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Autore: Kumiho    18/06/2013    3 recensioni
Kise aveva aperto i palmi e li aveva appoggiati sulla sua schiena quando aveva parlato: l’aveva sentita vibrare appena ed irrobustirsi un po’ sotto i suoi sospiri svogliati. Vi aveva poggiato la fronte contro non appena Aomine si era dato la prima spinta sui pedali, e, insieme, erano scivolati nella sera, tra le gocce di pioggia pungente e quel calore al cuore che non scemava nemmeno con quel vento fresco e frizzante, rassegnato all’idea di amarlo come non aveva mai amato nessuno prima di allora.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Heart full of love

 

 

Kise non era un ragazzo stupido come a volte -il più delle volte- poteva sembrare; lo si poteva addirittura definire giudizioso poiché era conscio di tutto ciò che possedeva e nell’esatta misura: il suo talento come giocatore, la sua popolarità -anormale per un ragazzo appena sedicenne- e il suo bell’aspetto. Ne era consapevole, certo, come del fatto che ciò che pensava la gente di lui gli importasse meno di quanto voleva far credere.

Eppure, quel giorno, si era chiesto se davvero qualcuno, in quel momento, avrebbe potuto trovarlo attraente: I vestiti fradici, i capelli gocciolanti e in disordine, gli occhi pesti ed arrossati ed una sbornia dal sapore amaro e disgustosamente acre che gli si era stanziato in fondo alla lingua, in quella zona indefinita tra la gola ed il palato. E quasi fu tentato di preoccuparsene.

Fu un pensiero inutile e più breve di un attimo, dettato probabilmente dalla leggera sbronza, e che sparì non appena l’odore delle coperte sulle quali era seduto gli accarezzò nuovamente il naso.
 

…Diamine, quell’odore. Il suo odore. Quella fragranza deliziosa ed inconfondibile di pelle scura e di sapone a buon mercato.

 

L’odore di Aominecchi.

 

Kise chiuse gli occhi, cercando di respirare profondamente, ma l’aria gli si fermò in gola e le lacrime gli invasero gli occhi. Si sentì piccolo e pateticamente distrutto, abbattuto dal semplice profumo di Aomine. Le sue dita strinsero forte un lembo delle lenzuola provocandogli un disagio stranamente piacevole appena sotto lo sterno.

Kise si domandò se la sua non fosse semplicemente una tra le più serie forme di sadismo mai riscontrate, mentre apriva di nuovo gli occhi, fissando la porta della camera nella speranza di vederlo tornare lì. Ma non era riuscito a trovare una risposta, troppo inebriato dal tepore caldo e confusionario della sbornia. L’unica cosa che fu in grado di fare fu tentare un altro, profondo sospiro, pregando -quasi ad alta voce, tanto che sentì il sapore del suo nome sulla lingua- di vederlo tornare presto dalla cucina.

 

 

 

 

Capitolo 1

 

 

 

 

 

 

Per quanto la sbronza si facesse sentire il bruciore alle mani era ancora troppo tangibile per poter essere sopportato; non si sarebbe mai abituato a trascinarsi con quelle maledette stampelle senza provocarsi quelle dannate vesciche sui palmi. E non voleva, in alcun modo, abituarcisi.

Tutto quello che voleva era tornare al più presto ad accarezzare la gomma ruvida del pallone e ad ascoltare le proprie suole stridere sul legno lucido del campo. Anche Kasamatsu-senpai ed il coach se ne erano accorti e lo sorvegliavano continuamente, ogni volta che potevano, per impedirgli di andarsene in giro senza stampelle o di allenarsi di nascosto.

 

Per chissà quale miracolo divino, che ora, probabilmente per via della sbornia, non ricordava, era riuscito a non farsi accompagnare a casa, sviando il senpai e le ragazzine più insistenti, trascinandosi per qualche vicolo della città, prima di ritrovarsi davanti all’insegna luminosa del locale in cui sedeva ormai da un’ora.

