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Autore: Katekat    15/06/2013    1 recensioni
Bellatrix convince Rodolphus a partecipare alla tortura dei Paciock.
Niente di originale, né pretende di esserlo; solo uno spunto per fare un po' di luce sul rapporto tra i coniugi Lestrange.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa storia trae ispirazione da "Unexciting truths and thrilling lies" di Ranessa.

 

 

No way back from here

Dicembre 1981

 

 

 

 

«È per stanotte.»

Rodolphus alza gli occhi dal suo bicchiere di Whisky Incendiario e la fissa senza dire nulla; Bellatrix ha il respiro ansante e lo sguardo spiritato, come ogni volta che premedita un omicidio.

Sono settimane, ormai, che non fa che parlare d’altro – che non riesce a pensare ad altro.

E sono settimane che lui tenta di dissuaderla, ma senza riuscirci.

Oh, no! Non vorrai ricominciare con questa storia, Bellatrix. Per favore…”

Tu non capisci, Rodolphus! Più tempo passa, meno possibilità abbiamo di ritrovarlo! Dobbiamo agire, subito!”

Ogni maledettissimo giorno – da trentasei giorni.

Un’ossessione.

Un tormento che si accinge a rinnovare anche adesso.

«È per stanotte» ripete lei, a voce più alta e sicura, mentre avanza nel cono di luce che le fiamme del caminetto proiettano al centro della stanza. Buchi sono i suoi occhi, inghiottiti dall’oscurità della pupilla abnormemente dilatata.

Folle: è l’unica parola che lui trova per descriverla – in realtà ne ha in mente anche qualcun'altra, e non crede le piacerebbe.

«Il whisky è quasi finito.» Rodolphus abbassa di nuovo lo sguardo sul fondo del bicchiere, portandoselo alla bocca. «Bisogna ricomprarlo.»

Lo spostamento d’aria che accompagna i passi di Bellatrix gli frusta il volto come una ventata gelida. Lei gli piomba addosso come una furia – gli strappa il bicchiere di mano.

«Hai sentito quello che ho detto, Rod?»

«Ho sentito.» La osserva con un sorrisetto, mentre lei svuota il suo bicchiere in un unico sorso. «Cosa vuoi che me ne freghi?»

«Che diavolo stai dicendo, per Salazar?» Lo guarda come se fosse lui, quello impazzito. «E’ la nostra occasione, quella che aspettiamo da settimane. Non possiamo farcela scappare. Dobbiamo farlo. Stanotte!»

«Non dobbiamo fare un bel niente.» La voce di Rodolphus suona perfettamente calma, almeno quanto quella di sua moglie vibra di indignazione.

L’incredulità sul volto di Bellatrix si intorbida rapidamente di collera. Probabilmente, quello che non si aspettava da suo marito è questo: la calma. Rodolphus non è mai stato quel che si dice un tipo compassato.

«Nessuno ci obbliga» continua lui, guardandola negli occhi, cercando di imprimere alla voce un tono rassicurante e convincente. «Non siamo tenuti a cercarlo.»

«Non siamo…?!» Lei annaspa, cercando le parole, gli occhi sbarrati da una rabbia esterrefatta che non cessa di montare – funesto rombo premonitore di una marea. «È il nostro Padrone, Lestrange! Gli abbiamo giurato eterna fedeltà, o l’hai dimenticato? È nostro dovere cercare di ritrovarlo, come puoi pensare di abbandonarlo così? Come sopporti di continuare ad aspettare e non fare nulla?»

L’espressione inorridita e furente con cui sottolinea con veemenza ogni parola è vagamente comica.

Non la prenderebbe troppo bene se Rodolphus si mettesse a ridere in questo momento – la tentazione, da parte dell’uomo, è fortissima.

Conoscendola, probabilmente tirerebbe fuori la bacchetta e lo Crucerebbe sul posto.

E lui potrebbe addirittura permetterglielo, solo per la vuota, perversa soddisfazione di vederla perdere il controllo – il pensiero lo diverte in modo indecente.

Eppure, al contempo, Rodolphus ha una maledetta voglia di mettersi ad urlare fino a lacerarsi i polmoni. Perché c’è una parte di lui che sa benissimo cosa – chi – infonda tanta appassionata ferocia nelle parole di sua moglie, cosa la spinga a intraprendere un’azione disperata per nulla – e preferisce, semplicemente, ignorarlo.

Sei un vigliacco, Rodolphus. Sei un maledetto vigliacco.

Come fai a guardarti ancora allo specchio, poveraccio?

Come fai a vivere ancora con te stesso?

Gli sembra di sentire la voce di lei nella mente e il sangue gli bolle nelle vene, perché se è diventato un vigliacco è proprio per colpa sua. Potrebbe ucciderla, se solo si soffermasse su quel pensiero – perciò lo lascia putrefarsi nel fondo del suo cervello, insieme a tanti altri pensieri soffocati, andati illividendosi nel corso degli anni.

E cosa ne ottiene, poi?

Sentirsi dare del vigliacco. Solo questo. Proprio da lei.

Non senza sforzo, ricaccia ciascuna di queste emozioni dentro di sé, mantenendosi impassibile.

Se c’è una cosa che Rodolphus ha dovuto imparare, durante il suo matrimonio con Bellatrix, è a indossare una maschera – e non parlo di quella da Mangiamorte… non solo di quella.

Da quando è suo marito, ha dovuto imparare a fingere con una facilità che, certe volte, stupisce lui stesso per primo – ma che si accorge di scontare ogni giorno di più.

Ecco perché abbozza un vago sorriso sarcastico, piegando appena le labbra, e non dice nulla; perché se c’è una cosa che fa infuriare sua moglie, ancor più della sua nonchalance, è il suo silenzio: le uniche armi che possiede contro di lei.

Le riavvia una ciocca di capelli dietro l’orecchio – non stanno mai a posto, i capelli di Bellatrix.  

Lei gli allontana la mano con violenza e gli volta le spalle, tremante di rabbia, avvicinandosi al fuoco che scoppietta nel grande camino. I suoi ricci catturano i riflessi rossi delle fiamme in un modo che gli mette sempre i brividi.

Restano in silenzio per un po’– Rodolphus quasi si illude che lei possa desistere.

«Io non aspetterò un giorno di più... Lo farò. Stanotte. Con o senza di te, Rod.»

Rodolphus fissa la sua schiena: gli sembra quasi di sentire sotto le dita i muscoli tesi ed eretti di lei, come ogni volta che si prepara a una battaglia. Felina.

Si versa un altro bicchiere di whisky, notando distrattamente il livello ormai irrisorio che lambisce la bottiglia trasparente. Il tintinnio del vetro è l’unico suono che rompe il silenzio, oltre al crepitio discreto delle fiamme, educate spettatrici dell’ennesimo duello verbale tra queste pareti.

All’improvviso Bellatrix si volta di nuovo verso di lui, stagliandosi netta e affilata, nera e dura, contro la plasticità danzante delle fiamme.

«Da che parte stai, Rod?» sputa tra i denti, con tono aggressivo. «E’ ora che tu prenda una decisione, caro mio. Hai rimandato per troppo tempo.»

Lui le lancia uno sguardo in tralice da sopra l’orlo del bicchiere: Bellatrix tiene il mento sollevato in atteggiamento di sfida, le mascelle serrate; gli occhi, stretti in due linee sottili, mandano lampi.

Rodolphus ingoia un sorso di liquore, prendendo tempo.

Sa che lei non gli toglierà lo sguardo di dosso, inchiodandolo lì dov’è, tagliandogli ogni via di fuga, finché non le avrà dato una risposta.

È questo quello che lei fa, sempre, continuamente: ingabbiarlo, metterlo all’angolo, costringerlo ogni volta a scegliere – e lui odia ciò, lo odia, da quando tutte le sue scelte, senz’alcuna esclusione, gli appaiono spaventosamente, irrimediabilmente sbagliate.

Anche ora lo sta facendo. Gli sta chiedendo – ordinando, minacciando – di prendere una decisione.

Lo forza, lo porta al limite – ed è una cosa che lui detesta, ma non ha scelta: gli occhi fiammeggianti di lei non gli lasciano davvero scelta.

Rimette giù il bicchiere, sbuffando esasperato. «Sai benissimo da che parte sto, Bellatrix.»

«No che non lo so!» Il tono di voce di sua moglie torna ad alzarsi pericolosamente, rasentando l'isteria. «Non ti riconosco più, Rod! Intendi venire meno alla promessa fatta all’Oscuro Signore? Proprio tu, che ti professi così leale, così fedele… Sei solo un traditore e un vigliacco, ecco cosa sei!»

L’ha detto. Non avrebbe dovuto dirlo. Non avrebbe dovuto pronunciare quella parola.

