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Autore: wellingtonlovers    15/06/2013    0 recensioni
Quello che avevo appena visto – o meglio, sentito – mi aveva colpito come un pugno ben assestato, dritto alla bocca dello stomaco. Mi sentivo come sul ciglio di un burrone con un piede sospeso nel vuoto da mesi e il rischio di precipitare e sfracellarmi sulle rocce ogni secondo. Ma adesso sentivo finalmente che c’era ancora un’ultima, sottile speranza che sarebbe forse riuscita ad impedirmi di precipitare nel vuoto. E quella speranza era, per l’ennesima volta, riposta in una sola persona.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don’t let me go.

Mi ritrovai come catapultato in una realtà che non era la mia.
Perché tutto quello non poteva star capitando davvero a me.
Avrei voluto urlare, piangere fino a disidratarmi, distruggere tutto quello che mi circondava, ma allo stesso tempo non riuscivo a trovare neanche la forza di spostare lo sguardo dallo schermo del pc.
Quello che avevo appena visto – o meglio, sentito – mi aveva colpito come un pugno ben assestato, dritto alla bocca dello stomaco. Mi sentivo come sul ciglio di un burrone con un piede sospeso nel vuoto da mesi e il rischio di precipitare e sfracellarmi sulle rocce ogni secondo. Ma adesso sentivo finalmente che c’era ancora un’ultima, sottile speranza che sarebbe forse riuscita ad impedirmi di precipitare nel vuoto. E quella speranza era, per l’ennesima volta, riposta in una sola persona.
Afferrai il cellulare e composi un numero che sapevo a memoria, che avevo composto tante di quelle altre volte da faticare perfino a quantificarle.
Non mi sorpresi quando sentii gli squilli del numero libero, ma non ottenni risposta. In fondo sapevo che, ovviamente, non mi avrebbe risposto.
Così mi alzai e scivolai fuori di casa, percorrendo una strada che conoscevo a tal punto da poter chiudere gli occhi e visualizzarne nella mente ogni minimo dettaglio. Arrivato a destinazione presi un respiro profondo e suonai il campanello, sperando con ogni briciolo di forza che mi era rimasta che lui fosse una persona migliore di me. Quando il cancello si aprì, mi insultai mentalmente per aver pernsato anche solo per un secondo che avrebbe potuto non aprirmi. Dopotutto lui era molto meglio di me, e di certo non era una novità.
Feci tutte le scale salendo i gradini a due a due, e mi precipitai nel salotto di quella casa meravigliosa senza prendere fiato.
«Pensavo che non ti avrei mai più visto entrare da questa porta.» fu la frase che mi accolse. Harry non era una persona banale, né scontata. Tutt’altro. Non lo era mai stato.
Non gli piaceva parlare, però. Ed era insolito che lo facesse. Si esprimeva in altri modi, questo lo sapevano tutti. Perciò decisi di mettermi sul suo livello di comunicazione, per una volta, nonostante io fossi del tutto a mio agio con le parole.
Tirai fuori l’iPhone dalla tasca della tuta e non dovetti fare altro che riprendere la riproduzione da dove l’avevo interrotta, troppo sconvolto per andare avanti, poco prima.

I promise one day that I’ll bring you back a star,
I caught one and it burned a hole in my hand, oh.
Seems like these days I watch you from afar,
just trying to make you understand
I’ll keep my eyes wide open, yeah.
 
Fissai Harry in quei suoi occhi verdi come smeraldi liquidi, e notai un sorriso freddo estendersi lungo il suo viso.
Notai anche come quel sorriso, nonostante le fossette scavate agli angoli della sua bocca perfetta, non avesse niente di spontaneo. Lasciava gli occhi completamente inespressivi.
«Cosa vuol dire, Harreh?» avrei voluto porgergli la domanda più gentilmente, ma le parole mi sfuggirono letteralmente dalle labbra. Il suo sorriso non fece che raffreddarsi.
«Non avresti dovuto sentirla così. Non era neanche mia intenzione fartela sentire. L’ho scritta molto tempo fa.» notai un bagliore di tristezza velare il suo sguardo, fino a poco prima brillante di sincerità. Stava mentendo. Ero pur sempre la persona che lo conosceva meglio sulla faccia della Terra, come poteva pensare di farmi credere a quella debole bugia così mal celata?
