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Autore: Carmen Black    18/06/2013    4 recensioni
I suoi mostri lo seguivano dappertutto.
Non importava quanto lontano andasse, non importava in quale parte sperduta del mondo si trasferisse. Loro erano lì. Sempre.
Derek si ritrova a combattere contro le sue paure, quelle che non gli permettono di uscire fuori dalla corazza in cui vive da anni.
Ce la farà da solo o qualcuno lo aiuterà? Chi vincerà la sfida, lui o i suoi mostri?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I suoi mostri lo seguivano dappertutto.
Non importava quanto lontano andasse, non importava in quale parte sperduta del mondo si trasferisse. Loro erano lì. Sempre. Anche quando non voleva, ma talmente erano radicati in lui che ormai erano diventati un tutt’uno.
Derek alzò il viso verso il cielo, socchiudendo gli occhi quando i raggi caldi del sole lo colpirono facendo capolino da un grosso agglomerato di nuvole.
Era seduto sui gradini del suo piccolo portico a Providence, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani penzoloni nel vuoto.
Era da solo con i suoi pensieri che si mescolavano ai ricordi di un passato non troppo lontano, l’unico appiglio che non gli permetteva di abbandonarsi all’oscurità. Pochi flashback vividi che gli impedivano di dimenticare ciò che era davvero e la realtà a cui apparteneva, ben diversa da quella in cui si trovava da qualche anno.
Gli Hale: sua madre, suo padre, le sue sorelle. Aveva fatto parte di qualcosa di importante un tempo, la sua vita non era stata fatta unicamente di solitudine e fughe, e combattimenti. Era stato anche un figlio, un fratello. Era stato amato, qualcuno si era preoccupato per lui se rientrava a casa troppo tardi, se prendeva brutti voti a scuola.
Quello era l’unico bagliore di luce in quelle ombre che lo avvolgevano continuamente, spingendolo verso un baratro da cui sarebbe stato molto difficile uscire una volta cadutoci.
Il suo mostro interiore lo prendeva in giro, lo istigava a darsi a lui, a scacciare la ragione umana, quella piccola parte che lo portava a soffrire durante quelle notti che parevano eterne. Ma Derek resisteva. A denti stretti, ringhiando al suo riflesso allo specchio, ma resisteva.
Al di là della siepe decadente del suo grigio giardino, la sua attenzione fu catturata da una bambina con i capelli rossi come il fuoco. Parlava animatamente con la sua bambola di pezza seduta fra i fiori, a poca distanza da lei. Non doveva avere più di cinque anni e con tutte quelle lentiggini e le treccine sembrava avesse l’aria birichina.
Derek la osservò e anche se era del tutto prematuro e senza senso, pensò se avesse mai avuto un figlio oppure il suo cognome si sarebbe dissolto nel nulla dopo qualche decennio, senza una diretta discendenza. A rifletterci proprio bene, avere un discendente con il suo stesso sangue e quindi destinato a ereditare quel gene maledetto, lo disgustava. Si sarebbe rimproverato a vita se avesse compiuto un’azione così ignobile al sangue del suo sangue, specie perché era ben consapevole del futuro a cui sarebbe andato in contro. Anche se essere un licantropo poteva avere qualche lato positivo, quelli negativi erano di gran lunga maggiori.
Derek scostò la testa appena all’indietro quando si ritrovò davanti alla bambina con i capelli rossi che gli rivolgeva un sorriso sdentato, tenendo la sua bambola per mano.
«Ciao signore!».
«Ciao», rispose guardando i suoi occhi color rame.
«Ti va una limonata?», gli chiese con voce squillante.
«No».
La bambina piegò la testa di lato arricciando le labbra. «Secondo me è una bugia. Hai la faccia di uno che ha sete».
Derek strofinò le mani contro le ginocchia ponderando bene le sue risposte. Non aveva molta dimestichezza con i bambini, a dire il vero non ne aveva proprio e voleva evitare di farla mettere a piangere e di ribellare così l’intero isolato.
«Va bene», disse infine. «Beviamo questa limonata».
La bambina allargò un sorriso e corse via lasciando Derek da solo che si ritrovò a scuotere la testa quasi divertito. Dopo qualche istante fece ritorno con un grosso bicchiere che reggeva a malapena con due mani.
