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Autore: LilithJow    13/06/2013    6 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 26
"Winning tragedy"



Il mio nome è Simon Clarke.
Ho sedici anni e da poco mi sono trasferito a Chicago, con mia madre.
Avevamo grandi aspettative per questa nuova vita, lei con un lavoro prestigioso, io frequentando un Istituto privato di gran classe. 

Ma le cose non sono andate esattamente secondo i nostri piani. Probabilmente, erano troppo ambiziosi per due di provincia come noi.
Sono innamorato di una Divoratrice di Anime, essere programmato a non sentire nulla, ma, incredibilmente, tra noi la situazione è diversa.
Il nostro amore è una maledizione, nel vero senso della parola. Ha portato dolore e lacrime, forse in quantità maggiore rispetto alla felicità.
Il nostro amore è una tragedia continua, ma dicono che è di questo che i grandi amori sono fatti.

 

«Cosa vuol dire che non hai una soluzione? Tu hai sempre una soluzione per tutto!».

Martha scosse vigorosamente la testa alla mia affermazione. Avevo riposto tutto le mie speranze per una via d'uscita in lei, ma anche lì trovai solo uno spesso muro a sbarrarmi la strada.

«Questa volta no, Simon» sussurrò. Dalla sua espressione si capiva perfettamente che era dominata dalla rassegnazione.

«Ma deve esserci qualcosa che possiamo fare» mi ostinai a proseguire quel discorso. «Andiamo, noi... Noi dobbiamo trovare un modo per salvarla e so che tu non le permetteresti mai di morire così. E' la tua migliore amica, no?».

«Ci sono cose a cui non c'è rimedio e questa è una di quelle». La sentii sospirare. Solitamente, era lei quella a incoraggiare tutti, a prendere ogni situazione alla leggera, a trovare una soluzione ad ogni problema. In quel momento, invece, la situazione era ribaltata e io non sapevo minimamente da dove stessi prendendo la forza per evitare di crollare.

«Quindi ti arrendi così?» esclamai. Anzi, urlai, allargando le braccia. Martha mi fissò. I suoi grandi occhi azzurri erano lucidi e, a poco a poco, si stavano riempiendo di lacrime. Sarebbe stata la prima volta in cui l'avrei vista piangere.

«Mi dispiace» mormorò «è troppo tardi per combattere».

«Non è mai troppo tardi per combattere».

«Non capisci? Non abbiamo con che farlo! I Divoratori possono essere uccisi solo con quel pugnale e dubito che Sebastian lo lasci facilmente in giro».

Aveva ragione, ovviamente, ma io al pugnale non ci avevo nemmeno pensato. No, la mia mente era già altrove. «Me» sussurrai. Dubitai che lei avesse capito qualcosa, perciò lo ripetei, con tono più chiaro: «Me». Martha aggrottò le sopracciglia, perplessa, così andai avanti: «E' me che Sebastian vuole. Se vado da lui, potrò essergli vicino abbastanza per recuperare il pugnale».

«Stai scherzando?».

«Assolutamente no».

«Se ti lasciassi fare una cosa del genere, sarebbe Hazel a trovare un nuovo modo per uccidere i Divoratori e lo testerebbe su di me!».

«Allora trova un'altra soluzione! Io non ho nessuna intenzione di lasciarla andare. Non così e so che nemmeno tu vuoi. Lei è un po' come la tua famiglia, no?».

Martha si morse piano il labbro inferiore. «Lo è» bisbigliò, in tono a malapena percettibile.

«Allora aiutami. Ti prego».

Sospirò. Era incerta. Non l'avevo mai vista incerta, ma molto probabilmente non ero a conoscenza di molti suoi lati. «Si arrabbierà molto» esclamò, poco dopo.

«E' un piccolo prezzo da pagare» commentai.

Abbozzò una risata, sarcastica. «Lo definirei un enorme prezzo da pagare». Fece una breve pausa e vidi i suoi occhi scintillare, accendersi di nuovo. «Il fatto che ti presenti da lui di tua spontanea volontà potrebbe risultare sospetto o, quanto meno, Hazel tenterà di impedirtelo, se...». Lasciò in sospeso la frase, ma capii come sarebbe continuata: “Se non sarà già morta”. Andò oltre. «Se io ti consegno a Sebastian, fingendo di voler cambiare lato di combattimento, saremo in due nel suo covo».

«E poi?».

«E poi... Io so attirare bene le sue attenzioni».