«I’m tired of feeling alone» fu tutto quello che uscì dalle sue labbra, poche parole canticchiate con un’enfasi che mi fece venire la pelle d’oca su ogni centimetro di pelle.
«Perché?» riuscii ad articolare, mordendomi subito il labbro inferiore con quanta più forza potessi, per impedire alle lacrime di inondarmi le guance come stavano minacciando di fare.
Lui si limitò a sospirare, rilassando finalmente il volto in quello che ai miei occhi sembrò un sorriso più sincero. Triste, ma sincero.
«This bed was never made for two.» canticchiò di nuovo, seguendo il corso della canzone che nel frattempo era ricominciata da capo.
Cominciavo a sentire dei deboli tremolii scuotermi il corpo, e capii che se non si fosse sbrigato gli sarei scoppiato a piangere in faccia. Non era decisamente quello che volevo, ma non gli misi ugualmente fretta.
«L’ho scritta quando le cose hanno cominciato ad andare male. A non andare affatto, anzi. La parte romantica di me ha pensato che bastasse una canzone a sistemare tutto, ma non ne ha neanche avuto il tempo. E adesso ho pensato che tanto valesse lasciarla finire su internet. Che chi volesse capire capisse.»
Era esattamente quello che avevo temuto – o sperato. Non saprei dirlo, perché gioia e dolore mi pervasero in egual misura a quelle parole, tanto da lasciarmi nuovamente combattuto fra l’abbandonarmi alle lacrime o il sorridere.
«Non pensavo che, arrivati a questo punto, te ne sarebbe importato qualcosa. Ti ho sottovalutato ancora una volta, Louis. E ti chiedo scusa per questo. Non intendevo farti sentire in dovere di venire qui, in nessun modo. Non ho intenzione di elemosinare niente. Ho scritto una canzone come sfogo, e l’ho resa di dominio pubblico per scelta personale, non di certo per elemosinare il tuo ritorno.» l’apaticità e il peso di quelle parole s’insinuarono dentro di me, e dalle orecchie scesero giù, minacciando ancora una volta di farmi sprofondare nell’oblio.
Rimasi lì impalato, del tutto incapace di proferir parola.
«E se invece m’importasse, mi fosse sempre davvero importato?» tentai, dopo aver ripreso il controllo del mio corpo.
Scrutai il volto del riccio, in cerca di qualsiasi segno, ma la sua espressione non cambiò di un millimetro. Rimase sempre sconvolgentemente perfetta, e triste.
«Non lo so, non ci ho pensato.» la sua assurda sincerità fu disarmante ancora una volta. Non era in grado di mentire, e non ci provava neanche. Al contrario, sfruttava la sua dote per la verità come un’arma in grado di cogliere di sorpresa più di una bugia architettata a dovere. «Perché, t’importa?»
Rimasi spiazzato, letteralmente. Le parole mi morirono in gola. Non sapevo cosa pensare, figuararsi se avevo idea di cosa rispondergli. Alla fine mi arresi al fiume di parole che si riversava nei miei pensieri, facendo attenzione solo a modulare la voce nel modo corretto per impedirle di spezzarsi.
«M’importa, m’importa eccome cazzo. M’importa decisamente più di quanto dovrebbe se non fossi ancora perdutamente innamorato di te. M’importa notevolmente di più di quanto farebbe se tutto quello che ti ho detto fosse vero, più di quanto farebbe se davvero tu fossi stato solo un errore e non ti avessi mai amato più della mia stessa vita, con anima e corpo, in un modo che non credevo neanche possibile fino al giorno in cui ti ho incontrato.» lasciai semplicemente che le parole fluissero fuori dalle mie labbra, esattamente come erano nella mia mente. Tanto Harry sarebbe stato comunque abbastanza abile da accorgersi se gli avessi mentito, o se avessi anche solo omesso qualche pensiero. «M’importa perché ho capito che non è tutto perduto. Ho capito che forse c’è ancora qualche speranza per noi, e sicuramente c’è qualcosa per cui lottare, qualcosa per cui vale la pena di mettere in gioco la mia stessa vita. Mi scuso solo per averci messo così tanto.»