Farsi servire da bere non era stato difficile -nonostante fosse minorenne- era bastata un’occhiata languida alla cameriera che era rimasta a fissarlo col fiato sospeso da quando lo aveva visto entrare, per poi sedersi e ringraziarla, con il suo solito tono dolce, quando gli aveva servito ciò che aveva chiesto -ogni volta, a ripetizione-

 

Non rammentava se avesse cominciato a bere per non riprendere a trascinarsi in modo patetico con quelle maledette stampelle, ma oramai era lì, ed il bruciore nella gola sembrava lenire, anche se non abbastanza, tutti i fastidi accumulati in quei giorni: la storta durante l’amichevole, il dolore insopportabile con cui aveva voluto continuare a giocare e, infine, il tono dispiaciuto del medico di famiglia, mentre gli aveva annunciato il suo “periodo di convalescenza indispensabile di almeno un mese”. Se qualcuno gli avesse tirato un pugno in pieno stomaco , probabilmente, il dolore che ne sarebbe conseguito sarebbe stato di gran lunga più sopportabile.


Sebbene la testa di Kise stesse girando vorticosamente compiendo quella straordinaria , seppur nauseante, magia di mischiare ogni suono che udiva in un miscuglio di rumori senza senso, fu in grado di riconoscere la sua voce immediatamente. La adorava d’altronde, come ogni singola cosa che lui possedeva, e l’avrebbe riconosciuta tra mille

 

- Oi. Che t’è successo alla gamba?-

 

Ahh… quel suono deliziosamente lamentoso e quella piccola nota impercettibilmente nasale alla fine di ogni parola, che combaciava perfettamente con l’onda ben più profonda del suo tono... meravigliosa, proprio come la ricordava (e sognava, e pensava, e desiderava).

 

- Una storta. Sto bene.- Riuscì a mugugnare in risposta, sollevando la testa e sorridendogli con aria mesta.

- Talmente bene che hai pensato di ubriacarti?- Gli domandò ancora, rabbuiandosi appena. Non aveva mai sopportato che gli si mentisse, era così da sempre, e da sempre si accorgeva subito quando era Kise a non dirgli la verità.

- … Aominecchi, non sono mica ubriaco… potrei quasi pensare che ti stai preoccupando per me!-

Era pienamente cosciente del fatto di aver aggiunto quelle ultime parole con fare fin troppo maligno ma era anche cosciente del fatto che chiunque altro le avesse ascoltate, Aomine compreso, vedendolo in quelle condizioni, avrebbe dato la colpa al troppo alcool.

Eppure quest’ultimo strinse gli occhi, dal taglio già sottile e tagliente, riducendoli a due fessure color cobalto e, con fare impercettibilmente impacciato, li distolse da Kise.

- … sta’ zitto, idiota!-

 

 

Adorabile.

 

 

 

 

 

La pioggerellina estiva che aveva cominciato a cadere lievemente, pungeva le guance di Kise e si depositava in tante minuscole gocce sui suoi capelli chiari e spettinati, trapuntandoli di quella che sembrava rugiada, rinfrescandolo piacevolmente ed annichilendo -anche se di poco- la sbornia. Cercò a stento un equilibrio, cercando di sistemarsi meglio sul portapacchi della bicicletta e puntellando il terreno coi piedi, cercando di trattenere le smorfie per il dolore alla caviglia ogni volta che il tallone sfiorava l’asfalto bagnato. Era un dolore sopportabile, però. Era un dolore misero ed inconsistente poiché le sue mani stavano stringendo la stoffa della camicia di Aominecchi ed il suo odore gli riempiva i polmoni ogni nuovo secondo.

-… Non importa che mi accompagni alla stazione. Non devi disturbarti, sto bene.- Mentì biascicando qualche scusa che il suo cervello, ancora capace di qualche scusa di facciata, aveva accantonato nell’angolo in cui risiedevano le frasi gentili.

- Stai già sulla mia bici o sbaglio? È un po’ tardi ormai per scusarti. Chiudi la bocca, reggiti e guarda di non vomitarmi sulla schiena.- Sbottò Aomine in risposta. Il tono burbero di sempre ma con una nota di rassegnazione dolce di sottofondo.

Kise si era poggiato per un attimo le stampelle in grembo, aveva aperto i palmi e li aveva appoggiati sulla sua schiena quando aveva parlato: l’aveva sentita vibrare appena ed irrobustirsi un po’ sotto i suoi sospiri svogliati. Vi aveva poggiato la fronte contro non appena Aomine si era dato la prima spinta sui pedali, e, insieme, erano scivolati nella sera, tra le gocce di pioggia pungente e quel calore al cuore che non scemava nemmeno con quel vento fresco e frizzante, rassegnato all’idea di amarlo come non aveva mai amato nessuno prima di allora.

