Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: andromedashepard    16/06/2013    4 recensioni
Andromeda Shepard aveva pensato a lungo a cosa sarebbe successo dopo la Missione Suicida. Sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato il tribunale militare dell'Alleanza, dove avrebbe dovuto rispondere della distruzione della colonia Batarian di Arathot, ma era intenzionata a ritagliarsi una piccola fetta di libertà prima di consegnarsi spontaneamente. Aveva pianificato tutto nei dettagli per quella piccola vacanza, finalmente avrebbe passato un pò di tempo da sola con Thane prima del verdetto, ma un'improvvisa sparizione complica le cose...
[IN REVISIONE]
#Dopo Mass Effect 2 #FemShep/Thane
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 Sweet Sacrifice

“Fear is only in our minds,
Taking over all the time.
Fear is only in our minds
but it's taking over all the time.”

[x]

 
16 Giugno 2185
Waddington – Lincolnshire, Gran Bretagna


 
Shepard era seduta sulla poltrona imbottita della sua stanza da letto, di fronte alla finestra. I piedi appoggiati su un rudimentale calorifero, in disuso ormai da chissà quanti anni, le mani in grembo. Osservava il temporale che si era appena scatenato fuori e si sentiva capita. Quel temporale aveva lo stesso suono della sua anima, squarciata in due da un fascio d’elettricità, schiacciata dal peso di un tuono lontano. Nel giro di ventiquattrore la temperatura era scesa drasticamente e quel briciolo di serenità e speranza che aveva provato di fronte alle onde del mare il giorno prima, adesso era svanito del tutto. Non aveva più ricevuto notizie da Liara e questo la preoccupava. Ma c’era una cosa che le faceva ancora più male al momento, qualcosa che non riusciva ad accettare, qualcosa che la manteneva sempre tesa come le corde di un violino: l’impossibilità di agire. Era grata per ciò che era riuscita ad ottenere dall’Alleanza, ma le prudevano lo stesso le mani. Forse avrebbe davvero preferito trovarsi reclusa in una prigione militare, così da poter continuare a ripetere a se stessa che non c’era davvero nulla che potesse fare. Ma in quella situazione di finta libertà sentiva di non stare facendo neanche l’1% del possibile.
 Aveva provato un pizzico di gioia quando Anderson, guardandola dritto negli occhi, le aveva detto: “Sono riuscito a strappare il permesso di mandarti agli arresti domiciliari lontano da qui”. A quel tempo, la speranza che Thane si facesse vivo era ancora forte, dal momento che erano passati appena cinque giorni dal loro mancato appuntamento su Bekenstein. La frase, pronunciata dal suo Capitano, l’aveva fatta fantasticare su come avrebbe potuto spendere i mesi di congedo forzato insieme a Thane, godendosi ogni momento della loro relazione, in un contesto così diverso da quello in cui si erano conosciuti. Poi, giorno dopo giorno, quella speranza si era fatta sempre più flebile, finchè si era trasformata completamente in una tremenda paura.
Un altro fulmine divise il cielo a metà, illuminando la stanza buia di una luce argentea, solo per un istante. Le sue cicatrici brillarono nell’oscurità e lei rabbrividì, chiedendosi se ci fosse un modo di raggiungere Omega, se ci fosse una possibilità concreta di poter essere d’aiuto. Sarebbe stato un gesto folle, ma se solo avesse avuto la certezza che ne sarebbe valsa la pena, sarebbe partita immediatamente, infischiandosene delle conseguenze. Purtroppo, però, non c’era modo di organizzare una fuga in così poco tempo. La sua abitazione era tenuta costantemente sotto controllo e, benchè sapesse che l’Alleanza chiudeva un occhio quando lei decideva di allontanarsi per un paio d’ore, era altrettanto consapevole che non l’avrebbero fatta arrivare neanche allo spazioporto più vicino, una volta comprese le sue intenzioni. Per non parlare di James… quel sant’uomo ci avrebbe rimesso la carriera e lei non se la sentiva di fargli un torto così grande. Ma solo perché si fidava di Liara e sapeva che la sua presenza, su Omega, sarebbe servita poco e niente.
Dovette, ancora una volta, affidarsi all’attesa e alla speranza.
L’attesa… era arrivata a odiare quella parola. Si sentiva sempre come la prima invitata che arriva alle feste e inizia a torcersi le mani in attesa degli altri invitati, spiluccando aperitivi di nascosto. Si era sentita così, quando di fronte al Consiglio aveva cercato di spiegare la colpevolezza di Saren, quando aveva tentato di spiegare cos’avesse visto in quella sonda su Eden Prime e cos’erano i Razziatori. Nessuno le aveva creduto e lei, pazientemente, si era buttata alla ricerca di prove, una missione dopo l’altra. Una lunga attesa e poi finalmente aveva ricevuto un briciolo di riconoscimento, salvo poi essere stata accusata della morte di tutti i membri del Consiglio. Si era sentita così quando, di fronte al tribunale dell’Alleanza, qualche settimana prima, aveva atteso il verdetto. Si sentiva così prima di ogni missione, impaziente di arrivare fino alla fine, impaziente di porre fine alla vita dell’ultimo nemico. E mentre c’erano momenti che voleva passassero in un battito di ciglia, altri avrebbe voluto che non finissero mai.
Thane. Lui le aveva regalato istanti lontani da ogni tempo e da ogni dimensione, momenti che adesso attraversavano la sua mente sotto forma di ricordi sbiaditi, procurandole sensazioni diverse e contrastanti. Una sola domanda aleggiava nell’aria: “lo rivedrò ancora?”. Shepard si asciugò una lacrima e attese la fine del temporale, pazientemente… ancora una volta.


