura, nessuno gli avrebbe rivolto la parola se non la sua stessa coscienza. 
«Bene, solita vita» Stessa medesima risposta del giorno prima; e di quello prima ancora; e così via. Ogni volta ci sperava davvero che l'altro glielo dicesse. Che pronunciasse quelle due semplici ma essenziali parole.
È finita.
Ci sperava con tutto il cuore, perché non poteva andare avanti così, non riusciva a vivere una relazione fatta solo di menzogne, che come una macchia d'olio avevano sporcato inevitabilmente la sua vita. Continuò a sperare perché era troppo debole per pronunciarle e mettere la parola fine a quel periodo -un tempo felice- della sua vita. Si dice che la speranza sia l'ultima a morire, ma dopo tutto quel tempo, anche quella piccola fiammella stava lentamente spegnendosi.
«Mh» mugolò in risposta. 


***


Stretto sotto il pesante piumone in un angolo del grande letto matrimoniale, continuava a fissare il muro davanti a sé. 
«Hyukjae...» la voce dell'altro lo raggiunse nel silenzio irreale della stanza e d'istinto si stringe di più sotto il pesante piumone, colto improvvisamente da un brivido. Non rispose aspettando che fosse l'altro a continuare. Tanto già sapeva bene quali parole avrebbe pronunciato con quelle sue splendide labbra.
«Ho voglia» esordì il moro senza un briciolo di sentimento nel tono di voce.
Lo sapeva che non lo amava. Oh, lo sapeva bene! Per l'altro era solo un bisogno fisico; appagamento d'un desiderio, una voglia. Un capriccio. Nulla di più. Eppure non si oppose quando l'altro scostò malamente le coperte e lo girò inchiodandolo al materasso. Gli si posizionò cavalcioni e lo baciò con troppa foga, insinuando subito e prepotentemente la sua lingua calda e morbida nella sua bocca, muovendola talmente freneticamente che il biondo non ebbe il tempo di rispondere al bacio, tanto ne venne travolto. Si alzò da lui e lo girò nuovamente in posizione prona, manco fosse una bambola. Già... cos'era lui adesso se non un pupazzo nelle mani del suo burattinaio? Gli abbassò i pantaloni, scoprendogli soltanto le natiche. Hyukjae affondò il viso nel cuscino, stringendo tra le mani la stoffa morbida e profumata che lo ricopriva, mentre l'altro si spingeva in lui senza un minimo di preparazione o almeno dolcezza. Soffocò i gemiti nella stoffa profumata del cuscino, per il dolore e l'eccitazione che, nonostante tutto, non poteva far a meno di provare.


***


«Piccolo non puoi continuare così...» la voce angosciata del suo migliore amico arrivò come un sussurro al suo orecchio. Non sapeva esattamente da quanto tempo era stretto al suo petto. Aveva pianto tanto, e continuava imperterrito a farlo. Le lacrime sembravano non volerne sapere di prosciugarsi e lentamente andavano a morire sulla maglia del castano che non aveva fatto altro che stringerlo ed accarezzargli i capelli da quando era arrivato in casa sua sull'orlo di un crollo emotivo e nervoso -che non era tardato ad arrivare quando Donghae, vedendo la faccia sconvolta dell'altro, gli aveva chiesto cosa fosse successo.

«Non ce la faccio più Donghae...» si lamentò il biondo stringendosi di più a lui, accoccolati com'erano sul divano di casa del più piccolo «Cosa devo fare?».

Aveva finalmente abbattuto quel muro che volontariamente aveva eretto intorno a sé e aveva fatto sì che fossero le braccia di Donghae la sua stessa protezione. L'unica -in realtà- di cui aveva davvero bisogno.
Il castano non rispose alla sua domanda, ma non se ne preoccupò più di tanto. Sentì sollevarsi il viso dal petto del più piccolo e le sue labbra calde e morbide poggiarsi delicatamente sulle sue secche e martoriate, così leggere e delicate come avesse quasi paura di potergli fare del male con quel semplice -e al contempo complicatissimo- contatto. L'ennesimo singhiozzò gli morì in gola, bloccato dal respiro che sembrava non avere la minima intenzione di uscire o entrare, imprigionato in quel limbo che le labbra sottili del castano avevano creato. Durò solo pochi attimi, ma gli fece provare una sensazione -un calore al petto- che non provava da anni. Un misto di serenità e pace assoluta, che per un attimo lo rese dimentico di qualunque cose e sembrò come se tutto il dolore provato non fosse mai esistito, spazzato via in un soffio.
Riaprì gli occhi quando l'unica cosa che colpì il suo viso e le sue labbra fu l'aria calda di casa, immensamente più fredda rispetto alle labbra di Donghae. Non si era nemmeno reso conto di averli chiusi, tante erano le sensazioni che aveva provato in un solo momento (non era più nemmeno sicuro di poter provare di nuovo qualcosa, dopo lui). Il ragazzo era lì, che lo guardava con l'espressione più dolce che avesse mai visto impressa sui tratti del viso di qualcuno. Le labbra tirate in un debole sorriso, che le rendeva ancor più sottili e d'un rosa pallido che ricordava tanto una rosa.
«Perché?» riuscì soltanto a chiedere con gli occhi ora più grandi. Lucidi si, ma le lacrime sembravano essersi finalmente prosciugate.
«Perché ti amo» la semplice risposta, pronunciata come se avesse detto la cosa più scontata, naturale e giusta del mondo.