Rodolphus non ci vede più. E al diavolo il self-control! – e poi, quando mai si è professato fedele? Forse che, per essere considerati fedeli, basti portare il Marchio sull’avambraccio sinistro, un mantello nero e una maschera argentata?

L’afferra per un braccio mentre gli passa accanto  – decisa ad andarsene, a piantarlo in asso come un imbecille, come suo solito, ma non stavolta – forse con più forza di quanto sia sua intenzione, perché la sente sussultare e irrigidirsi nella sua stretta, trafiggendolo con uno sguardo tracimante di disprezzo e di rancore.

Si rifiuta di lasciarsi ferire ancora da quello sguardo.

«Non ti permetto di parlarmi in questo modo, Bellatrix. Non ne hai il diritto.»

Le labbra di Bellatrix si piegano in un ghigno che lascia gelidi gli occhi. «In passato mi hai permesso ben altro, Rod... E sai perché? Perché sei un debole. Sei incapace di importi. Sei un…»

Rodolphus l’attira a sé con tale violenza da spezzarle bruscamente le parole sulle labbra.

L’afferra per la testa, stringendogliela tra tutte e due le mani, immobilizzandole il viso a pochi centimetri dal suo. La fissa, sentendosi pieno di odio e di rabbia come mai prima di questo momento – solo lei riesce a ridurlo così: una belva.  

«Ti suggerisco di tenere chiusa quella tua bella bocca, tesoro, o potresti pentirtene. Amaramente.»

Il ghigno non le sparisce dalla faccia: la minaccia di lui è vuota, e lei lo sa. «Mi stai minacciando, Rod? Tu osi minacciare me, Bellatrix Black?»

«Smettetela di tirarvela, voi Black non siete superiori a nessuno. Adesso che il Signore Oscuro è caduto, siamo tutti nella stessa barca... E poi è ora che inizi ad usare il tuo vero cognome, Lestrange

Calca sull’ultima parola a rimarcare il suo possesso su di lei, per pentirsene quasi immediatamente: è sua moglie, ma non è mai stata sua, e lui improvvisamente si sente stupido e ingenuo come un bambino che si ostini a rivendicare un giocattolo che non gli è mai appartenuto.

Ancora una volta, c’è cascato; era precisamente questo che lei si aspettava di sentire.

Ha scalpitato fino a questo momento che lui mettesse un piede in fallo, per Salazar; l’ha atteso al varco, pronta a cogliere, fornitale su un piatto d’argento, l’ennesima riprova della debolezza di Rodolphus, di quanto spasimi per il minimo segno della sua appartenenza a lui.

Rodolphus vede le labbra di Bellatrix schiudersi; un attimo dopo lei gli ride in faccia.

Nei suoi occhi neri e fondi legge il deliberato intento di ferirlo.

Non si aspettavo altro da lei – non per questo fa meno male.

È così labile – inesistente quasi – l’equilibrio tra lui e lei.

Un attimo prima Rodolphus può quasi sperare di uscirne con la dignità intatta; un attimo dopo fa una mossa sbagliata e lei lo atterra senza batter ciglio.

Scacco matto, Rod. Ancora.

Non imparerai mai, vero, tesoro?

Le lascia il braccio, voltandole le spalle per non darle in pasto il suo tormento, di cui è sadicamente ghiotta.

Riesce a leggergli in faccia ogni emozione come su un libro aperto; non riesce a nasconderle niente.

E questa cosa lo fa letteralmente impazzire, perché lei invece non gli ha mai permesso di entrarle veramente dentro.

È sempre stato così impari il loro rapporto, fin dall’inizio.

Ha ragione lei: non ha mai avuto la capacità, né soprattutto la voglia, di imporsi su di lei.  

Ai suoi occhi ciò costituisce una debolezza imperdonabile; non capisce che solo con lei ha rinunciato alla forza – per amore.

Non lo capisce; non ci arriva.

È così dannatamente limitata, Bellatrix.

Lo stimerebbe solo se la trattasse con disprezzo, con violenza, con irrisione, con indifferenza – come fa l’Oscuro.

Solo allora, forse, lei gli mostrerebbe un po’ di rispetto.

Ma lui non vuole averla in questo modo; è una cosa che gli rivolta lo stomaco, da imbecille qual è – quale lei non manca mai di sottolineare.

Se avesse voluto una schiava al posto di una moglie, non avrebbe voluto lei, con così cocciuta, devastante intensità da perderci il sonno – e la ragione.

Qualunque altra donna sarebbe andata bene.

Qualunque altra donna gli avrebbe mostrato un minimo di rispetto – ma non lei.

Sono diventato pazzo insieme a te. Questo mi hai fatto diventare, Bellatrix…

Sei contenta, adesso? Dì, sei contenta?

Rodolphus afferra la mensola di marmo del caminetto per impedirsi di afferrare la  gola di sua moglie. È gelida – o forse sono solo le sue mani ad andare a fuoco.

Mentre fissa le fiamme, sente le braccia di Bellatrix scivolargli intorno al petto, il suo seno aderirgli alla schiena.

Sa come giocare, lei; scaltra e priva di scrupoli, è disposta a tutto pur di averlo dalla sua.

E una parte di lui si chiede, con curiosità, fino a che punto si spingerà… Giocherà tutte le sue carte, fino alla fine? Pur sapendo che conosce le sue reali intenzioni, lo farà lo stesso? Vale davvero così tanto la pena scoprirsi in questo modo, al limite del ridicolo?

, risponde una voce nella sua testa – una voce che è quella di Bellatrix – sì. Per Lui tutto vale la pena

«Allora? Verrai con me, stanotte?» gli sussurra contro la schiena, mentre con le unghie lo accarezza da sopra la camicia. Lenta e crudele. Provocatrice.

Rodolphus si aggrappa disperatamente alla rabbia per impedirsi di cedere al calore di lei.

Cerca di richiamare alla mente tutti gli svariati motivi per cui dovrebbe odiarla – per cui la odia, in effetti – e non gliene viene nessuno.

Patetico, Rodolphus.

«A chi altri l’hai detto?» riesce infine ad articolare, a denti stretti.

«Oh, solo a Crouch. Lo conosci, è così ansioso di fare qualcosa…» Le labbra di Bellatrix vagano ormai in prossimità del suo orecchio. Sente il suo respiro sfiorargli la pelle – esitare, solo per un istante. «E a Rabastan.»

Rodolphus si irrigidisce all’improvviso – come una corda, tesa fino alla spasimo, che si spezza.

Le afferra le mani, scrollandosi bruscamente di dosso il suo abbraccio, e si volta a fissarla negli occhi, in quel suo sguardo che solo per un attimo tradisce lo sconcerto e l’allarme – e l’attimo dopo torna a riempirsi della consueta fredda indifferenza.

«Cosa c’entrava Rabastan, me lo spieghi? Che bisogno c’era di coinvolgere anche lui in questa follia

Ecco, finalmente l’ha chiamata per quello che è. Non le piace il termine, come sospettava.

Bellatrix socchiude gli occhi risentita: sembra una serpe pronta ad attaccare, ma lo sa che non è il momento. Non ancora. Bellatrix non è irragionevolmente impulsiva come tutti sembrano ritenerla – o, almeno, non lo è sempre.

È una strega intelligente e astuta: sa quando agire, come sfruttare tutti i suoi assi, uno per volta, senza lasciarsi dominare dalla frenesia delle emozioni, soprattutto in una circostanza cruciale come questa, dove è necessario giocarsi il tutto per tutto, se non vuol fallire.

Ancora una volta – con quel vago divertimento che, chissà perché, non accenna ad abbandonarlo – Rodolphus osserva attentamente il repentino mutamento di umore sul viso di sua moglie, mentre si sforza di imprimere un cambio di rotta ai suoi pensieri: da assassini, violenti, impulsivi a saggi, razionali, ponderati.

La guarda mitigare l’odio ferale nei suoi occhi in quella che dovrebbe essere tranquilla indifferenza, assumere un’aria vagamente perplessa, come se sentisse il bisogno di giustificarsi, proprio con lui. 

«Veramente è stato tuo fratello ad insistere per saperne di più. Mi ha sentito parlare con Crouch.»

«Come no! Scommetto che stavi parlando con Crouch a voce più alta possibile per essere sicura che non gli sfuggisse neppure il più piccolo particolare!... Non è così, Bellatrix?» La voce di Rodolphus è gelida, ma trema di rabbia: è meno bravo di lei nel mascherarla. 

Lei alza un sopracciglio e lo guarda senza dire nulla. In genere è la tecnica che usa lui per irritarla – deve ammettere che funziona.

«Non ti basta farci ammazzare tutti!» esplode Rodolphus, serrando i pugni, quando lei gli volta le spalle con calcolata sufficienza. «Vuoi proprio che nessun Lestrange rimanga vivo!»