«Non rovesciarla o la mia sete aumenterà», disse sorprendendosi di se stesso e del suo tono ilare.
La piccola arricciò il naso indispettita. «Ne ho ancora tantissima!».
«Oh, buon per te».
Gli porse il bicchiere e Derek lo afferrò prima che glielo versasse addosso e poi sollevò un sopracciglio quando la vide mettergli un palmo della mano sotto al muso.
«Che vuoi?», sbottò stranito.
«Un dollaro», rispose con voce soave sbattendo velocemente le palpebre.
Derek grugnì e s’infilò una mano nella tasca dei jeans porgendole una banconota. «Ecco».
«Grazie tante», sorrise dondolandosi sui talloni e continuò a guardarlo fisso mentre lui assaggiava la limonata. «Ti piace?».
«Hmm… diciamo di sì».
«E sei contento che il bicchiere è bello pieno?».
«Hmm… diciamo di sì», ripeté. «Anche se hai rischiato di rovesciartelo addosso».
«Lo so», disse pensierosa la bambina mettendosi un dito sotto al mento. «Ma la mia mamma ha detto che tu sei grossissimo e quindi ti serviva una bicchiere grande e molto pieno».
«Come ti chiami?», le chiese.
«Vorrei chiamarmi Cappuccetto Rosso, ma purtroppo mi chiamo Joy».
Derek si leccò le labbra assaporando l’aspro del limone mitigato dallo zucchero. «Joy è un bel nome».
«Se lo dici tu».
«E quindi Joy, io sarei grossissimo?».
«Nel senso che sei gigante», precisò allargando le braccia.
Derek sorrise bevendo un altro sorso della sua limonata. Se avesse immaginato che conversare con una bambina gli avrebbe fatto alleggerire la mente a quel mondo, ci avrebbe pensato prima. «Ti vorresti chiamare Cappuccetto Rosso perché ti piacciono i lupi?».
Joy annuì con gli occhi che le brillavano e in quello stesso istante Derek notò un movimento dietro alla finestra della casa in cui la bimba abitava.
«Ma i lupi sono cattivi, potrebbero mangiarti», continuò con lo sguardo fisso sulla tendina celeste a fiorellini che si era appena richiusa. La madre o il padre di Joy stavano controllando che filasse tutto liscio e che non avesse cattive intenzioni, rifletté.
«I grandi non dovrebbero dire bugie», brontolò Joy. «Ci sono anche i lupi buoni, proprio come ci sono persone buone e altre cattive».
«Hmm… ottima osservazione».
«Tu dici sempre Hmm?».
«Hmm… esatto».
«Sei una mucca allora!».
Derek gettò un’occhiata alla bimba dalla lingua lunga finché dietro di lei non apparve una giovane donna, con gli occhi verdi dal taglio appena allungato e una massa di capelli rossi trattenuti a stento da una crocchia sulla testa.
«Joy, torna in casa, smetti di fare fastidio al signore».
Derek sbatté le palpebre. Lui non era un signore. «Non c’è problema», si affrettò a dire. «Nessun fastidio».
La giovane donna si avvicinò con passo incerto, Derek avvertì l’odore del suo nervosismo che lo attirò in uno strano modo. Si alzò con ancora il bicchiere fresco stretto tra le mani e le andò in contro seguendo Joy che saltellava felice sulle grosse mattonelle del vialetto.
«Sei il nostro nuovo vicino?», chiese la donna porgendo la mano.
Derek l’afferrò stringendola. «Nuovo non direi… sono più di tre mesi che vivo qui».
«Oh, mi dispiace», asserì a mezza voce. «Non ti ho mai visto prima. Non ti abbiamo dato nemmeno il benvenuto», continuò quasi mortificata.
Derek rimase perplesso a osservare la spruzzata di lentiggini che aveva sul naso, le lunga ciglia chiare, le linee morbide della bocca. Non aveva mai ricevuto il benvenuto in vita sua, la gente gli stava alla larga il più possibile. Aveva l’aspetto di un ragazzo con la testa calda, aveva sentito pronunciare quelle parole centinaia di volte dai diversi vicini che si era ritrovato.
«Davvero, non fa niente», disse accennando un sorriso. Era la seconda volta in pochissimo tempo che compieva quell’azione, per poco i suoi muscoli facciali non si ribellavano dalla fatica.
«Sono Luce Brown».
«Derek Hale».
Quando Derek notò i suoi occhi verdi fermi sulle loro mani, si accorse che l’aveva trattenuta nella sua troppo a lungo, così la lasciò.
«Noi dobbiamo proprio rientrare, Derek».
«Oh, anche io», disse preso alla sprovvista.
«Quindi, a presto».
«A presto», rispose osservando il suo sorriso limpido e sincero.
«Ciao signore!», esclamò Joy salutandolo con una mano. «E grazie per aver comprato la mia limonata».
 

