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Autore: Polveredigente    15/06/2013    8 recensioni
Il ragazzo che mi ha dato quell’amore che nessuno ha il coraggio di raccontare, nulla di così poetico, eravamo un insieme di parolacce, fumo di sigaretta sempre fra i denti e baci sporchi, nostri, veri, ma semplicemente il desiderio di stare con lui era più forte di qualsiasi altra cosa. Perché non l’ho mai amato per noia o per solitudine, l’ho amato dal primo momento, quando ancora non conoscevo il suo nome, ma ero pazza già della sua anima.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Bones.





Vorrei poter iniziare dicendo che questa è la storia di una ragazza e di un ragazzo, vorrei poter dire che si tratti di una dolce storia d’amore senza problemi né ostacoli, ma non posso, non riesco a mentire.
E raccontarvi la storia di due ragazzi che si innamorano e che semplicemente stanno insieme senza nessun freno, sarebbe una grandissima bugia. Perché si sa, la vita è tutta una corsa, corri, cadi, ti rialzi e ricominci a correre ancora più forte, ma una regola deve ancora entrare nel cuore di molta gente, più la corsa si fa dura e più il traguardo sarà soddisfacente.  
Ma quanti kilometri abbiamo a disposizione?
Quanto carburante ci è stato concesso da questo Signore misterioso?
La vita di ogni stupido essere umano si basa su di una lista della spesa che decide quanto e per quanto tempo possiamo essere felici, o magari possiamo piangere. Quando sei felice per troppo tempo, l’angoscia bussa in un posto, una porticina ubicata poco sotto il cuore, e chiede il suo turno. Ma il cuore, il mio cuore, ha sempre ignorato quel rumore snervante così come anch’ io ho ignorato i sogni, i piccoli sguardi, i gesti di freddezza e le parole di chi lo conosceva meglio di me.
Coloro che conoscevano il ragazzo che adesso sento alle mie spalle mentre io aspiro la sigaretta fino a spaccarmi i polmoni.
Il ragazzo con gli occhi più belli di sempre.
Con il sorriso capace di illuminare una città intera.
Il ragazzo che mi ha dato quell’amore che nessuno ha il coraggio di raccontare, nulla di così poetico, eravamo un insieme di parolacce, fumo di sigaretta sempre fra i denti e baci sporchi, nostri, veri, ma semplicemente il desiderio di stare con lui era più forte di qualsiasi altra cosa. Perché non l’ho mai amato per noia o per solitudine, l’ho amato dal primo momento, quando ancora non conoscevo il suo nome, ma ero pazza già della sua anima.
“Dove cazzo stai andando?” La voce che fino a stamattina provocava in me un accesso di emozioni positive e di reazioni spropositate da parte di ogni mio organo vitale, adesso mi da il voltastomaco. Odio il modo in cui le vocali si allungano fino quasi a perdersi, mangiate da nuove sillabe, sempre troppo frettolose. Odio la sua voce calda, con quelle note delle volte incredibilmente roche, che fino a stamattina trovavo estremamente eccitanti e che adesso mi mandano fuori di testa. “Fermati Sophia.”
“Non ti avvicinare.” Sputo le parole con fin troppa enfasi, un misto di arroganza, odio e repulsione sovrasta tutto il resto. Sovrasta perfino il dolore.
Il dolore che ha saputo provocare l’unica persona alla quale io abbia mai aperto il mio cuore.
Perché non solo è stato in grado di farmi provare per la prima volta cosa significa amare, e cosa vuol dire essere amati, ma lui mi ha salvato.
Mi ha salvato da quello che sarei potuta diventare, con i tuoi ti amo sussurrati e quelli urlati al cielo, mi hai salvato con quella voglia di vita e con la musica alta a qualsiasi ora del giorno. Mi hai salvato, e nello stesso modo con cui lo hai fatto poco più di un anno fa, adesso mi lanci nel baratro.
“Fermati Sophia, sono qui.” Mi prende per le spalle ed io cerco di svincolarmi da questa presa, ma in questa presa sento tutto il calore che mi servirebbe, così la mia schiena aderisce perfettamente al suo petto, ed il battere furioso del suo cuore agisce lentamente come il migliore tranquillante.