«Oh, se è per quello non preoccuparti.» Lo guarda serafica da sopra la spalla. «Ve n’è rimasto ancora qualcuno in Francia, giusto?»

Spiritosa.

È lui, ora, a doversi fare forza per non cancellarle il sorrisetto dalla faccia a colpi di bacchetta. Le sue dita cercano già sotto la veste, tremanti di collera.

Per Salazar! a volte è così odiosa che la Crucerebbe seduta stante e godrebbe a vederla contorcersi di dolore ai suoi piedi, esattamente come lei farebbe con lui.

A volte Rodolphus pensa che siano molto più simili di quanto sembri – ma questo non contribuisce ad avvicinarli, proprio no.

«Non avevi il diritto di mettere in mezzo anche Rab, accidenti a te!» Lei continua a dargli tranquillamente le spalle, impermeabile a qualsiasi cosa possa dirle. È semplicemente odiosa. «Mi stai ascoltando, donna? Sto parlando con te!»

Finalmente si volta. Lo fissa per un lungo minuto con aria canzonatoria.

Sembra prendersi gioco di lui, del suo respiro ansante a stento trattenuto tra le labbra, dei pugni serrati lungo i fianchi, dei denti digrignati in una smorfia silenziosa, contratta, rigida.

Lei che, al contrario, appare così calma ­– sa essere perfettamente calma e razionale anche nel pieno della sua follia… almeno finchè non ha raggiunto i suoi scopi.

Ah, Rodolphus la conosce. La conosce troppo bene, ormai – ma ancora continua ad illudersi, ogni tanto.

«Hai finito, Lestrange?» Le sue labbra si piegano verso l’alto. «Dimmi di no, ti prego. Mi stavo divertendo immensamente.»

«Se ti diverte rendermi la vita un inferno, moglie, accomodati pure. Ma lascia fuori Rabastan. Lui non c’entra niente. Questa è una cosa unicamente tra me e te. Non c’è bisogno che tu faccia scontare le mie colpe anche a qualcun altro...»

Bellatrix solleva di nuovo un sopracciglio e scoppia a ridere.

«Per Salazar, che discorso ispirato, Rod!» Ride. «Qualcuno, sentendoti, potrebbe pensare che ci sia del vero, in queste tue belle parole…»

Rodolphus si acciglia, cercando di indovinare nel suo sguardo dove voglia andare a parare, ma gli occhi di Bellatrix sono torbidi, oscurati da qualcosa che potrebbe essere rabbia, frustrazione, disperazione, o un misto fra le tre.

«Non so cosa vuoi dire con questo, Bellatrix, e non mi interessa.»

«Ah, no?» Bellatrix contrae le dita intorno al bicchiere e lo guarda con l’odio soddisfatto del cacciatore che sta per mettere a punto un colpo sicuro, perfetto, micidiale.

Fuggi, Rodolphus. Corri a nasconderti prima che sia troppo tardi. Non puoi difenderti da quello che sta per venire.

Ma è già troppo tardi, come ogni volta.

«Perché non ci dai un taglio con la recita del premuroso fratello maggiore, Rod? A te non importa un bel niente di Rabastan, non è un mistero per nessuno.»

La sicurezza inoppugnabile con cui gli sputa addosso queste parole è raggelante, come se lo conoscesse meglio di quanto lui conosca se stesso; come se sapesse cose di cui Rodolphus è all'oscuro, cose che sono state rivelate solo a lei – lei, con i suoi occhi che sembrano vedere oltre, occhi che sanno sempre tutto, occhi che feriscono, quasi quanto le sue parole di ghiaccio e veleno.

«Non è vero» ribatte lui, meccanicamente. «Sei una maledetta bugiarda, Bellatrix.»

Il suono della sua risata gli ferisce i timpani. «Stiamo parlando di me o di te, Rod?»

Lui trasale; osserva di sottecchi l’espressione di pura gioia crudele che le accende da dentro i lineamenti e, chissà perché, sente la propria rabbia sgonfiarsi a poco a poco.

Ecco, succede sempre questo, con Rodolphus: nel momento in cui dovrebbe essere forte la forza lo abbandona, la lucidità gli volta le spalle. Sprofonda nel buio e vi rimane, annaspando.

Bellatrix ride. Continua a ridere.

E’ la sua risata vera, di gola, quella che fa quando è realmente divertita – e una delle cose che più la diverte è, ovviamente, il vederlo in difficoltà; osservarlo dibattersi inutilmente contro la verità asfissiante delle sue spietate parole.

Rodolphus cerca ogni volta di ignorarle, ma non riesce a lasciarsele scivolare addosso come se niente fosse.

Lei sa dove fa più male e ci affonda gli artigli con gusto; non molla la presa, finché non è lui a cedere. 

Poi, invece, c’è la sua risata sarcastica, quella che tira fuori insieme alla vocetta infantile che gli fa andare il sangue alla testa; quella che in genere usa per provocare e deridere.

Rodolphus conosce ogni sfumatura di questa donna, eppure rimane per lui un mistero intangibile, imperscrutabile, un rompicapo senza soluzione; può solo continuare a provare e riprovare, sbatterci la testa fino a impazzire, ma non riuscirà mai a giungere al cuore del suo fosco segreto.

Bellatrix si lascia cadere nel divano davanti al fuoco, riempiendosi nuovamente il bicchiere fino all’orlo e accavalla le gambe, un braccio penzoloni oltre il bracciolo di velluto.

Lo studia con morbosa attenzione, la testa inclinata di lato, come le ha insegnato il suo Padrone – a volte i suoi gesti ricalcano quelli di Lui in un modo così naturale, così stupefacente, da far rabbrividire Rodolphus di raccapriccio; da indurlo a stringere i denti per non urlare, o a chiudere gli occhi dicendosi che si tratta di un incubo.

Le unghie di Bellatrix strisciano sul vetro sottile, accarezzandolo con calcolata lentezza, come il corpo di un amante. Aspetta che sia lui a distogliere lo sguardo per primo – nauseato.   

Quanto vorrebbe sbagliarsi, Rodolphus, in momenti come questo.

Come vorrebbe non sapere, non vedere… non esserci.

Con quanta forza desidererebbe essere lontano, non essere qui.

Non essere Rodolphus.

«Perché continui ancora a raccontare questa storiella a te stesso?» La voce suadente di lei lo strappa, non richiesta, ai suoi pensieri. «Pensavo avessi superato i tuoi sensi di colpa. Evidentemente, mi sbagliavo… Vero, Rod?»

Lui fissa le fiamme che si alzano dai ceppi e decide di ignorarla. Sente i suoi occhi piantati addosso, scintillanti di malizia – quelli è molto difficile ignorarli, ma si sforza.

È sempre tutto uno sforzo, con Bellatrix: lei ha il discutibile talento di rendere difficile, asfissiante, impossibile ogni cosa.

Rodolphus fissa così a lungo e così intensamente il bagliore sanguinante del fuoco da pensare che resterà impresso nelle sue retine per sempre. Lo fissa a occhi socchiusi, appositamente per tagliare fuori lei dal suo campo visivo.

«D’accordo, d’accordo. Ho capito.» La sua voce è ancora più flautata, veleno intinto nel miele. Oscenamente falsa. «Non parliamo di Rabastan, se non vuoi. A quanto pare il fratellino è ancora un tasto dolente, per te.»

Sa come fargli male, lei. Sa come vendicarsi, come punirlo e ridurlo all’impotenza.

Lui la odia. La odia davvero.

Ma è un odio spossato, il suo. In eterna lotta con un amore malato da cui nessuno dei due trae giovamento: si dividono il terreno di battaglia della sua anima, straziano a brandelli la sua carne, rendendolo più debole ogni giorno di più.

Rodolphus sprofonda nella poltrona davanti al caminetto, abbandona la testa contro lo schienale e chiude gli occhi.

Si sente improvvisamente stanchissimo, come se avesse corso una maratona.

Cerca dentro di sé tracce della rabbia che lo ha tenuto vivo fino a questo momento, ma solo ceneri fredde rimangono.

Succede ogni volta che abbassa la guardia, lasciandosi trascinare in una discussione con sua moglie: non solo non ne esce mai vincitore, ma gli prosciuga ogni energia, facendolo sentire, alla fine, debole e svuotato.

Ogni loro discussione è un gioco di potere.

È il modo che ha Bellatrix di metterlo alla prova, di testare la sua forza di volontà. 

Ma quella è andata a farsi benedire nel momento in cui un’emicrania infernale ha iniziato a martellargli nelle tempie. 

Bellatrix lo guarda e sorride.

Sa benissimo quanto gli faccia male. E, forse, lo giudica troppo poco: Rodolphus lo vede nei suoi occhi che vorrebbe fargliene di più – molto di più.