***

 
Luce. Luce Brown. Derek ripeté il suo nome mentalmente diverse volte e non di certo per paura di dimenticarlo, la sua memoria era eccellente.
Abituato a doversi guardare di continuo le spalle, qualsiasi persona gli si presentasse davanti o con cui aveva un contatto diretto, era vittima della sua diffidenza. Digitò il suo nome su Google e pigiò l’invio. Scorse col mouse una serie di risultati, tra cui diversi social network e qualche blog di cucito, ma sulla sua vicina non trovò nulla di rilevante. Nessun fatto di cronaca alle spalle o strani accadimenti. Niente di niente.
Derek si strinse nelle spalle e si rimproverò meditando sul fatto che non tutti gli esseri umani avevano degli scheletri nell’armadio.
Si appoggiò con la schiena alla sedia con le rotelle, spingendosi fino alla finestra della sua camera. Lui non aveva le tende, quindi non c’era bisogno che le scostasse per guardare direttamente fuori. Non lo aveva mai fatto prima, non gli era mai passato neppure per l’anticamera del cervello. Vide le mura verdine della villetta a fianco alla sua, i davanzali con dei vasi pieni di fiori colorati, un lavello dalla quale traboccava della schiuma e delle mani curate che vi affondavano. Era Luce che a testa china lavava dei piatti, probabilmente dopo aver consumato la cena. Come in una famiglia normale, pensò con nostalgia che scacciò subito. Non gli piaceva provare certe sensazioni, sapeva bene che il luogo dove lo trasportavano non era fatto per lui e per la sua vita. Doveva essere forte, non lasciarsi abbattere da cose di cui poteva fare benissimo a meno. Chi lo dice che avere una famiglia porta felicità? Lui era il diretto testimone che non era affatto così, perché avere una famiglia aveva significato soffrire quando li aveva persi tutti. Per ogni cosa buona, c’è una conseguenza cento volte peggiore. L’amore che provi e ricevi se ti viene tolto verrà superato mille volte dalla tristezza.
Derek si rassicurò da solo, annuendo al suo debole riflesso dei vetri chiusi della finestra: stava bene nel suo guscio, vivendo da solo. Il mostro gli bastava come amico di disavventure e non ne voleva avere altri.
 

***

 
Derek aprì gli occhi guardando il soffitto bianco e poi li richiuse respirando profondamente. C’era qualcosa nel profondo del suo cervello che gli stava facendo provare una strana sensazione di appagamento.
Cadde di nuovo in un piacevole dormiveglia, dove alternava momenti di sonno pieno a momenti di coscienza.
Sentiva il fresco delle lenzuola avvolgergli le gambe, il tepore del cuscino contro la sua guancia, la beatitudine per aver dormito tante, troppe ore di seguito senza svegliarsi.
Schiuse gli occhi e smise di respirare quando al di là del suo naso vide un mantello di capelli rossi sparpagliati ogni dove. E una schiena scoperta, bianca come l’avorio che sembrava gli stesse chiedendo di essere baciata. Non poteva essere accaduto di nuovo. Quella era la seconda volta che si ritrovava nel letto della sua bella vicina di casa e se la prima volta riusciva a darsi una spiegazione, adesso proprio non ci riusciva.
Certo… lei era bella, libera e aveva un odore particolare che lo faceva impazzire, ma… i ma erano sempre troppi.
Si stropicciò gli occhi ed espirò, poi decise di andare via prima che si svegliasse, non voleva trovarsi nella situazione di dover parlare, perché il suo vocabolario era già assai limitato, poi in certe situazioni diventava del tutto inesistente.
Sollevò la testa vedendo i suoi boxer sul pavimento vicini alla biancheria intima di Luce e digrignò i denti. Scostò appena le lenzuola, sollevando il busto, ma la ragazza al suo fianco si voltò emettendo un mugolio e poggiò la testa per metà sul suo braccio.
Maledizione! Imprecò fra sé.
La mano di Luce si avvolse alla sua vita e risalì lungo il suo ventre fino al petto, per poi riscendere di nuovo. Il suo corpo reagì all’istante, seppur quel tocco potesse essere del tutto inconsapevole.
«Derek…», sussurrò con voce rauca.
«…Sì?».
La sentì deglutire e prendere fiato per dire qualcosa, ma non disse niente.
Si sollevò e si sporse verso di lui appoggiandosi sul suo petto, ripiegando la testa contro il suo collo. Venne sommerso dai suoi capelli che profumavano di camomilla mentre gli faceva scorrere le labbra lungo la mascella con dolcezza.
Rimase pietrificato, freddo, con i muscoli congelati. Era bravo a fare sesso, ma quello che cos’era? No… cose fuori dalla sua portata.
Vedendo la sua immobilità Luce si fermò di colpo e si scostò sistemandosi il lenzuolo intorno al corpo nudo. Si alzò senza più voltarsi a guardarlo. «Joy sta per svegliarsi».
Derek non disse nulla, sapeva che quello era un saluto solo che Luce non sapeva che era l’ultimo.
 

