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Autore: HisLovelyVoice    17/06/2013    5 recensioni
Un battito.
Ho bisogno di un battito.
Ho bisogno di un battito del mio cuore per provare a me stessa che sono viva.
Ma questo battito non lo sento. Dentro sono morta davvero. Sono solo un involucro di pelle senza anima che si trascina avanti tutti i giorni da ormai un mese. Uno schifoso mese che avrei preferito passare con la mia famiglia.
Credo che ormai non ci sia nulla da fare. Non penso che ritroverò mai la felicità. [...]
«Come ti chiami?» Mi chiede inclinando la testa da un lato.
«A cosa ti serve sapere il mio nome se domani lo avrai già dimenticato, insieme al nostro incontro?» Domando seria.
«Non ti dimenticherò facilmente. Sei impressa nella mia mente da ieri.»
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STORIA SOSPESA PER MOTIVI PERSONALI. SCUSATE.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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okay, premetto fin da subito che le pagine di diario della protagonista non saranno tantissime, e spesso non avranno molto senso. La maggior parte delle volte saranno solo dei pensieri accostati. se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare
A questo punto vi auguro una buona lettura c:


 

Caro diario,
è da tanto che non ti scrivo, precisamente un mese.
Ho finalmente detto addio alla mia vecchia vita. Ho finalmente cambiato aria. Lì mi sentivo soffocare, non riuscivo più a vivere. C’erano troppe cose che mi ricordavano i miei genitori e la mia sorellina. Non ce l’avrei fatta ad andare avanti. Cambierò scuola, ma non mi importa. Ho detto per sempre addio ai miei vecchi amici, ma non mi importa. Voglio solo ricominciare a vivere. Sarà dura, lo so, ma ce la farò. Ma è ovvio che non ce la farò. Perché la gente giudica, critica, esclude. Starò ancora male, ne sono consapevole. Per me, non è ancora arrivato il momento della felicità. E sicuramente non arriverà mai. Ma devo andare avanti. E anche se non potrò mai dimenticare e non potrò mai passare sopra a ciò che è successo, devo imparare a convivere con questa tristezza. Ci riuscirò. Ci devo riuscire.

(Carino l’infinito, vero? Beh, nulla dura per sempre, solo il dolore. Quello si che è infinito…)
Mi taglio, potrò mai ricominciare a vivere?
Sto male, qualcuno se ne accorgerà mai?
Sto morendo lentamente, qualcuno mi salverà?
Tutte domande a cui non so dare una risposta. So solo che non sopporterei una risposta negativa.
Mamma, papà, Elizabeth, mi mancate.
Mi mancate veramente tanto, avrei voluto essere con voi in macchina quella sera. Avrei preferito andarmene con voi. Ora sono sola. Sola con il mio dolore. Perché mi avete lasciata? Soffro troppo in questo mondo che non mi vuole. Soffro troppo, ma ora non c’è più nessuno pronto a consolarmi. Vorrei avervi qui al mio fianco.
Mamma, perché si soffre così tanto? Cosa ha fatto l’uomo per meritarsi tutto questo dolore?
Io non ce la faccio più. Spero solo di riuscire a vivere di nuovo nella vita che mi aspetta. Spero solo di non soffrire ancora di più, perché non reggerei il colpo.
Addio mamma.
Addio papà.
Addio Elizabeth.
Addio amici.
Addio professori.
Addio vecchia vita.
Benvenuta nuova me.

