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Autore: RobynODriscoll    18/06/2013    6 recensioni
E' passata una settimana da quando sua figlia è nata, eppure Rosa non le ha ancora dato un nome. Sarà che la neonata non dorme, sarà che senza Ezio al suo fianco si sente persa e arrabbiata...però non ci sono più scuse, questa bimba ha bisogno di un nome forte per affrontare la vita. Possibile che Bartolomeo d'Alviano abbia la soluzione?
[Oneshot flashback - Bianca come il Peccato]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Rosa, Ugo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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And when she wraps her hand around my finger
Oh it puts a smile in my heart
Everything becomes a little clearer
I realize what life is all about

It's hangin' on when your heart has had enough
It's giving more when you feel like giving up
I've seen the light
It's in my daughter's eyes.

(In my daughter's eyes, Martina McBride)

 

 

 

11 aprile 1489, Venezia. Palazzo della Seta.


E' nata da una settimana, e non le ha ancora dato un nome.

Lo avrebbe già fatto, se avesse abbastanza energia per pensare: ma la neonata non dorme nemmeno un'ora di fila, la notte, e di giorno Rosa si muove per i corridoi del Palazzo della Seta con la testa leggera e gli occhi pesanti, faticando a ricordare le cose, lottando per mettere a fuoco i pensieri. Prima che sua figlia nascesse le avevano detto che avrebbe dovuto svegliarsi ogni tre ore per allattarla, e già questo le era parso un massacro. Ha sempre amato poltrire dopo le missioni notturne, prendersi tempo per rotolarsi sulla branda e adattare gli occhi alla luce del mezzogiorno nel dormiveglia.... Adesso invece non chiude occhio, né alla notte né tantomeno al mattino, cullando quel fagotto fino a che le braccia non fanno male e stringendo improperi tra le labbra a mo' di ninna nanna. Sembra che quella piccola disgraziata si diverta a prenderla per il culo: appena pare addormentata e la rimette nella culla, inizia a gridare come un'aquila.

Come un'aquila, già. Come una stramaledetta aquila. Potrebbe chiamarla così, forse quel porco traditore di Ezio ne sarebbe contento. Il suo cazzo di orgoglio da nobile del cazzo sbrodolerebbe. Aquila Auditore, discendente del grande Altaïr! Chissene frega se come nome fa vomitare, è una cosa altolocata.

Non c'è da preoccuparsi, in ogni caso. Comunque Rosa chiami la bambina, a lui non importerà: nove mesi, e non è mai tornato. Nemmeno sa che lei esiste.

Ricorda l'ultima volta che si sono visti. Ezio era ancora cupo, pensava alla Mela e agli strani simboli e suoni che ne erano fuoriusciti quando l'aveva toccata, nella bottega di Leonardo. Solo una settimana prima l'ultimo erede degli Auditore aveva compiuto ventotto anni, e quel giorno era entrato a far parte ufficialmente dell'Ordine degli Assassini. L'indomani sarebbe partito alla volta di Forlì, e il diavolo sapeva quando e se sarebbe mai tornato a Venezia. E sì, quell'ultima notte Rosa era stata con lui. Per prendersi qualcosa che le spettava, un momento da ricordare, un attimo che le appartenesse per sempre. Fanculo ai suoi compagni ladri che la credono un uomo con le tette. Fanculo alle spine – sua madre glielo diceva sempre: la mia Rosa ha le spine... Per quella notte, sarebbe stata una donna, e una donna come Ezio Auditore non ne aveva mai avute prima. Una donna che non avrebbe potuto dimenticare.

Tutte balle che ha raccontato a se stessa. Al momento in cui lui è partito, dopo tutto, Rosa lo sapeva. Sarebbe rimasta a malapena un nome, la vaga traccia di profumo nella sua memoria. Mentre Ezio, per lei, era tanto di più. Così tanto che sentiva il cuore tremare ogni volta che il pensiero di lui la sfiorava.

Maledetto Auditore, va' all'inferno e fatti infilzare dalle picche di mille diavoli danzanti.

Ecco. A pensarci bene c'è il nome di sua madre, Graziana. Ma chi darebbe alla propria figlia il nome di una puttana?

La ricorda, stretta in abiti slabbrati come la sua pelle, che tenta di disegnarsi un sorriso sul volto con il belletto. E' morta pochi anni fa, consumata da quel mestiere che per lei non è mai stato una scelta. Rosa non era con lei in quel momento, comunque. Non le ha parlato molto da quando è entrata a far parte del gruppo dei ladri di Antonio De Magianis. Ha preferito dimenticare il bordello dove è cresciuta e ha rischiato di finire anche lei. Sua madre non gliene ha mai fatto una colpa, dopo tutto.