***

 
C’era riuscito anche quella volta.
Derek sorrise mesto allo specchio mentre si radeva la barba diventata ormai troppo lunga.
Luce gli aveva detto che sembrava un uomo fatto con la faccia piena di peli e lui l’aveva presa sulla parola, capendo che non voleva dare quell’impressione. Uomo sì, ma uomo fatto, cioè in dirittura d’arrivo no.
Luce, quella giovane donna che non incontrava da due settimane e che si limitava a spiare ogni tanto dal buio della sua camera.
Non si era sprecato nemmeno a farle un saluto o una telefonata. Niente. Era scomparso come sempre, la cosa che lui sapeva fare bene.
Ma purtroppo conosceva le conseguenze che potevano derivare dall’andare a letto con la stessa donna per ben due volte di seguito. Poteva scaturirne una frequentazione e di seguito una cosa che un tempo Stiles avrebbe chiamato cotta e da lì sarebbero derivate cose ben peggiori che lui non poteva sostenere. La sua natura non glielo permetteva. A dire il vero era lui che non permetteva alla sua natura di provare certe cose perché sarebbe equivalso a svelare troppo di sé e lui non poteva farlo. Che cosa sarebbe successo quando avrebbe raccontato a Luce che cosa era lui in realtà? Come le avrebbe spiegato, a lei come a qualsiasi altra donna, che le fauci gli perforavano le gengive se non controllava la rabbia?
No… troppo complicato, era da evitare.
Si tamponò il viso con un telo e poi indossò una t-shirt nera. Quella sera aveva deciso di andare a fare un giro in città, giusto per vedere come funzionavano le cose, sperando di non fare nessun incontro fuori dal normale.
 

***

 
Alla fine di anormale non aveva incontrato nessuno, Providence sembrava essere la città per lui: un uomo che voleva allontanarsi dalle stranezze della vita, conducendone una semplice; magari da lì a poco si sarebbe messo alla ricerca anche di un lavoro.
Uscì dal bar in cui aveva consumato un drink ritrovandosi sul marciapiede affiancato da lunghe file di auto parcheggiate. La sua non era molto distante da lì, ma prima che potesse raggiungerla sentì una risata cristallina e vide un manto di capelli splendenti color fuoco. Era Luce.
Si stranì di incontrarla lì e non se ne spiegò il motivo, era ovvio che andasse in giro come ogni persona sulla faccia della terra.
S’infilò le mani nelle tasche dei jeans e la guardò avvicinarsi stretta in un vestito lilla che lasciava ben poco all’immaginazione. Era in una compagnia mista e dagli sguardi che le riservava un ragazzo del sesso opposto capì subito che non si trattava di una vecchia amicizia, duratura, dove ormai l’aspetto fisico e le attrazioni erano state ben domate.
Luce lo vide subito e anche se per un solo istante rallentò il passo smettendo di sorridere.
Rimanendo spiazzato, Derek rimase fermo dov’era ad attendere il suo passaggio.
«Ciao Derek».
«Ciao», rispose fissando i suoi occhi verdi messi in risalto dal trucco nero.
«Che ci fai qui?».
«Un giro», rispose vago. Pensò che Luce non sembrava risentita del fatto che non si fosse fatto né vedere né sentire e la cosa doveva apparirgli positiva, invece si sentì infastidito.
Lei fece un altro passo avanti, incrociando le braccia sotto al petto. Derek notò la sua scollatura pronunciata, che risultava più provocante rispetto al vederla a seno nudo. «Tu?».
«Sono con degli amici», si voltò verso di loro. «Ragazzi, vi raggiungo subito».
Tre donne e due uomini entrarono nel locale da dove lui era appena uscito, lasciandoli da soli. «Non ti ho visto in questi giorni…», iniziò a mezza voce. «Sei stato fuori città?».
Derek scosse la testa lentamente.
«Hai avuto da fare?».
«No».
Luce assottigliò le labbra con delusione e chinò la testa verso il basso. «Ho capito, ciao».
Senza lasciargli aggiungere altro lo lasciò da solo, scomparendo attraverso la porta nera del locale.
Derek rimase con lo sguardo fisso nel vuoto, certo che avesse fatto la cosa giusta facendole capire che non aveva più intenzione di vederla. Nonostante la sua volontà però un senso di rammarico si agitava in fondo al suo stomaco. Un rammarico a cui non voleva dare una spiegazione, nel modo più assoluto.
 