«Sai at... Oh, Dio!». Spalancai per un attimo la bocca, strabuzzando gli occhi. «Non mi dire che tu e... Insomma, tu e lui, voi non...».

«Qualche volta, anni fa. Anzi, secoli fa».

Continuai a guardarla con un'espressione sconvolta. Generalmente, non mi sarei mai scandalizzato di fronte a una rivelazione del genere, ma era impensabile per me immaginare Martha la temeraria insieme a Sebastian lo scellerato.

«Oh, andiamo, Simon!». Agitò le mani e si affrettò a cambiare argomento. La vidi fare su e giù per stanza e non afferrai mai quale fosse la sua meta, anche perché, molte volte, svanì letteralmente nell'aria, riapparendo dopo una manciata di secondi, sempre con qualcosa di diverso in mano.

Tornò ad essermi davanti, poi, stringendo tra le dita quelli che sembravano pugnali. Non sembravano, lo erano: simili a quel pugnale, ma più piccoli e con varie sfumature di grigio. Ce n'erano due.

«Cosa sono?» domandai.

«Pugnali incantati» replicò, porgendomene uno. «Hanno il potere di rallentare un Divoratore. Lo feriscono, ma non abbastanza per ucciderlo. Hazel ne ha uno con sé, spero sappia usarlo bene».

«Saprà farlo» sussurrai e abbozzai un sorriso, che servì più che altro per auto-convincimento. Martha mi porse uno dei pugnali. Lo rigirai tra le mani, soffermandomi sulle incisioni sul manico. Erano molto più simili all'originale di quanto pensassi. Se non fosse stato per i colori, avrei giurato fossero dello stesso calibro. Solo che, purtroppo per noi, non lo erano.

«Dove li hai presi?» domandai. Lei sospirò. «Dopo che Hazel è stata ferita, ho pensato sarebbe stato utile avere qualcosa con cui difenderci, solo che...». Fece una breve pausa, socchiudendo gli occhi. «Non credevo li avremmo usati in un momento come questo. Non così catastrofico, perlomeno» concluse.
Avrei voluto dire qualsiasi cosa, per rassicurarla, per quanto assurda avrebbe potuto essere una situazione del genere, ma non ne ebbi il tempo. Martha troncò il discorso e ne iniziò un altro. «Tu, invece? Sai maneggiare un'arma del genere?» esclamò.

«Me la cavo» replicai, ricordando l'allenamento con i manichini. Perlomeno, mi era stato utile a qualcosa.

«Bene. Cerca solo di non farti uccidere». Mi fece l'occhiolino e abbozzò un sorriso. Cercai di fare lo stesso, però fingere entusiasmo non era proprio un mio punto forte.

In realtà, non ero affatto pronto. Avevo una paura tremenda e lo considerai lecito. Non erano cose che un qualunque sedicenne sarebbe stato in grado di affrontare. Io, soprattutto: il goffo e impacciato Simon Clarke che si preparava a sbaragliare – o tentare di farlo – una schiera di Divoratori di Anime. Chi mai ci avrebbe creduto?
 

***


Non avevamo un piano, non uno scrupolosamente dettagliato.
Martha doveva consegnarmi e poi avrei dovuto fare io tutto il resto. Non era per niente facile, anche perché ero assillato dal pensiero che Hazel avrebbe potuto già essere morta e non ero sicuro che avrei retto ad una notizia del genere. Se lo avessi appreso, molto probabilmente mi sarei lasciato trasportare dagli eventi e dal caos e sarei morto anche io.
Il covo di Sebastian era una fabbrica abbandonata nella periferia di Chicago. Appena fummo in quel posto così desolato e cadente, pensai che forse avrebbe potuto trovarsi di meglio. Ma, in fondo, a lui che importava?

«Sei sicuro di volerlo fare?» sussurrò Martha, guardandosi attorno. «Sei ancora in tempo per tirarti indietro».

«No» replicai, con tono incredibilmente fermo. «E' per Hazel, no?».

Si limitò ad annuire. «Ti farò un po' male. Ti chiedo scusa in anticipo».

«Non fa n...». Non ebbi la possibilità di finire la frase che fui strattonato per un braccio. Scomparimmo e riapparimmo per un paio di volte. Non le contai, ma passò solo qualche secondo prima che ci ritrovassimo all'interno della fabbrica, in un enorme sala illuminata dalla lieve luce dei lampioni che traspariva dalle lunghe e sottili finestre dell'edificio.

