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Autore: Chemical Lady    18/06/2013    4 recensioni
Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera mancante di questo gioco pericoloso.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di un orco ma che, dietro ad una maschera di marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un nuovo tassello alla famiglia De Medici.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo settimo.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.


 
 

 


 
 
 
 
Parte VII: Il Sorriso.
 
 
 
 
“Questo cinghiale è il più grande che io abbia mai visto, un applauso ai cacciatori che ci hanno permesso di potercelo gustare stasera!”
Che Francesco Simonetta fosse un ottimo adulatore era risaputo, ma furono le parole di Riario a far inorgoglire ancor di più Beatrice. Il Conte, infatti, prese un ultimo sorso di vino, prima di rivolgersi al custode della Rocca “Vorrei poter dire che il merito è stato mio, ma Beatrice ha scoccato la freccia che ha consentito a tutti voi di poter gustare una così deliziosa preda.”
Camilla sorrise all’amica, dall’altro capo del tavolo, mentre la mora lanciava un’occhiata di puro compiacimento al marito, posto accanto a lei “Voi avete preso due fagiani, avete comunque dei meriti.”
“Vero, ma è il cinghiale la vera attrazione, non di certo quei due poveri fagiani.”  Continuò il Conte, appoggiando il bicchiere sul tavolo e lasciandovi la mano.
Beatrice sorrise maggiormente, quasi non ascoltando le parole piene di ammirazione un poco forzata di Simonetta. Prese la mano del marito, intrecciando le dita alle sue e gustando l’espressione un poco stupita di quest’ultimo, prima di ricambiare la presa.
Camilla alzò un sopracciglio, gustandosi la scena con sorpresa.
Nessuno fece una piega, tanto meno il Conte, ma l’atmosfera mutò improvvisamente. Marito e moglie si scambiarono un lungo sguardo prima di sciogliere quel legame e riprendere a mangiare. Mentre Girolamo parlava in termini più specifici di caccia con Francesco, Camilla cercava di attirare l’attenzione di Beatrice che però sembrava più interessata a terminare il pasto.
Una volta lasciata la sala da pranzo, si divisero. Francesco e la sua famiglia si ritirarono nei loro alloggi, dando una buona notte ossequiosa ai padroni di casa. Camilla, che soleva fermarsi per un paio di ore nel giardino con Beatrice, guardando le stelle e parlando mentre cercavano di intrappolare le lucciole dentro ai calici di cristallo, si ritirò a sua volta, scusandosi con la Contessa per un brutto mal di testa che l’aveva tormentata per tutto il pomeriggio. L’intento di Madonna Colonna era quello, in realtà, di lasciar soli i due sposi. Obiettivo che riuscì in pieno, visto che l’ultima cosa che sentì dire al Conte, prima di arrivare in cima alla scalinata che portava alla zona notte, fu “Non vorrei rimaneste sola tutta la sera, Madonna de Medici. Fatemi compagnia nel salone principale”
Girolamo, dopo cena, si concedeva qualche ora di lettura, seduto su comode pelli, davanti al grande camino in pietra che veniva riempito da Zita di candele, visto che la calura estiva non permetteva di poterlo accendere.
Beatrice si sedette lì, accarezzando il pelo morbido di quella che un tempo doveva essere una volpe, prima di accettare un bicchiere di vino che il marito le stava porgendo. Lentamente, prese posto anche lui, accanto a lei, e tra la coppia calò il silenzio. Girolamo sembrava tranquillo come di suo solito, mentre Beatrice faticava un poco a sostenere il suo sguardo. A tavola, circondata dagli altri, non si era sentita affatto a disagio nel prendergli la mano, ma da soli sembrava cambiare tutto. Si sentiva più vulnerabile, sottomessa al vortice di emozioni che la sconvolgevano da quella stessa mattina, quando per la prima volta le sue labbra avevano incontrato quelle di Girolamo.
Fu proprio quest’ultimo ad introdurre lo spunto per una conversazione “Mi avete molto stupito quest’oggi, Madonna.” Si sporse per appoggiare il calice sul basso tavolino posto poco lontano da loro, prima di voltarsi nuovamente verso la giovane moglie “Non mi aspettavo di vedervi combattere a quel modo.”
Beatrice sorrise pallidamente, mentre le guance si tingevano di una lieve sfumatura cremisi “Ve l’avevo detto che con la lama sono imbattibile. Forse son anche più brava di voi!”
L’uomo alzò un sopracciglio con scetticismo, prima di scuotere piano il capo “Non sbilanciatevi troppo, Madonna. Avete dato dimostrazione di una buona abilità... Per una donna.”
“Come siete misogino, mio signore” rilanciò lei, passando l’incide sul bordo del calice che reggeva ancora in mano “Non me lo aspettavo da un uomo di cultura come voi. Certi pregiudizi dovrebbero venir lasciati alla gente del popolo, non di certo ad un fervente umanista come voi.”
Girolamo la guardò senza capire “Mi confondete di certo con qualcun altro. Io non sono un umanista. Certi aspetti smidollati e pacifisti li avete perduti, lasciandoli a Firenze.”
“Vedete? Altri pregiudizi” sottolineò la mora, appoggiando il bicchiere a terra, vicino alle pelli, e voltandosi di tre quarti verso il marito “Un umanista è un uomo che fa della lettura la sua compagna notturna, al posto di una qualsiasi puttana. È colui che trova svago tra le parole di Dante e Petrarca, meditando sulla poesia e sulla bellezza in essere contenute. Voi siete un umanista, anche se di pacifico avete ben poco.”
Riario ascoltò affascinato quel discorso, domandandosi come quella ragazza che aveva da poco conosciuto potesse conoscerlo così bene da dipingere un ritratto così nitido del suo essere. “Sono impressionato, Beatrice. Siete un’acuta osservatrice, ve ne do atto.”
“Lo so bene, Conte” replicò lei, compiaciuta, allungando una mano verso il viso di Girolamo e tracciando con il pollice la linea appuntita della sua mascella “Voi sarete anche misterioso, pericoloso e accomodante a tratti, ma io sono una donna e in quanto tale so ben leggere il vostro animo.”
L’uomo si fece più vicino, portandole una mano su un fianco e percorrendolo fino alla coscia, coperta dalla veste color ciniglia “Ora siete voi che avete pregiudizi sulle donne, Madonna. Credete di esser più intelligente di me?”
“Io non  lo credo. Lo so per certo.” La ragazza sorrise, inclinando di lato il capo, prima di appoggiare l’indice sulla punta del naso di Riario “Voi uomini tendete a ragionare solo per due motivi: le guerre e il sesso. La gamma di pure emozioni umane la ignorate il più delle volte. Conosco le vostre predisposizioni, sono cresciuta con due fratelli maschi. