Sprofondata
nella
poltrona, Rebecca teneva in mano un bicchiere, sorseggiandone il
contenuto
ambrato. Osservava la stanza: un bel camino acceso la illuminava,
riempiendola
di luce e diffondendo un piacevole senso di tranquillità, un
divano in morbida
pelle la fronteggiava e una poltrona del tutto simile a quella da lei
occupata
le stava a fianco.
Un
basso tavolino dal ripiano in vetro le permetteva di poggiare le
gambe e di godersi la vista al di fuori delle finestre, poste a lato
del
divano. Ma
era notte, il paesaggio là
fuori era ricoperto dall’oscurità. Rebecca
non si era mai sentita a casa lì dentro, era tutto
così diverso dal suo mondo.
Interrompendo
i suoi pensieri, qualcosa
all’esterno la mise in allerta. Lo
scorse
solo per un istante: un breve luccichio che non apparteneva a nulla in
quel
luogo abbandonato. Si
avvicinò lentamente
alla finestra, cercando ancora, ma sembrava essere sparito.
Appoggiò
il viso al vetro e improvvisamente li vide:
due occhi brillanti la scrutavano nascosti nel buio. Riconoscendoli
all’istante, il cuore le si riempì di
gioia e un brivido le corse lungo la schiena: «Aslan!» gridò.
Si precipitò ad aprire la
porta, e un attimo dopo il possente Aslan si fece avanti, entrando
nella casa. Rebecca
affondò le mani nella folta criniera del leone,
circondandogli il collo con le
braccia e stringendolo forte a sé.
«Quanto
entusiasmo! Anch’ io sono contento di rivederti. È
passato molto tempo dalla
mia ultima visita».
«Già» rispose
lei, cadendo velocemente in
uno stato di tristezza. La sua visita le rievoca infelici ricordi,
sostituendo
quelli dei bei momenti passati assieme. L’animale
le strofinò il muso sotto il collo, nel tentativo di
consolarla.
«Comprendo
la tua irritazione: ti ho costretta a trasferirti in questo palazzo, ti
ho
allontanata dal mare, da casa tua. Ma l’ho fatto per poterti
difendere dal
pericolo che si avvicina ogni giorno di più»
«Però
non arriva mai. Aslan, io voglio tornare a casa!»
Si era messa ad urlare.
Non sopportava più la solitudine di quel luogo, per quanto
bello potesse
essere. Voleva tornare a casa sua, nell’oceano, cullata dalle
onde e protetta
dalle correnti che circondavano il suo palazzo.
«Ti
sbagli - le rispose l’animale con tono grave – quel
pericolo è arrivato,
minacciando tutto il nostro popolo; troppa gente è
già morta e la guerra è
appena cominciata. Per questo siamo venuti a chiederti di unirti a noi,
insieme
alla tua gente: per aiutarci a combattere la Strega Bianca».
Un’improvvisa
corrente d’aria fredda attraversò
la sala. Sembrò quasi che con il solo pronunciare il suo
nome, la terra gelasse
e smettesse di vivere. Rebecca
si voltò e
notò la porta aperta: se qualcuno fosse voluto entrare
avrebbe potuto farlo
senza problemi, ma in quel momento non ci badò.
«“Siamo”?
C’è qualcun altro con te?»
chiese
serrando gli occhi in due fessure. Non
capiva, era stupita dall’uso del plurale. Di solito Aslan
viaggiava da solo,
diceva sempre che lo aiutava a ritrovare sé stesso.
Guardò
attentamente fuori, ma non vide nessuno,
nonostante i suoi occhi fossero abituati a quel buio inaccessibile.
Aslan
proseguì: «Sì,
“siamo”. Ormai viaggiare
soli è un’imprudenza, persino per me…
Ma ora è tempo di presentarti il mio nuovo
compagno di viaggio. Fatti avanti, Principe Caspian».
Un
giovane comparve sulla porta, incerto sul da
farsi. Optò per fermarsi sull’ uscio.
Innervosita,
Rebecca iniziò ad esaminarlo. Aveva
i
capelli lunghi e neri, che gli circondavano il viso abbronzato.