***

Dopo quel bacio ne seguirono altri, dolci come miele estivo. Ogni bacio lavava via quella macchia scura, sporca, malata quasi, che aveva ricoperto l'anima e il cuore del biondo. Si sentiva fragile, a confronto con il corpo possente dell'altro. Ma un senso di protezione lo avvolgeva, come una calda coperta in una sera d'inverno particolarmente fredda: una di quelle sere in cui ti raggomitoli in un angolo del divano, una tazza di tè fumante tra le mani o un libro a farti compagnia. E ti sente bene in quei momenti, ti senti protetto.

Quel dolce miele si trasformò in un sapore forte a aspro, di zenzero fresco e peperoncino pungente. Il calore diventò palpabile; accarezzava il suo corpo con amore, sfiorandolo come fosse una rara creatura da venerare e proteggere. Il primo gemito si inerpicò su per la gola del biondo senza il suo volere, portando l'altro in un mondo a sé stante. Hyukjae si lasciò cullare da Donghae, riscoprendo se stesso e soprattutto quello che credeva essere il suo migliore amico. Perché di certo da quando, piangendo, aveva messo piede nella piccola villetta dell'altro -di quelle dipinte di giallo all'esterno, con le finestre in legno scuro, il tetto di tegole d'argilla rosse. Il tutto circondato da un giardino ben curato, il prato verde falciato da poco che profumava di natura e gocce umide di pioggia- non poteva più considerarlo un amico, ma qualcosa di molto di più, qualcuno di decisamente più importante.
Non che prima non lo fosse stato, era da mettere in chiaro. Donghae era la persona a lui più vicina fin da quando erano ragazzini e frequentavano ancora le scuole medie. Si erano conosciuti lì, tra i banchi della nuova scuola. Quando nessuno si avvicinava a lui, il castano era stato l'unico a farlo, tendendo avanti la sua mano per presentarsi con uno squillante Ciao! Io sono Lee DongHae! Tu come ti chiami? con un sorriso a trentadue denti che lo aveva fatto sorridere di rimando Che bel sorriso hai! Sei la prima persona che vedo sorridere così! e quel sorriso tutto gengive si era allargato ancor di più, facendo bella mostra -e per la prima volta nella sua vita, con orgoglio- della pelle d'un rosa pallido che contornava i denti bianchi e con gli angoli arrotondati.
Donghae era sempre stato presente nella sua vita: quando aveva deciso che il suo futuro sarebbe stata la danza, il castano era rimasto al suo fianco, osservandolo danzare per ore, consigliandolo ed ascoltandolo quando ne sentiva il bisogno, elogiandolo o rimproverandolo dei suoi errori. Quando Hyukjae aveva avuto la sua prima fidanzatina, ai primi anni di liceo, e l'altro si presentava sotto casa sua ogni pomeriggio arrabbiato come non mai, pretenzioso di passare il pomeriggio con lui con ogni scusa possibile -a volte anche assurda.
Con il senno di poi, avrebbe dovuto capire che quel loro legame celava meccanismi e sentimenti ben più complessi e profondi, difficili da capire e da portare a galla; sentimenti che a due semplici amici sarebbero rimasti celati per sempre dietro pacche sulla schiena e amichevoli insulti. 
E la loro verità sarebbe rimasta celata e lo sarebbe tutt'ora se non fosse stato per lui. Forse era stato un bene incontrarlo, infondo. Forse quel dolore era stata la giusta punizione (per cosa poi, non riusciva a chiarirlo nemmeno lui, ma in fondo sapeva di meritarsela) che gli aveva permesso di raggiungere la sua ricompensa.

E quel premio tanto ambito era l'odore speziato di Donghae sulla pelle, il suo sapore deciso sulle labbra. L'amore che pervadeva ogni suo movimento dentro di lui. Era stare finalmente bene: aver voglia di mangiare, dormire, sorridere e scherzare, ballare per ore senza fermarsi, uscire a divertirsi e fermarsi in qualche piccolo bar al centro in una calda serata estiva, sedersi nei piccoli tavolini appena fuori al locale e bere qualcosa mano nella mano con la persona che ama. Qualche mese prima questa sarebbe stata lui, ma adesso, l'unico volto che riusciva ad associare a persona amata era quello ben definito del suo Donghae, di quel Donghae che l'aveva amato senza riserve e salvato dal suo auto-distruggimento.


