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Autore: Laylath    18/06/2013    8 recensioni
Il comandante supremo Roy Mustang fissò la luminosa Central City, poco distante da quella villa di campagna. Si sedette sul davanzale di marmo, col vassoio davanti a lui ed iniziò a mangiare quelle tartine al caviale… così piccole che il sapore lo sentivi appena. C’era una strana perversione nel cibo delle persone ricche: più erano altolocati più le porzioni erano piccole.
Breda non avrebbe approvato… decisamente no.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Tartine al caviale.
Il Comandante Supremo Roy Mustang ne prese una dal vassoio d’argento che il cameriere in livrea gli porgeva e se la portò alla bocca con un gesto elegante. Sentiva su di sé gli occhi di decine e decine di alti dignitari, ambasciatori, nobiltà, alte cariche dell’esercito: tutti sorridevano, tutti annuivano, ipocritamente fieri della grande prosperità che Amestris stava vivendo. In realtà erano così gongolanti solo perché in quella prosperità ci sguazzavano anche loro, ma nessuno aveva mosso un dito di sua spontanea iniziativa quando la situazione era difficile, quando solo lui e pochi altri avevano lottato come dannati per riportare in vita Ishval.
Ma la classe alta di Amestris, eccetto rare e lodevoli eccezioni come gli Amstrong, era particolarmente portata all’autocompiacimento. E quella villa, in cui si stava svolgendo il ricevimento per festeggiare la stipulazione di un trattato di pace con Drachma, era la perfetta rappresentazione di quel mondo di naftalina con cui il neo Comandante Supremo era costretto ad avere a che fare troppe volte al mese.
Al contrario del suo predecessore, Mustang, dopo alcuni anni particolarmente delicati, si era aperto nei confronti di quella classe ricca e civile troppo a lungo estromessa dal potere. Un gesto intelligente e che si stava rivelando molto conveniente per il paese, finalmente libero da una dittatura troppo opprimente.
Ma c’era qualcosa, in quelle feste, in quei ricevimenti, che gli dava profondamente fastidio.
Mentre pensava a queste cose si accorse che la maggior parte delle persone aveva finalmente deciso di volgere la propria attenzione sull’orchestra che stava accennando un nuovo ballo.
Stanco delle buone maniere, il Comandante Supremo si allontanò verso una delle porte finestre che davano sui balconi poco illuminati. Intercettò un cameriere con il vassoio delle tartine al caviale e glielo prese di mano.
“Grazie mille, amico. Sono certo che in cucina ne hanno un altro di riserva. Questo lo prendo io” disse con una strizzata d’occhio a quel giovane in livrea troppo sconvolto da quel gesto e quelle parole che gli erano state rivolte dalla più alta carica di Amestris.
Guadagnato quel balcone così tranquillo, dove la musica e il mormorio delle persone sembravano così lontani, Roy fissò la luminosa Central City, poco distante da quella villa di campagna. Si sedette sul davanzale di marmo, col vassoio davanti a lui ed iniziò a mangiare quelle tartine… così piccole che il sapore lo sentivi appena. C’era una strana perversione nel cibo delle persone ricche: più erano altolocati più le porzioni erano piccole.
Breda non avrebbe approvato… decisamente no.
Avrebbe sostenuto che i ricchi non sanno nemmeno improvvisare una cena come si deve. E Roy non avrebbe potuto che dargli ragione.
Tartine al caviale… con un sorriso i suo pensieri corsero a quella sera di nemmeno dieci anni prima.
 
Un vecchio attico abbandonato nella periferia di East City, due intere giornate passate a controllare un individuo che poi si sarebbe rivelato perfettamente inutile… uno dei peggiori buchi nell’acqua della sua brillante carriera militare: per fortuna non era saltato fuori nulla tra i ranghi dell’esercito ed era rimasto tutto all’interno della sua fidata squadra.
L’unico danno, oltre alla ferita all’orgoglio, era stata la perdita di quarantotto ore, passate in quella soffitta polverosa che sembrava così piccola per contenere la sua squadra. Ma gioco forza c’erano stati tutti: forse non erano mai stati a così stretto contatto fisico come in quei due giorni.
Si ricordava perfettamente la loro disposizione: il tenente ed Havoc alle due piccole finestre con le loro armi pronte accanto; Fury che occupava metà del pavimento con la sua radio, pronto a captare il minimo segnale da parte del loro osservato speciale; lui e Falman seduti al piccolo tavolo con davanti la pianta dell’abitazione nemica, studiando le possibili vie di fuga; ed infine Breda davanti alla porta, pronto a dare l’allarme o correre in strada se il loro pesce avesse tentato di fuggire.
A pensarci anni dopo, la situazione era completamente ridicola, ma allora erano giovani, idealisti e l’adrenalina era sempre alle stelle… almeno per le prime ventiquattro ore.