***

 
«Signore! Ti va una limonata?».
Derek aprì un occhio mentre sonnecchiava sull’amaca fissata sotto al suo portico.
«No Joy, stavolta passo».
«Eddai signore, non fare il tirchio!».
A Derek scappò da ridere, ma rimase fermo nella sua risposta.
«Mi mancano due dollari per comprarmi la collana delle principesse e ho già ricevuto la paghetta settimanale. Ti prego!».
Derek si alzò raggiungendola in giardino dove la bambina aveva piantato dei fiorellini bianchi senza radice che sarebbero morti nel giro di qualche ora, ma davano un tocco di vita al suo prato grigio e a Derek piacque.
«Tieni cinque dollari, così vai a comprarti due collane».
Joy spalancò gli occhi, il vestitino rosso che indossava la faceva sembrare ancora più curiosa. «Sono ricca!».
Si spolverò le mani sporche di terra e afferrò i cinque dollari che Derek le porgeva abbracciando poi una sua gamba. «Tu sei il signore più braaavo del mondo!».
«Hmm…».
«E che sa mucchire benissimo!».
«Si dice…». Muggire, avrebbe voluto correggerla, ma Joy saltellò sbattendo le mani e corse via come una furia ridacchiando da sola. Derek si chiese se a cinque anni era come lei, e scacciò l’ipotetica risposta.
Rientrò in casa, era ora di fare un po’ di ordine altrimenti non ci si sarebbe più raccapezzato lì dentro e mentre si chiudeva la porta alle spalle, sentì la voce di Luce che lo richiamava. «Derek!».
Lui la guardò finché lei non lo raggiunse sull’uscio. «Dimmi».
«Questi sono tuoi», disse restituendogli i cinque dollari che poco prima aveva regalato a Joy.
«Li ho dati a Joy per…».
«Bado io a mia figlia», rispose brusca. «Non posso accettare».
«Ma sono solo cinque dollari».
«Non m’importa!», esclamò impaziente tendendo il braccio in avanti con la banconota ferma tra il pollice e l’indice.
Derek guardò la sua mano ricordando la sensazione che gli aveva scaturito quando quella mattina al suo risveglio l’aveva accarezzato.
Allungò un braccio pronto a prendere la banconota, invece le afferrò la mano. La sentì morbida e liscia nella sua. Guardò per un attimo gli occhi di Luce poi con uno scatto fulmineo, l’attirò dentro casa sbattendo la porta e avventandosi sulla sua bocca.
Dopo un primo attimo di confusione la ragazza iniziò a ricambiare il suo bacio premendogli i palmi delle mani sulle guance. Derek aveva l’impressione di poterla divorare da un momento all’altro, ma la sua foga fu presto placata dalla calma di Luce. Era lei che aveva preso le redini di quello strano bacio che si stavano scambiando, che se poco prima era fatto di morsi e di respiri mozzati, adesso era fatto di candidi tocchi di labbra e di lingua. A Derek si agitò qualcosa in fondo al stomaco e prima che potesse rifletterci sopra, la voce di lei lo riportò alla realtà. «Joy… devo andare. Joy è da sola».
Derek allentò la presa sui suoi fianchi e Luce sgattaiolò via senza guardarlo negli occhi, lasciandolo solo col suo mostro interiore che gridava vendetta e la pelle d’oca che gli riscendeva lungo la schiena.
 