Lui c’è.
Ma sabato era con lei però.
Sabato i suoi occhi mangiavano il suo di corpo.
Le sue mani, queste mani che adesso si muovono ritmiche sulle mie braccia, correvano sul suo corpo. E la sua bocca, la sua dannata bocca che ogni volta portava un sapore diverso, toccavano lei.
Un’altra.
“Non mi toccare.” Scandisco ogni parola con fin troppa calma, ma la mia voce è straziata da tutto il dolore che sento nascermi ovunque, non è solo il cuore a soffrire, soffre la mente per non essere stata abbastanza forte da fermarmi, soffrono i polmoni ormai vuoti del suo profumo, soffre lo stomaco ormai privo di farfalle. “Io ti amavo porca puttana!” Mi avvolge completamente e mi sento troppo piccola per tutto questo dolore. “Amavo tutti i tuoi difetti da testa di cazzo, amavo tutti gli errori che commettevi, perché eri tu a farli, amavo le tue bugie che riuscivo a sgamare sempre, amavo le volgarità che continuavi a fare in mia presenza perché sapevi che mi facevano ridere, amavo il tuo corpo, anche se avevi la pancia, amavo le tue mani, con le unghie strappate via a morsi.” Non trovo più le parole e mi copro gli occhi con entrambe le mani. “Ti amavo perfino con gli occhi chiusi, adesso dove cazzo è finito tutto quell’amore?” Riesco a sgusciare fuori da questa presa troppo asfissiate e mi ritrovo a fare i conti con i suoi occhi.
Vengo sommersa dal verde.
E questo verde porta alla mente troppi ricordi felici, eccolo il nostro primo incontro, i contorni sono quasi traslucidi, emettono la luce che si portano dietro le novità.
Ero felice quella sera.
Come lo ero quando mi chiese di uscire, questo brilla, è uno sbrilluccicare esagerato di luci, suono, voci, pensieri.  
Ecco il primo bacio, questo ricordo invece brucia, nulla a che fare con il resto.
Una scintilla, e poi il fuoco è ovunque.
“Sophia…” La sua voce è debole, i suoi occhi tiepidi, ma il mio corpo ci associa la forza di tutte le nostre promesse, la dolcezza di tutti i nostri abbracci, l’amore di tutti i nostri attimi.
E lo respingo.
Respingo la verità, i ricordi, la tristezza.
Respingo lui.
“Sparisci.”
E così mi lascio inghiottire dal buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ho sempre creduto ai piccoli gesti.
Agli abbracci inaspettati, alla sigaretta passata, ai sorrisi per le battute stupide. Ho sempre creduto che quelli significassero chiedere scusa.
Meglio di decine di parole trite e ritrite, sentite in quelle americanate che tanto amo guardare.
Ma può bastare?
Può bastare abbracciarsi per ricostruire la fiducia che hai distrutto con un semplice gesto di menefreghismo?
Non è bastato.
Non è bastato per giorni, per settimane, per mesi.
Ci è voluto un anno, forse qualche mese in più.
Ma l’ultimo giorno di aprile sono stata in grado, per la prima volta, di parlare di te, con te, senza sentire l’amaro in bocca.
Ce l’avevo fatta.
Avevo superato tutto, credevo di aver superato tutto.
E ci ho provato, ci ho provato dannazione a baciarti quella domenica mattina, ci ho provato a sentirti addosso senza farmi condizionare da ricordi, parole e giudizi troppo cattivi.
Ci ho provato, ma non ci sono riuscita.
E ti ho detto la verità, la verità che consideravo tale in quell’istante, come sono solita fare, senza pensare alle conseguenze, senza pensare a quello che potrebbe comportare.
Ho agito.
Me ne pento, me ne pento adesso che sono passate al massimo due settimane, come me ne portò pentire fino alla fine dei miei giorni.
Me ne pento mentre fuori è da poco iniziato Giugno e dentro di me è ancora inverno.
Pensate che dovrei dirglielo?
Pensate che non l’abbia già fatto?
Ci ho provato.
Ho molti difetti, delle volte sono una testa di cazzo, impulsiva, egoista, mando a cagare chiunque e poi chiedo scusa fino allo sfinimento, ma ci provo.