Potrebbe dare alla bimba il proprio stesso nome. Piccola Rosa. Rosellina. Già immagina gli altri bambini dei vicoli tirarle i capelli e prenderla in giro. Torna nell'aiuola, Rosellina! No...lei deve avere un nome forte. Qualcosa di breve, femminile ma non pieno di miele. Qualcosa come...

Argh, no. Non le viene in mente nulla, e si prende la testa tra le mani. Le tempie pulsano, e la bambina piange, piange...anche se mezzogiorno è passato da un pezzo ormai, e l'ha allattata, fatto fare il ruttino e cambiato le fasce...continua a piangere, dannazione!

“Piantala.”

Muove avanti e indietro la culla, in un gesto nervoso, troppo brusco. Il pianto si fa più forte.

“Ho detto piantala, maledizione!”

“Urlarle contro non mi sembra una grande idea.”

Rosa alza gli occhi sulla soglia della stanza, per trovarvi Ugo. Ha le braccia incrociate, lo sguardo nei suoi occhi scuri e inclinati verso il basso non le piace per nulla. C'è dolcezza in quegli occhi. Tristezza. E un po' di pietà.

“Fatti i cazzi tuoi.”

“Sicura di non avere bisogno di aiuto?”

“Vattene via, Ugo! Chi ti ha chiesto niente? Me la cavo benissimo da sola.”

“Già, si vede.”

La sua disapprovazione è quello che la manda in bestia, più di tutto. Sì, disapprovazione...per lei. Per la sua scelta di andare con Ezio. Per il modo in cui ne sta gestendo le conseguenze.

Però Rosa non se lo merita. Fa quello che può. E' negata, ma ci prova, e poi...porca merda, non la voleva nemmeno questa figlia, non la voleva!

Prende in braccio la neonata con meno riguardo di quel che dovrebbe, la stringe a sé mentre urla più forte, e con un'ultima occhiata furente a Ugo esce dalla stanza.

Mentre divora il corridoio a grandi falcate, ripassa mentalmente tutte le imprecazioni che conosce. No, vabbè...però lo sa, che lui lo fa con affetto. Le è stato vicino durante la gravidanza, è stato tanto paziente...e dire che pochi anni fa, quando le ha dichiarato il suo amore, lei lo ha respinto, e non certo con gentilezza. Eppure, è rimasto lì in silenzio, sempre dalla sua parte, sempre suo amico nonostante tutto.

Sarebbe stato così semplice, innamorarsi di Ugo. Se solo Rosa avesse potuto avere una parola a riguardo, se avesse potuto togliersi Ezio dalla testa come scacci un insetto rimasto impigliato per sbaglio tra i tuoi capelli...

Ma non è qualcosa che scegli, l'amore. Ti coglie con le difese abbassate, e Dio, quante stronzate ti fa fare. E ora che ha fatto le sue stronzate Rosa è sola, con una figlia da tirare su in mezzo a un consesso di ladri e manigoldi, e la bambina senza nome piange, piange, e non sa quanta voglia avrebbe sua madre di scoppiare a piangere e farsi cullare da qualcuno...

Già alla fine del corridoio il suo passo si è fatto più calmo. Povero Ugo, lui cerca di aiutarla. Dovrebbe chiedergli scusa, è solo che è così stanca in questi giorni e non ragiona, e...quello stronzo che l'ha abbandonata le manca da togliere il fiato. Ma non è colpa del suo amico, né della bambina. Dopo tutto, non è colpa nemmeno di Rosa. E' che si fanno scelte, e non sempre si possono prevedere le conseguenze. Bisogna solo tirarsi su le maniche e trovare il modo di andare avanti...

In accordo con il lento tranquillizzarsi di sua madre, anche la piccola sembra placarsi. Dopo qualche grande singhiozzo, inghiotte il pianto e inizia a piagnucolare piano. Poi sbadiglia. Poggia la testa sulla sua spalla. E crolla addormentata.

Rosa guarda sorpresa la testolina coperta di peluria scura. Attenta a non toccare la fontanella ancora morbida, vi lascia sopra un bacio e un sorriso.

“Piccola figlia di puttana” mormora, senza smettere di cullarla.