Credevi di poter vincere contro di me, Rodolphus?

Oh, non sono così illuso, Bellatrix.

Non trova altra soluzione che versarsi un altro bicchiere, continuando a ignorarla nella speranza che lei ignori lui – ma non è così fortunato­: lo spasso di Bellatrix non è ancora finito. Questa è solo una tregua.

Rodolphus richiama a sé la bottiglia di whisky dal tavolino accanto al quale è seduta sua moglie – solo per accorgersi che è vuota. Desolatamente, innegabilmente vuota.

«A quanto pare stasera dovrai fare a meno del tuo contentino, Rod…» Sente distintamente l’ilarità vibrare nella voce di lei, che non gli ha tolto gli occhi di dosso, squadrandolo con la consueta intensità che mette a disagio. «Meglio così. Non mi servi a granché, da ubriaco. Anche se devo ammettere che è divertente vederti a pezzi, tesoro.»

Un mostro. Ha sposato un mostro, uscito direttamente dal ventre dell’Inferno a rovinargli la vita. A trascinare anche lui, con lei, nella dannazione.

Compagni nella dissolutezza come nel crimine, lo stesso destino li attende.

Su questo, lui ci metterebbe la mano sul fuoco…

Sa che finirà scottato.

Se vai stanotte, Rodolphus, finirai male.

Lo stesso destino…

Carezza felina di unghie affilate sulla guancia. 

Non l’ha sentita avvicinarsi, ma non ha bisogno di aprire gli occhi per immaginarla, appollaiata sul bracciolo della poltrona, il mento appoggiato a una mano e il gomito affondato sullo schienale.

Lei gli lascia scorrere un dito lungo la mascella, immersa nella contemplazione del suo profilo.

Bellatrix è così: un attimo prima lo fa a pezzi con la sua lingua velenosa; un attimo dopo gli si struscia contro con inequivocabile intenzione. Non c’è incoerenza in tutto questo, anzi… per lei è tutto perfettamente naturale.

Anche questo è ciò che lo ha sempre sorpreso, di sua moglie: è la persona meno artefatta, meno costruita che si possa immaginare. Tutto ciò che fa è spontaneo, è fatto a cuor leggero e con la coscienza a posto.

Perché per lei, semplicemente, non c’è peccato, non c’è vergogna nelle sue azioni, anche quando tremendamente sbagliate. Se mai, qualche volta, provi rammarico o rimorso di qualcosa, è un fantasma che si eclissa subitaneamente sotto il sole: non c’è posto per rammarico o rimorso nella sua coscienza.

«Ahh, Roddie, Roddie...»  Il suo respiro gli vaga sulla guancia, risalendo verso la tempia. Gli passa le dita tra i capelli, continuando a mormorare il suo nome come una cantilena.

Non si contano più le volte in cui l’ha ammonita – minacciata – di non chiamarlo con quel nomignolo: è spregevole che lo usi per deriderlo e sminuirlo e basta.

Non si contano le volte in cui lei lo ha bellamente ignorato.

Alla fine, dopo anni, Rodolphus si è rassegnato.

Per lei è diventata un’abitudine: lo dice meccanicamente, ormai, quasi senza più quello stampo di scherno che era solita mettervi i primi tempi; e per lui quelle due sillabe hanno iniziato ad assumere il sapore malinconico di un’intimità ingannevole, fondata su tutti i presupposti sbagliati e che non lo conduce a nessuna parte, ma a cui si sta affezionando.

Già, potrebbe quasi convincere se stesso che sia per affettuosità che lo chiama così.

Potrebbe – quasi.

A volte sembra proprio così – a volte.

Quando ha bisogno di lui, come adesso. O quando è semplicemente stanca e non ha voglia di affilargli contro le sue armi micidiali.

In quei rari momenti, possono quasi essere solo un uomo e una donna; non nemici mortali. 

«È quasi mezzanotte, Rod. Preparati.»

Rodolphus non ha bisogno di sollevare le palpebre per vedere il fuoco danzare negli occhi di tenebra di sua moglie, accendere di riflessi di sangue la sua pelle di alabastro, rendendola così desiderabile ai suoi occhi, così irresistibile…

Se osasse guardarla così da vicino, quei suoi occhioni di strega potrebbero convincerlo che il male è bene e lo sbagliato non è poi così sbagliato. E lui sarebbe finito.

E’ anche per questo che continua a tenerli chiusi, per proteggersi ancora un po’ dalla sua malia.

Ecco, quando Bellatrix finge di deporre le armi, quando ostenta una parvenza di indifesa docilità, come ora – soprattutto quando il suo tono si abbassa, diventando seta e miele, e le sue palpebre scivolano maliziose e indolenti sul suo sguardo velato di giocosa lussuria, e il suo tocco acquisisce l’intenzionalità provocatoria del desiderio – ecco, Rodolphus non è più in grado di odiarla.

Sono proprio questi i momenti in cui avrebbe maggiormente bisogno di tenerla a distanza, per impedirle di giocare con lui e rivoltarlo come un guanto.

Ma basterebbe che lo guardasse un po’ più spesso con meno odio del solito, che trattenesse parole di fiele e lo ascoltasse, invece di deriderlo e disprezzarlo a priori, basterebbe che fosse diversa perché lui sia diverso.

Basterebbe che lei mutasse impercettibilmente atteggiamento nei suoi confronti, perché lui diventi una persona migliore.

Perché quando lei lo guarda e basta – senza quel sarcasmo e quell’odio che riserva quasi esclusivamente a lui – Rodolphus sente che potrebbe quasi essere l’uomo più buono del mondo, lontano anni luce dal Mangiamorte che si ritrova ad essere.

Ogni tanto pensa che Bellatrix avrebbe potuto salvarlo, salvarli  entrambi.

Avrebbero potuto quasi essere due brave persone, se fosse stata diversa – per lei, lui lo sarebbe.

Ma è il pensiero di un attimo. Ingenuo, ridicolo, patetico… subito scacciato via.

Perchè se una volta poteva ancora concretizzarsi in realtà, ora non più. Ora c’è Lui. E per Rodolphus – per lei, per loro – non c’è più speranza, neppure quella flebile di una volta, quando il nome di Lord Voldemort era ancora una nube lontana, nel cielo dei loro anni spensierati di Hogwarts.

«Non ho intenzione di venire con te, Bellatrix» mormora, da sotto le palpebre abbassate. «Ne ho abbastanza di assecondare la tua follia. Lo vuoi capire che è inutile?»

«Non è inutile. Lui è vivo, lo sento.»

Le dita di Rodolphus si contraggono con uno spasmo sui braccioli della poltrona.

Solleva di scatto le palpebre, gettandole uno sguardo nauseato, una smorfia di rabbia mista a disgusto a contorcergli il viso.

E di nuovo l’ira spadroneggia nel suo cuore, a fatica trattenuta.

«Lo senti? Lo senti?! Ti rendi conto che ne parli come se fosse… come se fosse…» Non riesce nemmeno a pronunciare quella parola.

S’interrompe, cercando di recuperare un minimo di calma, di insufflare buonsenso, insieme all’aria – ma la sua testa è surriscaldata come una fornace: non è in grado di pensare con lucidità.

Scuote il capo, afferrandosi la radice del naso tra pollice e indice e stringendo forte, digrignando i denti, tentando di placare quel pulsare torpido alle tempie che lo fa letteralmente impazzire.

Consapevole dello sguardo di lei su di sé. Trionfante.

«Come se fosse cosa, Rodolphus?»

«Smettila di provocarmi, Bellatrix. Non ti conviene.»

«O cosa? Cosa farai, dimmi…»

Lei lo osserva compiaciuta, con gli occhi socchiusi. Rodolphus vede lo scintillio liquido delle sue pupille, fisse su di lui, ridotte a due linee sottili che gli scavano dentro.

Lei sa che non continuerà il discorso, perché è troppo orgoglioso – troppo arrabbiato, troppo ferito – per poter affrontare l’argomento che fino a questo momento è stato un tabù per loro. Un tabù sotto gli occhi di tutti, guarda un po’; perché Rodolphus può fingere quanto vuole, per il proprio bene, che non stia succedendo niente, ma succede eccome.

«Oh, Roddie, Roddie…» Bellatrix scuote la testa; sembra indovinare i suoi pensieri.

Un sorriso condiscendente sulle labbra, non smette di accarezzarlo, come se stesse tenendo buono un bambino che fa i capricci.

Questo è troppo, per Rodolphus. Con uno scatto di rabbia, la allontana da sé e fa per alzarsi.

Vuole andarsene via di qui, sottrarsi allo sguardo irridente dei suoi occhi bui, al suo gioco perverso e soffocante, ai suoi raggiri e ai suoi ricatti, ai suoi disonesti metodi di tenerlo legato a sé.

