Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |       
Autore: CowgirlSara    02/01/2008    18 recensioni
C’è una ragazza. Seria, sola, enigmatica forse. Ha preso decisioni importanti, eppure si sente fragile. Si difende con la dignità. Ma la sua vita non è una favola e forse non lo sarà mai. Essere investita da una macchina sembra solo l’ennesima sfortuna. Ma tutto sta in CHI c’è su quella macchina…“E quando sentirai questa canzone autunnale / Ricordati i tempi migliori stanno già arrivando…”
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autumn song - 1
Chi l’avrebbe mai detto, ho scritto un’altra ff sui Tokio Hotel ed è la numero 4! Beh, si vede che i nostri ragazzetti m’ispirano proprio! Niente da dire, sono assolutamente perfetti come personaggi da ff e – lo ammetto – stimolano tremendamente la mia fantasia!
Questa storia non so bene, ancora, quanto sarà lunga, anche se ho abbastanza chiaro il contenuto. È che ultimamente scrivo molto piano, quindi non vi assicuro nulla sui tempi di aggiornamento. Non voglio deludere nessuno, meglio mettere le mani avanti.

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono (ma guai a chi mi tocca i’ mi’ bambini!), così come gli altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.
La canzone che da il titolo alla storia e che è anche citata (tradotta) nell’intro è, per l’appunto, “Autumn Song” dei Manic Street Preachers. No scopo di lucro. Ascoltatela, è stupenda.

Adesso godetevi la lettura e mi raccomando commentate, ci tengo al vostro parere!
Un bacione!
Sara


1. Incidente in un giorno d’autunno

Bill Kaulitz era un ragazzo fortunato. Aveva talento, bellezza, popolarità. Collezionava dischi d’oro, esibizioni davanti a folle oceaniche e l’adorazione di fan in delirio. Ma quel giorno la vita sembrava girare per il verso sbagliato. E ancora non aveva idea di quanto.
Si era dovuto alzare presto, cosa che odiava. Aveva litigato con suo fratello ancora prima del primo caffè. Era talmente nervoso, poi, che si era dovuto rifare il trucco due volte, dato che gli venivano le righe storte. E poi gli giravano perché doveva fare un’intervista alla radio, da solo. Era vero, nelle interviste parlava quasi sempre lui, ma gli dava una certa sicurezza essere circondato dai suoi compagni; così, invece, si sentiva un po’ sperduto. Tom questo non lo capiva, diceva che era da scemi e per quello avevano litigato. In più, cazzo, davanti alla sede della radio c’era già un nutrito gruppo di ragazzine urlanti, le cui acute voci andavano a scontrarsi con il suo mal di testa. E faceva anche brutto tempo: cielo grigio plumbeo e pioggerellina fine e odiosa.
Bill, quando la macchina passò tra le due ali di fan, si calcò meglio il cappellino nero di lana sulla testa e infilò un paio di giganteschi occhialoni di Chanel, sprofondando con uno sbuffo ancora di più nel sedile di pelle. Non aveva proprio voglia di vendersi quel giorno.

L’intervista andò come previsto, alla fine prostituirsi non era poi così difficile: bastava ammiccare un po’, ridere a sproposito, svicolare ad arte le domande inutili sulla vita privata e sproloquiare sul nuovo disco in preparazione. Lezioncina conosciuta a memoria, ormai.
Il mal di testa di Bill, nel frattempo, si era però quadruplicato, nonostante l’aspirina che gli avevano procurato. E cominciava anche a ballargli pericolosamente l’occhio destro.
C’era, ad ogni modo, una cosa che non voleva assolutamente fare, quel giorno: sorridere per forza, essere strattonato e ascoltare urla e pianti delle sue fan.
“Saki.” Chiamò il cantante, mentre scendevano l’ultima rampa di scale; il body guard si voltò. “Non c’è un’altra uscita? Oggi non ho voglia di firmare autografi…”
L’uomo si rivolse ad un impiegato della radio, che li accompagnava, con espressione interrogativa; il ragazzo si girò verso Bill.
“Beh, c’è un’uscita posteriore, ma… la devo avvertire, Herr Kaulitz, c’è un po’ di gente pure lì…” Gli disse titubante.
“Merda!” Imprecò scocciato lui, braccia conserte. “Ma queste maledette stronze non hanno proprio un cazzo da fare?” Commentò poi stizzito. “Va bene, passiamo da dietro, saranno sempre meno che qui…” Fece poi, incitando l’impiegato a fare strada. “Saki avverti Hans.”
L’uscita posteriore della radio dava su un vicoletto dove non poteva passare una macchina e poi su una strada laterale, dove già li aspettava la loro auto. Lì, però, c’era anche un gruppetto di ragazze, circa una dozzina, che appena li videro uscire cominciarono a gridare a squarcia gola.
“Così attireranno le altre…” Commentò Saki. Bill lo guardò allarmato.
“Fammi solo salire in macchina!” Gli ordinò poi; l’uomo annuì, lo prese per le spalle e lo spinse avanti.
Le ragazze gli si fecero incontro appena loro uscirono dal vicolo, ma, grazie all’aiuto di un paio d’impiegati della radio, furono tenute abbastanza lontane da Bill, il quale stava sotto il braccio di Saki, silenzioso e imbronciato. E con gli occhiali ben calcati in faccia.
“Via, via, oggi niente autografi, ragazze!” Gridava nel frattempo l’uomo. “Bill non può fermarsi, niente foto, per favore!”
Lo sportello aperto del grande Suv grigio era la cosa più accogliente che Bill avesse visto quel giorno. Lasciò il fianco di Saki solo per infilarsi dentro quasi a tuffo, mentre la portiera si richiudeva sicura dietro di lui.
“Ma che sistema è?!” Gridò indignata una ragazza. “Noi siamo qui dalle sette di stamattina!”
“Mi dispiace, ragazze, sarà per la prossima volta.” Affermò un tizio della radio, mentre la macchina di Bill partiva.
“Col cazzo.” Fece un’altra ragazza, sussurrando ad un paio di amiche. “Ora prendiamo la macchina e lo seguiamo, svelte!” Le altre due annuirono convinte.