«Bene, bene». La voce metallica di Sebastian risuonò nell'aria. Vidi Martha girarsi di scatto e costrinse me – con poca delicatezza – a fare lo stesso.

«Due visite nel giro di qualche ora. Sono onorato».

Il malefico Divoratore uscì dall'ombra, fermandosi sotto un fascio luce che mise in risalto i suoi occhi rossi. Dietro di lui, intravidi altre sagome, altri Divoratori, sicuramente, ma non riconobbi nessuno.

«Penso di avere qualcosa che ti interessa» esclamò Martha. Sembrava davvero seria e a tratti minacciosa, il che mi fece dubitare per un attimo che stesse effettivamente fingendo. Ma era così. Non poteva essere altrimenti.

«Uhm, sì, lo vedo». Sebastian accennò un sorriso, compiaciuto. «Mi sorprende vedere te qui con quel sacco di carne. Dovrei forse sospettare qualcosa?».

«Niente. Sono solo stanca delle liti e delle grandi battaglie. Vuoi riportare in vita il nostro Creatore? Fallo! A me sta bene. Almeno questa tortura avrà fine».

«E tu che ci guadagni?».

«La tranquillità, lo sai. Sai come ho sempre voluto vivere».

«Oh, sì, lo so. Ma, sbaglio, o ultimamente anche tu ti sei attaccata agli umani?».

«L'ho fatto per Hazel. E' mia compagna da secoli».

«E' anche la mia».

«Vuoi il tuo sacrificio o no?».

Sebastian avanzò, lento, con passi violenti che mi misero i brividi. Si fermò solo quando fu a pochi centimetri da me. Cercai, con difficoltà, di sostenere il suo sguardo. Percepii la presa di Martha fare pressione sul mio braccio.

«Più che “ragazzo carino”, ti definirei “ragazzo sfortunato”» sibilò. «Come ci si sente, Simon, ad essere il fautore della propria morte e di quella di tutti gli altri?».

Non risposi, sebbene avessi così tante cose da dire; sebbene volessi fare tante cose, come, per esempio, ucciderlo e vendicare mia madre, se mai la vendetta fosse stata sufficiente. Invece, rimasi immobile, trattenendo il respiro, finché delle urla non me lo fecero perdere completamente.

«No, no, no!». Alla spalle di Sebastian, le sagome nel buio si fecero da parte. Ne lasciarono passare altre e una la riconobbi subito, nonostante l'assenza di luce. Quando essa apparve, vidi Hazel, sporca in viso di sangue, tenuta ferma da due uomini, alti, possenti e all'apparenza più minacciosi del Divoratore loro capo.
Deglutii rumorosamente, del tutto paralizzato. Hazel mi guardò, scuotendo la testa. Cercò di liberarsi, invano.

«Allora, ragazzo carino?» esclamò Sebastian, marcando con acidità le ultime due parole. «Che ne dici di veder morire prima la tua dolce condanna?».

Mi mossi appena. Non so per quale strana ragione riuscii a farlo, ma trovai la mano di Martha a fermarmi. Non sembrava avere intenzione di porre fine a ciò che stava per accadere, mentre Sebastian tirava fuori dalla propria giacca il suo maledetto pugnale, accarezzandone la lama.

«Tu non hai niente in contrario, vero, Martha?» disse. «Quello che vuoi di più al mondo è la tranquillità e immagino che tu sia stufa di prendere sempre le sue parti, senza nessuna ricompensa, poi».

La Divoratrice bionda non replicò. Non fece assolutamente nulla e non capii perché. Sarebbe semplicemente rimasta a guardare?

Stavo rischiando di impazzire.

Ed ecco che l'ansia tornò, e il panico, e il fiato corto e l'apnea e la voglia che tutto diventasse nero e basta e il desiderio che tutto fosse solo un brutto sogno, ignorando quel pugnale alzato a mezz'aria che ben presto avrebbe raso al suolo ogni mia ragione di vita.
Tuttavia, proprio quando tutto stava per compiersi in modo irreversibile, inesorabile, un suono sordo interruppe ogni cosa.

Martha si lanciò in avanti, su Sebastian, con violenza. Capitolarono entrambi a terra e da quel momento in poi fu solo caos.
I Divoratori cominciarono a correre, ad attaccare, me soprattutto. Hazel, seppur mal ridotta, corse nella mia direzione e scacciò via con un calcio due individui prima che potessero essermi addosso. D'istinto, afferrai il mio pugnale incantato, stringendo le dita attorno al manico intagliato.
Mi guardai per un attimo attorno. Sia Martha che Sebastian erano spariti nel nulla.

