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Autore: Osage_No_Onna    17/06/2013    2 recensioni
[Slash://]
Rieccomi a pubblicare in questo fandom!
Beh, non so perché ho deciso di pubblicare questa storia cominciata (e non finita) durante le vacanze natalizie, però...
Immaginiamo una Yumiko liceale nel bel mezzo delle ambitissime (e troppo brevi) feste di Natale, che festeggia con le sue tre sorelle e i genitori, anche se con una certa malinconia, e un Tomoya su un aereo diretto a Napoli.
Due fidanzati che si ritrovano in occasione della festa più magica dell' anno, quindi.
Cosa mai potrà succedere?
Scopritelo in questa storia!
[Sì, un' altra Tomoya*Yumiko, o Tomiko, o Asianshipping... perché adoro questa coppia :3]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '*For my love I'll survive*'
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Natale all orientale

Capitolo 1
L' Arrivo

 
Il ragazzo si guardò intorno spaesato. Era appena arrivato all’ aeroporto di Capodichino a Napoli, in Italia, e la folla non era certo poca. Si ritrovò sballottato tra turisti curiosi, uomini in giacca e cravatta con tanto di ventiquattrore, bambini più o meno chiassosi dagli occhi ingenui e spalancati e donne bene o male eleganti. Desiderò ardentemente ritrovarsi in Tibet, a casa sua. Gli sembrò strano, inoltre, che tutti i presenti fossero imbacuccati, mentre lui non portava che una sciarpa rossa al collo. Per il resto, era vestito come se fosse primavera: maglietta a maniche corte, pantalone largo e sandali al piede. Quelli che passavano accanto a lui gli rivolgevano uno sguardo strano e poi si voltavano, troppo presi dai loro impegni. Lui fece spallucce e cercò di non pensarci, perché lui al freddo ci era abituato.
Gli parve di riconoscere un cinese tra gli abitanti del posto e gli chiese informazioni in mandarino. Quello gli spiegò tutto gesticolando un po’. Non si azzardò a chiedere conferma in inglese perché non lo conosceva abbastanza bene e, pur conoscendo un po’ di italiano, preferì non adoperarlo. Rimpianse il fatto di non avere accanto il suo amico americano, perché lo avrebbe di certo aiutato. Decise di farsi coraggio ed uscì dall’ aeroporto, cercando di imbroccare la fermata dell’ autobus o di prendere un taxi.
Si rassegnò all’ idea di dover parlare in inglese e chiese ad un tassista di portarlo fino a Piazza Cavour. Quello acconsentì e il ragazzo armeggiò nervosamente gli euro che aveva in tasca: ce l’ avrebbe fatta a pagare?
Il cambio da yuan a euro era stato un po’ difficoltoso e sperava di non perdere tutto strada facendo.
Cercando di non pensarci, giocherellò con le grandi perle azzurre dei bracciali che aveva ai polsi.
Erano le 16:40 del 24 dicembre 2012.
Nello stesso appartamento, in una bella casa spaziosa molto vicina a Piazza Bellini, la famiglia Santoro si apprestava a festeggiare al meglio le vacanze natalizie.
Il padre di famiglia, Dario, pur essendo sempre in completo gessato grigio, si era tolto la cravatta, mentre la moglie Urara Tsukai, proveniente dalla città giapponese di Fukuoka, nel Kyushu, non si faceva problemi a cucinare e sbrigare le faccende domestiche con le maniche larghe del suo kimono rosso con dorature e l’ obi giallo. Inoltre tra i capelli a caschetto portava una molletta con una stella di Natale di stoffa.
Le quattro figlie cantavano allegramente vicino al grande pianoforte a coda di famiglia. Letizia, la maggiore, stufa di studiare tedesco, aveva piantato i compiti in asso e aveva deciso di suonare il piano. Pur essendo vestita con un pullover rosso, dei jeans blu un po’ a zampa e delle scarpe da tennis nere, era sempre bellissima. I suoi ricci neri e vaporosi, la pelle abbronzata e gli occhi marrone scuro le conferivano una grazia esotica che attirava molti sguardi. Le sorelle minori, Yumiko e Sadako, gemelle tredicenni, e Valentina, la minore, di dodici anni, accompagnavano la sorella cantando.
Valentina era avvolta in una tuta bianca e rossa e cantava a squarciagola, ma non era molto brava: aveva una voce un po’ aspra e ogni tanto le uscivano stecche paurose dalla labbra, inoltre, con un po’ di faccia tosta,certe volte non teneva il tempo apposta per far indispettire le sorelle, ma in quel momento si sentiva ben disposta e quindi cercava di fare del suo meglio, riuscendoci solo in parte.
Le due gemelle, al contrario di Valentina, erano ottime cantanti e con le loro belle voci cantavano soavemente rispettando tempi e toni alla perfezione.
Sadako aveva dei capelli neri liscissimi che le arrivavano a mezza schiena, quasi sempre sciolti, mentre quel giorno aveva deciso di intrecciarli in tante treccioline, insolite a vedersi su di lei ma belle.  Portava un abito verde scuro, delle calze bianche e delle ballerine di vernice in tinta con l’abito, ma non era certo una novità: per lei le gonne e gli abiti eleganti erano un’ evergreen, diceva che “danno una grazia tutta femminile”. I suoi occhi grigioverdi risplendevano espressivi mentre cantava.
Yumiko, la seconda della famiglia, aveva invece i capelli castani un po’ mossi che con l’ umidità si increspavano tutti e gli occhi marroni con delle venature azzurre. Aveva una grazia particolare che si rifletteva in tutti i suoi gesti e i suoi movimenti, risultato di nove anni di pattinaggio artistico su rotelle, e che conservava pur avendo cominciato a praticare aikido.
Indossava un abito rosso con dei merletti bianchi e ai piedi aveva solo dei calzini color carne di lycra e delle ballerine di stoffa. Sull’ abito portava una vestaglia blu notte che sull’ abito così acceso faceva l’ effetto di una notte senza luna. Fatto insolito, aveva i capelli sciolti, che di solito mortificava rinchiudendoli in una treccia bassa.
“Pater!” tuonò ad un certo punto Valentina, cercando di imitare il latino orecchiato dalle sorelle maggiori. “Dona mihi sestertium!”
Dario, che conosceva perfettamente il latino –si era diplomato al classico- decise di stare al gioco e disse alla figlia: “Non ho sesterzi, tesoro, solo euro! O forse anche qualche dollaro…”
“Fa niente!” rispose allegramente Letizia. “Dacci i soldi!”
“Per far che?”