Bill, da quando erano in viaggio, si era notevolmente rilassato. Si era tolto il cappello e gli occhiali e aveva provato a chiamare Tom per fare pace. Sarebbe andato tutto bene, se quel merdaiolo di suo fratello si fosse degnato di rispondere!
Stava provando per la seconda volta, quando, su un incrocio, sentì una macchina dietro di loro strombazzare e poi voci concitate di donna. Si voltò sul sedile per guardare dal lunotto posteriore e vide una Panda verde pisello con dentro tre ragazze che si spenzolavano dai finestrini, pestando sul clacson e sventolando sciarpe dei Tokio Hotel. Il cantante sgranò gli occhi incredulo.
“Ci hanno seguito.” Affermò in quel momento Saki, controllando nello specchio retrovisore.
Bill guardò l’uomo, poi di nuovo fuori. “Ma dico… cazzo! Questa gente è pazza!” Commentò poi. “Seminale, Hans.” Ordinò quindi all’autista.
“Herr Kaulitz c’è traffico.” Replicò l’uomo. “È un casino, se poi arrivano multe…”
“Tranquillo, le pago io.” Lo rassicurò Bill con tono cupo, stava ancora controllando la situazione dal finestrino posteriore. “Ora vai!”
“Bill, io non credo…” Intervenne Saki, dal sedile del passeggero, voltandosi verso il cantante.
“Tu fatti i cazzi tuoi.” Ribatté il ragazzo interrompendolo.
“Io veramente sarei pagato per…” Tentò ancora il body guard.
“Tu sei pagato per fare quello che ti dico io.” L’interruppe ancora Bill, sporgendosi verso i sedili anteriori. “E io voglio che me le togliete dai piedi, capito?”
L’uomo, con espressione piuttosto offesa, si aggiustò gli occhiali sul naso e poi tornò a guardare avanti. Tanto lo sapeva che era inutile discutere con Bill quando faceva l’isterico.  
“Oh, bene!” Commentò soddisfatto il padroncino, incrociando le braccia e accomodandosi sul comodo sedile. “Andiamo, Hans.”
L’autista annuì, quindi ingranò la marcia e bruciò subito un semaforo che aveva tutta l’aria di stare per diventare rosso, con grande compiacimento del cantante.

Le grandi strade del centro non furono molto favorevoli alla fuga, quindi decisero di prendere qualche strada laterale; lo avrebbero fatto dopo la grande rotatoria che avevano davanti ora.
C’era abbastanza traffico ed era appena smesso di piovere. La macchina del cantante dovette soffermarsi per dare la precedenza, ma Bill spronò di nuovo l’autista ad una manovra azzardata. Entrarono nella rotatoria, scatenando i clacson delle altre macchine, poi svoltarono subito a destra.
“Attento! La ragazza!” Gridò Saki in quell’esatto momento.
“Quale ragazza?!” Esclamò Bill da dietro.
“Cazzo!” Sbottò Hans frenando bruscamente; questo non impedì il verificarsi di un botto sordo contro la carrozzeria, mentre Bill ruzzolava sul sedile posteriore. “Dio, l’ho messa sotto!”
“Cristo…” Imprecò piano Saki, scendendo al volo dalla macchina ormai ferma.
“Che è successo?” Domandò il cantante, rimettendosi seduto.
“Abbiamo investito una ragazza…” Rispose Hans preoccupato.
“Che cosa?!” Esclamò Bill, sporgendosi verso di lui.
“Hans, vieni!” Chiamò nel frattempo Saki dall’esterno del veicolo e l’uomo scese a sua volta.
Bill, a quel punto, incuriosito e preoccupato, decise di scendere dalla macchina. Aprì le sicure della parte posteriore dell’auto, indipendenti da quelle anteriori, e aprì lo sportello, scivolando lentamente fuori dell’abitacolo. Fece qualche timido passo verso Saki, che era fermo vicino al faro anteriore destro della macchina, e vide distesa a terra una ragazza dai lunghi capelli chiari.
Era pallida, con gli occhi chiusi e aveva una ferita abbastanza lunga sulla fronte che sanguinava, anche se non copiosamente. Vicino alla ragazza c’era uno zaino, vecchio e consumato.
“Saki…” Mormorò il cantante. L’uomo si girò allarmato, quando riconobbe la sua voce e gli andò subito incontro.
“Torna in macchina, Bill.” Gl’intimò secco.
“Ma… ma… quella ragazza…” Balbettò il ragazzo accigliato e preoccupatissimo, indicando la vittima dell’incidente.
“Va tutto bene, vai in macchina.” Gli disse l’uomo.
“Ma Saki è ferita!” Reagì Bill, continuando ad indicarla. “Avete chiamato l’ambulanza?!”
“Sì, la sta chiamando Hans, tu torna dentro.” Rispose lui, ma vedendo che l’altro non gli obbediva gli andò vicino e lo prese per un braccio, conducendolo allo sportello. “Vai in macchina.” Insisté, portandocelo quasi di peso. “Ho chiamato David, sta arrivando, tu resta qui e chiuditi.” Concluse, praticamente buttandolo sul sedile. Bill annuì ubbidiente, mentre il body guard chiudeva lo sportello.  

Dopo un’attesa che gli sembrò infinita, passata a sobbalzare ad ogni rumore ed a fumarsi il mezzo pacchetto di sigarette che gli era rimasto, Bill vide la portiera aprirsi di nuovo. La faccia tirata di David Jost, manager e produttore dei Tokio Hotel, spuntò nell’abitacolo.
“Cazzo! Ma che ti sei fumato? Tutte le piantagioni di tabacco del Kentuky!?” Furono le prime parole dell’uomo, che si ritrasse per far uscire il fumo che invadeva la macchina.
“Ho finito le sigarette…” Rispose il cantante, portandosi tremante l’ultimo mozzicone ancora acceso alle labbra. “David…” Chiamò poi, afferrando il manager per il collo della giacca. “…dimmi la verità, è morta?”
“No, Bill, non è morta.” Rispose l’uomo. “Ci sono i paramedici con lei adesso, non sembra grave.” Bill, a quelle parole, sospirò sollevato e prese un altro tiro. “Ascoltami adesso.” Continuò David, sollevando il mento del ragazzo. “Tu ora scendi da quest’auto, sali sull’altra e te ne vai a casa con Jürgen.” Bill annuì con aria spaesata. “E, inoltre, tu non eri su questa macchina.”
“Ma, David…” Tentò Bill, cui quel provvedimento sembrava inutile.
“Tu non eri su questa macchina, Bill.” Ripeté David con tono autoritario. Il ragazzo, seppur un po’ titubante, annuì. “Bene, adesso vai.”
Bill scese dall’auto e si avviò verso quella ferma a pochi passi dal suo sportello. Prima di salire lanciò un’occhiata verso il punto dove era la ragazza: la stavano giusto caricando sull’ambulanza.
“David.” Chiamò quindi.
L’uomo, che era davanti a lui e seguiva le operazioni di soccorso, si voltò di scatto, aggrottando la fronte in modo pericoloso.
“Ti ho detto di andare via!” Sbottò, mentre lo raggiungeva; lo prese per le spalle e lo fece salire a forza nell’auto già in moto.
“Mi terrai informato, vero David? Voglio sapere che cos’ha, come sta…” Supplicò Bill, accomodandosi nel sedile posteriore della Mercedes nera.
Il manager annuì, chiudendo lo sportello, ma Bill aprì il finestrino. La sua faccia era pallida e provata e aggrottò anche le sopracciglia, assumendo un’espressione penosa.
“Prometti che mi chiami, David?” Gli chiese con tono melodrammatico. L’uomo sospirò, mani ai fianchi, davanti allo sportello.
“Tranquillo, ti chiamo più tardi, ora chiudi il finestrino.” Rispose poi, spronandolo ad ubbidirgli, ma lui naturalmente non lo fece. “Parti, Jürgen!” Ordinò allora, battendo sul tetto dell’auto.
Il veicolo partì e l’ultima cosa che vide David, fu la faccia di Bill fissare sconvolta l’ambulanza che partiva. Scosse la testa e si preparò a rispondere alla polizia che stava arrivando. Forse era meglio chiamare l’ufficio legale.

Tom quella sera rientrò a casa verso le sette e mezza. I due fratelli avevano da poco acquistato un appartamento in uno dei quartieri più esclusivi di Amburgo. Si trovava in un palazzo abbastanza moderno ed occupava gli ultimi due piani dell’edificio.
Il ragazzo salutò Horst, l’uomo di mezz’età che faceva il turno di pomeriggio in portineria e si diresse all’ascensore.
Lì non c’erano campanelli, il portone si apriva solo dall’interno e se non avevi le chiavi dell’ascensore e della porta ti dovevi far annunciare dal portiere col citofono. Passavano solo gli autorizzati. Era una norma di sicurezza, ci abitava solo gente di un certo livello in quel palazzo.
Tom arrivò in casa poco dopo, ma trovò il salotto curiosamente silenzioso, eppure sapeva di sicuro che Bill era tornato lì. Attraverso l’arco dell’atrio vide che c’era la luce accesa in cucina, così andò lì, ma, anche stavolta, non trovò il fratello.
Nella grande, funzionale ed elegante cucina c’era solo Frau Hildegard, la governante che Bill aveva assunto appena rientrati dal tour europeo. «Ne abbiamo bisogno, Tomi» gli aveva detto Bill e lui, seppur un po’ recalcitrante, aveva accettato. Era suo fratello che sapeva come si doveva gestire la casa, a lui fregava poco e nulla; però non gli dispiaceva che tutto fosse a posto e la cena pronta quando tornava stanco.
Frau Hildegard era un donnone tipicamente germanico: alta, robusta, con un preciso chignon di capelli chiari e gli occhi attenti e azzurri. Insomma, aveva la stazza di un cacciabombardiere e la stessa implacabile efficienza della famigerata Luftwaffe.
A Tom metteva un po’ di soggezione. Senza contare le assurde leggende che aveva sentito su di lei giù in portineria. Se l’ipotesi che una giovanissima Hildegard avesse servito l’ultimo pasto di Hitler nel bunker pareva giustamente un po’ campata in aria, dato che sembrava troppo giovane per averlo fatto, cosa dire della possibilità che avesse partecipato alle Olimpiadi di Helsinki con la squadra di getto del peso della Germania Est? Oppure del fatto che avesse lavorato per un principe ungherese parente del conte Dracula? Chissà…
“Frau Hildegard, ma è ancora qui?” Domandò il ragazzo fermo sulla soglia della cucina.
“Oh, Herr Tom, buonasera!” Lui rispose al saluto con un cenno. “Ha saputo cosa è successo?” Gli chiese poi la donna.
“Sì.” Rispose lui atono.
“Sa, ho visto suo fratello un po’ agitato ed ho pensato di rimanere, se aveva bisogno…” Spiegò la governante.
“Ah, grazie, è stata gentile.” Fece Tom con sincera riconoscenza; se conosceva Bill ce n’era stato davvero bisogno. “Lui dov’è ora?” Domandò quindi.
“Di sopra, in camera sua.” Gli disse la donna.
“Bene, grazie.” Annuì il ragazzo, facendo per uscire, poi però si girò di nuovo verso di lei. “Se ora vuole andare, per me è libera, tanto sono tornato io.”
“Molto bene, Herr Tom.” Affermò Hildegard con tono pratico. “Vi ho lasciato la cena nel forno.”
“Grazie ancora.” Fece lui, prima di uscire dalla cucina e dirigersi alle scale.