***


Donghae aveva insistito per almeno un quarto d'ora buono per accompagnarlo a casa -proponendogli anche di dormire in casa sua per quella notte-, colto da una strana sensazione all'altezza tra petto e stomaco, che lo faceva sentire stranamente inquieto. Certamente l'altro avrebbe accettato più che volentieri, se non avesse avuto qualcuno che lo aspettava a casa e per cui doveva ancora preparare la cena -e che si sarebbe senza ombra di dubbio arrabbiato con lui se non lo avesse trovato in casa. Quindi rifiutò gentilmente la proposta del moro, salutandolo sulla soglia della porta poggiando le labbra sulle sue, in un contatto leggero e veloce ma sufficiente per far provare ad entrambi quell'arcobaleno di sensazioni che li accompagnavano nelle ore trascorse insieme. Si allontanò a malincuore e, salutandolo con un gesto della mano e un largo sorriso, si incamminò verso casa, che fortunatamente distava pochi minuti di cammino da quella del suo... cosa? Come doveva definirlo adesso? Amico? Dopo quello che era successo tra loro, era l'aggettivo meno adatto. Ragazzo? Nemmeno, ne aveva già uno -per quanto potesse tener in conto quello come ragazzo. Amante? Al momento, sembrava il termine più adatto alle circostanze, ma non si adattava per nulla alla figura di Donghae. Doveva fare qualcosa -e nel futuro più immediato- per la loro felicità.

Guardò distrattamente l'orologio in cuoio nero che portava al polso e il vento che quella sera soffiava leggero -e sicuramente qualche grado più caldo rispetto ai giorni precedenti- gli sembrò più gelido del ghiaccio stesso. Le 21.00 passate. Una sola volta si era azzardato a rincasare all'incirca a quello stesso orario a causa della prova di una coreografia durata più del dovuto. I ricordi di ciò che era successo quella sera erano ancora perfettamente nitidi nella sua mente. A nulla era servito almeno tentare di discolparsi, di spiegare il perché del suo ritardo, il perché non avesse potuto fargli trovare la cena in tavola al suo ritorno. Cercò di deglutire rumorosamente un grosso nodo che sentiva bloccargli il respiro proprio in gola, ma questo sembrava intenzionato a non sparire. Affrettò il passo, ancora qualche metro e sarebbe giusto a destinazione. Si sfiorò i polsi con le mani, irrigidendo le dita, graffiando la pelle delicata e chiara con le unghie solitamente non tanto curate. Ricordare faceva dannatamente male.
Giunto finalmente davanti la porta di casa, sospirò ansioso.

A volte si sentiva come fosse in gabbia, come se quella non fosse più la sua vita. Non era libero di uscire, di divertirsi. La sua vita si riduceva a lavoro-casa e, indubbiamente, si potrebbe benissimo unire ambo i termini, dato che la vita domestica consisteva in altro lavoro. Bella vita del cazzo.
Doversi preoccupare ogni stramaledetta volta per ciò che faceva, o peggio, non faceva, per ogni sua parola, azione... era una situazione stressante fuori da ogni logica.

Ancora più nervoso e agitato di prima, tuffò una mano nella grande borsa che portava in spalla e ne tirò fuori le chiavi che, esitante, infilò nella serratura. Un unico movimento del polso, e questa scattò docile, permettendo al biondo di entrare in casa.
Silenzio. Buio. Assoluta quiete. Esultò interiormente e rilasciò il respiro che non si era accorto d'aver trattenuto quei pochi secondi che aveva speso per attraversare la soglia di casa. Si richiuse la porta alle spalle e abbandonò la grande borsa per terra accompagnata dal tonfo sordo della stoffa che cozza contro il pavimento di parquet dell'ingresso. Si toglie anche le scarpe, lasciandole scompostamente in un angolo. Al buio, si diresse verso la cucina per recuperare una birra fresca dal frigo. In quel momento, l'unica cosa che voleva fare era gettarsi sul divano, bere la sua bella birra fredda e magari guardare qualcosa alla tv. Oppure avrebbe potuto chiamare per un po' Donghae. Quando l'altro non tornava a casa la sera, sapeva che sarebbe rimasto fuori almeno fino a notte fonda. Forse, fino a quella stessa mattina, si sarebbe chiesto con chi fosse, cosa stesse facendo. Se fosse in giro ad ubriacarsi con i colleghi di lavoro, in qualche locale vietato ai minori o con quella che lui definiva una sua cara amica ma che di cara ma soprattutto di amica, aveva davvero ben poco.
Anche di fronte al tradimento, era stato capace di non alzare un dito. Niente. Ci era semplicemente passato sopra, troppo incapace, troppo debole. O forse solo troppo innamorato. Ma adesso di quell'amore era sicuro che fossero rimaste solo delle briciole, della polvere in angolo del suo cuore, nulla di più.
Sospirando per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, attraversò il piccolo corridoio e giunse al salone principale. Ma fatti due passi al suo interno, l'idea di prendere una birra fresca, di rilassarsi e chiamare il suo Donghae, si frantumarono in tante piccole schegge che andarono  allegramente a farsi un giro chissà in quale angolo sperduto del mondo. La sagoma scura immobile sul divano lo pietrificò completamente dalla paura. Le gambe lunghe aggraziatamente accavallate e le braccia forti e muscolose incrociate al petto. Teneva la schiena poggiata allo schienale imbottito del divano, la testa piegata di lato. Tutto ciò gli provocò una spiacevolissima sensazione e, a quello che poteva scorgere del suo viso, non presagiva nulla di buono. Sentiva l'aria pesante, tesa. I ricordi lo colpirono violentemente per la seconda volta. Era tutto troppo simile a quella sera. Di nuovo portò le mani ai polsi, graffiandoli e stringendoli nervoso, affondando le unghie nella pelle rovinandola più di quanto già non avesse fatto in precedenza.