“Colonnello, ci siamo! – aveva esclamato Fury all’improvviso, alzando il volume della radio – Il nostro pollo sta parlando al telefono”
“Come hai potuto dimenticare che i miei sarebbero venuti a cena!”
Si ricordava perfettamente questa voce femminile, profondamente arrabbiata, che era esplosa dalla radio lasciandoli tutti sconcertati. E la discussione tra marito e moglie era proseguita tra insulti e recriminazioni alle rispettive famiglie… dieci minuti di telefonata infuocata che erano sfociati anche in accuse reciproche nelle performance a letto.
Alla fine, quando era risultato chiaro che avevano palesemente preso un grosso granchio, erano rimasti a guardarsi tra di loro per diversi imbarazzanti minuti. Non si ricordava chi avesse spezzato quella situazione scoppiando a ridere, probabilmente Havoc… sì, decisamente lui, perché ricordava come la sigaretta gli fosse caduta di bocca mentre si piegava a terra scosso dalle risate. Ed era stato così contagioso: nell’arco di pochi secondi erano tutti a lacrime, come scolaretti. Persino il tenente si era unita all’ilarità generale.
Era ormai tardi e non si sa come avevano deciso di non buttare completamente all’aria quella nottata: così Breda era uscito, tornando circa mezz’ora dopo con delle buste cariche di roba da mangiare
“Signori, stasera il prestigioso ristorante “l’attico dell’attesa infinita” è orgoglioso di offrire ai suoi clienti le tartine al caviale accompagnate da ostriche e champagne”
In realtà si era messo a preparare dei sandwich con dentro di tutto e lo champagne era stato sostituito da delle bottiglie di birra.
Ora, non riusciva a ricordare che cosa tutto ci fosse in quei panini, preparati in quel tavolo ancora ingombro di mappe, ma il sapore che esplodeva in bocca era indimenticabile. Erano così pieni che ad ogni morso si rischiava di provocare tremende fuoriuscite di qualsiasi ingrediente… e difatti la piantina su cui avevano tanto lavorato lui e Falman ben presto fu riempita di macchie. Tanto l’unica utilità che poteva avere era fungere da tovaglia per quella cena improvvisata.
Che poi l’avessero finita a raccontare cavolate, a ridere e a scherzare, facendo anche l’imitazione della telefonata sentita poco prima, era un finale scontato.
All’epoca lavoravano insieme già da tempo, ma non era mai capitato loro di passare una serata di svago tutti insieme: forse, organizzata in diversa maniera, la cosa li avrebbe messi a disagio. Ma era nato tutto in maniera così spontanea che nessuno si preoccupava più del grado dell’altro tanto che, persino il tenente stava tranquillamente seduta in quel divanetto, accanto a Breda e lo aiutava a preparare quelle mostruosità culinarie.
Di certo avevano alzato il gomito con il bere: lui si era svegliato la mattina successiva con un mal di testa di notevole portata, frutto anche della tensione delle ore precedenti, quando ancora credevano che la missione fosse seria.
Tutti gli altri dormivano ancora e lui si era soffermato a guardare quelle cinque persone nei loro giacigli improvvisati. Il tenente stava su un angolino del divano, usando un bracciolo come cuscino: diverse ciocche bionde erano sfuggite al controllo del suo fermacapelli e le ricadevano sulla maglietta nera come spighe di grano; il suo viso era sereno, privo di quella marzialità che lo caratterizzava durante le ore di lavoro, e l’espressione era delicatamente infantile.
Accanto a lei, russava Breda posato pesantemente contro lo schienale del divano. La testa era inclinata a destra ed i capelli rossicci erano spettinati; era una fortuna che il sottotenente avesse il sonno pesante perché posato sulla sua gamba dormiva Black Hayate. Forse quella era l’unica occasione in cui Breda era stato così vicino al cane del tenente Hawkeye.
Dall’altra parte del tavolo, sul divanetto gemello, c’era un maresciallo Falman insolitamente rilassato nella sua posizione semisdraiata su metà del divano. L’altra metà era occupata da Havoc che aveva posato le braccia incrociate sul bracciolo del mobile e aveva la testa bionda mezzo sprofondata su quel nido improvvisato.
Fury si trovava originariamente tra loro due, ma poi era finito a terra e ora dormiva raggomitolato su se stesso, gli occhiali scivolati sulla punta del naso… ovviamente Breda ed Havoc l’avevano fatto bere troppo.
Non l’avrebbe mai detto loro, e del resto non ce ne sarebbe stato bisogno, ma erano le persone a cui teneva di più al mondo. Si vedevano quotidianamente da anni e a volte capitava che fossero stanchi uno dell’altro, ma se fosse successo qualcosa ad uno di loro non se lo sarebbe mai perdonato.
Erano quei cinque il suo vero sostegno, la forza propulsiva che lo spingeva a portare avanti i suoi ideali. Erano tutti soldati eccezionali, ciascuno il migliore nel suo campo: ma la cosa che più importava è che credevano sinceramente in lui, al di là del suo rango, della sua alchimia, della sua fama.