«Perché siete qui?» urlò Hazel. C'era un briciolo di rabbia nella sua voce.

«Per salvarti» replicai, senza esitazioni.

Un altro Divoratore ci si scagliò addosso e lei lo respinse con facilità.

«Io non volevo essere salvata!».

«Non importa!» urlai anche io. «Io non vivo se tu non ci sei. Se cadiamo, cadiamo insieme». Non replicò. Non ne ebbe il tempo, perché fummo attaccati ancora. Hazel mi rivolse un solo sguardo e fu d'intesa. Non fu necessario parlare e farmi spiegare cosa avrei dovuto fare. Mi prese per mano, intrecciando le mie dita con le sue, e cominciammo a muoverci a sincrono per la grossa fabbrica, quasi fossimo un unico essere. Ci dissolvevamo da una parte, apparivamo da un'altra e colpivamo col pugnale, cogliendo di sorpresa i nostri nemici.
Forse per la volta nella mia vita, legato in quel modo a lei, mi sentii forte. A tratti invincibile.

Ma avrei dovuto sapere bene che non lo ero.

Un Divoratore ringhiò e tirò Hazel con violenza. Le nostre mani furono costrette a staccarsi, mentre lei e uno dei compagni di Sebastian rotolavano distanti, fino a sbattere prepotentemente contro una delle pareti di cemento. Li vidi lottare tra loro e poi, improvvisamente, sparire, sicuramente non per volere di Hazel: non mi avrebbe lasciato solo in quel luogo.
Nella fabbrica abbandonata ero rimasto solo io, con attorno Divoratori a terra, tutti malconci, e il silenzio. Il mio primo istinto fu quello di nascondermi. Era vero che con Hazel mi sentivo forte, così come lo era il fatto che senza di lei risultavo estremamente debole. Tremai appena e corsi verso l'uscita dell'edificio. Mi convinsi ad escludere il pensiero che quel Divoratore potesse avere la meglio su di lei.

Sarebbe tornata.

Lei tornava sempre.

Accelerai il passo, avevo il fiatone. Ero quasi giunto alla meta, quando fui bloccato da qualcuno.

Tamara mi si parò davanti, facendo ondeggiare il vestito bianco dai contorni di pizzo che aveva addosso. Era identico a quello di Hazel, quello che aveva la notte in cui l'avevo ritrovata. Era scalza e l'espressione stampata sul viso sembrava non appartenerle. Sorrideva, in modo acido, proprio come faceva Sebastian.

«Tamara» sussurrai.

Lei allargò il sorriso. «Ritenta» sibilò.

Bastò quella parola a farmi realizzare ciò che era successo alla strega dai capelli rossi.

L'ingenua strega dai capelli rossi che si era fidata di uno spietato Divoratore di Anime ed era finita uccisa.

Deglutii rumorosamente e, neanche accorgendomene, feci qualche passo indietro.

«Oh, non essere sciocco. Se provassi a scappare, non andresti molto lontano. Non con le tue gambe, almeno». La sua voce riecheggiò in quel vasto spazio.

Pregai e sperai con tutto me stesso che Hazel o Martha tornassero. Avevo di nuovo paura e, ancora, mi sentii completamente e irrimediabilmente debole.

«Chi sei?» esclamai, ma ciò che uscì dalla mia bocca si avvicinava di più ad un lamento che ad una domanda.

«Il mio nome non è poi così importante. Se vuoi, puoi continuare a chiamarmi Tamara. Quella ragazza era piuttosto forte».

«Così forte da spingerti ad ucciderla».

«E' quello che i Divoratori fanno, dolcezza».

Mi morsi il labbro inferiore. Avevo smesso di muovermi, perché, sì, aveva ragione: non sarei andato lontano, nemmeno volendolo. Ma se scappare non era un'alternativa, non sarei semplicemente rimasto immobile.

“Coraggio, Simon: puoi farcela”. Per la prima volta, la mia coscienza, invece di rimproverarmi, fu dalla mia parte, concorde ai miei istinti e ai miei piani.

Avevo ancora il pugnale in mano, non l'avevo mai lasciato. Corsi in avanti, allora, anziché indietreggiare. Anziché scappare.