«Dove sei stato?» la voce fredda e tagliente dell'altro. Nessuna emozione sembrò trasparire da quelle tre semplici parole.

Deglutì, ed esitò qualche secondo prima di rispondere. Cercò una qualche scusa per salvarsi, ma cosa avrebbe potuto dire? Chinò la testa e continuò a torturarsi i polsi, nervoso «Scusami... io ho... dovuto aiutare un allievo con una coreografia e...»

«Cazzate!» l'urlo dell'altro lo interruppe mentre tentava di discolparsi. Si alzò in piedi e si posizionò davanti a lui, sovrastandolo data la differenza d'altezza «Lo so che eri dal tuo caro Donghae!» sputò disgustato le ultime due parole, sottolineando il suo disprezzo per quella che è la persona più importante nel cuore di Hyukjae. Qualsiasi cosa ama, lui la odia. Quasi come fosse una reazione naturale.

Si morse nervoso l'interno delle guance, deglutendo più volte. Lui non poteva sapere che era con lui, quindi forse avrebbe potuto provare a tenere in piedi la sua bugia. Forse... «No, io... ti sbagli, ero a lavoro e...»

«Non continuare a sparare cazzate, Hyukjae!» lo interruppe per la seconda volta il moro, afferrandolo dolorosamente per l'avambraccio, stringendo con quanta più forza avesse in corpo. Il biondo si lamentò per il dolore e cercò di divincolarsi stringendo i denti, ma fu inutile. «Ti ha visto, sai?» gli rivolse uno sguardo di sfida, a cui il biondo rispose sgranando gli occhi per la sorpresa.
Chi avrebbe potuto vederlo?
Il moro sembrò leggere il suo pensiero e con il peggior sorriso bastardo che avesse mai potuto sfoggiare, chiarì i suoi dubbi «Heechul. Abita lì vicino e guarda caso, ti ha visto mentre uscivi da casa sua e lo baciavi» calcò -con ancor più disgusto di prima- l'ultima parola.
Il viso di Hyukjae si vece pallido, schiarendo ancor di più la pelle già naturalmente chiara del viso. Riprese nuovamente colore quando la mano grande del moro si abbatté sulla sua guancia con una forza tale da fargli perdere l'equilibrio e cadere malamente in terra, ai suoi piedi. Trattenne a forza le lacrime che si accalcavano ai lati degli occhi per liberarsi per il dolore e la frustrazione che la consapevolezza di essere debole portava nel suo animo. «Lo baciavi...» continuò scuotendo la testa e sbuffando quella che all'apparenza doveva essere una risata sarcastica. Si chinò alla sua altezza, avvicinando quanto più possibile il viso al collo del biondo «Hai un altro odore addosso...» constatò schifato, allontanandosi e rimettendosi in piedi «Ti sei fatto scopare da lui, vero? Sei solo un'inutile puttana....» continuò ad infierire, guardandolo dall'alto in basso con disprezzo. Due lacrime abbandonarono gli occhi del biondo, ma si trattenne dal farne cadere anche solo una di più. Almeno per una volta -una sola fottutissima volta- doveva essere forte ed affrontarlo; per lui, per Donghae.

«Sta zitto!» urlò verso i contorni scuri del suo viso, con odio e rabbia «Sono mesi che te la fai con quella tua amica! Mesi! E osi chiamare me inutile puttana!» si rialzò lentamente, sfiorando con la punta delle dita la guancia precedentemente offesa, che pulsava dolorosamente «E io ho sopportato, e sopportato... » abbassò per qualche secondo lo sguardo, ripensando a quei mesi d'inferno, in cui la verità lo aveva travolto come un fiume in piena. Il filo rosso che credeva li tenesse uniti, in realtà non era mai esistito. Ma lui si ostinava a credere, a sperare o, più che altro, ad immaginare quel legame che credeva solido e inscindibile «Ti odio...» sibilò tra i denti, quasi fosse un serpente pronto ad attaccare la preda «Ti odio... Ti odio! Non ho mai odiato nessuno in vita mia! Ma tu...» alzò lentamente un braccio, puntandogli l'indice contro «...Mi fai veramente schifo, stronzo» sputò veleno sulle sue parole, rancore e rabbia trattenute a lungo.