 

La porta sul tetto del palazzo. Per la via canonica, che avete capito? Non è così pazza da arrampicarsi con una bambina di una settimana tra le braccia. C'è una scala un po' stretta da affrontare, ma non è niente di che: loro due sono donne dure. E quando uno scorcio del cielo su Venezia si apre su di lei, in quello sfolgorante giorno di primavera, Rosa si sente rinascere. Aveva bisogno di un po' di luce. Forse, è tutto quello che le serve per sentirsi un po' meno sola, e un po' meno in trappola.

Si siede, le gambe incrociate in quella solita posa maschile, ma comoda. Continua a cullare la neonata addormentata, mentre guarda le calli e i canali spiegarsi sotto il suo sguardo, pieni di promesse, di crimini, di illusioni e opulenta bellezza.

Inclina un poco il viso, per baciare la guancia di sua figlia.

“Devi diventare forte, perché lo sai, questo mondo non ha pietà. Soprattutto per chi vive al limite delle strade. Soprattutto per le donne...tutte, figurarsi quelle che vivono pure al limite delle strade, come me e te.” La bimba continua a dormire, succhiandosi il pugno, ignara dell'importanza di ciò che sua madre le sta dicendo. Eppure, Rosa prosegue: “E' per questo che devo darti un nome da combattente. Così potrai sempre prendere forza dalla persona che sei.”

“Mi sembra un'ottima idea.”

La voce profonda che la sorprende alle spalle non è quella di Ugo...anche se sarebbe capace di averla seguita per scusarsi, è proprio tipico di quel cretino scusarsi perfino per uno sguardo. Eppure non si tratta di lui. Non è nemmeno Antonio, che è impegnato nella pianificazione di una missione complessa...no. L'uomo che ha parlato è Bartolomeo d'Alviano.

Il gigante porta sulle spalle quella sua enorme spada, a cui parla sempre come se fosse una persona. Rosa non è stupita, lo vedono spesso a Palazzo della Seta in quel periodo. La sorprende che sia lì, però, su un tetto pieno di calcinacci dove non c'è nulla di interessante.

“Passavo, e volevo vedere la piccoletta. T'ho cercata in lungo e in largo, poi, be', Ugo mi ha detto che probabilmente ti avrei trovata qui.”

Fottuto bastardo, pensa con un sorriso. Sai sempre dove sono, anche quando voglio nascondermi da te.

Bartolomeo si sfila il fodero dalle spalle: altrimenti, non riuscirebbe a sedersi agevolmente. Si porta la lunga spada sulle ginocchia, accarezzandone l'elsa con affetto. La tratta con lo stesso riguardo che Rosa usa per sua figlia. L'omaccione si sprimaccia i baffi, osservando la neonata tra le braccia della ladra con una sorta di reverente ammirazione.

“Allora, come l'hai chiamata?”

“Non lo so. Non ha ancora un nome.”

Come?

Rosa si stringe nelle spalle. “Non è mica una cosa facile, sai.”

“Hai avuto nove mesi, e non hai pensato a uno straccio di nome?” L'idea sembra divertirlo. Ride di gusto, sfiorando appena la guancia della neonata con il pollice come se avesse paura di farle male.

“Scusami tanto se ero impegnata a cercare di tenermi in piedi con le caviglie gonfie, la schiena a pezzi e una pancia che era grande quattro volte la tua testaccia dura.”

“Immagino tu non la voglia chiamare come tua madre?”

Rosa scuote la testa, e con la mano libera si toglie la cuffia che le comprime i corti, spettinati capelli neri. “No. Ci ho pensato. Voglio che abbia un nome forte.” Posa gli occhi sull'elsa della spada.

“Tu sei bravo a dare i nomi alle cose. Trovalo tu un nome per mia figlia.”

Bartolomeo ridacchia, ma questa volta è con lieve imbarazzo. “Ragazzina, non funziona così. Non tiro giù i nomi dal cielo...” Le grandi manone del guerriero accarezzano ancora una volta il fodero che contiene la lama. Porca vacca, è alta quasi quanto un uomo. “Sono loro che ti sussurrano il proprio nome.”

Rosa storce il naso. “Ho già provato questa tattica. La piccoletta fa solo rutti e altri suoni poco gradevoli, non mi sembra carino battezzarla così.”

Rimangono in silenzio per un po', fianco a fianco. Il respiro della bambina resta pesante, è interrotto solo ogni tanto da un borbottio.

Poi, Bartolomeo sorride e perde lo sguardo nell'orizzonte.