La Divoratrice mi evitò con facilità, però non demorsi. Mi scagliai di nuovo nella sua direzione e quella volta riuscii a colpirla. Prima la spinsi, poi, non seppi nemmeno come, la ferii al braccio destro. Fu un taglio superficiale, tuttavia mi rese orgoglioso di me stesso.
Quella piccola gioia durò poco: lei ringhiò e replicò all'attacco. Mi venne incontro. Alzai una mano, quella libera, per ripararmi dal colpo. Ebbi successo una volta, due. Alla terza, però, venni urtato e caddi a terra, a qualche metro di distanza da dove inizialmente mi trovavo.
Non restai a lungo sul pavimento. Mi rialzai velocemente e corsi di nuovo, convinto, deciso, con l'ardente desiderio di colpire quella Divoratrice, sebbene l'avrei solamente ferita e nulla più. Per il momento, mi bastava; almeno fino al ritorno di Hazel.

Forse avrei dovuto rimanere immobile.

Ero sempre rimasto inerme in situazioni del genere. Fare l'eroe non era qualcosa che mi apparteneva e, inevitabilmente, portò alla catastrofe.

Avevo raggiunto la Divoratrice dai capelli rossi. Il suo viso finì a pochi centimetri dal mio, i nostri sguardi si incrociarono.

Ma non fu il suo sangue a ricadere lento sul pavimento.

Fu il mio.

Trattenni il fiato, facendo un solo passo indietro. Le mie gambe cedettero subito e mi schiantai sulla pietra fredda. Intorno al mio corpo, ogni cosa iniziò a tingersi di rubino. La ferita all'addome era profonda. Nonostante la vista già offuscata, scorsi tra le dita della Divoratrice con l'aspetto di Tamara il pugnale che io poco prima reggevo.

“Stupido, sciocco, ragazzo carino” sussurrò la mia coscienza e nemmeno quello suonò come un rimprovero.

Le mie mani raggiunsero a fatica la ferita, tentando – sicuramente invano – di fermare il sangue che già usciva a fiotti. Sentii la Divoratrice sogghignare. Evidentemente, quello era uno spettacolo da cui trarre divertimento.
Tuttavia, la sua risata fu presto placata. Non fui in grado di vedere ciò che successe. Udii solo grida e stridii, che finirono all'improvviso, proprio come erano iniziati.

Cercai di muovermi, sebbene le mie gambe avessero già smesso di rispondere ai miei comandi. Nemmeno il tentare di parlare funzionò: dalla mia bocca fuoriuscì solo un lieve lamento.

«Simon». Il suo fu solo un sussurro, a malapena percettibile. La sua voce, però, sarebbe sempre stata cristallina per me.

Hazel era tornata. Riuscii a vederla inginocchiata al mio fianco, percepii il suo palmo premuto con vigore sul mio addome.

La confusione, tuttavia, mi aveva già avvolto.

«Andrà tutto bene, okay? Non è così grave, non... Starai bene, amore mio, io... Te lo prometto, okay? Starai bene».

Stava singhiozzando e io stavo morendo. Anche in una situazione del genere, provai l'impulso di consolarla. Volevo dirle io che tutto sarebbe andato bene, sebbene fosse una grande menzogna.

Nulla sarebbe andato bene.

Il nostro amore è una tragedia continua, ma dicono che è di questo che i grandi amori sono fatti”.

Nessuna tragedia sarebbe tale senza la morte come protagonista.

Ed eccola che mi avvolgeva. Ed ecco che scivolavo via, dentro l'ignoto, dentro l'oscurità, incredibilmente senza dolore.

L'ultima cosa che vidi furono i suoi occhi.

Diamanti azzurri dentro diamanti verdi, che si spegnevano insieme.






 

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Ebbene sì. Così questa parte della storia ha fine.
TUTTAVIA, questa non è la fine di tutta la storia, perché ho deciso di dare ai miei pargoli un seguito, ma non voglio anticipare molto.
Anzi, non voglio anticipare niente.
Spero che il finale non vi abbia deluso.
Spero non sia stato qualcosa di eccessivamente scontato.
Grazie a chiunque abbia letto fin qui, commentando o meno: non ha importanza.
Vi ringrazio tantissimo, significa molto per me.
Vi ricordo il gruppo su storia/autore di Facebook:

https://www.facebook.com/groups/335947866507523/
 
E a presto <3


-Susy




--- aggiornamento: trovi il seguito qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1972269
  
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