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Autore: Cassandra Morgana    15/06/2013    0 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 54

Galileus

 

 

Un bussare impertinente interrompe il delirio dei neuroni, la convergenza verso il punto di fuga, l’intuizione vincente che per poco non gli folgora la mente – resta sospesa, come una ragnatela tessuta a metà. Patrizio salta su, ritto sulle gambe malferme. Trattiene il fiato.

Dimmi che non sono stati loro… Dimmelo. Che non c’entrano, neanche stavolta. Che non sono arrivati a tanto, che non gli passerebbe per l’anticamera del cervello, per quanto ce l'abbiano a morte, per quanto la sua faccia e la sua storia possano solleticare i loro istinti sociopatici. Che ci sia un’altra spiegazione: pure l’autolesionismo di Alex. Può andare.

- Patrizio, sono Gabriele…

Al diavolo.

Spalanca la porta, il viso modellato in un sorriso di circostanza

- Derossi! Il tuo tempismo mi commuove!

- Come sta Thompson? – gli domanda Gabriele, ansimando.

Sembra nervoso, la voce resa instabile dal respiro accelerato, reduce da una corsa o da un rendez-vous con il diavolo in carne ed ossa.

Patrizio si chiude la porta alle spalle con uno scatto. Troppo: un guizzo di collera gli azzera il respiro.

- Scusa – quattro passi veloci ed è lì di fronte a lui, il sangue che scalcia nelle tempie; il tempo di abbrancarlo per un braccio e bloccarlo contro la spalliera del divano – Tu come lo sai?

Gabriele solleva gli occhi al cielo, incastrato in una parola di troppo. Solo lui. Lui e quell’aria fatalista, come se la sua sola presenza fosse latrice di cattive notizie. Di parole sfuggenti e sguardi indecifrabili, rivelazioni folli da strappargli con le pinze, e il sorriso saputo che gli sfodera a mezza bocca.

- Possiamo parlarne più tardi? – biascica.

Patrizio serra le labbra, la rabbia che vibra in punta di dita: è troppo. Gabriele e i suoi fottuti misteri, la goccia finale.

- Più tardi, un cazzo! – lo sovrasta – Hai cinque secondi. Cinque, prima che ti sbatta fuori. Perché, a quanto pare, stavolta ci sei in mezzo anche tu.

- Non vedo come potrei – Gabriele abbozza una risatina, lo sguardo che fugge per i fatti suoi.

Con uno strattone si scioglie dalla sua presa e ribalta le posizioni.

- Sei venuto qui sparato… Vuoi vedere Alex? Come sta? Forse lo sai meglio di me. È strafatto, e non dovrebbe essere un mistero per te che sei l’intenditore. Tre secondi – gracchia – Tre secondi per dirmi se c’entri o non c’entri, se avete fatto qualche cazzata insieme, se gli hai passato tu la roba oppure no. E cosa gli hai dato… Perché lo sanno tutti, com’è che sali sul palco, come ti porti a casa gli esami. Com’è che ti sei sfondato di ogni merda possibile e immaginabile. Lo sai cosa si dice in giro, no? Che hai trascorso le due ore dopo il colloquio dalla Balducci con due dita infilate in gola per non andare in coma etilico. Bacco o Tabacco, dimmi tu – Patrizio ridacchia, isterico: l’effetto di affondare il pugnale nelle carni martoriate è la quattrocentesima parte di un orgasmo – Qualcuno ti ha mai visto sobrio?

Gabriele schiude le labbra per dire qualcosa, ma si rimangia tutto. Non ride più. Strizza le palpebre, gli occhi umidi. Sembra ferito, colpito e affondato.

- Stronzo – sibila.

Perdonami, amico. Ma dovevo scalfirti in qualche modo: consideralo un anticipo.

- Cerca di essere convincente, Gabri – incalza Patrizio – Se scopro che sei tu l’autore dello scherzone, io ti scuoio.

- Ti spiego in tre secondi – Gabriele lo spintona verso il comò, spazientito – Primo: non c’entro nulla, non gli ho dato nulla, e le stronzate che mi hai detto puoi rimandarle al mittente e dirgli di ficcarsele dove non batte il sole. Io non mi faccio più, okay? Secondo, e qua viene il bello, il vostro amico Tony gli ha buttato una pasticca nella birra: l’ho visto con i miei occhi, a meno che non mi sia rincoglionito. Forse LSD, non so. E adesso Thompson sta male: tutto torna.

- Ti aspetti che ti creda?!

- Allora vaffanculo!

Altra spinta, stavolta in pieno petto. Patrizio barcolla verso il divano in equilibrio precario. Il tempo necessario a permettere a Derossi di scivolare nel brandello di spazio che li separa e fiondarsi a capofitto al capezzale del moribondo.

- Alex, come ti senti? – sussurra, sedendosi sul letto e prendendogli il volto tra le mani.

Lo dirige verso di sé e lo scruta come Amleto con il teschio.

- Fa’ come se fossi a casa tua, dottore! – Patrizio si lascia andare sulla sedia girevole della scrivania, i gomiti puntati sulle ginocchia – Il caso è tuo. Sei tu l’esperto… Queste cose si insegnano a Oxford, no? Ah, dimenticavo! Qualunque sostanza si sia sparato, non sarà niente di diverso da ciò che tu hai provato lo scorso fine settimana.

- Vuoi piantarla? – Gabriele gli scocca un’occhiata fulminante e riprende a manipolare Alex, gli scruta le pupille dilatate e gli tasta la fronte – Sto cercando di capire più o meno ciò che vorresti capire tu.

- Derossi, basta. Sto dimmerda – mugugna Alex a mo’ di disco rotto.

- Che hai?

- Ho sonno – voce impastata, sognante – Mi gira la testa. Non capisco dove sono…

- Sei in camera tua, ci siamo noi e va tutto bene – Gabriele gli allunga un buffetto sulla spalla.

- Allora, questa diagnosi, dottor Frankenstein? – Patrizio si avvicina, un sorriso esasperato: forse ha parlato troppo presto. Forse Gabriele Derossi è un uomo migliore di quanto pensi.

Gabriele sospira. Guadagna tempo torcendosi le dita, come se fosse sulle spine o volesse tenerci lui, puntellarsi sulle sue incertezze e ridurlo all’impotenza. Se non fosse il ragazzo di Andrea – o qualcosa del genere –, gli stringerebbe il collo. Lo scuoterebbe fino a scrollarsi via dalla mente quella faccetta sibillina e fargli sputare il verdetto. Quello che sa, ma non dice. Tentenna.

Gabriele afferra la mano di Alex e gliela stringe; risale verso il polso, tastandolo tra pollice e indice. Lo lascia andare di colpo, teatrale.

E dagli…

- Mi sembra LSD – sentenzia – È allucinato. Lascialo riposare: domani sarà un po’ lesso, ma starà meglio.

- E tu come lo sai? Segui dei corsi per corrispondenza?

- No. L'ho provata. Tempo fa, lontano da qui – sussurra, mentre si dirige verso il divano e ricade a peso morto, le gambe distese.

Come se fossi a casa tua, cocco.

- E come hai risolto…? – Patrizio lo osserva di sguincio e segue i suoi movimenti, le dita nervose con cui si ravvia i capelli: forse può gridare allo scampato pericolo, e Derossi non è così male, dopotutto.

È l’esasperazione vivente, ha uno sguardo inquietante ed è fuori come un terrazzo, ma non è pericoloso. Non sembra un figlio di puttana compiaciuto.

- Come l’ho risolta? – Gabriele si tormenta una ciocca di capelli sulla fronte come un surrogato delle peggiori seghe mentali – Vomitando l’anima e dormendoci su.

- Che è ciò che ha fatto Alex. Vedi che ho ragione? Sei il grande esperto. Il gran sacerdote della legalizzazione e del trip consapevole. E, per qualche motivo che non riesco a spiegarmi, stai sempre nel posto giusto al momento giusto. Sei gli occhi e le orecchie dell’Accademia. Cosa mi nascondi? Cosa mi sai dire del caro Tony?

Gabriele schiocca la lingua. Sembra indeciso sulla risposta – esasperante fino all’ultimo.

- L’ho visto servirgli la birra e, quasi casualmente, lasciar cadere la pillolina magica dentro il bicchiere.