 
Chiudo la penna e la poggio sopra il diario. Prendo un respiro profondo. Ora che ho scritto alla rinfusa su quel pezzo di carta come mi sento, sto meglio. Di poco, ma meglio di niente.
La nonna aveva ragione: scrivere un diario aiuta ad andare avanti.
Guardo il mio polso destro. Lentamente accarezzo le cicatrici viola e i tagli ancora freschi rossi.
Sembrano chiamarmi.
Lo so che vuoi farlo.Sembrano volermi dire. E io, io lo voglio. Voglio assolutamente farlo. Devo farlo, ormai ne sono dipendente.
Così, senza nemmeno rendermene conto, mi alzo in piedi con in mano il mio diario.
Sono sola in casa, nessuno se ne accorgerà.
Poso il diario sotto il cuscino della mia camera.
Poi arrivo come un automa al bagno. Mi avvicino all’armadietto e apro il primo sportello. Tolgo le creme antirughe di mia nonna, il deodorante e l’acetone e tiro fuori una scatoletta. Sopra c’è un bigliettino che scrissi io un mese fa. Non aprire, roba personale, c’è scritto. Sorrido. A volte la nonna non si accorge proprio di nulla. La apro. Dentro c’è tutto ciò che mi serve. Tiro fuori una lametta e, dopo aver chiuso per sicurezza la porta a chiave, mi siedo sul bordo della vasca.
E ricomincio. Ricomincio a farmi del male. Abbasso quella lametta che per un po’ mi da sollievo e incido la mia pelle. Formo una “X” al centro del polso. La stessa “X” che vorrei incidere su me stessa per porre fine alla mia vita. E il sangue inizia ad uscire. È di un rosso intenso, mi piace; sono attratta da quel sangue. Vorrei che tutto il sangue che ho in corpo esca, lasciandomi morire. Ma la mia ora sembra non essere ancora arrivata.
Incido di nuovo la mia pelle, mentre il sangue inizia a mischiarsi alle mie lacrime amare. La mia carne è lacerata nel profondo, come ormai lo è il mio cuore.
Non mi rendo nemmeno conto del tempo che passa, fino a quando non sento la voce di mia nonna.
«Sono tornata!» La sua voce è seguita dal rumore della porta che si chiude. Devo smettere subito di tagliarmi, ma è così difficile… «Tesoro, ci sei?» Prendo un respiro profondo prima di rispondere.
«Si nonna, sono al bagno!» Urlo per farmi sentire. La mia voce esce abbastanza neutra, senza emozioni. Non è scossa dal pianto, e non posso fare a meno di complimentarmi con me stessa per questo.
«Okay.» La sua voce è lontana, arriva con molta difficoltà alle mie orecchie.
Devo smettere, o si insospettirà.
Mi alzo dalla vasca e mi dirigo al lavello. Apro il rubinetto d’acqua e sciacquo la lametta, mettendola subito dopo nella scatola. Poi infilo sotto il getto freddo il mio polso. Inizialmente ne risente, poiché è bollente per via del mio sangue. Ma dopo si abitua e mi sento bene. Mi piace la sensazione di caldo e freddo insieme.
Prendo dal mobiletto dietro il lavandino un asciugamano e asciugo il mio polso. Aspetto qualche istante e, vedendo che il sangue continua ad uscire, copro i tagli con della garza, presa dalla scatola contenente anche la lametta. La benda si tinge immediatamente di rosso, allora la copro velocemente con i miei adorati braccialetti. Non si vede nulla, così chiudo la scatola e la rimetto a posto, insieme a tutto ciò che avevo tirato fuori. Mi sciacquo anche il viso, così da mascherare in parte le lacrime, e pulisco la vasca. Poi esco dal bagno.
«Ciao nonna.» La saluto appena entro in cucina. Sta sistemando la spesa in frigo, così decido di aiutarla.
«Come stai?» Mi chiede preoccupata. Le sorrido falsamente, come ormai faccio da un mese.
«Tutto bene.» Rispondo tranquillamente, incurante del dolore che provo al petto ogni giorno e che in questo momento sta aumentando. Mia nonna mi sorride di rimando, felice della mia risposta.
«Bene. Sono andata a parlare con il preside della scuola dove dovrai andare. Mi ha detto che da lunedì sarai ammessa in classe.»
Oggi è giovedì. Quindi ho ancora tre giorni di libertà. Considerando che la scuola è iniziata da più di una settimana, inizierò nella terza settimana. Va bene, verrò sicuramente esclusa, ma va bene.
«Perfetto.» Rispondo, anche se preferirei rimanere a casa. La scuola mi ricorda troppo mia madre…