 

 

 

 

 

 

-… È ridicolo. È veramente ridicolo.- Ringhiò Aomine - Hai una vaga idea della quantità di sfiga che procuri a chi ti sta intorno, Kise?-

- Mi dispiace…- Mormorò l’altro in tono distrutto, la fronte poggiata contro una delle colonne della stazione e una mano premuta contro la bocca dello stomaco.

Il tragitto fino alla stazione era stato molto meno idilliaco di quanto Kise aveva pregustato inizialmente: dopo pochi metri le due birre che si era scolato avevano cominciato a fare effetto, tanto che perfino la schiena di Aomine aveva cominciato a perdere il suo fascino; in compenso la nausea e le curve avevano sortito un effetto tale che Kise sembrava quasi non preoccuparsene, intento com’era a cercare di trattenere i conati di vomito. Come se non bastasse quella sua nausea aveva imposto non poche soste, per via dei malori altalenanti di Kise e della paura di Aomine che questi non riuscisse a trattenersi dal vomitargli addosso. Fatto sta che erano infine giunti alla stazione, ma con più di mezz’ora di ritardo dall’ultimo treno; adesso un Aomine infreddolito e borbottante picchiettava le dita, con fare impaziente, sul manubrio della bicicletta, mentre Kise cercava, a tastoni e zoppicando, un luogo dove potersi sedere e riprendersi un po’. Decisamente poco romantico.

C’era di buono che la nausea ed il dolore alla caviglia distraevano Kise dal sentirsi umiliato quanto, in una situazione normale, avrebbe fatto, e dato che riusciva a stento a sollevare gli occhi su Aomine e non sprofondare nel terreno ritenne quella sbronza un’ottima anestesia per il suo amor proprio. Dopo pochi minuti, che a Kise sembrarono comunque un’infinità, sentì i passi di Aomine sempre più vicini, cosa che aiutò molto poco il suo tentativo di darsi un contegno.

- Ohi, hai finito di agonizzare in quell’angolo? Alzati e sali sulla bici, avanti!-

Il ragazzo riuscì a stento a sollevare il capo e schiudere appena gli occhi per poterlo scorgere: la luce fioca di un lampione gli illuminava parzialmente il volto facendo risaltare ancora di più la pelle scura ed i suoi occhi brillanti, ma dall’aria seccata e stanca.

-… e dove andiamo…?- Chiese con un filo di voce cercando di rimettersi in piedi, una mano sugli occhi e l’altra che vacillava stringendo una delle stampelle, finché la stretta brusca di Aomine su un braccio non gli impedì di seguitare a barcollare, ed il malessere sembrò affievolirsi un po’, schiacciato appena da quell’improvviso grammo di felicità.

- E dove cazzo vorresti andare, scemo!? Ti porto a casa mia. Chiama i tuoi e digli che torni domani, sempre se non muori soffocato nel tuo vomito stanotte.-

 

Quando riuscì a realizzare quello che l’altro gli aveva appena detto, stava ormai seduto nuovamente sulla bici, le stampelle di nuovo in grembo ed Aomine che pedalava, accompagnando qualche spinta da un’imprecazione scocciata. Ebbe abbastanza lucidità da non scoppiare a sghignazzare come un’idiota, poggiò solamente la fronte alla schiena di Aomine ed inspirò piano, sorprendendosi di quanto il suo odore potesse farlo star meglio. Si sentì mortificato e, allo stesso tempo, felice come non mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon compleanno (di Kise) a tutti voi! <3

Volevo pubblicare ‘sta roba inizialmente come una one-shot mooolto lunga, poiché con tutte le fan fiction che ho incompiute mi sentivo un po’ in colpa ad iniziarne un’altra; Ahimè, non ce l’ho fatta ;_; Quindi vi dovrete sorbire anche un prossimo capitolo, sperando che il primo sia stato di vostro gradimento.

P.s: Il titolo viene da una canzone de “Les Miserables” perché io faccio pietà coi titoli… e perché mi piace “Les Miserables”… Kise non canterà nessuna canzone non preoccupatevi ;D

Vi lascio, con un grande “in bocca al lupo” per Kise e la sua sbornia, sperando in un vostro gentile commento/parere :)

 

Slurp, Kumiho.

  
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