- Così, tranquillo, di fronte a tutti? – Patrizio sgrana gli occhi, il cuore che salta un battito: non ha razionalizzato l’eventualità che, su questo punto, Gabriele fosse attendibile – Pensavo che vi foste calati qualche strano cocktail insieme, che Alex si fosse sentito male per colpa tua, e glissassi per questo. C’erano gli estremi per scuoiarti in amicizia.

- Sono un po’ meno stronzo di quello che pensi – Gabriele assottiglia le palpebre, piccato – Da quando io e Thompson saremmo così intimi da andare a calarci un po’ di acidi in allegria? Piantala, Lastella, cazzo! Ti ho mai raccontato balle? Ti ho fatto qualcosa di male?

- Forse – Patrizio si dondola sulla sedia, le ginocchia strette al petto in posizione precaria – Ma lasciami almeno il dubbio. Cosa facciamo con Alex? Chiamo la guardia medica, il prete, mago Merlino?

- Se noti qualcosa di strano. Se dovesse stare peggio. Ma adesso sta bene, è solo un po’ intontito.

- Sei una miniera d’oro – Patrizio occhieggia verso Alex: sembra scivolato in un sonno leggero, accartocciato in una strana posa, le labbra semichiuse e un alone rosato soffuso sulle guance pallide.

- E tu così sospettoso che mi dai sui nervi– Gabriele lo osserva di sottecchi, il volto ostile.

- Gabriele, Gabriele… – Patrizio si avvicina con passo felpato e voce suadente e si stravacca al suo fianco. Sul bracciolo che cede sotto il suo peso.

È strano osservarlo da quell’angolazione, raccolto su sé stesso mentre sfugge il suo sguardo e preferisce concentrarsi sulle proprie unghie, i lineamenti scolpiti composti in un’espressione annoiata. La maglia che, in quella posizione, copre a malapena i fianchi; il cerchietto d’argento che gli trafigge il lobo dell’orecchio e luccica sotto il chiarore malaticcio dell’abat-jour, ogni volta che piega la testa. Le ciglia lunghe, l’ammiccamento casuale, le palpebre socchiuse. Forse non è poi così male. Quando tiene la bocca chiusa e finge che tu non esista. Quando non fa il misterioso del cazzo e si decide a parlar chiaro.

Patrizio sorride. Allunga la mano, giocoso, e gli sfiora la schiena – tra le scapole, dove salgono i brividi. Gli conta le vertebre. Scorre verso l’alto con le dita tiepide, verso i suoi capelli scuri, l’attaccatura a punta sulla nuca che gioca una strana forza d’attrazione. Dove la pelle è calda e vulnerabile.

- Finiscila…! – Gabriele si ritrae. Neanche troppo deciso. In bilico tra insofferenza e apatia. Qualche millimetro più in là, la testa incassata nelle spalle.

Non fai che esporti di più.

- Sei carino.

Patrizio gli sfiora l’orecchio e, sfidando la sorte, gli posa un bacio al centro della nuca. Gabriele si scosta: guizza come un serpente. Inarca il sopracciglio e lo fissa da sopra la spalla.

- Perché ti sto sul cazzo, Derossi? – Patrizio inghiotte a forza la risatina random che gli solletica la gola – È perché sono stato con Andrea?

- Credevo di essere io a starti sul cazzo – Gabriele solleva gli occhi al cielo – Pensi che ti racconti balle per il gusto di farti impazzire… Non so.

- Perdonami, eh, ma la tua storia è poco credibile. Conosco Tony, così, per sommi capi: non è un pazzo né un delinquente. Se per assurdo lo fosse, non agirebbe così… così poco anti-sgamo, ecco.

- Magari pensava che qualcuno lo coprisse – Gabriele si umetta le labbra – Qualcuno

- Qualcuno tipo? – Patrizio incalza.

- Non ne ho la più pallida idea – Gabriele mette le mani avanti, rassegnato – Te l’ho detto, è stato un secondo: ho visto che ha buttato qualcosa nella birra di Thompson e ha ripreso a lavorare come se niente fosse. Speravo di essermi sbagliato, te lo giuro: ci ho sperato fino all’ultimo. Poi vengo qui, vedo te con una faccia da morto riesumato dalla bara, Thompson semisvenuto e cotto a puntino… E allora dico, cazzo, non me lo sono sognato.