Ma lei glielo impedisce: le sue unghie gli affondano nella pelle mentre le sue dita gli premono contro il petto, risospingendolo indietro a sedere.

Rodolphus crolla di nuovo contro lo schienale della poltrona e un attimo dopo lei gli è davanti –  addosso. Tutto il suo campo visivo è invaso dal suo sguardo in fiamme e dalla sua capigliatura selvaggia, prorompente.

«Togliti immediatamente di dosso, Bellatrix.»

«Togliti immediatamente di dosso, Bellatrix» gli fa il verso lei, e scoppia a ridere di gusto. «Davvero, Rodolphus? E’ questo che vuoi?»

Oh, lui vorrebbe. Vorrebbe tanto.

Ma non lo vuole.

La sente scivolare sul suo corpo, farsi pericolosamente vicina.

Rodolphus si agita sulla poltrona, maledicendo se stesso per le situazioni scomode in cui si lascia intrappolare con sempre troppa facilità.

«Stavamo facendo un discorso serio» dice a denti stretti, cercando di continuare a respirare con regolarità, illudendosi di poter riprendere il controllo della situazione – come se lei non gli avesse provato, più e più volte, che è un tentativo inutile.

Più e più volte.

«Anche questa è una cosa seria, Roddie.» La sua voce sinuosa e strascicata si insinua nelle sue orecchie in un sussurro disturbante; le sue dita gli scivolano sotto il colletto della camicia.

Rodolphus, ora, è più consapevole che mai del suo peso caldo e insistente sulle ginocchia.

È leggera, potrebbe scrollarsela di dosso in un niente, ma non ci riesce: lei lo intrappola nelle sue spire, nere come la notte; ecco che comincia a tessergli intorno una ragnatela indissolubile, una trappola da cui non c’è scampo.

In realtà, è lui che non vuole avere scampo, ma non lo ammetterebbe mai: perciò continua a recitare, stancamente, sapendo a priori come si concluderà la farsa.

«Pensi di riuscire a convincermi con così poco, Bellatrix?»

Lei solleva verso di lui uno sguardo fintamente sbalordito, quasi innocente – uno sguardo che gronda divertita, annoiata malizia. «Certo che no, Roddie. Non con così poco. So fare molto di meglio, o te lo sei scordato?»

Come potrei.

«Cosa ti fa credere che con questo otterrai ciò che vuoi? Potrei lasciarmi… sedurre, diciamo così – e mentirti, e non venire con te stanotte. Io non ci perderei nulla… Non ci hai pensato?»

Bellatrix lo scruta intensamente. Le mani saldamente strette intorno alle sue spalle, lo immobilizza contro lo schienale della poltrona per guardarlo dritto negli occhi – bucarlo col suo sguardo acuminato, perché Bellatrix ha questo strano modo di guardare che ti penetra e ti scandaglia…

Sembra riflettere sulle sue parole per qualche istante, incupita e assorta, come a ponderare la validità della minaccia. Alla fine, è il sorriso trionfante di sempre che le curva le labbra.

«Stanotte verrai con me, Rod. Lo so.»

Lui si chiede cosa le dia quella certezza assoluta. Invidia il suo essere – o sembrare – sempre così sicura di tutto. Ha mai nutrito dei dubbi in vita sua, Bellatrix? Ha mai assaporato il gusto aspro dell’indecisione, dell’insicurezza? Non gliel’ha mai chiesto. Non può chiederglielo. Non è che lui e Bellatrix parlino molto, a ben pensarci…

«Ah, sì? Non penso proprio, tesoro. Non ho intenzione di rischiare la vita per il Lord… non più.»

Si aspetta che vada in escandescenze per ciò che ha appena detto. Ogni minimo affronto a Sua Signoria è per lei un’onta gravissima, come se ne andasse del suo stesso onore.

Invece, sorprendendolo, lei non appare minimamente arrabbiata. Anzi, il suo sorriso soddisfatto si accentua, come la stretta delle sue dita – gli lascerà i segni delle unghie, pensa.

«Infatti non lo farai per il Lord.» Rodolphus la guarda perplesso, la fronte aggrottata, chinarsi verso di lui, fino a sfiorargli quasi il volto con il suo. «Lo farai per me, Rod.»

Rodolphus si sottrae alle sue labbra inquisitorie con violenza, urtando anche piuttosto dolorosamente la nuca contro lo schienale. Ma il dolore, quello fisico, è l'ultima cosa che la sua mente recepisca, in questo momento.

La guarda tra lo sbalordito e l’inorridito, punto sul vivo dall’inflessibile determinazione con cui ha scandito quelle ultime parole.

«Tu vuoi ucciderti e io dovrei venire a morire con te? È questo che stai dicendo? Sei impazzita?» Scoppia a ridere – senza divertimento. Senz’alcun divertimento.

«Non ci sono solo io» continua imperterrita lei, per niente toccata dal suo sarcasmo. «C’è anche tuo fratello… una volta ti importava di Rabastan, ricordi? Vuoi lasciarlo solo in un frangente così pericoloso, con il rischio che gli Auror ci becchino? Vedi che allora ho ragione io? Non te ne frega niente di lui! Che razza di fratello maggiore sei? Cosa direbbe tuo padre?»

Affondato. Le sue domande sibilline sono le stesse che si pone Rodolphus, che gli flagellano la mente, senza sosta, come un vento impetuoso che non accenna a cadere.

Rodolphus stringe i denti.

Vorrebbe cancellarle quell’espressione soddisfatta, vorrebbe che la smettesse di entrargli dentro e poi andarsene portandosi via tutto, lasciandolo vuoto e frustrato.

Lei lo spoglia delle sue sicurezze, soffia sui suoi dubbi, nutre l’astio che ha dentro.

Rodolphus non è disposto a cedere così facilmente: per quanto Bellatrix lo abbia colpito al cuore così tante volte, il fatto che lui sia ancora qui – tutto sommato intero, tutto sommato vivo – è un pensiero incoraggiante. Amaro, ma incoraggiante. 

«So a che gioco stai giocando, Bellatrix» sibila, guardandola negli occhi, «e sappi che non ci casco. Cerchi di far leva sui miei sensi di colpa verso mio fratello, adesso, visto che i tuoi tentativi di seduzione sono falliti? Sei caduta parecchio in basso…»

«Chi ti dice che siano falliti?» ribatte pronta lei, ignorando la frecciata. «Non ho neppure iniziato... Ma se proprio ci tieni, possiamo cominciare a fare sul serio

Rodolphus annaspa improvvisamente, colto alla sprovvista dal tocco indelicato – intrusivo – sul suo corpo, che non si mostra affatto restio a collaborare, accidenti...

Bellatrix sogghigna, lenta e languida, guardandolo tra le palpebre dischiuse con quell’aria sorniona da gatta soddisfatta.

«Per Salazar, Rod! Hai un vero e proprio talento nel metterti nelle situazioni più spinose…»

«Ti odio» sbotta all’improvviso Rodolphus. È irritato dal sudore che comincia a velargli la fronte; furente con se stesso e il proprio deprecabile autocontrollo. «Ti odio. Lo sai questo, vero?»

Cerca il suo sguardo, per farle capire quanto profondamente intenda queste parole – per cancellare il minimo dubbio sulla loro veridicità. «Ti odio perché sai farmi male come nessun altro.»

«Non è forse questo lo stesso motivo per cui mi ami?»

Lo conosce meglio di quanto lui conosca se stesso, eh già. È proprio vero.

Rodolphus chiude gli occhi, sopraffatto. Sente il proprio respiro farsi più veloce, erratico.

Stringe così tanto i braccioli da avere le nocche bianche.

«Perché vuoi che venga anch’io, stanotte?» sibila tra i denti, sforzandosi di restare lucido. «Non hai bisogno di me per torturare un Auror e sua moglie. Hai sempre detto che sono così… sostituibile. Perché ci tieni tanto alla mia presenza, allora?»

Bellatrix si ferma – lui riprende a respirare. Lo osserva di nuovo, in silenzio, con quell’espressione falsamente assorta, come se lui le ponesse domande senza senso, o senza importanza.

«Perché non mi va che tu mi dica di no, Rod.»

Rodolphus la guarda completamente attonito, dimentico per un attimo di fingere un'indifferenza che non prova, ma che lo aiuta a conservare almeno una parte del suo onore.

«Tutto qui? Questo è l’unico motivo?... Stai scherzando!»

Lei scrolla le spalle, imperturbabile, con quel ghigno che sembra scolpito sul suo viso e che non lo abbandona quasi mai.

«Nient’affatto! Te l’ho detto, Rod: lo farò anche senza di te. Ma tanto tu verrai con me, stanotte. O mi sbaglio?»

