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Autore: Atemlos    13/06/2013    15 recensioni
Stiles ha un tumore.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski , Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Wolf & I'
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Autore: Atemlos.
Titolo: Born to Die.
Fandom/Coppia: Teen Wolf; Stiles/Derek.
Genere: Arancione; drammatico, maliconico.
Avvertimenti: character death, lime, contenuti "forti".
N.d.A: Sono tornato, questa volta con una storia assai angst. Leggendo varie storie, mi è venuta in mente questa idea e, nulla, tra oggi e ieri l'ho scritta. Perdonatemi per alcuni errori, se mai ci sono, perché è tutto prodotto dal cellulare ed è assai difficile. Niente, non perdiamo tempo. Bando alle lacrime.


Deglutì a fondo, ispirando aria calda, tossica, quella tipica di una giornata afosa nel deserto. La saliva aveva un retrogusto di fumo, terra e ruggine; scivolava lenta ed appiccicosa giù per la gola, a fatica, con un nodo a fermare la sua discesa nello stomaco. Stiles reggeva tra indice e medio una sigaretta, avambracci arrotolati alle ginocchia, sguardo verso il cielo scarabocchiato da nuvole deformi. Non era la sua prima sigaretta, forse nemmeno l'ultima; gli dava pace il rifugiarsi su quel tetto di vecchie piastrelle rosse, abbandonandosi al nulla. Ovviamente se il padre lo avesse visto lì, piccolo e con aria assente mentre uccide le cellule del suo corpo con svariata nicotina... Beh, diciamo che dormire fuori casa (leggesi: su una panchina sparsa per Beacon Hills) per un mese sarebbe stato il minimo. Ma non vi pensava, non in quel momento. Non voleva pensare, lui che pensa sempre e comunque; non sarebbe stato in grado di sopportare il peso del mondo che si era costruito addosso gravargli contro. Non quella notte.
Poche luci s'intravedevano nel vicinato, nessuna macchina che lo disturbasse; solo alberi e terra -e fumo- del giardino sotto di lui, solo la luna alta e lucente, solo il suo respiro irregolare. Solo i suoi stessi occhi stanchi, solo il nodo alla gola, solo la sua pelle fredda. Solo, nella notte in cui anni prima era morta sua madre.

                                 

La vide ancora, quella notte. Il suo profumo veniva trasportato dal vento dritto nelle sue narici. Era lì, immobile e sorridente, davanti alla scuola; la mano protesa come a richiamarlo a sé, quel sorriso che sapeva tanto di casa, la sua immagine proprio come lui la rimembrava: pallida ma bella come una rosa. Avanzò passi incerti verso sua madre, fino ad afferrarle la mano fredda, stringendola. Essa ricambiò il gesto, ma a Stiles apparve come uno schiaffo in pieno viso. Il dolore lo investì per caso, quasi non fosse destinato a lui. E lacrime sgorgarono da sole dagli occhi marroni di lei, il silenzio intorno a loro. Le strinse ancor più la mano, implorando perdono. Non sarebbe mai diventato il figlio che lei avrebbe voluto lui fosse, non si sarebbe mai costruito una famiglia, non sarebbe mai riuscito a coronare i suoi sogni, non sarebbe mai riuscito a vivere per davvero. Non senza di lei, senza la sua guida. Perché aveva già perso la sua opportunità di salvarsi la notte in cui Scott ha aperto le porte di un mondo parallelo, dove la vita stessa è destinata ad essere in contemporanea una morte. Lui non era il figlio che ogni madre avrebbe voluto, e non era il figlio che avrebbe reso fiero il padre. Semplicemente non sarebbe potuto essere. E si lascia cullare dalle braccia che d'un tratto l'avvolgono, dal profumo che spazza via la morte dai suoi polmoni, dalle parole che gli vengono sussurrate nell'orecchio.

«Perfino i fiumi, seppur alimentati, perdono le loro acque...»