L’ampia scala era situata proprio alla destra della porta d’ingresso, nel grande atrio quadrato; portava ad un ballatoio che si affacciava per tre lati sul piano sottostante. Tom salì e si diresse in fondo al lungo corridoio, dove era la camera di suo fratello.
Il ragazzo aprì la porta della stanza di Bill senza bussare e fu investito da una nuvola di puzzolente fumo grigio degna di qualche acciaieria dell’ovest.
“Cazzo!” Imprecò Tom, dirigendosi risoluto alla finestra più vicina, sperando così di far uscire al più presto il fumo e ristabilire un’atmosfera respirabile. “Bill, ma che cazzo fai?!” Esclamò poi.
Tom, dopo aver aperto la finestra, si era girato verso il letto. Lì c’era Bill, seduto a gambe accavallate contro la sponda inferiore ed era conciato da far pietà: capelli sconvolti, cicca tra le dita tremanti, trucco colato, una scatola di cleenex sulle ginocchia e, accanto a lui sul materasso, un grande posacenere nero da cui spuntava un piccolo Everest di mozziconi di sigaretta…
“Billy, si può sapere che ti è preso?” Gli domandò il fratello, con più dolcezza, mentre si sedeva accanto a lui. Bill prese un lungo tiro dalla sigaretta che aveva in mano.
“David non mi ha chiamato…” Mormorò, poi tirò su col naso. “…lo so, non vuole dirmi che è morta, Tom!” Continuò poi piagnucoloso.
“Ma che dici!” Sbottò il fratello. “David ha detto che non ha niente di grave, un piccolo trauma cranico, niente di più…”
“Allora è in coma!” L’interruppe l’altro, voltandosi di scatto e tirando di nuovo su col naso.
“Ma che coma!” Reagì Tom. “Io vorrei sapere chi ti ha messo in testa queste stronzate…”
“È tutta colpa mia, Tomi!” Proclamò il gemello, sventolando il mozzicone. “Ho fatto una cosa terribile!” Aggiunse, partendo poi con un patetico lamento, mentre si piegava sulle proprie ginocchia singhiozzando.
“Vuoi farla finita, eh? Sembri la protagonista di una telenovela brasiliana!” Ruggì l’altro. “Dimmi un po’, ma hai bevuto per caso?”
Bill alzò lentamente il capo e lo guardò come se parlasse aramaico antico. “No… cioè, un bicchiere d’acqua, perché?” Fece poi.
“Boh… sembra che hai una di quelle sbronze piagnucolose…” Rispose vago il fratello.
“Ma tu non ti rendi conto!” Sberciò l’altro con un’insopportabile vocetta acuta. “È successo a causa mia!” Continuò indicandosi. “Sono stato cattivo, un mostro, è la legge del contrappasso! Ahia!” La sigaretta che aveva in mano, nel frattempo, era finita e lui si era scottato un dito.   
“Ma che vuol dire? Che discorso è?” L’interrogò Tom, che proprio non lo seguiva, sia perché parlava a vanvera più del solito, sia perché era tutto un tossire e tirare su col naso.
Bill si alzò cominciando a gironzolare per la stanza, grattandosi con violenza i capelli, come uno di quei ricoverati nei reparti psichiatrici. Tom si passò una mano sul viso, scuotendo la testa sconsolato.
“Non capisci, non puoi capire!” Dichiarava nel frattempo il cantante, continuando a camminare avanti e indietro. “È una vendetta divina!” Ecco, com’è il numero della neuro? Si chiese Tom osservandolo. “Tutto questo è successo perché ho commesso un peccato imperdonabile!” Ora diventa anche mistico… lamentò il chitarrista, roteando gli occhi.
“Bill, ma che avrai combinato mai!” Commentò Tom, finalmente a voce alta; intanto si era acceso una sigaretta. “Non avevi quell’intervista alla radio?”
“Sì!” Rispose subito Bill. “Sono andato lì, ho fatto l’intervista, ho dato il culo agli sponsor, come sempre…” Continuò con voce sempre più isterica. “…solo che poi non avevo voglia di firmare autografi, di sentire le lagne di quelle ragazzine urlanti… e le ho chiamate maledette stronze!” Concluse poi, scoppiando in singhiozzi convulsi.
“E ti hanno sentito?” Domandò sbalordito il fratello, guardandolo ad occhi spalancati.
“Ma no!” Esclamò il cantante, con un gesto stizzito dei pugni. “È successo prima! E poi sono passato davanti a loro, non le ho calcolate e anzi le ho guardate male… e poi è successo l’incidente! Ohhh, oddio… è tutta colpa miaaaa!” Affermò, quindi si gettò sul letto piangendo disperatamente. “Come? Come ho potuto? Le nostre faaaans! Gli dobbiamo tutto, ci sostengono sempre! Sono un mostro! Buahhhhhh!”
Tom sospirò arreso. Gli era presa proprio drammatica, stavolta. Doveva fare qualcosa subito. Primo: era necessario calmare suo fratello; poi avrebbe provato a ragionarci, ora non era proprio cosa.
“La vuoi finire!” Gli berciò contro, come inizio.
Bill alzò il viso dal materasso; aveva gli occhi rossi, resi più patetici dal trucco sbavato, il naso che colava e una smorfia che voleva essere drammatica ma risultava solo buffa.
“Guardati, fai schifo!” Tom sapeva che premere sul lato estetico era sempre un buon espediente con Bill. “Vedi di aggiustarti, io torno subito.” Aggiunse, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.