Gli
occhi erano grandi e molto scuri, come
l’ebano: scrutarono per un attimo Aslan, poi si fissarono sul
suo viso. Lei,
infastidita da quello sguardo indagatore,
distolse il suo dalla faccia del ragazzo e tornò a studiarne
il profilo.
Era
alto e muscoloso, quasi il doppio di lei, ma
Rebecca era anche più sottile di un filo d’erba,
perciò non era poi molto
difficile essere più grossi. “Di sicuro, io sono
più agile”, pensò irritata.
Inoltre,
lei metteva in soggezione qualsiasi
uomo senza preoccuparsi della loro stazza. Poteva forse essere diverso?
La
bellezza della ragazza era sconvolgente, tanto da metterne in ombra
qualsiasi
altra; Caspian se ne accorse subito ed anche lei ne era a conoscenza,
tanto da
sfruttare questo aspetto a suo vantaggio, quelle rare volte che ne
aveva avuto
bisogno. Il ragazzo la osservò dall’alto verso il
basso, attento a cogliere
ogni singolo particolare: i capelli, di un castano scuro, le ricadevano
sulla
spalla, morbidi e sciolti. La
sua
carnagione estremamente pallida, diafana, risplendeva come ricoperta da
piccoli
cristalli. Sul braccio sinistro aveva un tatuaggio, un tribale azzurro.
Si
chiese brevemente dove e perché l’avesse fatto. Il
viso era di forma allungata,
occupato da una bocca rossa e carnosa e da un piccolo nasino a punta.
Nonostante
l’altezza, maggiore di quanto ci si aspettasse, tutto
conservava ancora tratti
infantili. Tranne gli occhi. Non quelli. I suoi erano completamente
diversi da
quelli che ci si aspetta di trovare in una giovane fanciulla. Non erano
occhi adatti
a lei, ma piuttosto ad una donna adulta. Nel breve lasso di tempo in
cui
Caspian poté vederli, vi lesse diverse emozioni: molte non
riuscì a decifrarle,
ma non la rabbia, la paura e a diffidenza. Quelle sarebbe riuscito a
percepirle
chiunque fosse stato in grado di vedere. Durò solo un
attimo, dopo Rebecca
riprese il controllo di sé. Lui, però, non
riuscì a capirne il motivo. Perché
una ragazza come lei doveva provare tali sentimenti? E poi,
perché Aslan lo
aveva condotto lì? Suo malgrado, non seppe rispondere.
Poi
si accorse dell’abito che indossava. Ma quale
strano indumento portava? Non ne aveva mai visti di simili. Si trattava
di un vestito
corto, di un blu molto acceso, fatto di quella che sembrava seta
leggera: due
sottili spalline reggevano la stoffa, finemente ricamata sul petto.
Quello che
gli parve ancora più strano, se possibile, fu con quale
disinvoltura mostrasse
le gambe sottili e slanciate. E i piedi, poi! Erano privi di qualsiasi
calzatura, camminava scalza, come se fosse la cosa più
naturale del mondo. Non
che fosse vietato, ma nel suo regno, tutte le donne indossavano abiti
lunghi
fino a terra e basse scarpe di tela. Nessuna di loro si sarebbe mai
vestita in
quel modo.
Aslan,
dopo aver osservato la scena, si volse
verso di lui e cominciò a parlare: «Inchinati
Caspian, davanti a
Rebecca, Principessa del Regno dei Mari e futura Regina degli Oceani!
Nonché
giovane sirena, certo» aggiunse,
come se si trattasse di una cosa ovvia, facendola sorridere lievemente.
«Cosa?
Oh, sì, certo. I miei saluti, Principessa. Sono onorato di
far la Vostra
conoscenza» disse
Caspian
inginocchiandosi davanti a lei. Per
tutta
risposta, Rebecca gli fece un breve cenno con la testa e i suoi capelli
biondi
oscillarono sulle spalle nude.
“Di
poche parole a quanto vedo, anzi, di nessuna”,
pensò lui, sorpreso anche dal
trovarsi di fronte ad una sirena.
«Abbiamo
bisogno della tua ospitalità, Rebecca. Vorrei fermarmi qui
con Caspian, per
discutere con te degli ultimi avvenimenti accaduti. Sempre che tu sia
d’accordo,
ovviamente».