                                

Stiles aprì gli occhi nel buio della stanza, pezzi di stoffa stretti nei pugni delle due mani. Le lacrime incollavano i suoi occhi. Il cuore batteva, forte e potente, ma il solo inspirare aria furono come aghi conficcati nell'organo. Gola secca, nodo, nausea. Le coperte vennero presto rimosse dal corpo sudato e lasciate a terra mentre quest'ultimo azzardava passi veloci fino alla porta. Vi ci si accasciò contro, colpito da un improvviso dolore alle tempie e dalla varietà di colori che avevanosostituito il nero della sua vista. Rilasciò aria dalla gola, forse troppa, eccessiva. Si portò una mano sudata alla bocca, aprì la porta e, barcollante lungo il corridoio, raggiunse il bagno alla sua sinistra. Posò le mani, in ginocchio, sugli argini del cesso e vomitò il cuore, insieme a tutti gli aghi.

                                 

«La colazione è sul tavolo» lo informò il padre mormorando, dandogli una fugace occhiata mentre rovistava in alcuni cassetti dell'atrio, la luce del giorno quasi a voler sfondare la porta. Stiles era vestito, lo zaino in spalla, scendeva le scale con la bocca impastata. «Ma dove sono quelle dannate chiavi?» sbraitò d'un tratto John, seguito da un sospiro. Lui sollevò un sopracciglio, guardando dritto nel mezzo del tavolo in salotto, sopra le quali vi stavano suddetto mazzo di chiavi. Munito della sua tuta da sceriffo, egli si affacciò lì dove gli occhi del figlio puntavano. Se ne uscì con una scrollata di spalle, dando una pacca a quelle di Stiles, il quale ridacchiò sotto i baffi mentre si dirigeva in cucina a passo smorto.
«Come mai così silenzioso? Qualcosa non va?» Si sentì domandare d'un tratto, mentre l'odore del thè gli dava fitte alle pareti della bocca. «Suppongo mi abbiano mangiato la lingua mentre dormivo...» ed era già fuori casa. Non avrebbe affrontato un discorso con suo padre, non lo voleva guardare negli occhi. Non quel giorno.

                                 

Le lezioni si susseguirono l'una dopo l'altra. Le voci degli insegnanti parevano sempre una sola, mentre quelle dei suoi compagni sempre di centomila. Gli faceva male la testa, ma sorrideva e provava perfino a fare del sarcasmo. Non gli riusciva. Non quel giorno.

                                 

"Allison ed io andiamo al cinema questa sera. Verranno anche Erica, Boyd ed Isaac. Vuoi venire anche tu?"
Stiles scosse la testa verso Scott, sorridendo a mezze labbra. Accartocciò il biglietto quando questo gli mimò un "Perché?" con la bocca. La sua divenne arida, il cuore iniziò a battere come un martello nel petto e la sensazione che avrebbe vomitato di lì a poco lo convinse ad alzare la mano, non aspettare la risposta del professore e scappare nei bagni della scuola. Il pensiero che il nome di Derek non fosse scritto sul pezzo di carta lo avvolse solo in istanti successivi. Scott arricciò labbra e sopracciglia, preoccupato. Non quel giorno.

                               

«Stai bene?» Scott si ritrovò a domandare, sentendosi alquanto stupido, nei corridoi della scuola.
«Sì, sì. Nessun problema. Solo un po' di nausea. E un po' di vomito. E se mi ci fai pensare è perché mia madre è morta esattamente quattro anni fa. Ma grazie, Scott. Tu sì che sai come farmelo dimenticare.»
McCall si morse la lingua.

                                

Passò una settimana e le notti accasciato davanti alla tavoletta del water non cessavano. Lo sceriffo non se ne accorse, Scott nemmeno; Stiles cercava in ogni modo di coprire le tracce. Si era chiuso in casa, non aveva fame, fumava di notte sul tetto alla sua finestra, vomitava subito dopo essersi addormentato ed aver pianto insieme a sua madre. Quanto sarebbe passato fino a quando qualcuno si accorgesse della sua pelle pallida, delle occhiaie, del suo silenzio? Stiles aveva paura, ma non sapeva esattamente di cosa.

                                   

Il branco continuava a fissarlo, come se annusassero. Erica gli sorrideva, ma un sorriso spento, un sorriso conosciuto. Isaac lo guardava da lontano. Boyd lo salutava con la mano ferma. Derek non sorrideva, non lo guardava, non lo salutava.