Tom tornò poco dopo con in mano un bicchiere di liquido trasparente. Bill, nel frattempo, si era messo a sedere sul bordo del letto, si era soffiato il naso e pulito un po’ la faccia dal trucco.
“Ecco, bravo.” Fece il chitarrista appena entrato, poi gli porse il bicchiere. “Ora bevi, su.”
Il cantante, con la faccina ubbidiente di un bravo scolaro, prese ciò che gli porgeva il gemello e si scolò tutto in un solo sorso. Quindi cominciò a tossire convulsamente.
“Tom, ma che cazzo era!?” Esclamò mezzo soffocato.
“Vodka.” Rispose tranquillo l’altro, stringendosi nelle spalle.
“Ma sei scemo?! Ho preso dei calmanti!” Replicò Bill spalancando gli occhi.
“Hai preso dei calmanti e stai così?” Ribatté Tom incredulo.
“Eh, sì…” Rispose il cantante. “Ho preso venti gocce.” Continuò indicando una boccetta sul comodino bianco. “Ma poi non mi facevano tanto effetto e così… le ho riprese…”
“Ti sei preso quaranta gocce di calmante?!” L’interrogò allarmato il chitarrista.
“No… a dire il vero… sessanta, perché ho pensato che era meglio raddoppiare la dose…” Spiegò l’altro, gesticolando vago e guardando ovunque fuori che in direzione del fratello.
“Bill, ma dove lo hai lasciato il cervello?” Gli chiese serio il fratello a braccia conserte.
“Tooomiiii, tu non capisci!” Ripeté per l’ennesima volta. E Tom perse definitivamente la pazienza, mollandogli uno schiaffone. Bill dondolò e si portò subito la mano alla guancia colpita, poi guardò il fratello con aria sconvolta.
“Guardami!” Gli ordinò Tom, afferrandogli il mento tra le dita. “Ora mi dici che cazzo devo fare per farti smettere, prima che il mio prossimo istinto sia quello di buttarti dalla finestra!”
“Uhhhh!” Fece Bill, aspirando aria con gli occhi spalancati.
“Billy, ti prego!” L’implorò il gemello arreso.
Il cantante sospirò e chinò gli occhi. “Tom, io devo andare all’ospedale, sapere cosa è successo davvero, altrimenti non ho pace.”
Il chitarrista sbuffò. “Ti devo ricordare che, ufficialmente, tu non eri su quella macchina?”
“Non me ne frega un cazzo!” Sbottò subito l’altro. “È colpa mia e devo fare qualcosa!” Aggiunse accorato.
Tom diede l’impressione di pensarci per qualche secondo, poi tornò a guardare la faccia stravolta del fratello. E, come sempre, si trovò arreso davanti a quegli occhi supplicanti. Ci sarebbe stata una volta nella sua vita in cui sarebbe riuscito a dire di no a Bill? Non ne era convinto.
“Va bene, dai, andiamo.” Affermò poi, scatenando il primo sorriso di Bill da quando era arrivato. “Lavati la faccia, io ti aspetto giù.” Aggiunse, mentre l’altro balzava in piedi.
“Oh, grazie, Tomi!” Esclamò Bill entusiasta, facendo per abbracciarlo.
“Sì, sì, dai!” Replicò lui, scansandolo. “Non perdiamo tempo, non metterti a rifarti il trucco.”
“Tranquillo, cinque minuti e scendo!” Gli assicurò il fratello, correndo in bagno, mentre il chitarrista usciva dalla stanza scuotendo il capo.

Andarono all’ospedale con la macchina di Tom, senza autista e sfuggendo al controllo dei body guard. Bill non si era truccato dopo essersi pulito la faccia dalla devastazione, ma per precauzione aveva indossato un paio di grandi occhiali ambrati.
Non fu facile ottenere informazioni dall’implacabile e gelida infermiera dell’accettazione. Se c’era una cosa che Tom non sopportava erano i tedeschi quando facevano i tedeschi! Bill, nel frattempo, continuava a vaneggiare sulla presunta morte della ragazza, anche quando l’infermiera gli diceva che non c’era stato nessun decesso in un incidente stradale quel giorno. Alla fine Tom perse la pazienza, si sporse sul bancone e riuscì a farsi dire che avevano ricoverato una ragazza con una gamba rotta e una commozione cerebrale; potevano andare a trovarla il giorno dopo in orario di visita. Fu sufficiente per Bill.
L’evidente rilassamento dovuto alle buone notizie, però, decisamente colpì il cantante. O forse si addormentò di botto in macchina, proprio mentre Tom gli stava parlando, perché finalmente le medicine cha aveva preso, accompagnate da mezzo bicchiere di vodka, avevano fatto effetto.
Fortunatamente quando arrivarono in garage c’era Saki ad aspettarli, altrimenti Tom non avrebbe saputo come fare per portare in casa il fratello che non dava segno di volersi svegliare.