 
 
16 Giugno 2185
Omega - Sistema Sahrabarik



 
Feron e Liara lasciarono l’appartamento di Thane e raggiunsero l’astroauto, facendo il punto della situazione. Non erano equipaggiati per far fronte a un grosso numero di mercenari, ma se Thane li aveva davvero preceduti, allora con l’aiuto di Nikki avrebbero avuto buone possibilità di farcela. Quando Feron mise in moto, Liara fu travolta dall’ansia, certa del fatto che anche Shepard stesse condividendo le stesse emozioni, a parsec di distanza. Fu tentata dal mettersi in comunicazione con lei, ma non avrebbe potuto rischiare così tanto adesso, e poi cos’avrebbe potuto dirle? “Thane si è cacciato nei guai per proteggerti”. No, l’avrebbe soltanto fatta preoccupare di più. Strinse le mani in pugno, giocando con l’energia biotica, un semplice esercizio per cercare di scaricare i nervi, mentre Feron guidava concentrato, i muscoli tesi e lo sguardo fisso davanti a sé.
“Sappiamo entrambi di cosa è capace quel Krios”, disse, tentando di rassicurarla.
“Ma non sappiamo cosa ci troveremo davanti. Non conosciamo bene il nemico, non conosciamo i suoi punti deboli”.
“Lo scopriremo presto, e agiremo di conseguenza”.
Liara sospirò, rivolgendogli uno sguardo preoccupato e lui si volse brevemente a sorriderle, mentre superava un'altra vettura a tutta velocità, solcando i cieli pesanti di Omega.
“Non pensavo che la nostra avventura sarebbe finita tanto presto”, disse poi, malinconico.
“Non dire così…”
“Ma è questo quello che succederà, no? Li faremo secchi, uno ad uno… tu li scaraventerai in aria con i tuoi poteri biotici e io li toglierò di mezzo col mio fucile, a cazzotti se necessario. Poi, dopo aver imbrattato per bene le pareti, ed esserci assicurati che Krios sia sano e salvo, tu tornerai da Shepard e io…”
“Feron, ti prego”, Liara lo interruppe, curvando le sopracciglia in un’espressione triste.
“E pensare che avremmo dovuto condividere un letto matrimoniale… signora T’Sana”, rispose il Drell, convogliando immediatamente la conversazione su un binario diverso. Un modo di reagire che Liara conosceva bene, per cui lo adorava e lo odiava insieme.
“Non resterai da solo, Feron”, gli disse lei, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Solo? Nah, ho una vita sociale piuttosto attiva qui su Omega. Non lo diresti, ma ho uno stuolo di corteggiatrici fuori dal mio appartamento… metà delle quali sono avvenenti femmine Batarian di mezz’età”.
Liara sorrise e scosse il capo con rassegnazione.
“Ti riesce così difficile parlare dei tuoi veri sentimenti?”, lo provocò.
“Per niente. Ma c’è una grande differenza tra il non riuscire a parlarne e il non voler parlarne”.
“Allora perché non lo fai? Sembri sempre sul punto di dire qualcosa, e poi tiri fuori una delle tue solite battutacce per toglierti dall’impiccio”.
“Pensi che dirti che sono terribilmente innamorato di una bellissima Asari con una passione per le missioni impossibili possa aiutarti in qualche modo, o aiutare me?”. Il tono di voce di Feron cambiò, e lui strinse la presa delle mani sul volante. Liara arrossì, incredula di fronte a quella confessione tanto inaspettata.
“Io non… Feron, non…”
“Non dire nulla. Vedi, è per questo che di solito tengo le cose per me”, sorrise lui.
“Accosta”.
“Ma siamo quasi arrivati”.
“Accosta, ti ho detto”.