Stiles si accorse di vomitare sangue, una notte. Deglutì e tirò lo sciacquone. Tornò in camera e chiuse la porta dietro di sé, eppure sentì la temperatura più fredda della stanza. La finestra era aperta, accompagnata da un'ombra nell'angolo affianco. Si aggrappò al legno della porta e chiuse gli occhi, regolarizzando il suo respiro. «Che succede? Un altro branco di Alpha? Lydia o Scott sono impazziti ed abbiamo il Kanima 2.0?» chiese tutto d'un fiato ad un Derek ammutolito, con la mascella superata e con lo sguardo fisso sul corpo seminudo del ragazzo.
«Dimmelo tu cosa succede, Stiles.», al che questo fece una faccia innocente, come se non sapesse di cosa lui parlasse. «Ah, dici di- di quello che è successo in bagno? Ho- ho solo mangiato dello yogurt scaduto da due mesi, non che sapessi fosse scaduto, e prima che tu dica qualcosa, sappi che so di dover fare la spesa più spesso o almeno guardare la data di-», «Stiles.» tuonò Derek, ora vicino a sé e col volto illuminato dalla luce lunare. Il ragazzo si inumidì le labbra, occhi sbarrati e schiena incollata alla porta. «No. Non dirmelo... Voi lupi fiutate anche le sostanze nel vomito? Perché se credi io menta, e non dico che sia vero, questo è assai scorretto», puntandogli un dito contro. Derek lo fissò più serio di prima, avvicinandosi ancora fino a sentire la stoffa della sua maglia scura sulla pelle. «Non mentirmi. Noi lupi sentiamo il battiti del cuore.» lo corresse questo, posando una mano sull'avambraccio di quello. Stiles annuì, guardando un'altro punto nella stanza. E dunque quel momento era arrivato? Il momento in cui avrebbe accettato la verità, qualsiasi essa potesse easere? Era malato, il sangue glielo aveva reso facile da assimilare. Non aveva fame, non aveva forze, aveva solo incubi e voglia di espellere organi dal suo corpo.
Fissò gli occhi in quelli del lupo, a labbra strette. «Non so cosa fare,» deglutì per l'ennesima volta, debole, a mezza voce. «Non voglio sapere, non voglio...» e si trattenne dal concludere la frase. Non sapeva come concluderla, a dire il vero. Non voleva cosa? Era assurdo, poteva semplicemente essere un problema di indigestione.
«Ti sei mai domandato sul perché tu non sia allarmato o spaventato dai sogni, dalla nausea, dalla perdita della vista, dal vomito di sangue?» la sua voce appariva offuscata, mentre cercava di riprendere controllo dei suoi polmoni. Lasciò andare la testa contro la spalla di Derek, lasciandosi avvolgere completamente dalle sue braccia.
«Perché vi sono abituato...» ed il suo respiro divenne stabile.



Stiles non ascoltò le parole del dottore. Si perse ad esplorare il viso di Derek accanto a lui, le loro spalle a toccarsi.
Nessuno sapeva di quella visita. Né Scott, né il branco e nemmeno suo padre. Non li avrebbe fatto preoccupare, non fino a quando sarebbe stato in grado di proteggerli.



«Sono rari i casi in cui un tumore viene ereditato geneticamente. Soprattutto se si presenta al cervello e si rivela essere maligno. Possiamo tentare la chemioterapia, ma non c'è nulla ad assicurarci la completa guarigione...» ma Stiles non ascoltava, sentendo i battiti del cuore di Derek sulla guancia. Egli lo stava supportando, e non si sarebbe mai aspettato potesse essere proprio lui a farlo in un momento come quello.
Stiles non ascoltava nemmeno quando il dottore gli consigliò di informare i suoi cari.



Passarono due settimane dalla visita. Stiles cercava in ogni modo di far finta che nulla fosse accaduto. Continuava a sorridere al padre, a Scott, a Lydia, perfino a Derek. Ma questo era con lui, la notte, una mano premuta sulla spalla mentre vomitava.



«Stiles...» mormorò contro il suo orecchio, una notte dove gocce d'acqua picchiettavano contro il vestro della finestra. Il ragazzo si nascose nel collo del lupo, ad occhi chiusi, segno che -sì- era in ascolto. «Non resisterai a lungo, da solo non puoi farcerla.» ma lui non era in solitudine, lo sapevano entrambi.



Stiles faceva lo stesso incubo ogni notte. Derek non chiese mai spiegazioni.



«Perfino i fiumi, seppur alimentati, perdono le loro acque...» rispose dopo aver svuotato lo stomaco, reggendosi nella mano di Derek. Pianse.