“Sai, ho ricevuto la mia Bianca come dono da parte di mio padre, il giorno del mio dodicesimo compleanno.”

“E si è subito presentata, immagino.”

“Oh, no. Non subito.” Il gigante scuote la testa, come a scacciare gentilmente la sua intrusione nel ricordo. “A dire il vero, è l'unica arma che ho battezzato così per un motivo particolare.”

Rosa aguzza l'udito, guardando il viso dell'alleato che le siede così vicino, eppure ora sembra lontanissimo da lei, perso nel passato.

“Mi riderai in faccia se te lo dico, ma giuro su Dio che allora ero un ragazzino gracile. Già, puoi scommetterci: avevo due alette di pollo al posto delle braccia, nemmeno riuscivo a sollevare un sacco di farina. Eppure, desideravo più di ogni altra cosa prendere la strada delle armi e rendere orgoglioso mio padre...lui non aveva mai smesso di credere in me. Mi incoraggiava sempre. Fu per questo che mi regalò una spada più grande di me.” Sorrise. “L'aveva fatta venire da un posto lontano, una terra a Nord, un regno chiamato Scozia1. Prima di me l'aveva impugnata un grande condottiero che aveva cercato di liberare la sua gente, più di un secolo fa. Quell'uomo era caduto con onore, combattendo per la libertà. Mio padre mi disse che dovevo fare onore alla sua arma, e diventarne degno.”

Tiene le dita poggiate sull'elsa, ora, con la stessa delicatezza con cui un marito sfiorerebbe la guancia di una moglie molto amata. Che strano uomo, Bartolomeo d'Alviano, pronto ad amare un'arma come e più di una persona.

Ma forse non così tanto strano. Dopo tutto, in quella lama ha messo parte della propria anima. Amare lei significa amare l'ardore guerriero che gli brucia dentro da sempre.

“Mi allenai duramente per dieci anni: prima per essere in grado di tenerla in mano, poi per farla cantare. Con il tempo e l'allenamentole mie alette di pollo divennero le braccia di un uomo. Il giorno in cui riuscii a sconfiggere in addestramento mio padre, le diedi questo nome. Bianca. Perché lei era la pagina bianca su cui avrei iniziato a scrivere il mio destino, da quel giorno in avanti.”

Rosa pende dalle labbra del gigante: per i pochi minuti del racconto, è tornata bambina e ha schiuso la bocca con stupore. Quando se ne rende conto, tenta di trincerarsi dietro un'espressione scettica. “Perdio, Bartolomeo! Quanto sei sentimentale.”

Ma è tardi. Il guerriero sa perfettamente di averla incantata. Si limita a stringersi nelle spalle. “Anni più tardi, ho scoperto una cosa interessante. Il nome antico della Scozia è Alba. In latino, vuol dire bianca2.” Si gratta i baffi, con una smorfia compiaciuta a tirargli le labbra. “Coincidenze? Io non credo. La mia implacabile dama mi aveva sussurrato il suo nome, solo che io all'epoca non l'avevo capito.”

Rosa lo fissa in silenzio per qualche istante: poi, volge lo sguardo sui piedi.

“E' un nome pieno di forza.”

“E molto femminile” approva Bartolomeo, dando l'ennesima pacca sul fodero come a rimarcare la bellezza della sua spada straniera.

Bianca. La pagina bianca su cui scrivere il proprio destino.

Sì, questo le piace. Nessun legame con il passato. Nessuna eredità o fardello da portare sulle spalle. Solo lei stessa, con le sue scelte e i suoi desideri. Ascolta il respiro regolare di sua figlia, guarda la piccola schiena alzarsi e abbassarsi sotto la propria mano. Solo la libertà di essere chi vorrà essere, con coraggio, con dignità.

Quella riflessione viene interrotta da un tossicchiare educato, che proviene dalla porta. Rosa si volta. Sulla soglia c'è Ugo.

“Volete che vi serviamo la cena qui?” La sua espressione è ironica, ma anche quando vorrebbe essere pungente il giovane ladro non riesce a non risultare dolce. E' per questo che Rosa gli vuole così bene. Bene e basta: ma di quel genere immenso che non può mai avere fine.

Si alza in piedi, andandogli incontro con un sorriso. La gente normale chiederebbe scusa, e forse Rosa dovrebbe farlo...ma sa che non è strettamente necessario, adesso. Ha una notizia più urgente da comunicargli.

“Ugo, devo presentarti qualcuno.”