Harry lasciò che lo stupore prendesse il sopravvento sulla sua espressione di falsa tranquillità per un brevissimo istante, che fu comunque sufficiente a me per notarlo.
Gli avevo tolto le parole, riuscivo a vedere nei suoi occhi il combattimento fra la parte di lui che voleva arrendersi e credere alle mie parole, e la parte ricoperta delle cicatrici e delle ferite ancora aperte e sanguinanti che gli avevo procurato in quei mesi di separazione che lo metteva in guardia dal rischiare altro dolore.
Gli avevo fatto più male di quanto chiunque altro avrebbe potuto fargli, mentre la mia unica intenzione era fargli quanto più bene possibile. E mi ci erano voluti mesi per accorgermente. Quanto ero stato stupido.
Fui investito da un’ondata di disgusto per me stesso che mi fece venire la nausea, e mi resi conto da solo di quanto suonassero ridicoli i miei discorsi.
Così «Io non ti merito. Non ti meriterò mai.» conclusi, abbassando lo sguardo. Non riuscivo più a guardarlo in quegli occhi meravigliosi velati dalle lacrime che lui stesso stava tentando di trattenere a sua volta, sapendo di essere io l’unica causa di tutto quel dolore.
«Ti rendi conto di quanto io abbia sofferto? Di quante sedute dallo psicologo abbia dovuto sostenere, per riuscire a farmi una ragione del tuo abbandono? Perché è esattamente così che mi sono sentito. Abbandonato. Solo. La mia vita senza te non valeva quasi più la pena di essere vissuta, ma sono riuscito a rialzarmi, più forte di prima. Ad appigliarmi ai pochi punti fissi rimasti, e a tirarmi su, piano piano. A ricostruirmi una vita, un’esistenza, cercando di accettare che non mi avresti mai più stretto fra le braccia, non mi avresti ma più fatto sentire al mio posto nel mondo, perché il mio unico posto era accanto a te, e non ci sarei più potuto stare.» prese fiato e continuò, con un tono crescente ad ogni sillaba, che trasudava tutto il risentimento, l’angoscia e il dolore che aveva provato per mesi e che provava ancora. «E adesso tu piombi qui, e forse sei anche così presuntuoso da credere che basterà chiedere scusa per dimenticare questi mesi di continua agonia… Ma non è così facile, purtroppo.»
Le lacrime gli impedirono di continuare, e io approfittai del suo silenzio.
«Non ho avuto un solo giorno felice, da quando ti ho escluso dalla mia vita. Non è passato giorno in cui il pentimento per quello che ti avevo fatto, che ci avevo fatto non mi torturasse, e Dio solo sa come ho fatto a resistere. Ma ce l’ho fatta perché speravo, e dentro di me sapevo, che saresti stato abbastanza forte da continuare senza di me al tuo fianco, perché ero disposto a sacrificare la mia intera esistenza pur di fare quello che pensavo meglio per te.»
«Il meglio per me è dove ci sei tu.» sussurrò Harry a denti stretti, attraverso le lacrime «Non potrei stare meglio che al tuo fianco. Non capisco come tu possa aver anche solo pensato il contrario.»
Le sue lacrime sporadiche si trasformarono in una vera e propria crisi di pianto, con tanto di violenti singhiozzi che lo scuotevano da capo a piedi.
Decisi che era ora di dirgli tutta la verità. Erano passati quasi otto mesi, e vederlo ancora in quello stato mi fece prendere la decisione che dirgli tutto sarebbe stata la scelta migliore per entrambi. Almeno avrebbe potuto decidere sapendo tutta la storia, fino in fondo.
«Avevo pensato che ti sarebbe stato tutto più facile, e infatti.» sorrisi debolmente fra le lacrime che intanto cominciavano a sgorgare anche dai miei occhi, guardando la fila di premi appoggiati sulle mensole e appesi alla pareti dell’ingresso. «La musica è la tua vita, non potevo strappartela così, per egoismo. Hai talento, e meriti di essere giudicato per quello che fai, non per la persona che ami, ma purtroppo il mondo è incredibilmente ipocrita e non ne è in grado… Perciò ho pensato di togliermi di mezzo. Ti è stato tutto sicuramente più semplice.»