Il veleno gli si rivolse contro e le spire del serpente gli strinsero la gola in una morsa dolorosa, facendolo boccheggiare in cerca di un briciolo d'aria, che faticava a raggiungere i polmoni. Quella stessa forza lo spinse indietro con foga, facendo aderire violentemente la sua schiena magra alla parete fredda poco dietro di lui. «Non osare mai più rivolgerti così a me...» sussurrò tra i denti il più alto, guardando con una punta di sadico divertimento il terrore negli occhi dell'altro. Hyukjae strinse le dita attorno a quelle dell'altro sul suo collo, cercando invano di liberarsi, di allentare almeno un minimo quella presa che lo stava lentamente uccidendo. Il panico lo investì quando la vista venne meno a tratti e la foga con cui cercava di liberarsi pian piano scemava, diventando sempre più debole ogni secondo passato con quelle misere briciole d'ossigeno. La gola bruciava e faceva male, troppo male. Ad ogni contrazione del petto, una fitta saliva dolorosa fin sulla testa.

«S-si... won...» riuscì a pregarlo a fatica, quasi senza più ossigeno. Gli occhi socchiusi e liquidi gli rendevano l'immagine di un uomo che aveva amato con tutto se stesso, e che adesso lo stava rovinando per sempre -e pareva anche provare una sorta di benefico compiacimento nel farlo. Sorrise amaramente a quell'immagine distorta della realtà e, in un ultimo attimo di lucidità, decise che la sua vita non poteva finire in quel modo. Non per mano sua, non per il suo divertimento, per il suo capriccio. Non adesso che aveva finalmente qualcuno da cui tornare, che lo avrebbe aspettato a braccia aperte. Se lui fosse morto, Donghae cos'avrebbe fatto? Avrebbe sofferto forse, e poi dimenticato. O non avrebbe retto il dolore, e si sarebbe lasciato morire, giorno dopo giorno. L'immagine confusa di un Donghae magro e pallido, gli occhi svuotati di ogni emozione, lo scosse nel profondo, facendogli trovare la forza di spingere via l'altro e farlo cadere in terra.

Non si preoccupò del bruciore alla gola, né delle fitte al petto che sembravano spaccarlo in due ad ogni respiro, né del moro che dopo un attimo di confusione, gli urlò qualcosa che non riuscì a captare mentre si rialzava da terra. Corse fuori dall'appartamento il più velocemente possibile. Conosceva troppo bene l'altro per sapere che non avrebbe mai dato spettacolo fuori dalle loro quattro mura di casa. Troppo preso dal grigio conformismo della società per ammettere di stare con un uomo; per dare alla gente anche un solo misero motivo per poter pronunciare il suo nome con disprezzo o frivola voglia di pettegolezzi.

Corse per qualche minuto senza curarsi dei passanti, delle auto, della strada. Nulla. Solo quando i polmoni implorarono pietà, si concesse di cambiare ritmo ai suoi passi, prendendo a camminare lentamente. Ad ogni passo corrispondeva un profondo respiro ed una fitta al petto, accompagnate dalla consapevolezza di ciò che gli era successo solo pochi minuti prima. Le labbra si piegarono in una smorfia: avrebbe dovuto aggiungere quella sera alla personale lista dei ricordi dolorosi, già troppo lunga per i suoi gusti. Avrebbe volentieri depennato qualche punto, tanto per alleggerire un po' mente e anima. Bastò un attimo e il suo viso chiaro -su cui probabilmente spiccava ancora il segno dell'offesa di poco prima- venne solcato da lacrime amare che, imperterrite, continuavano a scendere dai suoi occhi -che con tutta probabilità, adesso si erano arrossati, facendoli sembrare più grandi di quanto non fossero naturalmente. Era sempre stato quel tipo di persona dalla lacrima facile. Si commuoveva facilmente e bastava un pensiero più triste di un altro per iniziare a farlo piangere. Forse non era un comportamento consono ad un ragazzo -e della sua età, per giunta- ma a ben pensarci, non faceva nulla di male. Era solo molto emotivo; avrebbe dovuto essere un bene in realtà, ma in certe situazioni questo suo modo d'essere poteva diventare una pericolosa arma a doppio taglio. Si schiaffeggiò mentalmente, cercando di darsi un contegno; si convinse che quella sarebbe stata assolutamente l'ultima volta che avrebbe messo piede in quella casa. Non doveva -e non voleva- più avere a che fare con Siwon per il resto della sua vita. Lo aveva letteralmente distrutto mentalmente e fisicamente; si era ritrovato a doversi leccare da solo le ferite che la stessa persona che avrebbe dovuto stargli accanto e sostenerlo gli aveva inferto. Una situazione assurda, a ben pensarci.