Le sopracciglia castane dell'uomo si aggrottano.

“Dimmi che non hai iniziato anche tu a dare i nomi alle armi.” Scocca un'occhiata complice e divertita a Bartolomeo. “Ti ricordo che tua figlia avrebbe una precedenza di battesimo.”

Rosa non può fare a meno di ridere. Gli dà quello che nelle sue intenzioni voleva essere un delicato buffetto sul braccio: in realtà, a giudicare dal rumore, probabilmente gli lascerà un bel livido.

“E' proprio lei che ho ti sto presentando, cretino.” La neonata arriccia le labbra in una smorfia. Si sta svegliando, oppure sogna ancora? Sua madre le accarezza i capelli, e con un gorgoglio contento la piccola sistema la guancia più comodamente sulla sua spalla e riprende a dormire della grossa.

“Lei è Bianca.” Si volta verso Bartolomeo, che la guarda con gli occhi scintillanti di orgoglio. Forse non si aspettava tanto onore, o forse è così fiero della sua spada-sposa che quella loro improvvisa promozione a padrino e madrina della bambina semplicemente lo ha commosso. Rosa non lo sa, ma in ogni caso gli risponde con un grande sorriso. “Bianca, ti presento gli uomini. Sono un po' balordi e sconclusionati alle volte, perciò impara fin da ora a rimetterli in riga, d'accordo?”

Segue un versetto assonnato che suona come un'approvazione. Bartolomeo e Ugo ridono.

“Certo, ascolta pure tua madre, Bianca” la rimbecca Ugo “e saprai come una vera donna non deve mai comportarsi! Piuttosto, impara a farci gli occhi dolci.”

“Bravo, dalle subito delle idee” borbotta scherzosamente Bartolomeo “Così di qui a due anni sarà già capace di rigirarti intorno a un dito!”

Ugo sospira esageratamente. “Troppo tardi, amico mio! Già lo fa, e nemmeno è capace di stenderlo, quel dito.”

Continuano a scambiarsi tranquille facezie mentre scendono le scale, abbandonando il freddo del tetto per il calore del bel palazzo che hanno strappato alla famiglia Barbarigo. Rosa li ascolta con un sorriso segreto a incurvarle le labbra, quel sorriso che appartiene a tutte le donne quando ascoltano gli uomini dire o fare qualcosa che li rende irrimediabilmente stupidi e teneramente adorabili. E quando, prima di andare a cena, poggia la figlia addormentata nella culla, la giovane madre non può fare a meno di accarezzarle i capelli e la guancia paffuta. E pensa:

Sì: tu sarai Bianca, e sulla tua pagina solo tu potrai scegliere cosa scrivere. Tua madre è una ladra e tuo padre...eh, sa il diavolo se lo conoscerai mai. Ma tu fregatene di noi, di quello che siamo, degli errori che abbiamo commesso. Prendi la penna e scrivi la tua storia. Decidi tu cosa mettere sul tuo bianco: se scriverai fitto fitto, se ci dipingerai un quadro, se ci verserai sopra macchie di inchiostro, dipende soltanto da te. Diventa chi vuoi diventare, e non avere mai paura. Qualsiasi cosa tu voglia fare di quel foglio...io ci sarò.

Poi la ladra spegne la candela, e lascia la stanza nella semi-oscurità. Esce, per andare a cenare con i suoi amici e compagni. Attraverso la porta aperta, le candele nei corridoi riflettono le luci degli opulenti candelabri, mandando riflessi spezzati a danzare sul muro sopra la culla. Quelle piccole luci fendono appena il buio, e quando la bambina si sveglierà non ne sarà inquietata. Anzi, la conforteranno, con le loro ali tenui che sfrigolano nel buio, simili a falene pronte a svanire con l'alba.

Bianche, anche loro.


 

Fine.


Note

1Non a caso, Bianca la spada è in più punti paragonata a una spada Claymore scozzese, la stessa che pare possedesse William Wallace. Mi perdonate il collegamento azzardato con il mio amato Braveheart? ^_^

2In realtà, le due parole non sono strettamente correlate. L'unica cosa che so per certo è che “Alba” significa Scozia in gaelico scozzese: non sono riuscita a rintracciarne l'etimologia precisa però. “Albion”, nome antico attribuito all'Inghilterra, ha invece una stretta correlazione con l'aggettivo latino “albus”, o così parrebbe: descriverebbe infatti le bianche scogliere di Dover.

   
 
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