Il giorno dopo, Stiles diede la notizia. Si erano riuniti tutti a casa Stilinski, inizialmente le parole non uscirono facilmente. Lo sguardo di un alpha gli dette forza.



Si trasferì nei boschi, insieme al branco, insieme a Derek. Suo padre lo lasciò andare, i pugni stretti e le lacrime che sono un genitore può comprendere. «Sono fiero di te, figliolo...»
Stiles lo strinse a sé, con le poche forze che gli erano rimaste. I ruoli sembravano quasi invertiti.



Nessuno parlava. Gli davano occhiate compassionevoli, tutti loro. Perfino Scott.



«Non sono morto, non ancora. Smettetela di comportarvi come se lo fossi, come se steste osservando fottuto un cadavere che cammina!» aveva urlato una mattina, ancora in preda al suo incubo, con ancora il sapore del sangue in bocca, con le occhiaie di un nero carbone e la pelle secche. «Non sono morto...» ripeté contro il piano del tavolo in salotto, mordendosi le labbra secche. Non volò una mosca.



«Sai quanto sia difficile per loro?» e fu come un pugno nello stomaco. «Quanto lo sia per me?» Stiles distolse lo sguardo. «Vederti in questo stato...» non concluse la frase. Derek non gli avrebbe mai detto certe cose. Ma lui sapeva, ora. Camminò a fatica verso di lui, dopo essersi alzato dalla sedia, e lo baciò. Lì, sul portico di quella casa piena di dolore e fumo.



Strano quanto il destino fosse bastardo. Ci era voluto un maledetto tumore per farlo avvicinare a Derek, per capire che si volevano e che si sarebbero appartenuti anche, beh, dopo la sua morte. Perché era nato per morire.



Gli avevano dato cinque mesi di vita. Sette con l'ausilio della chemioterapia. Stiles rise. Rise di gusto, perché non avrebbe fatto la terapia. Non avrebbe sofferto per 61 giorni in più. Non avrebbe fatto soffrire nessuno per 61 fottuti giorni in più. Derek rise insieme a lui, per la prima volta.



Lui e Scott giocavano ai videogiochi, tutto il giorno. E si divertivano, in quel mondo non esistevano sofferenze, dolori, falsi sorrisi, false promesse. Non esisteva la dura realtà.



Erica e Boyd partirono, così da allontanare le minacce nei dintorni. Ma era una scusa, semplicemente non volevano restare inermi a guardare mentre Stiles ed il branco si distruggevano l'esistenza chiusi in una casa in rovina.



«Avete già...?» Lydia esitò, con un sorriso furbo sulle labbra, le gambe tirate a sé seduta accanto a Stiles sul divano. Questo si massaggió il capo: aveva perso la cute. Ma fece una faccia buffa, «Eh?», domandò di rimando non capendo dove volesse arrivare. La rossa roteò gli occhi e schioccò la lingua sul palato, lanciandogli un'occhiataccia. «Tu e Derek.»
«Ah...» Stiles arrosì pesantemente, nascondendosi il volto con le mani fredde.



Il letto di Derek era spazioso, caldo, sapeva di casa e di lui. Stiles si rifugiava nel suo petto ogni notte, la testa che scoppiava. Graffiava la sua schiena durante il sonno, le lacrime unendosi al sudore. Derek prendeva il suo viso tra le mani, pronunciando il suo nome, obbligandolo a guardarlo negli occhi. Stiles vomitava ancora, e ancora, e piangeva. Pianti che sempre venivano soppressi dai baci del lupo.



«Manca poco...» strascicò il ragazzo nel collo di Derek, avvinghiando il suo corpo gelido a quello bollento di lui. «Sento cedere le mie gambe, le braccia, i muscoli della faccia. Mi sento un morto ambulante...»
Derek fissava il buio, stringendo denti contro denti, stringendo Stiles a sé. Non lo avrebbe mai lasciato.