Senza essersene nemmeno reso conto, il suo corpo lo aveva condotto dalla persona che lo aveva sempre protetto e che lo aveva amato senza riserve. Passò il peso da un piede all'altro, un po' nervoso. In che condizioni si stava presentando in casa sua? Diede un'occhiata veloce ai vestiti, passò i palmi sulle guance e sugli occhi cercando di cancellare le tracce di acqua salata sul suo viso, pettinò i capelli con le dita, in caso si fossero scompigliati troppo. Non aveva mai dato peso a come si presentasse al castano ma in quel momento gli sembrò l'unica cosa sensata a cui pensare. Forse perché pensare all'aspetto esteriore era decisamente più semplice che occuparsi di quello interiore; o forse perché l'apparenza poteva nascondere ciò che si celava all'interno. Dopo essersi sistemato per bene, suonò il campanello, lisciandosi nervosamente -per l'ennesima volta- il ciuffo biondo sulla fronte. Pochi secondi dopo la voce di Donghae gli arrivò da dietro la porta, chiedendo chi fosse.

«Sono io!» esclamò senza specificare. Sapeva che l'altro avrebbe riconosciuto la sua voce, in ogni caso. Cercò di modulare il tono in uno più spensierato e allegro di quello che in realtà era il suo umore in quel momento. Lo aveva fatto preoccupare e penare già troppo, non trovava motivo per cui continuare a farlo.

La porta si aprì con uno scatto rivelando lentamente la figura di Donghae avvolta in una comoda e larga tuta nera e bianca. La luce proveniente dall'interno illuminò fiocamente l'uscio di casa e una piccola parte del giardino. Si andò a posare sulla figura alta e magra del biondo, come pure fecero subito gli occhi di Donghae, che non riuscì a ricambiare il sorriso tirato del biondo che si trovava di fronte. Vagava con lo sguardo sul suo viso, sul collo, scendendo poi sul petto fasciato dai vestiti. Le sopracciglia aggrottate si avvicinavano tra loro e le labbra si univano e separavano a tratti. Hyukjae lo guardò per qualche secondo, cercando di capire perché lo guardasse in quel modo.

«Hyuk... che è successo?» il primo a porre fine al quel pesante silenzio di sguardi indagatori, infine, fu il padrone di casa, che osservava attentamente il biondo passando dai suoi occhi scuri e dalla forma particolare -grandi rispetto alla media coreana, ma comunque molto allungati e dai tratti tipicamente orientali molto pronunciati- al collo solitamente niveo del biondo ora ricoperto d'irregolari macchie scure, viola tendente al nero, con qualche punta vagamente vermiglia.

«Insomma, il mio venire a trovarti implica categoricamente che sia successo qualcosa?» lo guardo storto Hyukjae, fintamente imbronciato, continuando così a tenere in piedi la sua menzogna. Gonfiò le guance per poi sbuffare fuori quella che sarebbe dovuta sembrare una risata. Allungò un braccio di fronte a sé e diede un buffetto con l'indice sul petto di Donghae, intimandogli scherzosamente e silenziosamente di fargli spazio e lasciarlo entrare in casa. Il moro si scostò senza proferire parola, continuando a scrutarlo da capo a piedi. Hyukjae lo sorpassò, dandogli per qualche secondo le spalle -mentre il castano richiuse la porta d'ingresso- ma la sensazione di essere osservato a quella maniera lo mise a disagio, tanto da farlo voltare verso l'amico giusto quando il tonfo della porta appena chiusa lo raggiunse. Ancora leggermente a disagio per quella situazione, spostò il peso da un piede all'altro, cercando mentalmente qualcosa di sensato da poter dire per spezzare il silenzio. Ma le sue elucubrazioni furono prontamente bloccate.

«Cosa sono quelli?» Donghae avanzò di un paio di passi, avvicinandosi al corpo del biondo ballerino. Con un gesto secco del mento indicò i segni sul suo collo, mentre incrociava le braccia al petto, chiaro segno di nervosismo. Hyukjae, per tutta risposta, gli rivolse un paio di sopracciglia aggrottate ai limiti del possibile, le labbra serrate in una linea dritta.

«Quelli cosa?» aggiunse poi, inclinando leggermente la testa da un lato, come faceva fin da quando era bambino.