- Tienimi – Patrizio gli afferra la mano, le dita strette a tenaglia – Tienimi o faccio una strage. Tony…! Perché dovrebbe avercela con Alex? Perché gli avrebbe tirato questo scherzo orrendo? Perché è coglione? Ne hai parlato con qualcuno?

- Con nessuno a parte te – lo sguardo di Gabriele scioglie la sua presa – Volevo accertarmi che Alex, insomma… fosse davvero strafatto.

- Sei sicuro di quello che hai visto?

- Sicurissimo. Troppe coincidenze. Sono troppe.

- Io lo sbudello.

- Tu tieni le mani a posto e lasci fare a me! – Gabriele lo inchioda al divano, gli occhi fissi nei suoi con la stessa consistenza di due punte di spillo – Adesso aspettiamo che Alex stia un po’ meglio, tipo domani mattina. Poi andiamo a parlare col gestore del bar.

- E poi? – Patrizio aggrotta le sopracciglia, confuso.

- E poi scatta la denuncia. Nel caso – Gabriele si china a frugare dentro la borsa dimenticata ai piedi del divano come qualcosa di scarsa importanza – ho qui il… corpo del reato. Il Sacro Graal: chiamalo come preferisci – ammicca, sarcastico.

Patrizio gli straccia di mano il boccale usato; d’istinto, ci infila il naso. Il leggero retrogusto acre della birra, nulla di più.

- È inodore – Gabriele allunga la mano, il palmo verso l’altro come a reclamare lo scettro del potere – Se no, mica l’avrebbe fregato così. Ah, poi abbiamo anche Alberti…

- Ha visto anche lui? – Patrizio quasi grida.

- No, non ha visto nulla. Così dice. Ma ha visto me dare in escandescenze. Ricorderà, casualmente, che a un certo punto è successo qualcosa.

- Non vedo come potrebbe tornarci utile.

Gabriele gli scocca un sorriso a labbra tirate, un luccichio malevolo in fondo alle iridi.

- Alberti? Me lo rigiro in due secondi.

- Sei tremendo – Patrizio scuote il capo, rassegnato – Posso chiederti una cosa?

- Uh?

- Come va con Andrea? – l’ha detto: ora può attendere con calma la sua Caporetto. O la soluzione pacifica del conflitto.

- Come dovrebbe andare? – Gabriele si stringe nelle spalle: ha colto nel segno.

Distoglie lo sguardo, un mezzo sorriso imbarazzato.

- Va tutto bene – conclude Patrizio al suo posto, ghignando – Avete fatto l’amore?

Gabriele annuisce: sta al gioco.

- Se ti rispondessi ?

- Gliel’hai fatto quel giochino con la lingua… lì sopra, sulla punta dell’uccello? – sussurra, la mimica troppo eloquente per giocare sulla semplice allusione – Ne uscirà pazzo.

Gabriele scoppia a ridere, un’esplosione di un cremisi acceso che sale fino alla radice dei capelli. Non se l’aspettava: l’ha colto di sorpresa, è riuscito a giocare sull’imbarazzo per spuntargli qualche freccia.

- Tu non stai bene, Lastella…

- Sei stato bravo – Patrizio si piega su di lui, il clima di avversione e sospetto di qualche istante prima che deflagra in un abbraccio fraterno, col naso premuto contro il suo collo e un nodo che inspiegabilmente si scioglie, e il laccio scivola al suolo. Ha le braccia rigide lungo i fianchi, Gabriele, ma non sfugge al contatto.

- Piantala!

- Gabriele?

- Sì?

-. Nulla… – Patrizio si scioglie da quell’abbraccio azzardato e vagamente legnoso, ma solo per guardarlo in faccia – Grazie. Per Alex. Scusa se ho dubitato, ma… è tutto assurdo. Ne parlerò con lui.

- Con Tony?! – Gabriele arriccia il naso.

- Con Alex.

Gabriele scuote la testa.

Lascia stare, cazzo, lascia stare. Non importa.

Solleva lo sguardo, veleno iniettato al centro delle iridi d’ambra bruciata come quelle di un gatto. Brucia.

- Posso dirti io una cosa? Noi stiamo qui a sparare cazzate, ma lui se l’è vista brutta – accenna ad Alex collassato sul letto con la testa sotto l’ala, piegato e sconfitto – Stai attento ai tuoi… amici, Patrizio.