***

 
Gli piaceva, lo doveva ammettere. Gli piaceva tanto.
Era così patetico solo da pensare. Se ricordava ciò che aveva pensato di Scott quando aveva capito in che modo si era invaghito di Allison, gli passava proprio la voglia.
Guardò il suo riflesso allo specchio, gli occhi chiari e luminosi. C’era qualcosa di diverso in lui… già, ma che cosa?
Una donna non poteva fare quell’effetto, con tutta la buona volontà, si rifiutava di pensarlo.
Comunque voleva vederla, voleva trascorrere la notte con lei. Aveva voglia di sentire quella sua risatina cristallina quando le faceva il solletico con la barba o di sentire le sue mani che scorrevano intensamente sulle sue spalle. La voleva e punto.
E tutti quei discorsi che si era fatto, attuando una grossa autodifesa su se stesso per evitare di perdere il controllo della sua vita?
Erano importanti per lui, proprio come dei Sacramenti, come un vincolo indistruttibile che lo legava alle sue idee. Eppure adesso quel vincolo seppur indistruttibile sembrava malleabile, poteva piegarlo a suo piacimento in base alle sue esigenze.
«Derek, ma perché mai stai pensando così tanto?», si disse allo specchio. Poi spense la luce e uscì di casa.
 

***

 
La stava baciando senza paura.
La stava baciando senza pensare al dopo, a che cosa sarebbe successo.
Stava semplicemente vivendo il presente come gli accadeva quando era un bambino. Si va avanti giorno dopo giorno, le lunghe scadenze non sono molto pratiche da gestire, specie se riguardano certi affari.
Derek capì che privarsi di un piacere oggi  per paura di ciò che potrebbe accadere un domani, era da vigliacchi. E lui non era un vigliacco. Era sempre stato un ragazzo e poi un uomo, che quando c’era da combattere si metteva sempre in prima linea. E ora aveva deciso di combattere finalmente per se stesso.
Le baciò il collo fino alla spalla abbassandole la bretella della canottiera che indossava e la sentì ridere sommessamente. «Mi fai il solletico».
«Tu mi fai…», esitò chiudendo gli occhi quando le mani di Luce gli affondarono fra i capelli attirandolo verso la sua bocca. «Tu mi fai impazzire», terminò la frase prima che si perdesse in uno di quei baci che tolgono la ragione.
«Che bugiardo», ansimò contro il suo orecchio.
Derek si sollevò appena sui gomiti, il corpo caldo e flessuoso di Luce incastrato perfettamente al suo. Anche al buio riusciva a vedere il rossore delle sue guance, la lucentezza dei suoi occhi verdi. «Parlo poco, è vero. Ma bugiardo proprio non lo sono».
Luce si alzò appena mordendogli un lobo e muovendosi impaziente sotto di lui. «Non mi hai mai chiesto di uscire», lo rimproverò.
«Sembra quasi che senza un vero appuntamento non si possano fare le cose sul serio», sussurrò di rimando.
Derek si sentiva imbarazzato. Era quella la parola giusta per descrivere il suo stato d’animo che di certo non si addiceva a uno come lui. Ma non lo imbarazzava ciò che stava facendo o le poche parole che aveva pronunciato. Ciò che lo spiazzava era la forza con cui subiva certe emozioni o con cui faceva certe considerazioni come il sapere di non essere più solo, per esempio. Il sapere che qualcuno lo avrebbe dissetato con una limonata cara e amara e qualcun altro lo avrebbe abbracciato all’improvviso, scacciando di forza quell’abitudine ormai radicata in lui di essere perennemente da solo con i suoi mostri.
Ecco che cos’era quel luccichio che aveva notato nei suoi occhi, quella notte davanti allo specchio: la speranza.
Sì, adesso aveva una ragione in più per non lasciarsi andare a quel buio seducente che prometteva una vita senza dolore.
Adesso aveva una Luce in più – insieme al suo passato – per provare a vivere in modo diverso, migliore.
Luce, un bagliore luminoso che dopo tanto tempo gli aveva dato la certezza di essere ancora vivo. Di essere ancora umano. Di riuscire a provare delle emozioni.
Perciò, Luce sia.
 
 

Angolino Autrice

La mia prima Shot in un altro fandom diverso da quello in cui ho sempre scritto.
Spero che vi piaccia. 
A presto. :)
-Carmen Black

  
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