«Eleanor, lo so che vorresti non andarci, ma è meglio così, lo sai.» Abbasso lo sguardo e annuisco, consapevole che quella è la pura e semplice verità. «Perché non esci con qualche amico? È da un mese che sei chiusa qui dentro.»
Abbasso lo sguardo. Amici? Cosa sono gli amici? Non so più cosa sono. Ormai non ne ho più, con chi dovrei uscire?
«Nonna, non ho più amici.» Ammetto, mentre delle lacrime premono per uscire. Ho diciassette anni e nemmeno un amico. Tutti quelli che avevo, sono rimasti nella città dove abitavo prima. Adesso che mi sono trasferita ho tagliato i ponti con tutti coloro che conoscevo. Nessuno sa della mia situazione, ed è meglio così.
«Oh.» Mormora mia nonna fermandosi per qualche istante a guardarmi. Poi ricomincia a sistemare la spesa.
Però in effetti mi sono stufata di rimanere in casa. Tutto mi ricorda ancora i miei genitori e mia sorella qui…
«In effetti potrei uscire.» Penso ad alta voce. Gli occhi di mia nonna si illuminano. «Si, credo proprio che uscirò.» Concludo guardando mia nonna.
«Ne sono molto felice. Dai, lascia stare qui, continuo io.» Le sorrido. È veramente la donna più buona del mondo.
«Grazie.» Le do un bacio sulla guancia e salgo in quella che da ormai un mese è la mia camera. Non è male, alla fine. È un po’ spoglia, come lo sono io. C’è solo lo stretto indispensabile: un letto, un armadio, una scrivania e una mensola per i miei numerosissimi libri.
Mi siedo sul letto e tiro fuori da sotto il cuscino il mio diario. Lo guardo per qualche istante, indecisa se portarlo o no. Poi alla fine lo metto dentro una borsa a tracolla, insieme a cellulare, Ipod e una penna.
Sono pronta. Do una rapida occhiata al mio polso. No, non si vede nulla. Sorrido, soddisfatta di ciò che ho fatto, e mi dirigo alla porta.
Esco di casa e subito il sole mi colpisce in pieno viso, giocando con i miei capelli ricci, rendendoli ancora più dorati. I miei occhi color smeraldo si devono abituare alla luce intensa, così metto una mano sulla fronte per farmi ombra. E subito il panorama davanti a me si rende più nitido. Riesco a vedere il parco difronte casa mia, pieno di bambini che giocano allegramente. Riesco a vedere la strada asfaltata che dalla mia destra arriva vicino casa mia e le gira dietro. E poi noto in lontananza, con mia grande felicità, il boschetto dove, fino a un mese prima, giocavo a nascondino con Elizabeth. È proprio lì che voglio andare. Così mi sistemo meglio la tracolla e mi avvio verso quel luogo per me tanto malinconico quanto cupo.
Quel luogo mi è sempre piaciuto.
Forza Eleanor, sbrigati! Non voglio fare tardi anche oggi!
La voce di mia sorella rimbomba nelle mie orecchie sempre più forte man mano che mi avvicino al bosco. Sono sempre stata lenta a prepararmi, e lei me lo rinfacciava sempre ridendo. Era bello vederla sorridere.
Entro nel bosco, e il cinguettio degli uccelli riempie l’aria silenziosa.
Tanto non mi prendi, sei troppo lenta!
Mi mordo il labbro inferiore, per impedire a delle lacrime amare di rigarmi il volto. Ce la posso fare, mi ripeto. Ce la devo fare.
Senza rendermene conto inizio a correre, come per raggiungere mia sorella.
Sei una lumaca!
Sento la sua voce così vicina, sto forse impazzendo?
Corro ancora più velocemente, voglio raggiungerla. Voglio abbracciarla e impedirle di andarsene lontano da me per sempre.
Non vorrei piangere, ma in quel momento è l’unica cosa che riesco a fare. La vista mi si appanna e cado un paio di volte. Ma non mi importa, devo raggiungere Elizabeth.
Corro mentre dei rami mi graffiano il volto e mi rovinano i jeans e la maglietta. Ma non mi importa nemmeno di quello. Corro fino ad arrivare in uno spiazzo molto grande.
Sono qui, non mi vedi?
«No, non ti vedo più!» Urlo disperata, accasciandomi a terra. Il mio petto è scosso da enormi singhiozzi e non riesco a smettere di piangere.
Non sono forte.
Non lo sono mai stata.
Avrei voluto esserlo, ma non ci riesco.
La tristezza riesce sempre a prendere il sopravvento.
Piango per molto, non so nemmeno io per quanto.
Poi mi allungo a terra e tiro fuori dalla tracolla il mio Ipod, il diario e la penna. Infilo le cuffiette e inizio a scrivere, devo sfogarmi.