«Non
posso negarti nulla, dopo tutto quello che hai fatto per me. Ma tu sai
come la
penso sugli umani» disse
rivolgendo a Caspian una breve occhiata.
«Puoi
stare tranquilla. È un ragazzo affidabile e coraggioso.
Tutti coloro a cui ho
chiesto di unirsi alla nostra causa mi hanno risposto negativamente,
utilizzando le più svariate scuse, pur di salvarsi, tranne
Caspian. Ha
accettato senza indugi» le
rispose Aslan.
«Un
gesto davvero
eroico» commentò lei, lanciando
un’occhiata sprezzante al ragazzo.
«Non potevo certo rifiutare. Avrei mancato ai miei doveri» disse Caspian sorridendo, rivolgendosi a Rebecca. Sperò di addolcirla un po’, aveva capito che non le faceva piacere avere in casa degli sconosciuti. Ma invano.
Rebecca
si voltò verso di lui. « Certo,
capisco. Be’, immagino vogliate riposarvi, il viaggio deve
essere stato
faticoso, specie in piena notte», propose ad Aslan.
Lui
la guardò e sorrise sotto i baffi. «Mostragli una
camera dove possa sistemarsi, io starò comodissimo accanto
al camino».
La
ragazza annuì, gli sfiorò la testa con una
mano e si girò verso Caspian.
«Seguitemi». Facendogli
strada, lo accompagnò su per una breve scala che dava su un
ampio spazio
circolare, delimitato da diverse porte. Quasi in imbarazzo, Caspian
notò come
il legno scricchiolasse sotto il suo passo pesante, completamente
diverso da
quello felpato di lei, che non sembrava nemmeno sfiorare il pavimento,
tanto
era leggera. Rebecca si fermò davanti ad una porta e
l’aprì, entrando nella
stanza. «Questa è la Vostra camera da letto.
Dietro quella porta c’è il bagno.
Spero vada bene».
«È
perfetta. Vi ringrazio infinitamente,
Altezza» disse lui sorridendole.
Lei
lo guardò un attimo e poi uscì chiudendosi
la porta alle spalle, lasciandolo solo. Scese di nuovo i gradini e
trovò Aslan
ad attenderla seduto davanti al fuoco. Si
accasciò su una poltrona: si sentiva improvvisamente
stanchissima.
«Allora?»
le chiese Aslan.
«Allora
che? Non avresti dovuto portarlo qui».
«Dovevo,
invece. Ci sarà di grande aiuto. Non
sei stata molto carina nei suoi confronti, però, lui non
poteva sapere della
tua ostilità verso gli umani. Dovresti andare a
scusarti».
«Dici?»
«Io
penso di sì, ma se non vuoi…»
Rebecca
rimase lì a rimuginare con sé stessa per
diverso tempo, finché Aslan non interruppe il filo dei suoi
pensieri.
«Ebbene?
Non dovevi andare a scusarti con
Caspian? Hai forse cambiato idea?»
«No,
non ho cambiato idea. Hai ragione. Vado».
«Brava,
ora ti riconosco: regale e giusta. Sarai
un’ottima Regina» disse lui annuendo.
«Lo
spero, o non durerò a lungo - rispose
alzandosi e sfiorando la testa del leone con un bacio -
Buonanotte».
*
* *
Rebecca
bussò alla porta. «Principe
Caspian? Posso?» Dopo
pochi istanti la porta si aprì e Caspian le
comparve innanzi. «Altezza?
Cosa fate
qui?» La sorpresa nel vederla lì era evidente.
«Posso
entrare?»
«Cosa?
Oh, sì, certo. Be’, in fondo è casa
Vostra»
le rispose, confuso. Si
spostò e la
lasciò entrare.