- Ah, quindi pensi sia stata un’idea loro?!

Ha alzato la voce. Più acuta del previsto, come la conseguenza di un calcio all’inguine sferrato di sorpresa. Una pugnalata vibrata a tradimento tra le scapole, così a fondo da forare il cuore. E il battito che riprende a martellare, a scavare tra le costole; accelera e impazzisce, un’ondata di gelo che gli fa tremare i polsi.

Il colpo che ti temevi e ti aspettavi, perché i tasselli che vanno al posto giusto sono troppi. L’angoscia che ti sei sforzato di ricacciare giù nello stomaco per negarti ciò che temevi, la tessera mancante che non vuoi vedere per conservare un barlume di speranza, la paura di impantanarti nell’equivoco del secolo. Non è un equivoco: è un fottuto, legittimo sospetto. È ciò che non vorresti, non vorresti razionalizzare, le fondamenta che tremano e rivelano il terreno acquitrinoso, l’impalcatura che deflagra al suolo e ti seppellisce tra le macerie.

Non è troppo tardi. Per scavare nel fango e occultare il cadavere.

Zitto, Derossi, per amor del cielo. Tu mi inquieti, mi fai paura: hai questa sincerità maledetta che ti spinge a cavare fuori il peggio da chiunque, a scoperchiare gli altarini. Con te non c’è eufemismo che tenga: sei puntuale come una freccia. E hai la dannata capacità di strappare il velo di Maya e farlo a pezzi, trasformare gli incubi in realtà. Non ti ringrazierò e non ti maledirò mai abbastanza.

Gabriele sospira.

- Non dico questo. Dico che… sono amici di Tony: faranno di tutto per coprirgli le spalle. Forse. E odiano Alex. Gli hanno spento una sigaretta sul braccio per qualche parola di troppo, ricordi?

- Non ti credo – Patrizio scuote la testa in un gesto infantile – È stato un incidente. Finché Alex non conferma la tua storia, per me è la tua parola contro la loro.

- Sei sicuro di conoscerli bene? – Gabriele inarca un sopracciglio – Così bene da non poter dubitare della loro buona fede?

No.

Patrizio annuisce.

- Li conosco.

- Da quanto tempo?

- Qualche mese – Patrizio distoglie lo sguardo e si morde l’unghia del pollice; stringe finché non fa male – Da quando abbiamo iniziato a suonare.

- E ti piace? – Gabriele liscia una piega immaginaria nei jeans, le labbra piegate in una smorfia incomprensibile – Suonare con loro…

- Se non mi andasse a genio, cosa ci andrei a fare?

- No, dicevo – Gabriele rotea lo sguardo verso il soffitto – Vi frequentate anche fuori dalla band?

- Sarebbe un po’ difficile non farlo, visto che ci incontriamo per forza a lezione e qui e… in giro.

- Bene – Gabriele annuisce: sembra quasi convinto – Se li conosci così a fondo, saprai perché ce l’hanno tanto con Alex.

Patrizio si stringe nelle spalle. Sussulta, l’impulso di piangere.

Non dargli questa soddisfazione: forse ci ha visto giusto sin dal primo momento e ride della tua beata ingenuità. Ma odia Basile. E si è preso Andrea. È schifosamente sicuro di sé, è un serpente, e ogni sua virgola sembra oro colato dispensato per il tuo bene.

- Tanti motivi. È l’ultimo arrivato, gli insegnanti pendono dalle sue labbra, pur non essendo questo gran talento. La Balducci stravede per lui, Basile sente odore di raccomandazione. Ha ottenuto lo stage al suo posto, lo stage per cui lui sputava sangue da tre anni. E Alex l’ha sfidato davanti a tutti. Va in giro vestito come un cazzo di emo. Probabilmente è gay. Secondo me no, secondo loro sì. È mio amico, l’ho difeso davanti a loro, e pensano che mi abbia plagiato.

- Non è emo. Forse non è neanche gay – rilancia Gabriele, in automatico.

- Lo so. Ma per loro non conta. Basile vede il mondo a tinte nette.

- E, dulcis in fundo, siete diventati amici. Per Basile è alto tradimento.

- Che devo fare? Spiegami! Dire sì, d’accordo, è come dici tu, quando spara cazzate? Chiudere tutti e due gli occhi per quieto vivere? – Patrizio sbuffa, l’isteria ai massimi storici.