Feron ubbidì, sentendo lo stomaco in subbuglio. Probabile che l’avrebbe colpito con un globo biotico, per averla messa in quella situazione. Invece, una volta che l’astroauto si fermò accanto a una banchina sopraelevata, lei gli si avvicinò e lo abbracciò forte. Lui ci mise un paio di secondi a realizzare cosa stesse succedendo, poi strinse timidamente le sue braccia intorno a lei, e poggiò una mano alla base del suo cranio, accarezzando lentamente le creste cartilaginee del suo scalpo. Liara, centonove anni sulle spalle, e il cuore che batteva forte come quello di una ragazzina alla prima cotta, si allontanò appena, decisa a perdersi nei suoi profondi occhi neri, un attimo prima di poggiare le labbra su quelle di lui, e Feron, incredulo, non poté fare altro che chiudere quegli occhi e perdersi in quel bacio inaspettato. Aveva sperato così tanto in quel momento che quasi faceva fatica a credere che stesse succedendo davvero. Un solo istante, un breve contatto, e il mondo fuori era scomparso, c’erano solo loro, in quel piccolo abitacolo, a dirsi finalmente cose che a parole non sarebbero riusciti ad esprimere. Prima che potesse diventare troppo difficile, Liara si allontanò, tornando a sedersi sul sedile a fianco mentre sorrideva imbarazzata. Controllò il factotum, ignorato fino a quel momento. Era solo Nikki che li informava di essersi appena messo in viaggio. Lei rispose brevemente, scrivendo che sarebbero arrivati di lì a poco, poi tornò a concentrarsi su Feron, che la osservava come se la stesse guardando per la prima volta, incapace di fermare il sorriso che si era formato spontaneamente sulle sue labbra.
Gli prese una mano, lei, stringendola delicatamente con le sue dita. Due colori diversi si sovrapposero, mescolandosi in quell’istante, mentre le loro labbra si sfioravano di nuovo.
“Perché non me l’hai mai detto?”, gli domandò Liara dolcemente, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Avevi troppe cose a cui pensare e non volevo essere un peso”.
“Non saresti stato un peso”. Liara si scostò, chinando il capo, pensando a quante cose sarebbero andate diversamente, se solo anche lei fosse stata sincera con se stessa, quando erano ancora in tempo.
“E poi, meriti di meglio”, continuò lui, accarezzandole una guancia, costringendola a guardarlo negli occhi.
“Odio questa frase”, fece lei, imbronciandosi.
“Ma è la verità”.
“Sono solo sciocchezze, Feron. Se è un altro modo per tirarti indietro…”
“Niente del genere”, la zittì lui, prendendo il suo viso tra le mani. “Sono tuo, se mi vuoi”.
La risposta di Liara fu un altro bacio, lunghissimo, in cui si ritrovarono a perdere la concezione del tempo, dimenticando persino di respirare. Qualunque cosa fosse esploso fra di loro in quell’istante, si manifestò in modo quasi violento, rendendoli consapevoli del fatto che quel qualcosa, fra loro, c’era sempre stato. Strano doversene accorgersene proprio allora, prima di lanciarsi in un’altra missione impossibile. A due centimetri l’uno dall’altra, si sorrisero dolcemente, concedendosi un ultimo istante prima di tornare a concentrarsi sulla realtà.
Feron mise di nuovo in moto e iniziò a guidare, mentre Liara non smetteva di sorridere, appoggiata al finestrino. Non aveva pianificato nulla di tutto ciò, sempre troppo occupata a preoccuparsi di mille cose diverse. Prima erano stati i Prothean, poi i Razziatori, sulla prima Normandy, poi l’Ombra e adesso Thane e i presunti assassini di Shepard. Eppure, l’ansia sembrava svanita, sostituita da un sentimento simile alla speranza, e lei era intenzionata a restituire a Shepard quello che il destino le aveva sottratto, convinta più che mai che l’amore fosse la cosa di cui avesse più bisogno, sentimento che adesso sentiva di condividere in pieno.