Rebecca
osservò la stanza: pareti verdi, un
grosso armadio bianco di legno, un letto enorme proprio di fronte
affiancato da
due piccoli comodini. Su
uno dei due era
posta una piccola lampada ad olio. Alla parete alla sinistra del letto
era
appoggiato un grosso scrittoio in legno scuro, da cui arrivava un forte
odore
di lavanda che riempiva tutta la stanza. “A
vederla si direbbe più la stanza di una ragazza”
pensò. Notò che il
letto era stato disfatto (segno che il ragazzo stava cercando di
addormentarsi,
se non l’aveva già fatto) e che sullo scrittoio,
aperto, erano posati una
leggera piuma bianca con la punta sporca, una graziosa boccetta di
vetro
intarsiato contenente del liquido scuro (probabilmente
l’inchiostro sulla
piuma) e un piccolo libretto dalla copertina di pelle marrone,
ricoperta da
strani simboli dorati. Attratta da quei bizzarri caratteri, Rebecca si
avvicinò
lentamente al mobile, sfiorando con un dito il dorso della copertina.
Era
morbida e liscia al contatto con la pelle, le
piaceva.
«Quello
è il mio diario».
«
Oh, mi dispiace, io …» “Che
figura da debole! Prima sono tanto dura, poi mi
scuso per uno stupido diario!” pensò riprendendo
il controllo e raddrizzando la
schiena.
«Non
Vi preoccupate Altezza. Quello è il mio
diario, è vero, ma non c’è nulla da
tener nascosto. Potete prenderlo, se
volete».
«Oh
no, no. Non posso certo prendere le Vostre
cose. Perdonatemi».
«Non
preoccupateVi Altezza. Ma, se mi è permesso
chiederVelo, perché siete venuta qui?»
«Per
scusare il mio
comportamento di prima. Mi dispiace averVi trattato in quella
maniera».
«Siete
venuta per chiedermi scusa? Voi?»
«Già,
io. Non pensate che io sia una persona viziata
e disinteressata, sbagliereste. Solo, non mi fido molto degli umani
» disse,
accennando un piccolo sorriso.
«Non
l’ho mai pensato. Nei Vostri occhi ho visto
paura e diffidenza; di certo questi non sono segno di disinteresse.
Piuttosto
non riesco a comprendere il motivo della Vostra reazione. Potete
spiegarmela?»
Rebecca
lo fissò pensierosa per un istante che
parve interminabile, poi gli rispose. «Credo
che per farlo dovrete ascoltare tutta la mia storia. Ne avete
voglia?»
«Naturalmente».
In realtà moriva dal desiderio
di conoscere qualcosa di più sul conto di quella fanciulla
tanto misteriosa.
«Bene.
Allora accomodiamoci su questo splendido
letto e poi Vi spiegherò». Si
sedettero.
«Be’,
sapete già che sono una sirena, anzi, “la
Principessa del Regno dei Mari e futura Regina degli Oceani”,
come ti ha detto
- oh scusatemi! - come Vi ha detto Aslan».
«Certo,
lo so. Ma perché non ci diamo del tu? Penso che
passerò diverso tempo insieme a
Voi. Perciò è più logico, o almeno
credo» disse titubante.
«Be’, credo di sì.
– gli rivolse un piccolo sorriso - Allora, stavo
dicendo: sono nata e cresciuta nel mare, vivendo come una vera
Principessa. In
fondo, è questo ciò che sono».
«Sei
nata sott’acqua? Forte!»
«Sì,
forte» disse sorridendo. Non era poi così
male Caspian.
«Per
i primi dieci anni della mia vita sono
cresciuta con tutto quello che una persona può desiderare,
tranne una: due
genitori che mi amassero».
«Mi
dispiace, non lo sapevo». Caspian rimase
sconvolto. Lui aveva sempre avuto tutto ciò che desiderava,
compresi due
genitori, che l’amavano più della loro stessa vita.
«Anche
a me, ma passa in fretta quando non li si
ha mai conosciuti. Mi fecero sentire comunque tutti amata e rispettata.
Ogni
cosa era bellissima».
«C’è
un “però”, vero?»
«Sì,
c’è. C’è in ogni storia. Il
giorno
del mio decimo compleanno, durante la festa, il palazzo fu attaccato.
Un
terribile nemico stava mettendo a rischio il mio futuro di Sovrana.
Nessuno ci
pensò due volte: l’esercito si preparò
a rispondere all’attacco e io venni
portata via, al sicuro».
«Avete
un esercito?! E io che credevo foste
pacifici!».
Rebecca
sorrise. «Lo siamo! Ma dobbiamo comunque
essere pronti a tutto».