«Cristo...» sospirò Donghae passandosi una mano tra i capelli scuri in un gesto di puro nervosismo e ansia, portando indietro il ciuffo che continuava a ricadergli fastidiosamente sul viso. Si mosse verso di lui e, preso per un polso, lo trascinò poco più in là dell'ingresso, di fronte al grande specchio che aveva posizionato in corridoio. Dietro l'altro, portò una mano al suo viso, stringendo quanto più delicatamente possibile -data la situazione- il mento delineato del biondo tra le dita, costringendolo ad alzare il viso e mettere in evidenza il collo magro e muscoloso, ora livido. «Questi!» urlò quasi, sull'orlo dell'esasperazione e la frustrazione. Semplicemente non comprendeva se stesse facendo finta di niente o davvero non si fosse accorto delle sue condizioni.

Hyukjae voltò la testa di lato puntando lo sguardo in basso, distogliendolo dal suo -dal loro- riflesso e dai ricordi ancora troppo vividi per poter essere accantonati come nulla fosse.

«Hyukjae!» lo richiamò nuovamente, allentando la presa su di lui e sul suo viso, sconfortato dal silenzio che questo si ostinava a mantenere.

Adesso libero, il più grande si scostò dandogli le spalle -leggermente piegate in avanti, come fossero stanche di sostenere un peso oltre le sue possibilità. «Cosa vuoi che sia successo... si è arrabbiato» tirò in su gli angoli della labbra nell'amara imitazione d'un sorriso mentre si voltava nuovamente verso Donghae «e questo è il risultato» indicò con una gesto stizzito della mano la sua persona; scosse leggermente il capo, facendo ondeggiare il ciuffo liscio e biondo sulla fronte.

«Ma... perché?» chiese ancora il castano, leggermente... smarrito. Si, era il termine più corretto per definirlo.

«Perché ci hanno visti Donghae, oggi, quando... ci siamo baciati...» spiegò il biondo incrociando le braccia al petto come se potessero in qualche modo fare da schermo e proteggerlo «Un suo amico, per la precisione» specificò anche, vagando con lo sguardo sui vari angoli della casa pur di non posarlo troppo a lungo sulla figura di Donghae di fronte a lui.

«Hyuk io...» cercava le parole per discolparsi. Sì, si sentiva terribilmente in colpa, sentiva il peso di quella situazione direttamente su di sé. Il ballerino però lo zittì prontamente con un veloce gesto della mano, prevedendo già le sue parole. Oh, se lo conosceva bene il suo pollo, altroché.

«Non dire che ti dispiace, che è colpa tue e bla bla bla, ok? È inutile giocare al gioco delle colpe, per favore» la sua voce si stava nuovamente incrinando, ma fece forza a se stesso per non piangere ancora. Era stanco di quella situazione; meno ne parlavano, meno tempo ne viveva meglio era per tutti -e soprattutto per lui.

«Tu non ci torni più in quella casa» affermò il castano, così sicuro di sé che Hyukjae finalmente puntò gli occhi nei suoi, per poi ruotarli verso l'alto.

«Questo è poco ma sicuro» si mosse nervoso in direzione del divano, sbuffando. Si ci gettò su di peso, rimbalzando leggermente sui cuscini imbottiti.

«Rimani qui con me» lo raggiunse Donghae ponendoglisi di fronte.

«Che? Sei impazzito? Non voglio disturbarti... andrò a vivere per conto mio» ma la sicurezza che voleva imprimere a quella frase, vacillò ad ogni parola di più. In fondo, era il suo migliore amico -gli faceva ancora strano pensare che adesso erano qualcosa di più- e adorava passare il tempo con lui. Sarebbe stato bello prendersene cura, preparare la cena con lui; fare l'amore la sera, magari sul divano, davanti la tv accesa solo per abitudine...

«Non se ne parla, tu rimani qui» categorico, si inginocchiò per guardarlo meglio in viso, poggiandogli le mani sulle ginocchia magre «Con me» lo sussurrò mentre accorciava la distanza tra loro.
Le mani poggiate ora sul divano -leggermente infossate nella stoffa scamosciata che ne ricopriva le superfici morbide- sostenevano il suo peso mentre le labbra erano occupate a carezzare quelle del più grande che, stese in un sorriso- ricambiarono senza esitazione quelle dolci e tanto attese attenzioni.