Rodolphus scuote la testa in silenzio, incredulo. Di tante risposte…

Come può aspettarsi che la accontenti, dopo avergli praticamente confessato di considerarlo poco più di uno schiavo al suo personale servizio? Al servizio dei suoi capricci, dei suoi desideri, del suo piacere? Non che non lo sapesse, ma insomma… Come pretende che esegua in silenzio i suoi ordini, accettando di farsi schiacciare da lei, comandare a bacchetta, uccidere anche per il suo malsano attaccamento al Lord?

Non è così masochista.

O forse sì?

Il fatto è questo: non le serve una Maledizione Imperius o un Incantesimo Confundus per averlo ai suoi piedi. Bellatrix sa fin troppo bene quale potere ha su di lui e ne approfitta spudoratamente. E lui la lascia spudoratamente fare; lascia che lei faccia leva sui suoi sensi di colpa – e sul desiderio irrazionale che lo spinge sempre, incessantemente, senza sosta verso di lei – per fargli fare quello che vuole.

Forse ha ragione lei: è un debole. Non ha orgoglio, non ha dignità, non ha volontà quando si tratta di contrastare sua moglie.

Ogni volta si arrabbia, strepita, le urla addosso, ma perde sempre – contro di lei, contro se stesso.

È semplicemente incapace di negarle qualsiasi cosa. E lei lo sa.

Ha capito molto prima di lui che avrebbe ceduto anche stavolta.

Rodolphus conosce il ghigno soddisfatto sulle sue labbra, mentre continua a guardarlo e a tacere.

Sa che lo ha in pugno. Sa che andrà con lei, Barty e Rab, stanotte, a casa dei Paciock… ma non le basta. Vuole sentirlo dalle sue labbra; vuole la resa definitiva – e, in fin dei conti, quali alternative ha? Come può lasciarla andare da sola? Come si sentirebbe, a casa al sicuro davanti al camino, sapendo che lei è lì che rischia la vita, senza di lui?

Come può permetterle di morire, senza di lui?

«D’accordo. Verrò con voi» sussurra piano, senza aprire gli occhi.

Può immaginare il lungo, lento sorriso ghignante che le stira le labbra, il trionfo malevolo che si erge sulla sua capitolazione.

Anche stavolta ha vinto lei; anche stavolta lui l’ha lasciata vincere.

E si odia per questo – e sempre più di quanto odi lei.

Lei è la sua debolezza. Lei è il suo tutto.

Sente la bocca di Bellatrix scendere sulla propria, con la lentezza soddisfatta di chi ha la vittoria in mano. Ora che lui ha firmato la sua condanna a morte, ora che lei lo ha, sconfitto, vuole giocare ancora un po’ con lui.

Per quanto Rodolphus finisca per cederle ogni volta, per Bellatrix non è mai abbastanza, non si accontenta mai. Ogni volta lo vuole più spezzato, più vinto, più abbattuto.

Lei è un mostro – molto più di qualsiasi mostro Rodolphus abbia incontrato da vivo per le strade di questo mondo o nei suoi sogni, farciti di sensi di colpa e macabri premonizioni.

Ma quando lo bacia, è quasi dolce. È tutta labbra e quasi niente denti.

A che gioco stai giocando, tesoro?

Lei sembra percepire chiaramente la diffidenza di Rodolphus, sotto le proprie mani che lambiscono i muscoli irrigiditi del suo corpo. Lui non si fida del suo tocco: per quanto lo brami e ne abbia bisogno come ossigeno, sa che non sarebbe saggio cedere ad esso, lasciarsi andare.

Non riesce a fidarsi di lei.

Perché lei è infida e sadica: con quelle stesse mani con cui lo accarezza, potrebbe dargli la morte. Amministra piacere e dolore con la stessa disinvolta leggerezza – Rodolphus l’ha imparato a sue spese.

«Sei tutto contratto, tesoro. Rilassati.»

Rodolphus può sentire il sorriso nella sua voce, anche se non può vedere la sua faccia.

Le sue dita gli risalgono lungo il collo fino alla nuca, dove si fermano, avvolgendosi intorno a ciocche dei suoi capelli e tirandole leggermente, finché la testa di lui non è reclinata all’indietro, appoggiata contro il bordo dello schienale.

Solo allora Bellatrix lo guarda negli occhi – e lui nei suoi.

«Hai ottenuto quello che volevi, Bellatrix. Ora potresti anche smetterla di fingere, non ti pare?»

Lo sguardo di sua moglie si assottiglia appena. «Lo sai che mi piace giocare, Rod.»

Rodolphus sorride. «E non te ne stancherai mai, giusto? Fino a quando continuerai a giocare?»

Bellatrix sorride a sua volta. «Fin quando ne avrò voglia.»

Torna a congiungere le labbra a quelle di lui, stavolta con più forza.

Rodolphus si sporge leggermente in avanti, la tira a sé, premendo il suo busto contro il proprio, cercando i familiari contorni di quel corpo che si modella contro la sua carne con una naturalezza che ha sempre trovato straordinaria – come se loro due, in fondo, si appartenessero. 

Scaccia dalla mente il pensiero che non sia realmente lui quello che lei desidera.

Non può credere che sia così, non in momenti come questo, non quando è il suo nome che le sfugge dalle labbra – storpiato, canzonatorio, dileggiato, ma è comunque il suo nome.

Le labbra di lui ora sono sul suo collo, sul palpito delle arterie nascoste sotto il pallore della sua pelle, sotto il rilievo carnoso dei muscoli tesi, contratti, nell’ansito irregolare in cui si spezza il suo respiro.

Le sue dita corrono sotto la sua veste, scavandosi un sentiero dissennato tra la stoffa e la pelle; quelle di lei sono già dentro i suoi pantaloni, incredibilmente in fretta, incredibilmente esigenti.

Come incredibile è anche la sete con cui i loro corpi si cercano, si trovano, si incastrano.

Tutto così spaventosamente naturale – sembra quasi giusto.

Sembra quasi cancellare tutte le parole di fiele, e l’odio, e il veleno e la rabbia che si sono scagliati addosso fino a poco tempo prima.

È lei a trovare il ritmo – e lui, come sempre, la lascia fare.

Non gli dispiace, affatto.

Non può proprio lamentarsi di questo: Bellatrix sa sempre cosa Rodolphus voglia, perfettamente.

Perchè è esattamente quello che vuole anche lei.

Lei continua ad andare su e giù e tutto ciò cui Rodolphus riesce a pensare è l’ondeggiare perfetto, sinuoso, che le anche di lei descrivono sotto i palmi delle sue mani, il modo in cui i suoi fianchi si adattano alla concavità delle sue dita, strette intorno ad essi come intorno ad anse d’anfora, rotonde e simmetriche – da perderci il senno.

Lo stesso modo in cui il suo corpo, dentro, si adatta a quello di lui, gli va incontro, lo stimola con la pressione ritmica dei muscoli spasimanti.

Sente il respiro spezzato di lei contro il suo orecchio, l’impalpabile patina di sudore che le rende umide le guance. Bellatrix ha il capo reclinato sopra la sua spalla, la fronte appoggiata allo schienale accanto alla sua testa; la sua guancia sfiora quella di lui, i suoi capelli gli solleticano metà faccia.

Rodolphus solleva una mano a ravviarglieli e affonda nella massa florida sulla sua nuca. Vi avvolge il pugno, stringendo fino a sentire il gemito sfuggirle dalle labbra.

La costringe a portare indietro il capo, scoprendo la gola.

Non si cura di farle male mentre la morde e segna con i denti il suo cammino verso il basso, dove si stacca il rilievo liscio dei suoi seni, costretti nella scollatura, fin troppo castigata per i gusti di sua moglie.

Stacca anche l’altra mano dai suoi fianchi e la porta all’orlo della scollatura, tirando violentemente verso il basso, ma il tessuto aderisce così tanto al suo corpo che è impossibile scollarlo.

Impreca per la frustrazione, a mezza voce.

Bella ride, ansante. «Non ti piace il mio vestito, Lestrange?»

Lui le affonda nuovamente i denti nella pelle, punendola per averlo chiamato per cognome.

«Per niente. Copre troppo.»

«Pensavo ti facesse piacere che non andassi in giro in deshabillé…»

«Infatti. Ma non quando sei con me. Dove ho messo la bacchetta?»

«Non è il momento di pensarci, Lestrange. Non è proprio il momento.»

I suoi denti urtano contro quelli di lui, stavolta, e Rodolphus le apre con violenza la bocca con la propria, assorbendo i suoi gemiti, mentre la sente venire intorno a sé, intrappolandolo nella morsa deliziosa del suo corpo in fiamme.

Bellatrix lo stringe talmente tanto che è solo con immane sforzo che si controlla, costringendosi a durare, e continua a spingere in lei perché possa godersi il suo piacere fino all’ultima goccia.