«Vero.
Va’ avanti».
«Un
gruppo di guardie mi trascinò fuori
separandomi dalla mia nutrice. Dopo
essere emersi tutti dall’acqua, le guardie mi depositarono
sul terreno e si
rituffarono. Tutte tranne una. Quel
tritone mi guardò e disse “Ricordate, le
Principesse non piangono”. Poi mi
poggiò una mano sul braccio e disse “Per non
dimenticarVi chi siete”. Infine si
tuffò. Senza
capire, guardai il braccio e
vi vidi impresso un tatuaggio. Questo - e s’indicò
il tribale azzurro - Ho
visto che lo guardavi, prima. Dopo che si fu tuffato, mi voltai e mi
ritrovai
faccia a faccia con Aslan. Non immagini il terrore che ho avuto
– fece una
piccola risata – Non capita tutti i giorni di trovarsi faccia
a faccia con un
leone. Aslan mi calmò subito, e con il suo vocione mi disse
“Salve, Principessa
Rebecca. Il mio nome è Aslan, Re di Narnia. Non Vi
spaventate, non voglio farVi
del male. D’ora in avanti vivrete con me, sotto la mia
protezione”» disse,
imitando il vocione di Aslan.
Caspian scoppiò a ridere. «Immagino
la scena. Ma, tornando seri, cosa successe
poi?»
«Mi
accasciai per terra piangendo. Aslan mi
ordinò d’alzarmi, ma io non smettevo.
Allora
mi asciugò le lacrime con una zampa e mi strinse forte a
sé. È lì che cominciò
la nostra amicizia» ricordò commossa, trattenendo
una lacrima.
«Lo
sapevo che ha il cuore d’oro! Ma tu
continua».
«Vedo
che questa storia ti interessa molto. Quindi…
poco tempo dopo, circa un mese, mi disse che il mio regno aveva
cacciato il
nemico. Cacciato, non sconfitto. Era fuggito con la promessa di
tornare, e
adesso l’ha fatto».
«La
Strega Bianca? Era lei?»
«Sì,
lei. È per questo che siete qui».
«Accidenti!
E poi, cosa faceste?»
«Be’,
la vita con lui era totalmente diversa.
Invece di imparare a danzare e a stare a tavola, a studiare e a
condurre una
vita privilegiata, facevo altre cose. Durante
il giorno cacciavo, nuotavo, tiravo con l’arco, imparavo a
combattere e a
nascondermi. In pratica assomigliavo a tutto, tranne che ad un pesce!
Imparai a
distaccarmi da tutto e da tutti. Trascorsi così otto anni,
in mezzo al bosco,
lontano dal mare e circondata da guardie nascoste. In conclusione, sono
più di otto
anni che non vedo il mare. Quando nuotavo, lo facevo in un lago poco
distante
da qui».
«
Sì, ci siamo fermati anche lì. Aspetta un
attimo: se tu non vedi il mare da otto anni, e sei stata salvata a
dieci,
allora… Tu hai solo diciotto anni!»
esclamò sbalordito.
«
Quasi diciannove, e allora?»
«
Io credevo ne avessi… non so… ventidue,
ventitré. Non pensavo fossi così
giovane!»
«
Ci sono circa sei anni tra noi, no?» chiese
dubbiosa.
«
Sei? Io ne ho venti, non ventiquattro! Ce ne
sono soltanto due. Perché, mi facevi già
così grande? Sono lusingato» disse
aprendosi in un sorriso sornione. Gli faceva piacere sapere di sembrare
più
grande di quel che era realmente.
«Sì,
ma abbassa la cresta, oppure chiamo Aslan!»
«No,
Aslan no, Vi supplico!» disse rotolandosi
sul letto dalle risate.
Rebecca
gli tirò un cuscino, ma tornò seria:
«Non
sottovalutarlo. Se vuole, sa essere crudele. L’ho provato
sulla mia pelle,
credimi».
«Che
vuoi dire? Ti ha picchiata?» Il
suo volto divenne una maschera di terrore.
«No,
certo che no. Ma una volta, quando avevo
quattordici anni, mi ha lasciata sola. Una mattina mi sono svegliata e
lui non
c’era più. Ero disperata. Ho vagato per il bosco
mezza mattina. Caddi a terra
piangendo, ma mi ricordai delle parole del tritone e smisi subito.