 

 16 Giugno 2185
Raffineria Karlak, Omega - Sistema Sahrabarik

 
 
Il Viper era saldamente poggiato sulla balaustra, con la canna ad alta velocità puntata sull’ingresso principale della struttura, l’unico che Thane non avesse precedentemente sigillato. Erano passate alcune ore da quando aveva fatto il suo ingresso nella fabbrica, e adesso aspettava pazientemente che i mercenari facessero irruzione da un momento all’altro. Non aveva lasciato la sua posizione neanche per un istante, evitando persino di sbattere le palpebre quando non fosse stato strettamente necessario. A fianco una scorta di provviste, e una serie di cariche esplosive piazzate tutt’intorno.
Le sue preghiere, in quell’occasione, non furono rivolte ad Amonkira. Tutti i suoi desideri furono affidati ad Arashu, affinchè vegliasse su Shepard e su Kolyat se lui non ce l’avesse fatta. Solo quello avrebbe potuto dargli conforto, il pensiero che un’entità eterea e onnipotente si sarebbe presa cura di loro nel momento del bisogno, e in ciò lui credeva profondamente. Le mani si strinsero sul corpo del fucile, all’idea che avrebbe potuto non rivederli mai più, all’idea che sarebbe potuto scomparire senza lasciare tracce, senza una spiegazione. Ma era un rischio che, lo sapeva bene, doveva correre. Eppure, in quei momenti, non riusciva a frenare il profondo senso di colpa che gli attanagliava l’anima. Aveva promesso a suo figlio che non l’avrebbe più lasciato, che adesso, dopo Omega 4, avrebbero potuto tornare ad essere una famiglia. Aveva salutato Shepard con la certezza di rincontrarla a breve, per recuperare tutto il tempo perduto nel migliore dei modi. Si era convinto che avrebbe vissuto gli ultimi giorni della sua vita circondato dagli affetti e non più solo, come si era ormai rassegnato a credere da lungo tempo. E invece era stato inghiottito dalle ombre ancora una volta.
Non era passato un solo giorno in cui non avesse cercato di immaginare Shepard, chiedendosi dove fosse, interrogandosi sull’esito del suo processo, non era passato un solo giorno in cui non avesse provato una tremenda fitta di dolore al solo pensiero che anche lei potesse sentirsi tradita e abbandonata. Era già successo, con Irikah, ed era stato devastante. Ogni giorno aveva pregato che lei potesse perdonarlo, che suo figlio potesse perdonarlo… si sentiva ormai stanco, impotente, scoraggiato, e l’incedere della malattia non lo aiutava. Sarebbe stato forse più semplice arrendersi, inviare due distinte lettere d’addio e pregare un’ultima volta che la sua scomparsa sarebbe stata presto dimenticata, ma non avrebbe mai potuto. La vita di Shepard era interamente nelle sue mani, e lui avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla.
 
