Mέλλω
-Story of a periphrastic life-
C’era una ragazzina, alla Wammy’s House, che era fissata
col greco antico (non era materia di corso curricolare, ma era inserita tra i
corsi specializzati come meccanica quantistica, ed era propedeutica a corsi quali
medicina e biogenetica di base). Ci aveva parlato una volta, in cortile, o
magari incrociandola in corridoio tra una lezione e l’altra, quando gli
capitava di scambiare qualche parola con quei bambini anonimi di cui adesso non
ricorda nemmeno il volto.
La ragazzina fissata col greco non fa alcuna differenza;
di lei non saprebbe più dire il tono di voce, l'aspetto, né tanto meno come si
facesse chiamare. Si ricorda solo di un vago scambio di battute e del sorriso
strano che si era dipinto, alla fine, sulle labbra di quella bambina.
«Tu sei…?»
«Mello.»
«Oh… capisco.»
La ragazzina l’aveva scrutato a lungo, imbarazzata, prima
di affermare di “capire”; sembrava compatirlo, quasi. La cosa lo irritava.
«Capisci cosa?»
«Mello… è un verbo.
Greco.»
Certo, tutti all’orfanotrofio avevano le loro fissazioni:
la ragazzina era solo un’altra persona ossessionata dalla propria passione e
che non parlava mai d’altro. Niente di nuovo sotto il sole, dunque, ma lui
stava ancora lì a darle corda.
«Uh?»
«È una forma fraseologica,
regge l’infinito. Significa “stare per”.»
Una graduatoria è sempre qualcosa che dà da pensare. Per
esempio, quando si tenta un esame a numero chiuso, il primo fra gli esclusi si
sente puntualmente ingannato: un punto, un misero punto! Se solo le selezioni
fossero state più ampie, se solo avessi potuto fare almeno due punti in più, se
solo fossi riuscito a guadagnare un po’ di considerazione…
Tanti se per un posto in graduatoria che non è quello che
volevamo, forse nemmeno quello che meritiamo. Quando poi il numero chiuso è di
uno, e il primo degli esclusi si vede etichettato come secondo, i se e i forse aumentano vertiginosamente.
Anche se su un posto in graduatoria non c’è niente da
sindacare: una distanza, per quanto piccola, è sempre una distanza. Togliamo
tutti i magari e tutti gli avrei potuto.
Mello probabilmente avrebbe potuto. Forse in realtà no, ma
lui continuava a ripetersi di averne le capacità, il diritto, di essere il vero numero uno e di continuare a tentare,
ancora, perché era quasi arrivato alla vetta. Bastava scalzare dal podio quel
maledetto albino, non era qualcosa di infattibile.
Manca poco, si diceva senza sosta.
Ma un giorno i suoi tentativi erano stati stroncati, brutalmente.
Da Kira, che aveva ucciso l’unica persona che ammirasse e che avrebbe mai
ammirato -o da L stesso, che si era fatto uccidere nonostante tutte le
promesse.
Tempo scaduto, posate le penne, l’esame è finito:
bocciato, Mello, ormai non puoi più riprovare. I risultati non sono mai stati
più chiari, Near primo, tu secondo.
Secondo per un soffio.
Non potendo farci nulla, abbandonò tutto. Avrebbe
dimostrato “a modo suo” di essere il migliore, e niente l’avrebbe fermato. Se
ne andò dall’istituto quella stessa notte, in spalla uno zainetto con solo un
cambio d’abito e una confezione (già cominciata) di barrette di cioccolato,
senza salutare nessuno.
A perfetta dimostrazione che i ragazzi della Wammy’s House
non sono solo dei freak, dei fenomeni
da tenere chiusi a chiave dentro un laboratorio o cos’altro, divenne il braccio
destro del boss delle più grande organizzazione mafiosa al mondo.
Non che non ne fosse in grado, ma non gli interessava
particolarmente essere il capo di quel gruppo di criminali: in fondo lui mirava
a restituire la giustizia ad un mondo corrotto da un falso bene. E a superare
Near, certo, perché era quello l’unico primo posto che volesse; qualsiasi altra
vittoria era tempo sprecato.
E, alla faccia di Near, era stato lui il primo a trovare
il Death Note, lui a farsi aiutare da uno Shinigami, lui a scoprire le false
regole e tutta la messinscena di Kira.
Ma non era mai stato particolarmente fortunato, e la cosa
si era conclusa in maniera inaspettata, con tanto sangue e una grandiosa esplosione.