Per
una settimana vagai nel bosco, rimanendo vicino al
lago. Il settimo giorno ero stanca, stremata, e decisi di buttarmi in
acqua per
lavarmi. Dopo una settimana di caccia senza mai lavarsi puzzavo come
una capra,
ma non potevo concedermi il lusso di uscire allo scoperto.
Comunque,
abbandonai ogni filo logico decisi di
entrare in acqua. Immagina la paura che mi assalì quando non
riuscii a
trasformarmi».
«Non
riuscivi a trasformarti? E perché?»
«Non
essere impaziente, aspetta. Riemersi dal
lago, in preda al panico e cominciai a camminare su e giù,
in preda al panico.
Dopo un’ora ero totalmente impazzita. Ad
un certo punto guardai il tatuaggio sul braccio, entrai
nell’acqua fino alle
caviglie e aspettai. Non successe nulla. Allora mi misi ad urlare,
scalciando disperata:
“Ora basta! Io sono Rebecca, Principessa del Regno delle
Sirene. Io sono una
sirena!”».
«
E che successe?»
«Mi
trasformai. Mi ero dimenticata di chi fossi
e Aslan mi aveva messo alla prova. Senza quel tatuaggio non ce
l’avrei fatta. A
forza di vivere nel bosco, avevo dimenticato che non era quello il mio
posto.
Ci si deve adattare ad un ambiente, se necessario, ma non bisogna mai
dimenticare perché si è lì e da dove
si arriva. Dopo che finalmente mi fui
calmata, passai una buona oretta a nuotare. Il lago è
gigantesco e ha un
fondale bellissimo. Quando riemersi lui era lì che
sorrideva. Arrabbiata
com’ero mi voltai e sbattei la coda sull’acqua,
bagnandolo tutto e urlando
“Vediamo se oserai rimproverarmi!”»
Scoppiò a ridere al ricordo, coricandosi
elegantemente sulla trapunta del letto. Emise un sospiro profondo.
Caspian la
guardò titubante, mordicchiandosi un labbro, poi si stese al
suo fianco. Lei
non sembrò neppure farci caso.
«Lo
hai fatto per
davvero? Che cosa ti ha detto dopo?» chiese sussurrando.
«Che
ero stata brava a non aver dimenticato le
mie origini. Poi mi ha portata qui. E Questa è la fin della
mia storia».
«Accidenti»
«Già,
accidenti - si rialzò dal letto,
fissandolo impensierita - Bene, è meglio che vada. Sai, sei
riuscito a farmi
cambiare opinione su di te. Devi esserne contento, capita
raramente».
Caspian
le si avvicinò, serio: « Raramente, ma
capita, vero?»
«Già,
sto perdendo colpi. Questa è la seconda
volta che succede».
«Ah
sì? E che cosa pensavi di me prima?» I loro
petti quasi si toccavano, il viso di lui era leggermente piegato sul
suo.
«Che
fossi un ragazzo ingenuo e stupido alla
ricerca dell’avventura e dell’occasione per far
vedere a tutti quanto vali. Uno
che trova meraviglioso andare in battaglia. Un banale umano».
Lui
sbuffò, fintamente offeso. «E ora cosa
pensi?»
«
Credo che tu voglia difendere il tuo regno ed
il tuo popolo, senza ambire alla gloria. Come me».
Caspian
continuò a guardarla, in silenzio. Gli
occhi di Rebecca lo stavano scrutando alla ricerca di un gesto, un
segno, che
facesse capire qualcosa di più su di lui; un ciuffo di
biondi capelli
indisciplinati le ricadeva sulla guancia come ad indicare che pur
seguendo le
regole, rimaneva comunque uno spirito ribelle. La prese delicatamente
tra due
dita e la risistemò dietro l’orecchio. Il viso
così pallido, le guance prive
della benché minima traccia di un colore sano, la pelle
diafana che risplendeva
come un cristallo; il netto contrasto con la bocca rossa. Quella
piccola bocca
carnosa, morbida, che gli faceva venire un’irresistibile
voglia di baciarla.