Erano quasi le dieci quando il citofono annunciò l’arrivo di Georg e Gustav. Tom aprì e ricevette gli amici sulla porta, con in mano una bottiglietta di birra. L’espressione era stanca e scazzata.
“Venite.” Fece, incitandoli con un gesto a seguirlo in cucina.
“Allora, com’è andata?” Gli domandò Georg mentre percorrevano l’atrio.
“Allucinante.” Rispose Tom dopo aver preso un sorso di birra. “Una vera e propria tragedia greca, mancava solo il coro.” Aggiunse sedendosi al tavolo della cucina. Georg si mise davanti a lui, mentre Gustav restava in piedi.
“L’ha presa così male?” Chiese quest’ultimo, avvicinandosi all’isola dove c’erano i fornelli.
“Lo sai quanto può essere drammatico Bill.” Affermò Tom, addentando una delle polpette che aveva nel piatto. “E poi… pff… era convinto che la ragazza fosse morta, o in coma…” Continuò masticando.
“Ma se David ha detto che aveva solo sbattuto leggermente la testa.” Replicò incredulo Georg.
“Sì, vai a spiegarglielo te a Bill in crisi isterica.” Sbottò Tom, appoggiandosi alla spalliera della sedia e sorseggiando la sua birra.
“Di che sono queste polpette?” Domandò in quel momento Gustav, del tutto a sproposito, osservando il vassoio abbandonato vicino ai fornelli. Tom e Georg lo guardarono.
“Hm, tacchino e verdure, credo… ma sono ottime, le ha fatte Frau Hildegard.” Rispose poi il chitarrista. “Prendine pure.” Aggiunse poi, incitandolo con un gesto, lui non si fece pregare.
“Ora dov’è Bill?” Chiedeva nel frattempo il bassista, aggiustandosi i capelli dietro l’orecchio.
“Sta dormendo.” Dichiarò noncurante Tom, mentre si grattava i dreads per una volta scoperti e annodati sulla testa come tanti serpentelli.
“Ma come?” Fece Georg sporgendosi verso di lui. “Dopo tutta questa storia dorme? Credevo fosse un fiasco di adrenalina, di solito…”
“Eh, lo so.” L’interruppe Tom annuendo. “Ma si è preso sessanta gocce di calmante e mezzo bicchiere di vodka, anche te crolleresti come un sacco di patate…”
“Dai…” Commentò Gustav a bocca piena. “Da bere?” Chiese quindi.
“In frigo.” Gl’indicò Tom. “È crollato in macchina, mentre tornavamo, non ti dico con Saki il casino per portarlo su…” Continuò poi, con aria svagata.
“Gusti, falla finita, hai già cenato.” Proclamò il bassista, prima di tornare a guardare Tom.
“Che ci posso fare, avevo ancora un certo languorino!” Ribatté il batterista, mentre si stappava una bottiglia di birra prelevata dal frigo.
“Sei un pozzo senza fondo, Gu…” Commentò il chitarrista ridacchiando.
“Tom.” Lo chiamò però Georg, attirando la sua attenzione. “Ma sei sicuro che sta dormendo?” Il tono del ragazzo più grande era preoccupato.
“Ma sì…” Sbuffò l’altro, prima di stiracchiarsi le braccia dietro la testa.
“Dico sul serio, hai controllato?” Insisté l’amico accigliato. “Con tutto quello che ha mandato giù non vorrei che…” Il chitarrista spalancò gli occhi, smettendo di dondolare con la sedia.
“Cazzo, Zio, ora mi hai fatto venire l’ansia!” Scattò Tom, mollando il pacchetto di sigarette che aveva appena preso e uscendo veloce dalla cucina. Georg lo seguì.
“Oh… oh, aspettatemi!” Esclamò Gustav, con mezza polpetta ancora in bocca; il batterista afferrò la bottiglia della birra e li seguì verso il piano di sopra.
Un momento dopo erano tutti e tre al capezzale di Bill. E tutti abbastanza preoccupati. Qualunque cosa dicessero i giornali, i tabloid, i pettegolezzi, loro prima di tutto erano amici e si volevano bene.
Bill era come lo aveva lasciato il gemello: immobile tra le coperte, steso sul fianco sinistro, che dava le spalle alla porta e quindi anche a loro tre.
“Io non ho il coraggio di guardare…” Mormorò Tom, che era inspiegabilmente sbiancato.
Georg sbuffò un sorriso. I due gemelli passavano le giornate a becchettarsi, ma alla fine si volevano un bene dell’anima, impossibile per uno dei due pensare ad una vita senza l’altro. Il solo pensiero che Bill potesse stare male aveva bloccato ogni funzione a Tom.
“Gusti, controlla tu, che sei più vicino.” Incitò il bassista.
Gustav, che era di fronte alla sponda inferiore del letto, proprio davanti allo schermo al plasma incassato nel muro, si spostò verso il viso del cantante, fiocamente illuminato dall’elegante lampada di vetro arancione posta sul comodino dall’altro lato del due piazze. Il batterista piegò il capo da una parte e scrutò attentamente la faccia dell’amico, poi si raddrizzò e bevve un sorso di birra.
“Allora, Gustav!” Sbottò Tom spazientito e allarmato.
“Morto non è.” Affermò il ragazzo tranquillo, poi la sua espressione si fece più sbarazzina. “Sta russando…” Georg trattenne una risata.
Tom sospirò sollevato, quindi si assicurò di persona delle condizioni del fratello. I tre ragazzi, poi, tornarono al piano di sotto e si trattennero in salotto per un paio d’ore, finché non si salutarono.