Non dirmi che ho ragione. Di’ che scherzi, che giochi a fare l’avvocato del diavolo, che sono un idiota: qualunque cosa.

- Ti sei risposto da solo – gli soffia Gabriele.

- Quello che dici è vero. Ma ascoltami: non arriverebbero a tanto, con la complicità di Tony, poi… Tony! Perché dovrebbe giocarsi la fedina penale e il posto di lavoro per uno che conosce a malapena? Che gli rappresenta Alex di tanto negativo?

- Gay, raccomandato, darkettone. Freak fino alla punta dei piedi. Lingua affilata. Che musica ascolta? Gothic metal? Rock per casalinghe? – Gabriele è passato al mantra delle cazzate.

- Io li conosco: hanno i loro difetti, ma non sono dei teppisti. Basile ha questa corazza dell’uomo che non deve chiedere mai, ma sa anche ragionare. È un cagacazzo, okay, vuole l’ultima parola anche se crepi, ma non è un Riccardi, ecco. Piani è un giullare, a volte è un po’ pesante, ma non cattivo. Moro è tranquillo, un po’ così, succube di Basile, ma non farebbe male a una mosca. Tony, che motivi ha per odiare Alex? Può essere scorbutico quanto vuoi, ma…

- Sai una cosa, Patrizio Lastella? – Gabriele lo fissa negli occhi, gelido – Capisco che non voglia partire in quarta e accusare i tuoi amici. Ma spero che Alex abbia sentito la tua arringa difensiva per l’indifendibile. Che domani se ne ricordi e ti dia tanti calci in culo.

 

* * *

 

L’alba di un nuovo giorno, le lancette dell’orologio che marciano in tondo e gocce di luce cristallina che piovono dalle fessure tra le tapparelle. L’hai fatto di nuovo: il gioco del vendicatore improvvisato, il numero che ti riesce meglio, meglio di quello del depresso o dell’innamorato. Perché Derossi è tutte queste cose: difficile immaginarti diverso dalla sintesi delle sfaccettature che fatichi a conciliare, che non hai ancora imparato a gestire.

Quando c’è da sporcarsi le mani, però, sai farlo a regola d’arte, e Andrea non l’ha capito bene, perché è ancora ubriaco e reduce da un po’ di sesso fatto a regola d’arte e dal brusco cambio di rotta. Solo che prima o poi si sveglierà, passerà la sbronza, ti guarderà in faccia. E poi non ci sarete che voi, liberi di prendervi o strapparvi i capelli.

- Andre… scusa – Gabriele si chiude la porta alle spalle e ripone la chiave nel cestino accanto all’ingresso, un tintinnio che riecheggia nel silenzio.

Si strofina un occhio, un filo di mal di testa che galoppa lungo la fronte e si incunea in mezzo agli occhi.

Andrea emerge dal groviglio delle lenzuola in tutto il suo corredo di spalle nude, mugolii incomprensibili, occhi pesti di sonno e occhiaie da rockstar – non si può dire che abbia dormito: si è trascinato per l’intera giornata come uno zombie dall’aria sognante e gli occhi lucenti, in piedi per miracolo.

- È successo qualcosa? – borbotta, la voce impastata e uno sbadiglio trattenuto a fatica.

Gabriele lascia andare la borsa ai piedi dell’attaccapanni e arranca verso la poltrona incastrata nell’angolo e sommersa di vestiti. Si afferra il capo tra le mani, le dita che per poco non sprofondano nel cranio.

- Scusa se ti ho fatto aspettare. È successo un casino…

Il Casino.

Andrea aggrotta le sopracciglia e si passa una mano tra i capelli arruffati, uno scuotimento rapido di ciglia per snebbiare la vista e mettere a fuoco. La stanza in penombra e qualche cinguettio fuori dalla finestra.

Gabriele si torce le dita, il desiderio sotterraneo di un cicchetto da mandar giù per dominare l’ansia. Una sigaretta diversamente corretta, magari, ma non di fronte a lui: quella solo in casi di emergenza.

- Ero preoccupato – Andrea butta via le lenzuola e caracolla verso di lui, una vecchia maglietta gettata sulle spalle, tanto per presentarsi con qualcos’altro addosso oltre ai boxer.