Non aveva idea di quante ore fossero passate quando finalmente captò i primi rumori sospetti al di là dell’ingresso principale. Indossò velocemente la maschera e si concentrò unicamente sul mirino del suo fucile. Il grande portellone di metallo si spalancò, lasciando intravedere alcune sagome indistinte. In testa, una figura alta e snella, dotata della migliore armatura in circolazione… non era questo ciò che ci si poteva aspettare da una banda di mercenari. Poi si concentrò sul simbolo riportato sullo spallaccio e trattenne il fiato: Cerberus. Sbatté le palpebre un paio di volte, per accertarsi di non stare immaginando tutto, mentre altre figure continuavano ad avanzare all’interno della raffineria, prendendo posizione così come ordinato loro da quello che sembrava il loro capo. Dopo che Shepard ebbe consegnato la Normandy all’Alleanza, fu piuttosto chiaro che il rapporto che la legava all’Uomo Misterioso fosse concluso, ma la presenza di Cerberus su Omega, in quella raffineria, era tutt’altro che chiara, soprattutto visto che i nomi su quella lunga lista ricevuta a caro prezzo non avevano niente a che fare con un’organizzazione terrorista pro-umani.  Thane restò in silenzio, osservando attentamente ogni movimento, formulando mentalmente la strategia migliore che avrebbe potuto adottare. Ne contò una ventina, tutti dotati di armature all’avanguardia e armi a lungo e corto raggio. Alcuni, apparentemente sprovvisti, dovevano essere biotici addestrati al pari di un ricognitore o un adepto di rango N7. Avrebbe eliminato prima i cecchini, poi i biotici, infine si sarebbe concentrato sui soldati. Strinse la presa sul Viper, mentre il cuore accelerava i battiti. Tutto il resto era scomparso, lasciando spazio unicamente all’assassino.
 