Le sostiene la schiena inarcata tra le braccia, la sommità ansante dei suoi seni candidi sembra spingere contro il corpetto dell’abito quasi fino a scoppiare.

Lei butta la testa all’indietro, offrendogli la gola ancora una volta e al contempo affondando selvaggiamente le unghie nel suo scalpo – mentre lui affonda selvaggiamente in lei, sentendo avvicinarsi la fine…

«Ehm…»

Bellatrix solleva di scatto la testa, lo sguardo ancora annebbiato attratto dalla soglia del salotto, dove si focalizza. Batte le palpebre e stringe gli occhi – difficile dire se sia più contrariata o divertita dall’interruzione.

Con difficoltà, Rodolphus torce il collo all’indietro, sbirciando l’intruso da sopra l’orlo della poltrona.

Suo fratello è in piedi, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, braccia conserte, e li guarda con la testa inclinata da un lato, vagamente incuriosito – non che sia la prima volta che li sorprende in una situazione del genere, data la sua propensione a comparire nei momenti meno adatti, e senza preavviso.

«Oh. Oh. Chi abbiamo qui? Lestrange-numero-due.» Bella sogghigna, scrutando l’uomo sulla porta come un cane da caccia che punti la preda.

«Vi disturbo?» Appena un velo di dileggio, nella voce di Rabastan.

«Che ci fai qui, Rabastan?» Rodolphus sente un moto di irritazione lottare come una corrente fredda contro il calore pulsante che gli sale dalle viscere.

Tempismo perfetto, non c’è che dire.

«Dovresti chiederlo a tua moglie.» Lo sguardo imperturbabile di Rabastan si sposta lentamente su Bellatrix. «Non ti ha detto cosa ha in mente per stasera?»

«In effetti, stavo proprio finendo di spiegarglielo, Lestrange» ghigna Bellatrix, inarcandosi sotto il suo sguardo.

Rodolphus si volta a guardarla, socchiudendo gli occhi con rabbia. Parla senza toglierle lo sguardo di dosso:

«Aspettami nel salotto, Rabastan, per favore. Due minuti e sono da te».

Sente il lievissimo fruscio delle vesti, mentre Rabastan si stacca dalla soglia e scompare senza fiatare, chiudendosi la porta alle spalle, con il minor rumore possibile.

È sempre stato un tipo silenzioso, suo fratello. Non certo discreto, d’accordo, ma silenzioso, almeno.

Bellatrix abbassa lo sguardo su di lui; lo guarda da sotto le palpebre, un sopracciglio sollevato con sfida. «Due minuti? Pensi di durare così tanto, Lestrange?»

«Chiudi il becco, Black, non ho ancora finito.»

«E allora muoviti. Non abbiamo tutta la notte…»

Rodolphus non se lo fa ripetere due volte.

La afferra per i fianchi e la spinge con forza verso il basso, mentre contemporaneamente solleva i suoi andandole incontro, urtando in lei con foga, strappandole un grido soffocato.

Preme la fronte contro l’incavo della sua spalla e respira sulla sua pelle, sentendo il battito accelerato di lei, da qualche parte nel suo collo, mentre le si libera dentro con ruvida frettolosità.

Il pensiero che ci sia suo fratello nell’altra stanza, a tiro di voce, è scomodo. Non che Rabastan si lasci impressionare dalle schermaglie amorose con sua moglie, anzi… Come poco prima, riesce a far mostra di un’assoluta mancanza di interesse o eccitazione, al pari di una maschera di ghiaccio.

Ma è pura, irrazionale gelosia, quella di Rodolphus: non vuole che ci sia nessun occhio o orecchio estraneo – tantomeno quelli di suo fratello – tra lui e Bellatrix.

Rodolphus resta un attimo immobile, ascoltando il proprio respiro calmarsi lentamente. Bellatrix gli accarezza pigramente, distrattamente, i capelli.

Restano così, immobili, per qualche secondo, fin quando la forza di gravità non lo spinge fuori di lei. Le sposta di lato il bacino e, mentre si rialza, lei si lascia scivolare sulla poltrona al suo posto, raccogliendo le gambe nude sotto di sé, lasciando che la veste le ricopra, nascondendole nei suoi tortuosi anfratti di seta e frescura.

Rodolphus si risistema le vesti, dandole le spalle.

I suoi occhi guizzano un’ultima volta, con vago rimpianto, sulla bottiglia di whisky che brilla vuota, in trasparenza, contro il camino.

Si passa le mani tra i capelli e marcia attraverso la stanza con decisione, cercando di darsi un contegno rispettabile.

Sulla porta, si volta brevemente a lanciarle un’occhiata: Bella è ancora accoccolata sulla poltrona, in una posa raccolta che gli ricorda una bambina, e fissa assorta le fiamme nel camino, senza battere le palpebre.

I suoi occhi sembrano di vetro, incendiati dal riflesso rosso delle fiamme. Nessun muscolo si muove sul suo volto.

La creatura viva e fremente di poco prima si è tramutata in una mente fredda e sanguinaria, che scruta attentamente tutte le possibilità che gli eventi di questa notte dispiegano davanti a loro, cercando di prevedere ogni cosa, di volgere eventuali contrattempi a proprio vantaggio.

È lontana, adesso. Lontana da lui.

Con un sospiro, Rodolphus esce dalla stanza.

Qualche attimo di buio del breve corridoio dove risuonano i suoi passi, smorzati dalla moquette, e poi la luce delle candele dell’ingresso, dove Rabastan lo aspetta, in piedi accanto alla finestra, voltandogli le spalle.

I riflessi della luce nei capelli di suo fratello si spezzano quando volta la testa a guardarlo, inclinando leggermente il collo sopra la spalla.

«Per Salazar, Rodolphus! Ci hai messo davvero due minuti. Sono impressionato…»

Rodolphus ignora il suo sarcasmo con stoicismo invidiabile. Gli fa cenno di seguirlo verso lo studio, dove potranno parlare indisturbati, lontano dalle orecchie tese di Bellatrix.

Di cosa accidenti debbano parlare, poi, Rodolphus non ne ha proprio idea.

Sente i passi di Rabastan, lenti, misurati, battere sul pavimento sulla sua scia, il fruscio dei lembi del mantello che accarezzano le pareti, mentre si muove.

Lo precede nello studio del loro padre. Accende il camino con un tocco di bacchetta e aggira la scrivania, andando a posizionarsi nella poltrona, straordinariamente fredda e scomoda rispetto a quella del soggiorno.

Rabastan si siede senza aspettare che lui glielo chieda – appoggia entrambi gli avambracci sui braccioli, allunga le gambe sotto la sua scrivania, quasi a contatto con i suoi piedi – e lo guarda, con il mento un po’ abbassato che gli sfiora il davanti della veste.

Rodolphus nota che non si è tolto il mantello da viaggio, qua e là è fradicio di neve rappresa.

«Hai freddo?» chiede. Senza attendere veramente una risposta, attizza le fiamme nel camino finchè i ciocchi non iniziano a sfrigolare.

«Mi dispiace di avervi interrotto» dice Rabastan. Rodolphus si china ancor di più sulle braci, lasciando che lui parli alla sua schiena. Sente di nuovo il fruscio delle vesti mentre suo fratello si sposta sulla sedia. «Bellatrix mi aveva dato appuntamento per mezzanotte.»

«Sei stato puntualissimo.» Rodolphus si volta di nuovo verso di lui, appoggiandosi indietro contro lo schienale e incrociando finalmente il suo sguardo. «Come sempre.»

Restano in silenzio per un attimo.

Rabastan si guarda le dita congelate in grembo – si è tolto i guanti e li tiene appallottolati nel pugno. Rodolphus osserva i giochi di luce ed ombra sul suo volto e sente inspiegabilmente crescere il nervosismo e l’ansia ogni minuto di più.

«Sei sicuro di volerlo fare davvero? Sei proprio sicuro?» gli scappa detto, prima di potersi raffrenare.

Rabastan alza gli occhi e lo fissa con vaga sorpresa.

È sempre così misurato, nelle sue espressioni, Rabastan, che gli fa venire voglia di urlare e scuoterlo per le spalle per vedere, accidenti, qualcosa di vivo in fondo ai suoi occhi.

Ma lui invece niente, impassibile.

Eppure, non è sempre stato così.

«C’è qualcos’altro che potremmo fare?» dice, invece di rispondere, Rabastan.

«Potremmo non fare niente» butta lì Rodolphus. «Aspettare e vedere che succede.»

«O andarcene.»

Andarcene.

«Via di qui. Tornare in Francia.»

In Francia... Lasciare per sempre questo posto orrendo.

«Perché tu vuoi andartene di qui, vero, Rodolphus?»