Urara rise sotto i baffi mentre si accingeva a preparare della cioccolata calda.
“Ieri non ci hai dato la paghetta!”urlò Sadako.
“Che sbadato!” disse il padre precipitandosi in salotto con il portafoglio in mano. “Ecco a voi, ragazze!”
Dario distribuì ventidue euro e cinquanta centesimi tra le ragazze: dieci euro a Letizia, cinque euro a testa alle gemelle e due euro e cinquanta centesimi a Valentina.
Le ragazze ringraziarono allegramente e andarono a posare i soldi.
“Eirene kai filia, ragazze!”esclamò Sadako che, da quando aveva cominciato a studiare greco essendosi iscritta al classico, amava rielaborare i motti più comuni con le parole del greco antico.
“Ah beh, pace e amore ci voleva!”disse Valentina scoppiando a ridere.
“Letizia, senti, puoi suonare Magia delle Kalafina?”chiese invece Yumiko alla bella sorella maggiore.
Letizia, che era un po’ stanca, acconsentì alquanto di malavoglia. “Sempre meglio della gettonatissima Jingle Bells delle feste natalizie.”
Non appena Letizia attaccò il motivo della canzone, Yumiko cominciò a cantare.
Giungerà il giorno in cui
La luce negli occhi tuoi
Più forte risplenderà (oltre ogni realtà)
Spezzerà le bugie di un mondo che cade già
Tra inganni ed oscurità (puoi sopravvivere?)
Brama ed esita la tua anima
Senza indugio dimmi cos’ è che cerchi
Nei sogni
Così debole, così labile è il futuro davanti a te
Non resta che correre!
Come l’ antica magia delle favole
Un incantesimo contro le tenebre
Con i poteri che ho ti rivedrò
Sorgere, brillare e poi sorridere
Nelle mie mani leggere che tremano
Metto il coraggio e so che mi alzerò
L’ unica verità è ciò che sento ma
Ho sogno che
Solo la luce salverà…”

“Complimenti, Yumiko! Un’ adattamento degno delle grandi Kalafina!”disse Sadako ammirata.
“A me non piace tanto, è troppo epica.”commentò Valentina, che preferiva il rock a tutto.
“Ed è proprio per questo che a me piace tanto. Sapete, l’ ho dedicata a due persone…”le rispose Yumiko arrossendo un po’.
Letizia ammiccò.
A quel punto suonò il citofono.
“Vado io!” urlò Yumiko correndo all’ ingresso per togliersi dall’ imbarazzo.
Alzò la cornetta e chiese: “Casa Santoro, chi è?”
“Sono io, Yumiko!” rispose il ragazzo dell’ aeroporto dall’ altro capo del citofono.
Lei, che aveva capito tutto e si era illuminata nel sentire una voce tanto cara,  decise di scherzare un po’ e, coprendo la cornetta, disse alla madre: “Mamma, al citofono c’è un certo Io dal Tibet. Strano che non sia morto assiderato per la strada dato il modo in cui è vestito. Che dici, gli apriamo?”
Urara non era certo stupida e capì dallo scintillio degli occhi della figlia che si doveva trattare di un ospite molto gradito, quindi diede il proprio assenso.
Yumiko si precipitò ad aprire il portone del palazzo e la porta di casa, poi si nascose.
Non appena Tomoya –il ragazzo- entrò nell’ enorme casa della famiglia Santoro, Yumiko corse verso di lui.
Il ragazzo capì immediatamente e aprì le braccia. I due si abbracciarono e rimasero così a lungo. Era un’ abbraccio caldo e rassicurante, sia per Tomoya che dopo tanto vagare aveva raggiunto la sua meta e la ragazza che amava, sia per Yumiko che, avendo ricominciato a sentirsi sola da quando aveva iniziato il liceo artistico, aveva bisogno di una mano amica e del suo ragazzo.  

Angolo dell' Autrice
Buonasera a tutti! Lo so che ci sarebbe stato meglio un saluto orientale, ma non sono molto pratica di giapponese e/o cinese mandarino/tibetano... Lasciamo perdere.
Cosa ve ne pare di questa storia? Consigli? Suggerimenti? Critiche?
Ricordate che le recensioni sono bene accette!
See you!
-Puff
   
 
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