Una voce, femminile, acuta e distinta, lo fermò dal premere il grilletto. Le dita allentarono la presa, tutti gli altri sensi lasciarono spazio all’udito.
“Krios, sono qui per un accordo”, sentenziò. Thane riuscì a individuarla dal mirino, era la prima figura ad aver fatto il suo ingresso. 78 metri, con un paio di colpi avrebbe potuto farla fuori senza problemi, mirando al visore del casco.
“Prima però, vorrei informarti che i miei cecchini migliori sono appostati fuori dall’edificio, per cui non ti consiglio di svignartela, se non vuoi lasciarci la pelle”.
Questo l’aveva immaginato, era palese che avessero un piano B. Respirò piano, resistendo all’impulso di tossire, benchè i suoi polmoni reclamassero più ossigeno.
“Mi servi vivo, Krios. Arrenditi e ti farò solo un paio di domande, in caso contrario, beh… come puoi vedere ho un’intera squadra pronta a farti fuori e tu non vuoi morire, giusto? Non ancora, almeno…”
Thane serrò le mascelle. Un assassino non contratta, un assassino non se ne fa nulla della diplomazia. Se Cerberus era lì per lui, allora doveva essere anche sulle tracce di Shepard, e nessuno gli avrebbe impedito di battersi anche contro quel nemico. Strinse la presa sul grilletto, mirando al primo cecchino. Quello lo individuò e fece un gesto con la mano in direzione della donna che parlava.
“Così non mi rendi le cose facili”, disse, facendo schioccare la lingua. “Come potrai certamente immaginare, Cerberus ha infiltrati dappertutto. Anche nelle file dello C-Sec. Sorpreso?”. Fece due passi in avanti. 76,5 metri, diceva il mirino. “Si dia il caso che una delle mie spie in questo momento si trovi a sorvegliare tuo figlio. Basta un mio ordine e dovrai dire addio al tuo unico erede. Saresti disposto a sacrificarlo?”
Thane deglutì. Fra le tante cose che poteva aspettarsi, una minaccia del genere non l’aveva considerata. Un assassino non contratta, ma un padre…
“Abbassa le armi e vieni allo scoperto. Solo un paio di domande, poi potrai andare a passare gli ultimi mesi della tua patetica vita in santa pace…”
E se fosse stata semplicemente una trappola? Probabile, ma non avrebbe rischiato tanto. Non avrebbe mai potuto. Abbassò il capo, lasciando la presa sul fucile, e venne allo scoperto, le mani aperte di fronte a sé. Dietro di lui, una minuscola porta precedentemente sigillata si spalancò, e due uomini lo presero, tirandolo dentro. Avrebbe potuto ucciderli facilmente, ma lottò contro l’istinto primordiale di difendersi, solo perché in gioco c’era ben altro che la sua unica vita. Gli fu strappata la maschera a forza, sostituita da un rozzo cappuccio, e fu spinto a sedere su uno sgabello di ferro. Una scarica d’elettricità mise KO i suoi amplificatori biotici mentre lo ammanettavano a braccia e gambe con due dispositivi elettronici. C’era silenzio, un pungente odore di petrolio e metallo, faceva caldo. Passarono attimi interminabili, finchè non sentì di nuovo la voce della donna, seguito dal fruscio sinistro di una lama.
“Ora… non è mia intenzione sporcarmi del sangue di un innocente, ma voglio che sia chiara una cosa… tu rispondi, e andrà tutto bene. Non rispondi, e la prima testa a cadere sarà quella di tuo figlio”, disse, sfiorandogli il torace scoperto con la punta della katana.
“Cosa vuoi?”, si costrinse a chiedere lui con fermezza.
“Dovresti immaginarlo ormai”.
Sì sapeva perfettamente cosa cercassero, nonostante sperasse con tutto se stesso che non fosse così.
“Dimmi dov’è, Krios”, incalzò la donna, facendo roteare l’arma. I due soldati dietro di lei osservavano la scena, immobili come automi.
“Non lo so”, fu la sua prima risposta.
“Ma certo… potevo forse aspettarmi dell’altro?”, rise quella, puntandogli la lama contro il petto. “Parla, e in fretta”, disse, facendola penetrare lentamente fra le sue squame.
Thane fece per allontanarsi con una smorfia di dolore, con l’unico risultato che finì per sbilanciarsi sullo sgabello, tirato subito in avanti con violenza dalla donna.
“Io non lo so…”
La katana penetrò in profondità, un rivolo di sangue rosso scuro andò ad insinuarsi nella trama della sua pelle. Il dolore fisico era sopportabile, diversamente all’angoscia e alla rabbia.