 
Caro diario,
lo so, è già la seconda volta che ti scrivo, ma ne ho bisogno.
Sanguino.
Si, sto sanguinando.
Il mio cuore sta sanguinando
Sanguino e nessuno se ne accorge.
Nessuno mi salverà. Sono sola con il mio dolore.
Ora sento anche la voce di Elizabeth. Sto impazzendo, lo so.
Forse la pazzia mi porterà alla morte. È allettante come possibilità, molto allettante. Potrò raggiungere mamma, papà, Elizabeth. Sarebbe veramente fantastico.
Ma ho paura, sono troppo codarda.
Oppure sono solo una persona che spera ancora in un po’ di felicità.
Si, ci spero veramente tanto.
Chissà se mai sarò felice. Ora come ora la mia risposta sarebbe senza dubbio un no.
Ma forse con il passare del tempo diventerà un si.
E sicuramente non diventerà mai un si.

 
Chiudo la penna e la rimetto insieme al diario dentro la borsa.
Prendo un respiro profondo. Devo assolutamente calmarmi, altrimenti impazzirò veramente.
Alzati, sfaticata!
Mi tappo le orecchie con forza per non sentire ancora la sua voce. Non riesco ad ascoltarla, mi fa soffrire troppo.
«Non ce la faccio…» Sussurro.
Ce la puoi fare, non è difficile…
La sua voce è troppo forte, la sento lo stesso.
«Si che è difficile…» Mormoro, sedendomi e portando le gambe al petto.
...Basta mettere un piede davanti all’altro…
«Fosse facile...» Delle lacrime ricominciano a rigarmi il volto.
...E poi devi andare avanti. Io lo sto facendo, vedi?
Scuoto la testa per far andare via quella voce.
«Perché mi stai facendo soffrire così tanto?» Chiedo al vento, sperando che possa portare quelle parole ad Elizabeth.
Ti voglio bene, lo sai.
«Si, lo so…».
Sei la mia sorellona. Non smetterò mai di volerti bene. Anche quando litighiamo ti voglio bene. Perché so che se avrò qualche problema tu sarai sempre vicino a me, non te ne andrai mai.
Mi lascio andare all’indietro, mentre quelle parole continuano a rimbombarmi nella testa.
«Sono ancora qui, infatti. Perché tu te ne sei andata?» Sussurro, mentre le lacrime continuano a scendere a piede libero.
Chiudo gli occhi.
Sono stanca.
Stanca di ciò che mi circonda.
Stanca di questa maledetta solitudine.
Stanca di piangere.
Stanca dell’assenza di Elizabeth e dei miei genitori al mio fianco.
E pensare che non torneranno mai mi fa stare ancora più male.
Il bosco è molto silenzioso. Anche gli uccelli hanno smesso di cantare, l’unico rumore presente è il fruscio del vento, interrotto dai miei singhiozzi irregolari.
Rimango allungata per un po’ per terra, sperando di vedere Elizabeth uscire da dietro un albero urlando buco nero! perché sono rimasta troppo tempo ferma in tana.
Ma questo non accade.
Così mi alzo in piedi e, dopo essermi pulita i pantaloni e la maglietta, mi dirigo fuori dal bosco.
Non lasciarmi.
Il vento mi sussurra quelle parole, facendomi ripensare a quando facevo finta di tornare a casa lasciando mia sorella seduta sopra il tronco tagliato di un albero quando si faceva male alla caviglia.
Se avessi saputo che se ne sarebbe andata via da me a soli sette anni, avrei fatto di tutto pur di non lasciarla mai sola, nemmeno per finta.
«Non ti lascerò mai, sei sempre nel mio cuore.» Mormoro, per poi iniziare a correre verso casa. Non ce la faccio, voglio solo abbracciarla un’ultima volta e dirle addio.
Arrivo velocemente a casa e, appena entrata, mia nonna mi viene in contro sorridendo.
«Eleanor, come è andata la passeggiata?» Mi chiede dolcemente.
«Tutto bene. Ora sono stanca, credo andrò a dormire.»
«Va bene. Ti sveglio quando è pronta la cena?» Mi domanda. Scuoto la testa.

«No, non ho fame.» Dico, per poi andare in camera mia senza darle la possibilità di ribattere.
Poso la borsa sulla sedia della scrivania e mi tolgo le scarpe. Poi mi allungo sotto le coperte ancora vestita.
Voglio dormire.
Voglio solo dormire e svegliarmi da questo incubo che sta durando troppo per i miei gusti.

  
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