***


Rannicchiato con le ginocchia al petto in un angolo del davanzale interno della grande finestra a parete, osservava il giardino solitamente sempre verde e colorato che, quel giorno però, era velato da un sottile strato di grigio. Il cielo cupo non lasciava trasparire che qualche sporadico e flebile raggio di sole, che andava a posarsi sull'erba piegata dalla pesante pioggia che scendeva fitta da diverse ore, ormai. Rigirò tra le mani la tazza di cioccolata calda preparata solo qualche minuto prima. Ci soffiò dentro per raffreddarla, chinando la testa e rimanendo per qualche attimo ad osservare il liquido scuro e un po' denso all'interno della tazza, muoversi e creare delle piccole onde di cioccolato che andavano a macchiare i bordi chiari della ceramica. Soffiò un ultima volta e portò la tazza fumante alle labbra, prendendo un gran sorso della bevanda dolce. La gustò per qualche secondo schioccando la lingua sul palato, poi si leccò le labbra leggermente sporche e tornò a guardare fuori dalla finestra. Gli piaceva quell'angolino, che aveva riempito con cuscini morbidi e comodi d'ogni forma e dimensione. Da lì poteva guardare pigramente fuori dalla finestra le gocce di pioggia riempire la piccola vasca in pietra posta giusto al centro del giardino. L'aveva comprata e posizionata lì lui stesso, come vaschetta per gli uccellini di passaggio. Gli piacevano gli animali ma, per un motivo o per un altro, non aveva mai avuto la possibilità di prenderne uno. Magari avrebbero potuto prendere un cagnolino. Sorrise al pensiero di una piccola peste che correva per casa e nel giardino, con dietro il suo Donghae che imprecava e urlava contro la povera bestiola perché scavava il prato che faceva crescere con tanta cura. Intanto, in pomeriggi come quelli, si dilettava a guardare gli animaletti che, stanchi di sbattere freneticamente le ali per librarsi in cielo, facevano una pausa giusto lì, lavandosi le piume colorate con minuzia, bevendo l'acqua fresca per poi dirigersi nuovamente lontano da lui.
Un piccolo e solitario uccellino -dalle piume colorate ora bagnate dalla pioggia- svolazzava per il giardino, posandosi ora sulla siepe rotonda, ora sul cancelletto in ferro dell'entrata, ora sulla piccola vasca in pietra che stava riempiendosi sempre più delle lacrime che il cielo piangeva da ore. Stette a guardarlo per qualche minuto, fin quando non volò via e l'acqua piovana non fu troppa per essere contenuta dalla piccola vasca e qualche goccia straripò, seguita poi a ruota da altre centinaia di compagne che si accalcavano verso l'esterno .

Un paio di forti e muscolose braccia lo avvolsero poggiandosi sulle sue spalle. Gli angoli delle labbra si piegarono -quasi contro la sua volontà- all'insù, andando a formare un enorme sorriso che illuminava il suo volto e lo riscaldava come il corpo del ragazzo alle sue spalle che lo stringeva teneramente in silenzio. Piegò leggermente la testa da un lato, quel tanto che bastava per andarla a poggiare sul braccio di Donghae e lasciarci su un piccolo bacio.
Quel tanto che bastava per raggiungerlo.
Non aveva bisogno d'altro.





***



Bene, se siete arrivate fin qui, complimenti. Credo sia la seconda shot più lunga mai scritta in vita mia.
Emm... dunque. Partiamo dall'inizio. Riflessioni varie e sprazzi di vita quotidiana tra Eunhyuk e Siwon, fin qui tutto chiaro. La scena rossa è volutamente cruda. Sesso senza sentimenti, stop. Non vedevo motivo di scrivere altro o dilungarmi. Spero che Eunhyuk e Donghae non siano risultati troppo smielati, davvero. E... anche qui, non ho descritto realmente la scena perché mo sembrava più appropriato dare loro l'immagine di due innamorati sentimentalmente, proprio per attuare meglio la distinzione tra Siwon e Donghae (e che Shisus mi perdoni per ciò che ho scritto! Siwon è l'omino più dolce e buono della terra çwç).
Ah, poi non so, credo che esternamente Hyuk sembri uno schizzato con problemi emotivi. Il fatto è che boh, non lo so davvero neanche io. Piangere è umano no? (lui poi è un piagnone) come lo è fingersi strafottenti. Ho voluto dare questa sua immagine -se possiamo definirla così.
La fine. Quando spiegai a Jo l'idea mi disse che non aveva mai sentito una cosa del genere, ma io credo di essermi spiegata male all'epoca xD La ripetizione... prendetela come vi pare, mi andava di chiuderla così (sempre per enfatizzare le differenze e bla bla bla).
Ora basta fare le persone serie! Kyu è uke, Min è seme, Donghae ed Eunhyuk si scambiano i ruoli, Heechul balla vestito da lady gaga, Ryeowook schifa le ballerine sul palco e Shindong tira secchiate d'acqua ad Eunhyuk con Chullo dietro che filma. (potrei continuare all'infinito ma è meglio fermarsi qui)
SCHERZAVO! Yesung, Eunhyuk e Kyuhyun alla SPARTA CRUZ ACCADEMY (Jo mi capisce).

Ok, sono riuscita a rovinare un momento serio.
Sappiate che adesso che sono approdata qui, non vi libererete di me tanto facilmente. Ho in cantiere una pwp e una fic abbastanza demenziale. Nonché ho anche in progetto di approdare nel fandom degli EXO.

Annyongaseyo! <3

Polly~
   
 
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