Rodolphus si sposta sulla poltrona, accavalla le gambe, guarda con più attenzione suo fratello.

Lo sguardo di Rabastan lo perfora, scendendo diritto diritto nelle profondità dei suoi pensieri più nascosti, carpendo l’essenza dei suoi desideri più reconditi – che probabilmente rispecchiano i suoi.

«Non nego che sia ciò che desidero di più, in questo momento, sì» si vede costretto ad ammettere, sotto quello sguardo pungente.

Per Salazar, non sai quanto

Rabastan annuisce compunto.

D’un tratto, sul suo viso la stessa espressione immobile di quando, da bambino, restava ad ascoltare in silenzio i rimproveri dei loro genitori per una delle loro bravate.

Chissà perché gli viene in mente proprio adesso, dopo così tanti anni e così tanti eventi.

«Non mi chiedi della mia fedeltà all’Oscuro? Del Marchio? Del mio – nostro – destino di Mangiamorte?» La curiosità balena nella voce di Rodolphus. «Non cerchi di dissuadermi?»

«Perché dovrei?» Rabastan scrolla le spalle. «Piuttosto, mi chiedo cosa ne sarà di tua moglie.»

«All’improvviso ti preoccupi per lei, fratello?» Il tono di Rodolphus è più aggressivo del solito, come ogni volta che qualcuno mette in mezzo Bellatrix. «Commovente, considerato che non l’hai mai potuta sopportare…»

Pienamente ricambiato, bisogna dire.

Rabastan gli lancia un’occhiata rapida, ponderatrice – come a chiedersi quanto lui effettivamente sappia – e si appoggia allo schienale duro, incrociando le braccia sul petto.

Prima che possa aprir bocca, Rodolphus lo anticipa, secco:

«Bellatrix non abbandonerebbe mai questo Paese. Non verrebbe mai via con me, neppure se glielo chiedessi in ginocchio».

«Quindi verrai via senza di lei?»

«No, quindi rimarrò qui. Con lei.»

Rabastan lo guarda fisso, senza dire nulla, e Rodolphus sostiene il suo sguardo senza batter ciglio.

Il riflesso del fuoco sul volto di Rabastan esplode in mille schegge di ombra quando getta la testa all’indietro e scoppia in una risata un po’ rauca, un po’ soffocata.

«Ma certamente... dovevo immaginarlo.» Lo guarda con gli occhi scintillanti di divertimento – o meglio, se Rodolphus non lo conoscesse bene, potrebbe pensare che sia divertimento… ma è suo fratello e a volte hanno i medesimi gesti per esprimere le medesime sensazioni. E questo non è sicuramente divertimento.

«Lei è e sarà sempre la tua prima scelta, non è vero, Rod?» Rabastan annuisce lentamente tra sé e sé, senza staccargli lo sguardo di dosso. «Quanto sono idiota a dimenticarlo ogni volta.»

«Ne dubitavi, fratellino?»

«Oh, no. L’hai reso chiaro molto tempo fa, Rodolphus. Solo lei conta per te; tutto il resto può anche andare a farsi fottere.»

Compreso me, Rodolphus… non l’ha detto, ma lo sente echeggiare netto nell’aria.

Pensavo t’importasse di più di tuo fratello, Rodolphus

«Lo pensi davvero, Rab?»

«Ma per favore, Rodolphus. Non trattarmi come un imbecille.» Rabastan si alza con uno scatto rabbioso dal suo posto e aggira la poltrona in cui siede Rodolphus, avvicinandosi al camino e tendendo le mani, visibilmente intirizzite, verso la fiamma.

Rodolphus sta per chiedergli di togliersi il mantello fradicio, ma lui lo precede: «Quando tutto questo sarà finito, Rodolphus, io me ne andrò. Con o senza di te».

Curioso che abbia pronunciato quasi esattamente le stesse parole di Bellatrix.

Anche suo fratello lo costringe a prendere decisioni di cui, francamente, Rodolphus farebbe volentieri a meno. Meno spesso di quanto faccia sua moglie, è vero, ma la sostanza non cambia: lui è sempre qui, a restare schiacciato tra l’incudine e il martello, tra il dovere e il volere, tra sua moglie e suo fratello, senza sapere chi accontentare, entrambi che pretendono – o fingono di pretendere – così tanto da lui, giusto per lo sfizio di vederlo agonizzare e dibattersi nel loro laccio.

«Sta’ sicuro che non ti fermerò, Rabastan. Hai tutto il diritto di fare come meglio credi; non sei più un bambino, ormai.»

Rodolphus è sicuro che suo fratello stia sorridendo, in questo momento, mentre fissa immobile il fuoco, come ha fatto lui stesso poco fa, mentre Bellatrix lo incalzava con i suoi denti feroci.

«Strano... Fino a poco tempo fa avrei immaginato che avresti cercato di dissuadermi.» Rabastan continua a fissare le fiamme, forse per non incontrare il suo sguardo. «Che mi avresti ricordato i miei doveri di Mangiamorte… Che mi avresti parlato di coraggio e onore.» Si volta improvvisamente a guardarlo, mortalmente serio. «Dove sono finiti il coraggio e l’onore, Rodolphus?»

Già. Dove sono finiti?

È una domanda cui Rodolphus non può rispondere. Il suo cervello è vuoto e rimbomba sordamente alle parole di Rabastan.

«Ci sono molti modi di dimostrare coraggio e onore, Rab.» Si rende conto lui stesso di quanto siano vuote e inutili le sue parole, ma qualcosa deve pur dire.

Si sente la gola secca; se la schiarisce con un colpo di tosse.

«Certo, e desiderare di andarsene, di sparire, quando il tuo Padrone è spacciato, per non fare la sua stessa fine, è proprio quel che si dice coraggio. Quel che si dice onore

Le labbra di Rabastan sono arricciate in un sorriso sarcastico. C’è un’accusa chiara, ora, nel suo sguardo diretto.

«Che ti è successo, Rodolphus? Da quando sei diventato un vigliacco?»

Eccola lì, di nuovo quella parola che odia; Rodolphus sente le tempie battere più velocemente e un nuovo impeto di rabbia assalirlo. Si domina – almeno con Rabastan, riesce a farlo. È più semplice che con Bellatrix.

«Ho appena detto che non me ne andrò di qui. Rimarrò al mio posto.»

«Certo. Ma dentro di te… Dentro di te, Rod…» Rabastan si interrompe, e lo guarda scuotendo il capo. «Io almeno ho il coraggio di ammetterlo. Di essere coerente con i miei pensieri.»

«Mi fa piacere per te, fratellino.» Rodolphus fa un attimo di pausa, gelido. «Anche la visita ai Paciock fa parte della tua definizione di coerenza?»

«Non avremmo mai dovuto prendere il Marchio, Rod. Mai.»

Lo dice all’improvviso, come se ci avesse pensato continuamente, ininterrottamente, da quando ha messo piede qui; come se la diga si fosse infranta e i suoi pensieri più veri, più profondi, fossero erotti all’improvviso dalle sue labbra.

Un silenzio gelido cade tra loro, e quella verità scomoda, appuntita, si incunea imbarazzante tra le loro carni, tra le loro menti, tra le loro parole.

Rodolphus si chiede se faranno finta di non averla mai udita – se sia possibile fingere ciò.

Cerca dentro di sé una risposta qualsiasi, ma riesce solo a continuare a fissare suo fratello negli occhi, incapace di distogliere lo sguardo dal suo, così lucido eppure così disperato, così freddo e così rassegnato, e sente che mai come in questo momento il suo viso, e il suo cuore, sono specchio fedele di quelli di Rabastan. Gemelli, per una volta.

La porta si apre di scatto, facendoli sussultare entrambi.

Gli occhi neri di Bellatrix perlustrano la stanza, saettando tra suo marito, seduto in poltrona con le gambe accavallate, lo schienale ruotato di tre quarti tra la soglia e il camino, e Rabastan, che dà le spalle alle fiamme, a pochi metri da lui.

Rodolphus si chiede quanto abbia udito della conversazione, condotta non proprio in toni bassi.

Ma, guardandola meglio in viso, si accorge che non potrebbe importarle di meno cosa si siano detti lui e suo fratello: il volto di Bellatrix è pervaso di un’eccitazione folle che può significare una sola cosa…

«Crouch è arrivato. È ora di andare.»

Rodolphus sente il battito arrestarsi per un secondo. Stupidamente, automaticamente, annuisce, si alza dal suo posto. Rabastan, alle sue spalle, inspira bruscamente, come se stesse annegando. 

È troppo tardi per tirarsi indietro, Rab, vorrebbe dirgli. Ma non glielo dice.

È solo una di quelle milioni di cose che non gli ha mai detto. 




Fine

  
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