Gabriele chiude gli occhi e sospira. Riprende a fissare il soffitto, a seguire il gioco di luci della strada. Sbuffa.

- Thompson si è sentito male – sputa via.

Gli occhi di Andrea guizzano, una scintilla di irritazione. Distoglie lo sguardo.

- E dagli, però! – gli soffia – Stavolta che ha fatto? Ha provato a tagliarsi ed è svenuto alla prima goccia di sangue? Ha bevuto senza accorgersi che era al limite?

- Andre, non fa ridere. Non c’è un cazzo da ridere! – Gabriele si tira i capelli all’indietro, il nervosismo che gli scava addosso voragini – Gli hanno buttato una pasticca nella birra. A tradimento. ‘fanculo, mi sembri Basile, quando parli così.

- Ehi! – Andrea scatta in piedi, punto sul vivo – Spero di essere almeno un po’ più bello – cinguetta – E d’accordo, scusa. Cercavo di alleggerire un po’, non dico che non me ne frega.

Non hai torto a volerla vedere meno drastica, perché così fa schifo. Fa tutto di nuovo schifo, e analizzarlo sotto la lente dello schifo non ti aiuta a digerire il boccone amaro – a deprimerti, magari. Sic et semper. Il solito, vecchio nido di arpie e serpi allo sbaraglio.

- Almeno tu hai un cervello, Andrea. Un cervello operante. E un briciolo di cuore.

- Oh! – Andrea spalanca gli occhi, due pozzi lucidi che succhiano via le ombre – Andrea, tu hai un cervello! È il miglior complimento che mi abbiano mai fatto… non me l’aveva mai detto nessuno – ridacchia.

Ma ora è tutto diverso: non sei un Alberti qualunque.

- Come sta Alex? – il suo volto torna serio, una piega allarmata che gli contrae la fronte.

Che mister “Non ho peli sulla lingua” gli stia cordialmente sulle scatole, ci sta: non tanto da gioire se qualcuno lo avvelena per scherzo. In fondo, anche Andrea è umano e lo sta dimostrando. La sua mente è un sostrato interessante.

- Come vuoi che stia… – Gabriele solleva gli occhi al cielo, un nodo avviluppato intorno alla gola – Come il motore quando fonde. Adesso dorme.

- E Patrizio? – Andrea si morde le labbra.

- Incazzato nero.

Fino a che punto scoprire le carte?

- Si sa chi è il genio? – Andrea si arrotola una ciocca di capelli intorno all’indice, soprappensiero.

- Puoi scommetterci – non vorrebbe, Gabriele, ma le labbra si stirano in un sorriso fuori luogo – L’ho visto con i miei occhi.

Andrea salta su come morso da uno scorpione.

- Non saranno arrivati a tanto…!

Gabriele si massaggia le tempie, ignorando l’allusione all’incognita-trio delle meraviglie: meglio lasciarli a bagnomaria. Per ora.

- Hai presente il cameriere, Tony? Quello che ti serve da bere e sembra lo faccia per la gloria? Quello che ti guarda come una vecchia stitica, se per caso indossi un piercing o una riga di kajal? Che ti sorride e subito dopo ti sputtana? Lui.

- Che testa di cazzo! – Andrea si stacca da lui e prende a passeggiare in tondo, i capelli arruffati che oscillano sopra delle scapole come una bandiera – Cosa vuoi fare?

- Secondo te? – Gabriele incrocia le braccia sul petto, un sorriso sempre più marcato che gli contrae lo zigomo – Quattro chiacchiere con il suo datore, così che gli faccia un culo quadrato. Per cominciare. Se poi Thompson vuole sporgere denuncia, io sono qui e di certo non mi tiro indietro.

Vietato fare il nome di Basile, mente ispiratrice di solenni carognate e strimpellacazzi a tempo perso. Almeno, fino a domani mattina, fino a che la trappola non scatta.

- Uhm… – Andrea annuisce, non troppo convinto – Tu sei peggio di me: non sai tenere la bocca chiusa, sempre lì a rimestare nel fango. Prova a dirmi un’altra volta “oh, ma tu Riccardi devi lasciarlo perdere, non vale la pena” … E mi ricorderò di riderti in faccia. Vuoi fare l’eroe, stavolta?

