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Autore: smile_92    15/06/2013    1 recensioni
Gli eventi negativi fanno parte della vita di tutti. Nessuno può sapere cosa succederà, o quando. Da questo punto di vista le nostre vite sono tutte uguali. La differenza sta nel modo in cui decidiamo di affrontare le batoste e guardare al futuro. A volte basta un piccolo gesto per far tornare il sorriso sulle labbra di qualcuno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi avevo voglia di scrivere eppure non avevo parole.
Oggi avevo voglia di ridere eppure non avevo allegria.
Oggi avevo voglia di piangere eppure non avevo lacrime.
Oggi avevo voglia di sognare eppure non avevo sogni.

 
 

Oggi il cielo è plumbeo. Le nuvole ricoprono il sole giallo e l’azzurro del cielo, in modo che questo sembri quasi un muro spesso e impenetrabile desideroso di schiacciarti al suolo. Arranco sul marciapiede costeggiato ininterrottamente dalle macchine parcheggiate, l’afa è così pressante che ad ogni semplice passo la mia sudorazione sembra aumentare copiosamente.
La camicia azzurra che indosso sarà sicuramente macchiata dietro la schiena e nella zona ascellare, odio quando il caldo fa sembrare i miei indumenti un opera d’arte moderna: un accozzaglia di macchie delle più svariate forme e dimensioni.
Lynette mi avrebbe di sicuro rimproverato se mi avesse sentito parlare così: «Non devi giudicare ciò che non conosci» me lo avrebbe detto con quel suo sorriso candido nonostante l’età avanzata, con le labbra leggermente tirate e lo sguardo dolce. Sento ancora il tocco della sua mano resa ruvida dalla vecchiaia, ma non per questo meno bella. Ho sempre amato le sue mani, delicate e decise al tempo stesso.
Abbasso lo sguardo ed evito precipitosamente un escremento che giace inerte sul marciapiede. Disgustato proseguo verso la mia meta. L’estate è ormai alle porte e gruppetti di ragazzi di tutte le età arredano la città. Le loro voci creano una disturbante cacofonia, sembra che più il mondo invecchi più i ragazzi diventino rumorosi, come se le due cose fossero strettamente collegate.
Supero un gruppo di ragazzine sedute su una delle panchine al lato della strada, sembrano delle bomboniere, di quelle che brillano nel primo istante in cui le osservi per poi perdere tutto il loro fascino non appena ti soffermi sui dettagli. Lynette ne aveva a bizzeffe sugli scaffali,  si divertiva a spolverarle e ricordare aneddoti e avvenimenti legati ad ognuna di esse. Le maneggiava con cura e precisione sorridendo tra sé e sé mentre i ricordi le riaffioravano in mente. Com’era bella la mia Lynette. 
Arrivo all’incrocio e mi accerto che il semaforo per i pedoni sia verde. Le macchine mi osservano portare pesantemente avanti un piede dopo l’altro, i loro occhi gialli mi seguono lungo tutto il tragitto, senza batter ciglio, senza l’accenno di un movimento.
Il parco si materializza davanti a me. Le foglie verdi non hanno sfumature,  sono tutte identiche.  Non si possono colorare d’oro e non possono brillare grazie ai cristalli piovani. Non c’è pioggia e non c’è sole oggi. Il sentiero verso la panchina più isolata del parco è circondato da sparuti gruppi di fiori color bianco sporco. Il parco è vuoto, o almeno così mi sembra, non ci sono neanche gli insetti. Arrivato a destinazione mi siedo e fisso il panorama di fronte a me. Il verde degli alberi, il grigio del cielo, il marrone del sentiero.
Quanto mi piaceva venire in questo parco con Lynette. Dopo la pensione avevamo tanto tempo libero e venivamo spesso a passare il pomeriggio qui. A volte anche se piovigginava Lynette mi  chiedeva di uscire. Arrivati a questa panchina lei prendeva un fazzolettino di stoffa che portava nella borsa e asciugava un po’ il sedile. Dopo di che si girava, mi sorrideva e ci sedevamo l’uno accanto all’altra, stretti sotto l’ombrello per evitare di bagnarci troppo. Quanto mi manchi Lynette. Perché te ne sei andata senza di me? Perché mi hai lasciato solo?