E questa volta non è bastato per lui.
Perché a me manca.
A me manca ogni volta che ascolto una canzone triste e vorrei le sue braccia intorno.
A me manca quando fumo troppo e vorrei che lui mi dicesse di smetterla, di spegnere quella dannata sigaretta.
E la mancanza posso assicurarvi che non è una compagna silenziosa e facilmente addomesticabile, la mancanza urla, graffia, picchia.
Dovrei dirglielo che scrivo ancora il suo nome sopra ad un quaderno in mezzo a tutte le altre mie schifezze?
Potrei, potrei provarci ancora una volta.
Gli vomiterei addosso tutto quello che sento, tutto quello che provo.
Ma gli farei male, perché sono stata io a lasciarlo andare via, come potrei pretendere di ritornare, ritornare ancora una volta, e trovarlo felice, sorridente e con le braccia spalancate?
Lo farei soffrire.
Continuerebbe a pensare alle mie parole.
Al mio stupido e insensato "lasciamo tutto così."
Penserebbe alle volte in cui gli ho detto di non aver provato nulla baciandolo.
Penserebbe alle volte, alle troppe volte, in cui gli ho detto di sparire.
Soffrirebbe, continuerebbe a soffrire per colpa mia.
E non me lo perdonerei mai.
Non riuscirei a sopportare i suoi occhi gonfi, ad immaginare i suoi denti stringersi sul labbro inferiore e torturarlo fino al sangue.
Non riuscirei a sopportare la sua rabbia muta, i suoi gesti sconsiderati.
Così mi allontano da lui, continuando a sottoporre il mio corpo al dolore più grande che abbia mai provato, alla negazione più grande che mi sia autoimposta.
Ma in fin dei conti io ho sempre amato le persone in grado di restare.
Anche io sono andata via, una, due, tre volte magari, ma perché?
Perché mi aveva privato della stabilità di cui ho così tanto bisogno.
Non chiedevo tanto dopotutto, chiedevo solo un po’ di amore, chiedevo che tu fossi solo mio, che mi abbracciassi quando il mondo andava a puttane dicendomi che tutto sarebbe andato al posto giusto.
Ma quale posto giusto?
Dicevi che tutto tornava al proprio posto.
E tu? Tu dove sei?
Le cicatrici restano, il dolore si affievolirà, ma tu?
Tu dove sei?
Perché ascolta amore mio grande, ovunque io sia, ovunque tu andrai, riconoscerò le tue risate, vedrò il tuo sorriso nei sorrisi degli altri, sentirò la tua voce anche quando non ci sarai.
Un giorno ci incontreremo da qualche parte, magari in un bar o per le vie del centro, cercheremo di non guardarci negli occhi, di fingere di non vederci, gireremo la testa e tratterremo il respiro. Saremo imbarazzati da cosa siamo diventati, da quanto la mia gonna sarà corta e da quanto la tua barba lunga, e soprattutto da quello che siamo diventati noi.
Due estranei.
Due completi estranei che avevano fuso tutta la loro vita in un grande vascone, e che adesso continuano a ricercarne i pezzi.
Perché eravamo tutto l’amore di questo mondo racchiuso in 412 ossa.
E adesso sento che tu ti sia portato via anche qualche osso che in realtà apparteneva a me.







Buonasera persone!
Allora parto dicendo che questa OS non avrebbe dovuto mai vedere la luce del sole perchè era solo un mezzo schizzo avuto durante l'ora di diritto, quindi saprete perdonarmi se non è il massimo della perfezione.
E' una storia come un'altra, di due ragazzi che si amano, ma spesso tutto l'amore sembra non essere mai abbastanza.
Sarei davvero contenta se mi diceste cosa ne pensate e quanto possa farvi schifo.
Ora però mi prendo un momento per dedicare queste poche righe alla mia piccola Shopia.
Alla ragazza dolce e spesso svampita che è entrata nella mia vita poco più di un anno fa e spero non ne esca mai.
Potrei io non mantenere una promessa? 
Sempre tua, sempre mia, sempre nostri.

Antonella.

  
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