Soffocai un singhiozzo che minacciava di esplodermi nel petto.
«Finalmente sai tutto. Ora sbattimi fuori di casa, se pensi che starai meglio senza di me. Per me andrà bene. L’importante è che tu sia felice, lo è sempre stato.»
L’espressione sbigottita sul volto di Harry mi tolse il fiato. Capii con un’occhiata che si aspettava tutto fuorché quello che gli avevo appena detto.
«E’ per questo. E’ stato questo il motivo, fin dal primo momento. Eri scontroso perché stavi prendendo questa decisione, e sapevi che in principio avremmo sofferto entrambi. Ma lo facevi nel mio interesse. E Dio solo sa quanto ti ho disprezzato, quanto ho disprezzato il fatto che mi avessi usato. Ho creduto a tutto quello che mi hai detto, ho creduto veramente che fossi stato solo un ragazzo come un altro con cui avevi scopato e ti eri divertito un po’. Mentre invece stavi solo mettendo la mia vita davanti alla tua. Quanto sono stato stupido.»
Mi avvicinai a lui e lo strinsi a me, senza esitare. Non oppose resistenza, e mi sentii scoppiare il cuore di felicità. Mi resi conto in quel momento più che mai che Louis Tomlinson non poteva esistere senza Harry Styles, né viceversa. Tentare di separarci era come tentare privare una persona della propria anima, era contro natura.
«Non ci separeremo mai più. Niente e nessuno mi spingerà a lasciarti andare. Senza di te non sono niente.» Harry mi strinse fra le braccia muscolose e forti, e all’improvviso sentii tutta la sua forza fluire in me e rivitalizzarmi. Era come se mi stesse donando la scintilla vitale, ancora una volta. E la cosa migliore era che stavamo tornando a vivere insieme.
«I’ll keep my eyes wide open, I’ll keep my arms wide open. Don’t let me, don’t let me, don’t let me go ‘cause I’m tired of being alone.» la sua voce dal vivo era milioni di volte meglio di qualunque registrazione, e sentirla di nuovo proprio accanto al mio orecchio minacciò di farmi esplodere di felicità.
« Non ti lascerò andare, lo giuro. Ti amo.» sussurrai, guardandolo dritto negli occhi.
«Anch’io.» rispose di rimando lui, poggiando le labbra dolci e carnose sulle mie.
Ricominciai a piangere a dirotto, perché fui consapevole per la prima volta in otto mesi di quanto mi fosse mancato Harry, ogni singola cellula del suo corpo e ogni minima sfumatura del suo essere, mischiati e legati a me in un modo indissolubile.
Eravamo anime gemelle, e non saremmo potuti esistere l’uno senza l’altro.
Non l’avrei lasciato andare mai più, per niente al mondo.
E adesso anche lui lo sapeva.
 
 
 
My space: sono viva, e sono tornata con una os leggermente (proprio leggermente, eh) ispirata dalla canzone di Harry, “Don’t let me go”.
Mi scuso per essere mancata per una vita, ma da quanto verso aprile mio padre ha pensato bene di formattare la usb dove avevo momentaneamente messo TUTTO quello che avevo scritto, in procinto di spostarlo sull’altro pc riesumato da poco, ho avuto una sorta di blocco. Non ho più trovato niente che mi ispirasse davvero, e tutt’ora ho circa trenta storie con un prompt che mi sembrava buono cominciate e abbandonate a metà cwc Prometto che quest’estate approfittando della pausa scolastica pian piano cercherò di portare a termine quante più storie possibile uu
Tornando a questa os, mi scuso se la troverete poco originale, ma ho semplicemente scritto quello che la canzone mi suggeriva. E’ una canzone d’amore, amore profondo, e una canzone molto triste, che parla della paura di essere lasciati dalla persona che amiamo (how subtle Harry, really) perciò questo è quello che ne è venuto in mente ascoltandola.
Recensite o fatemi comunque sapere cosa ne pensate, sono @ehypotter su Twitter uu
Love u all so much.
A presto (spero)
xx
Tina

  
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