Mi rendo conto di avere gli occhi chiusi solo quando un leggero filo d’aria mi sfiora il viso. Un suono, uno scampanellio, attira la mia attenzione. È fievole e dolce. Cerco di scorgere la fonte di quel suono aguzzando la vista e guardandomi intorno. Un bambino sta caracollando verso di me con la bocca spalancata in un sorriso, i capelli appiccicati alla fronte e un campanello in mano, artefice del suono che mi aveva incuriosito. Quando il bambino si ferma e chiude la bocca mi rendo conto che è una femminuccia e che potrebbe avere più o meno due anni. La guardo e mi accorgo che ha gli occhi azzurri, chiari come quelli di Lynette. Sarebbe potuta essere nostra nipote se io Lynette avessimo avuto figli.
L’attenzione si sofferma su un punto poco distante da me e la bambina, una ragazza sta correndo trafelata nella mia direzione. Quando si avvicina mi accorgo che ha il viso stanco e i capelli scompigliati.
«Arianne, grazie al cielo sei qui, non devi correre» dice alla bambina non appena è abbastanza vicina per prenderle una mano e cercare di portarla via. La bambina si libera dalla presa e guardando prima la ragazza e poi me dice: «Nonno».
Ho un attimo di esitazione. La ragazza è visibilmente imbarazzata e mi guarda di sottecchi mentre cerca di riprendere la mano della bambina: «Ma no Arianne, cosa dici? Non è il nonno! Mi scusi signore» dice alzando lo sguardo alla fine.
«Nonno nonno nonno» continua a dire la bambina indicandomi.
Sorrido. «Non si preoccupi» dico rivolgendomi alla ragazza. «E così ti ricordo tuo nonno?» dico alla bambina, portando il busto in avanti. Era da tanto che la mia voce non assumeva questa tonalità, mi fa uno strano effetto sentirla.
La ragazza riesce finalmente a prendere la bambina in braccio e mi guarda tristemente.
«Probabilmente si. Mio padre, ovvero il nonno di Arianne, è venuto a mancare 3 mesi fa. La bambina, ovviamente, ancora non riesce a capirlo e… probabilmente lei le ha ricordato il nonno»
«Mi dispiace, non volevo risultare inopportuno»
«Oh no, non si preoccupi. Non è stato inopportuno» dice con un sorriso accennato ma sincero.
Le sorrido tristemente. La bambina gioca con il sonaglio producendo un suono irregolare e bislacco, eppure bellissimo.
«Mi scusi ancora per averla disturbata! Arianne saluta il signore» dice la madre alla piccina guardandola con affetto.
La bambina mi guarda e si butta verso di me costringendo la mamma a fare qualche passo in avanti per non perdere l’equilibrio. Allunga una manina e mi sfiora il viso. Le prendo la mano con la quale mi ha toccato e l’accarezzo dolcemente. «Ciao Arianne» dico sorridendo.
«Arrivederla» mi dice la ragazza mentre si gira e torna verso il punto in cui Arianne è apparsa.
«Arrivederla» le rispondo.
Guardo a terra e mi rendo conto che sto sorridendo spontaneamente. Mi alzo dalla panchina e mi dirigo verso l’uscita del parco. Mentre cammino arrivano alle mie orecchie le voci lontane di bambini che giocano, il cinguettio degli uccellini che saltano da un ramo all’altro degli alberi inseguendosi e lo scroscio di una fontanella poco distante.
Arrivato all’incrocio mi fermo per aspettare che il verde mi dia il via libera per attraversare la strada. Le macchine che mi sfrecciano davanti hanno le più svariate colorazioni e i fari creano delle perfette linee di luce che si mescolano al caleidoscopio del traffico.
Il semaforo mi avverte che è il mio momento di passare. Gruppetti di ragazzi mi sorpassano continuando a parlare allegramente tra di loro, i cellulari disperdono nell’aria suoni diversi e nuovi che si vanno a mescolare alle risate e agli scherzi.
L’afa si è un po’ attenuata con il calare della sera ed anche il cielo ha assunto un tono più scuro rispetto a quello precedente. Arrivo dinanzi al portone di casa e mentre infilo le chiavi nella toppa do un ultimo sguardo al cielo. È rivestito di nubi ma è così vicino che sembra volerti abbracciare avvolgendoti nel grigio scuro delle nuvole.
 

 
 
 
  
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