Il chitarrista si arrese verso l’una. Quella sera avrebbe avuto anche un impegno. Sì, un appuntamento con una ragazza. E ci aveva rinunciato per la meravigliosa uscita di suo fratello. Pace, come minimo quella avrebbe aspettato a gloria una sua nuova chiamata.
Spense la tv, chiuse le tende del salotto e si diresse al piano superiore. Andò in camera sua, si spogliò, si lavò i denti e mise il pigiama: una maglietta azzurra e dei pantaloni di cotone a quadri scozzesi sul beige, stranamente della taglia giusta. Il ragazzo quindi si recò in camera del fratello.
Bill dormiva nella stessa identica posizione di quando Tom era salito con gli altri. Il gemello si arrampicò sul letto e controllò che stesse bene. Dormiva beato, russando abbastanza forte.
Tom, allora, si sedette a gambe incrociate, prese il telecomando e accese il plasma a basso volume. La luce azzurrina illuminò la stanza e lui si concentrò sullo schermo.
“Hm, bene…” Fece dopo un po’. “In Afganistan si sparano addosso, tre soldati morti… Bagdad, autobomba, morti quindici bambini… in Francia periferie in fiamme di nuovo e il petrolio supera i novanta euro a barile, previsti aumenti della benzina…” Biascicava seguendo il telegiornale. “Cazzo, il mondo è un paradiso!” Commentò infine, mentre spegneva la tv e si gettava sul materasso.
S’infilò sotto la coperta, voltandosi verso il fratello, poi si alzò su un gomito, per guardargli la faccia. Era coperta dai capelli. Glieli scostò delicatamente e guardò meglio. Il viso di Bill era ancora un po’ arrossato, ma gli occhi erano chiusi senza rigidità e la bocca leggermente aperta. Ronfava in modo un po’ rumoroso e un filo di saliva gli scendeva sul cuscino. Tom sorrise e poi si accomodò meglio al suo posto, coprendosi la spalla con la trapunta.
Trascorse qualche minuto di immobile silenzio, che Tom passò a fissare la schiena sottile del fratello e a chiedersi se i fatti di quella sera erano il risultato di qualcosa di più profondo… a volte aveva un po’ di paura e non sapeva perché. Quando gli succedeva si attaccava a Bill, di solito; lo stesso faceva lui. Perché quando si ha paura in due, a volte questa diventa coraggio.
Il ragazzo stava finendo questo ragionamento, quando il fratello si girò verso di lui. I capelli neri gli ricoprirono il viso e Tom glieli aggiustò di nuovo.
“Tomi… sei tu?” Mormorò allora Bill, senza aprire gli occhi.
“Sì.” Gli rispose dolcemente lui, appoggiandogli una mano sul braccio; il gemello si avvicinò, fino a sfiorargli la fronte con la sua.
“Resti qui?” Chiese Bill, sempre ad occhi chiusi e con voce strascicata.
“Sì.” Disse ancora una volta Tom, prima di avvicinarsi a sua volta e stringersi un po’ a lui.
“Grazie…” Soffiò Bill, accucciandosi contro il fratello. Tom sorrise, gli strofinò il braccio con affetto, poi si accomodò meglio, prima di abbandonarsi al sonno.

CONTINUA

   
 
Leggi le 18 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: CowgirlSara