Non sai quanto, dopo che mi sono nascosto per mesi.

- È un po’ diverso, Andre: qualcuno ha oltrepassato il limite, e di tanto. Come l’ha oltrepassato Riccardi con la questione dello spray per l’asma e del gatto.

Andrea stira le braccia davanti a sé, le dita intrecciate.

- Questa è storia – miagola, un ghignetto saputo – Riccardi mi vuole morto perché gli rispondo per le rime e lo ritengo un coglione, perché sono bisessuale e devo bruciare all’inferno. Logico, no? Tony non sopporta il goticone Thompson, quindi... – Andrea si batte una mano sulla fronte, teatrale e vagamente nevrotico – Come ho fatto a non pensarci prima? Ma sì, quasi quasi gli verso un po’ di droga nel bicchiere, sai poi le risate?

- Il principio è questo, più o meno – Gabriele assottiglia le palpebre, concentrandosi su un punto casuale sulla parete bianca – No – conclude, il disgusto che tracima oltre le labbra – Non lo so e non voglio saperlo. Cos’hanno nella testa, se sono dei sadici, se sono annoiati, se non capiscono dov’è che il gioco non è più un gioco, se lo fanno perché sanno di poterlo fare, se devono smaltirsi i traumi infantili della mamma che se la fa col postino. Ho paura, sì, quanto basta. Mi fanno paura – scuote il capo – E questa è legittima difesa, se permetti.

Gabriele sospira. La cosa più indecente fra tutte è il piacere fulminante, quando Galileus si stamperà nella mente la faccia di Ivan Basile che cede alle sue condizioni – lui, così altezzoso da non toccare terra quando cammina. Lui che li disprezza tutti.

La faccia di Neri, di Riccardi, di Alberti, di Andrea nei tempi che furono – l’equazione è la stessa, non importa: la variabile infinitesimale che fa sì che il reuccio sadico di turno si infogni con le sue mani, e allora non resta che dare una spinta al karma. Galileus in fondo si limita ad accelerare processi in atto, strumento di circostanze che lo vogliono presente al momento giusto, testimone scomodo. Galileus porta alla luce ciò che esiste già, la rovina che Fabio Neri, Federico Riccardi, Alessandro Alberti, Andrea Nicoletti o Ivan Basile o chi per loro, si sono già costruiti da soli.

Perché una volta c’eri tu nei panni del perdente, di quello che doveva stare zitto e costretto in un angolo a incassare i pugni nello stomaco: brandire di nuovo, senza pretese, il fottuto coltello dalla parte giusta, è ciò che ti condanna e ti attrae come un magnete. Il piacere di raddrizzare il torto e accanirti sul carnefice trasformato in vittima, di decidere tu se è il caso di colpire di nascosto o di mostrare la faccia. Il potere di far schizzare l’ago della bilancia dove desideri.

Eppure lo sapevi, lei te l’aveva detto: il liquore dolce della vendetta, attento a non abusarne, perché è una droga, un vortice infinito. Ti senti giudice e boia e burattinaio che tira i fili fino a romperli, fino a spezzare il circolo vizioso. Ti senti onnipotente mentre applichi il tuo personale concetto di giustizia, perché puoi farlo e lo farai – non diversamente da Neri che seduce Andrea con il fascino del professore quarantenne intrallazzato, da Basile che ritiene fattibile crocifiggere Alex ogni santo giorno, perché ha attentato alla sua maestà e deve pagarla per il resto dei suoi giorni. Alla fine il cerchio si chiude.

Ma startene con le mani in mano, aspettare che un Tony qualsiasi ripulisca da solo la propria merda, quando non lo farà mai, perché in fondo scherzare sulla pelle di Alex è divertente e lo fa sentire un dio, sarebbe la morte.

E Tony non deve pagare per il piacere perverso di Galileus o di Gabriele, per uccidere simbolicamente il tuo male. Deve solo sparire dai tuoi orizzonti immediati.

- Andre, andiamo a dormire.

Le cinque del mattino e nessuno ha più chiuso occhio. Il tempo di cacciar fuori il cellulare dalla tasca, battere velocemente sui tasti, cercare Anna in rubrica, e poi sei solo per lui. Che sospira e ti chiede di tacere, per una volta.

 

Avevi ragione, Anna. È miele.

   
 
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