Erano la sua vera famiglia, la sua motivazione. Un giorno sarebbe arrivato in alto, insieme a loro…
 
“Signore, che ci fa qui? La gente si chiederà che fine avrà fatto il Comandante Supremo” a ridestarlo da quei pensieri fu la voce gentile del Maggiore Hawkeye.
Riscuotendosi, il Comandante Supremo si accorse che davanti a lui il vassoio di tartine al caviale era ormai vuoto. Aveva viaggiato nei ricordi più del previsto. Fissò la sua fedelissima assistente, così perfetta nella sua divisa e niente fuori posto nei corti capelli biondi.
Ma come erano belle quelle ciocche sfuggite dal tuo fermacapelli… come eri serena mentre dormivi in quel divano, accanto a Breda.
“Queste tartine al caviale… - mormorò – non riesci nemmeno a sentirne il sapore”
Lei sorrise con indulgenza
“Se vuole le cerco qualcos’altro di suo gradimento, signore”
“Maggiore, te lo ricordi quel ristorante così esclusivo a cui siamo andati una volta? – sorrise mentre scendeva da quel davanzale – Si chiamava “L’attico dell’attesa infinita”… e c’era un cuoco d’eccezione”
“L’attico dell’attesa… oh, quella vecchia storia? Credevo che l’avesse rimossa, considerato il fallimento di quella missione”
“La missione sarà stata anche un fallimento, ma non credo di aver mai più cenato così bene”
“Sandwich enormi e birra” annuì lei
“Credi che se li proponessimo come menù per il prossimo ricevimento, tutta questa gente con la puzza sotto il naso rimarrebbe scandalizzata?”
“Probabile, signore” sorrise Riza
“Ricordami il motivo di questa festa, Maggiore” sospirò Roy, dopo qualche minuto, fissando pensieroso il vassoio vuoto
“Stiamo festeggiando il trattato raggiunto con Drachma, signore. Ne deve andare molto fiero”
“Festeggiare… E sia. Vieni, andiamo via da questo posto!”
“Ma signore!” protestò lei, mentre il suo superiore scavalcava il balcone e si lasciava cadere abilmente nel giardino sottostante. Meno male che la festa si svolgeva al primo piano.
Con un sorriso, ignorando bellamente le proteste della sua assistente, che nonostante tutto l’aveva seguito nello scavalcare il davanzale, si diresse all’ingresso della villa. Entrò nel casotto del custode che rimase incredulo a fissarlo.
“Potresti uscire un secondo, - gli disse Roy, prendendo la cornetta del telefono – devo fare una telefonata urgente”
“Ma… ma certo, Comandante” balbettò lui eseguendo gli ordini.
“Ma che succede, signore?” protestò Riza accanto a lui
“Lascia fare a me…”
“Qui Heymans Breda”
“Salve, parlo con il grandioso cuoco del prestigioso ristorante L'attico dell’attesa infinita?”
“Eh? Oh, capo è lei. Il ristorante… ahaha! Ma che storia ritira fuori? Che c’è? Il cibo dei nobili fa schifo?”
“Tartine al caviale, sai… stomaco delicato...”
Dio me ne scampi da tutti loro… E’ il capo, ragazzi, a quanto pare la festa a cui partecipa è veramente monotona e deludente
“Ah, ci sono anche gli altri?”
Sì, siamo tutti a casa mia… e non mangeremo di certo tartine al caviale”
“Tartine a che?… oh ma che si fottano questi ricchi!” la voce di Havoc arrivò dall’altra parte del ricevitore.
“Hai toccato il punto dolente, Havoc. Praticamente non sto festeggiando niente ed il mio stomaco brontola… Senti, Breda, se, diciamo…uhm tra mezz’ora, io e il Maggiore Hawkeye arriviamo a casa tua, ci fai trovare una cena decente?”
Il ristorante L'attico dell’attesa infinita riaprirà per l’occasione, capo – sghignazzò lui– Ma la avviso, niente perfezione o brillantina nei capelli… quindi dica anche al Maggiore di sbottonarsi almeno un minimo la divisa, altrimenti niente birra
“Ottimo, allora prenoto due posti nel tuo scomodissimo divano… il tempo di arrivare. E se nel menù sono presenti i tuoi sandwich e la birra ne sarò molto felice!”
“Agli ordini, capo. Venite a festeggiare come si deve!”
“Appunto!”
Chiusa la chiamata il Comandante Supremo fissò con aria furba il Maggiore, mentre con una mano si scompigliava i capelli neri, liberandoli dalla brillantina che li aveva tenuti indietro per tutta la sera.
“Vieni Maggiore, andiamo a festeggiare con le persone che contano davvero”
E con sua grande soddisfazione Riza non protestò, anzi sorrise come non la vedeva fare da tempo.
  
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