Suo padre gli faceva visita ogni sera, tornato dall'ufficio. Gli raccontava dei casi che aveva sottomano, degli sguardi e delle condoglianze dei colleghi. Ma vi erano anche scherzi, e ridevano. A Stiles piaceva ridere.
A sua volta, lui raccontò dei lupi mannari e di tutte le volte in cui aveva salvato le chiappe a Derek e a Scott. Raccontò anche di Allison, degli Argent ed anche del gruppo Alpha che mesi prima li aveva messi in serio pericolo.
«Scusa se non ti sono stato vicino in quei momenti...» e Stiles non sapeva cosa rispondere, per l'ennesima volta. Ma suo padre non si sarebbe dovuto sentire colpevole, non era colpa sua. Non era colpa di nessuno.



Fu una notte in cui il tumore era solo un ricordo. Derek lo aveva abbracciato, e baciato, e spogliato; gli aveva sussurrato parole così intime e che mai si sarebbe aspettato da lui. Non si era aspettato tante cose, eppure erano successe. E quando l'uomo entrò in lui, il calore lo avvolse. Si sentì felice di vivere quel momento e di poter toccare Derek, libero di poterlo sentire muoversi dentro di sé. Sorrise, sincero, quando questo gli crollò addosso, col viso nel suo collo, con il suo respiro a carezzargli la pelle. «Ti amerò sempre...» mormorava, una volta dopo l'altra, bacio dopo bacio. Pianse, il lupo.



Stiles parlò dei suoi sogni. Derek raccontò dell'incendio e della sua famiglia.



«Io non voglio morire viaggiando, o esprimendo uno dei miei desideri come i malati di tumore usano fare... Insomma, è una perdita di tempo e pure una grande cazzata e presa per il culo verso sé stessi. Io voglio morire vivendo la mia vita fino all'ultimo minuto, senza troppe inutili pretese. E non voglio funerali o facce tristi, voglio che ognuno di voi vada avanti senza troppa tristezza, senza che io rovini anche la vostra felicità. Ricordatemi col sorriso, ma anche nei momenti brutti.... Accettateli, prendete ciò che io non potrò mai avere.»



Stiles Stilinski morì il 17 Febbraio del 2014. Cessò di respirare nel letto di Derek, le braccia a circondargli il collo. Avevano trascorso la serata tutti insieme, ridendo e ricordando vecchie battaglie. Ognuno tornò poi a casa propria, e Stiles non volle alcun addio. Sapeva fosse giunto il momento, ma voleva fosse il più naturale possibile, il più piacevole. Si baciarono fino a quando non gli dolerono le labbra, si toccarono, si osservarono, si amarono per l'ultima volta. Una parte di Derek morì insieme a Stiles. 



Stiles Stilinski non ebbe un funerale, solo un ultimo saluto che i più cari gli dettero sulla tomba.



Allison e Scott McCall ebbero due figli, Victoria e Darius. Scott raccontava loro delle grande imprese dello zio Stiles, ogni notte. Scendeva in cucina e fumava una sigaretta, aveva visto Stiles farlo. Non avrebbe pianto, eppure aveva bisogno di qualcosa che glielo ricordasse e non fosse il solo dolore di aver perso il suo miglior amico.



John Stilinski, pochi mesi dopo la morte del figlio, uscì a cena con Melissa McCall. Avrebbe mantenuto le promesse fatte a Stiles, avrebbe cercato la felicità. Chissà se essa voleva essere trovata.



Lydia Martin partì per New York. Il suo talento e la sua bellezza era assai sprecata a Beacon Hills. Trovò famiglia e lavoro, ma qualche volta le parve di vedere Stiles tra la folla delle strade affollate.



Il branco andò via da Beacon Hills. Il branco si sciolse. Erica e Boyd furono seguiti da Isaac, giù a sud dove avrebbero trovato una nuova casa.



Derek Hale trovò nuova casa nei boschi di una città vicina, così da poter tenere d'occhio Scott e John. Peter era un'ombra alle sue spalle, anche nei momenti bui; ma nonostante tutto, non ebbe mai il coraggio di affrontare il discorso.



Derek rivedeva Stiles nei suoi sogni, ogni notte. Lo baciava e lo stringeva a sé e questo gli raccomandava di andare avanti, di tornare a vivere perché quando se ne sarebbe accorto sarebbe stato tardi, così come fu per lui; ma Derek non voleva vivere, lui non aveva mai vissuto veramente. Era perso e solo, senza scopi. Stiles sorrideva amaro, prendeva il volto di lui tra le mani e lo fissava negli occhi. «Sempre...» e Derek avrebbe voluto non svegliarsi mai.


The END.

   
 
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