“C’è in gioco la vita di tuo figlio… Davvero non t’interessa?”, domandò la donna, pulendo la punta della lama sulla sua giacca. “Beh, forse non dovrei meravigliarmi, visti i tuoi precedenti. Un figlio abbandonato, una moglie lasciata a morire per ripagare le tue colpe…”
Thane chiuse gli occhi, cercando di ripetere a se stesso che quelle parole erano semplicemente frutto di un discorso studiato ad arte per farlo crollare… eppure facevano così male, più male di qualsiasi lama. Improvvisamente una situazione già drammatica si era trasformata nel peggiore dei suoi incubi. Come avrebbe potuto convincerla che ciò che diceva fosse la verità? No, non ci sarebbe mai riuscito. Pensa, pensa in fretta.
Il tribunale dell’Alleanza”, rispose con un filo di voce. “E’ stata incarcerata”.
“Balle!”, sbraitò quella. “Se fosse vero l’avremmo già trovata!”. Passò la katana sotto la sua gola, sopra il cappuccio, e premette abbastanza forte da fargli mancare il fiato.
“L’Alleanza…”, Thane fece una pausa, cercando di deglutire, “l’Alleanza ha le sue risorse… non la esporrebbero così”.
La donna si allontanò, sospirando con impazienza.
“So fino a che punto ti spingeresti per proteggerla, Krios. Quegli esplosivi là fuori ne sono la dimostrazione lampante… Ma qui, qui, dannazione, c’è in gioco la vita di tuo figlio… DOV’E’ SHEPARD?”, fu un crescendo di rabbia quella frase, sfociato in un urlo. Era questo l’effetto che faceva lavorare per Cerberus? Thane poté captare il terrore nella voce del suo aguzzino… immaginò il suo volto, femminile, contratto dall’ira e dalla paura di tornare a mani vuote da quel capo supremo che impartiva ordini nascondendosi  vigliaccamente dietro all’immagine tremolante di un ologramma.
“Non lo so… io non lo so”, scandì a bassa voce, pregando di essere creduto. Ma quella donna non era in cerca della verità, quella donna voleva solo una risposta che l’appagasse… qualcosa che lui non poteva darle, perché egli stesso avrebbe voluto sapere per primo dove si trovasse Shepard.
“Ti crederei, se solo non conoscessi così bene il tuo passato”, disse, camminando lentamente in circolo. “Quale uomo proteggerebbe una donna qualunque sacrificando la vita del proprio figlio? Già, quale uomo… Ma tu non sei un uomo. Sei un alieno, sei un mercenario…”, disse con disgusto, facendo roteare la katana mentre andava a posizionarsi dietro di lui. Gli sfilò il cappuccio con violenza, poi fece scorrere lentamente la lama sul suo zigomo, l’altra mano premuta sull’auricolare, pronta a ripartire un ordine che non avrebbe più potuto ritirare.
Se solo fosse riuscito a liberarsi, a richiamare i suoi poteri biotici…
“Ti concedo solo un’ultima possibilità, poi tuo figlio morirà… e tu insieme a lui”.
Thane chiuse gli occhi, l’espressione segnata dalla disperazione e dal dolore. Quanto tempo avrebbe potuto guadagnare con un’altra menzogna? Di cosa Cerberus era davvero a conoscenza? Dischiuse appena le labbra e in quello stesso istante si scatenò l’inferno. Numerosi colpi d’arma da fuoco esplosero fuori dall’edificio, allertando la donna. La vide in volto, finalmente. Occhi color ghiaccio, labbra sottili, l’espressione nervosa e atterrita al tempo stesso. E poi sentì le mani e le gambe finalmente libere, come se qualcuno o qualcosa avesse improvvisamente bypassato i congegni che lo tenevano in trappola. Non perse tempo e con un balzo fu subito sulla donna, un calcio sullo sterno, la katana salda in pugno, premuta sulla sua gola. “Un passo ed è morta”, disse alle due guardie, stringendo maggiormente la presa. Non aveva idea di cosa fosse successo là fuori, ma qualunque cosa gli avesse appena salvato la vita, avrebbe meritato la sua gratitudine fino alla fine dei suoi giorni.





 

Thane, cosa ti ho fatto? ;_; Perdoname.
No, a parte gli scherzi... yay, sono viva e vegeta e credo che una settimana di astinenza dalla mia tastiera mi abbia spinto a recuperare tutto il tempo perduto con questa storia... e poi, l'estate finalmente! Tutto quel grigiore dei giorni scorsi era una vera e propria mazzata per l'ispirazione.
Non so che altro dire... 
Triceratopi.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: andromedashepard