Proprio nel suo stile.
E mentre agonizzava in una topaia di LA, il viso deturpato
e l’orgoglio ferito, ripensava impotente alla possibilità che aveva tenuto
stretta tra le mani e che avrebbe potuto procurargli la vittoria, la vendetta,
la superiorità incontrastata.
Scomparve dalla circolazione, riprendendo le indagini a
modo suo e comparendo poi nella sede dell’SPK con una pistola puntata contro
Near e mezza dozzina di agenti federali a tenerlo sotto tiro. Dio, quante
storie per un semplice saluto…
Entrambi i ragazzi sapevano che lui non l’avrebbe mai
fatto, che il grilletto non sarebbe mai stato premuto: perché Mello, nonostante
tutto, non bara.
Sparì ancora, per mesi, attaccato alle costole della
giapponese bionda e delle sue guardie. Quasi mandò tutto al diavolo per una
distrazione di quella piaga di Matt, ma niente di che. Una telefonata, dei
biglietti acquistati di corsa ed ecco il Giappone.
Ricomparve poi, dopo l’ennesimo periodo di silenzio,
riuscendo a rapire la portavoce di Kira in persona. Metodi non ortodossi per un fine innegabilmente
ortodosso, come aveva sempre amato fare.
Avrebbe fatto parlare quella donna, recuperato Matt in
quella chiesa a Nagano e fottuto Kira, per poter finalmente ridere in faccia a
Near dall’alto del primo posto.
«È una forma fraseologica,
regge l’infinito. Significa “stare per”.»
Mello non ha mai esitato. Non ha mai lasciato nulla di
intentato o risparmiato qualche sforzo per la Causa, arrivando addirittura a
scegliere di farsi esplodere
piuttosto che dichiarare sconfitta.
Mello non può esitare, perché quando gli altri hanno delle
aspettative osservano ogni tua minima mossa in attesa di quella piccola,
piccolissima svista che possa permettergli di dire, con malcelata cinica
soddisfazione, “io l’avevo detto”.
Ma Mello non potrà vincere con quel nome.
Per quanto si è impegnato, non è mai arrivato alla cima
della classifica.
Ha avuto il Death Note ma non è riuscito a vendicare L.
Si è fatto saltare in aria con un’intera fabbrica,
riportando solamente delle fottute ustioni.
Di tutto quello che ha tentato, nulla è riuscito come
avrebbe voluto.
E mentre adesso, in macchina, Mello ripercorre i suoi
fallimenti, si dice che non fallirà più, perché ormai il test è arrivato
all’ultima domanda, alla prova cruciale. Ucciderà Kira con le sue mani, facendo
vedere a Near cos’è che significa davvero essere il nuovo L, dimostrando a
tutti che c’è ancora speranza, dimostrandolo a tutti quei bambini che aveva
imparato a non considerare minimamente ma dei quali bramava segretamente
l’adorazione, dimostrandolo a Matt e ai ragazzini con cui giocava a calcio e a
quella bambina con cui aveva parlato una volta in corridoio, anche se non
ricorda bene di cosa.
Mihael Keehl
Ma ad un certo punto della corsa la consapevolezza lo
investe. Come un presentimento… o una stretta al cuore.
Tempo scaduto, signor Mello lei è eliminato.
E i suoi fallimenti gli sembrano, d’un tratto, poco degni
di nota.
Quando sei a pochi secondi dalla morte pensi alle cose
davvero importanti, e tutto il resto passa in secondo piano.
Mello sta per morire, ma francamente nemmeno quello gli
interessa.
Almeno stavolta, pensa, concluderà qualcosa.
---
Mioddio che tristezza ._.
Comunque, fanfiction dedicata a me, perché oggi è un anno
che sono attivamente su EFP. Pubblico fanfiction da un anno -che cosa
terrificante pensarci- e tornando a leggere i miei primi, indecorosi tentativi
vedo quanto sono cambiata (in meglio, almeno sul piano stilistico). Non
preoccupatevi, vi risparmio il discorso sul tempo che passa e sull’adolescenza
che è effimera e bla bla bla. Solo… cazzo,
un anno.
Fanfiction dedicata a me,
perché amo il personaggio di Mello. Perché questo suo lato inconcludente -il
fatto che non abbia portato a termine nulla, alla fine, di quello che voleva
fare- lo sento molto vicino. E perché la bambina pedante che ama il greco sono
io XD
Will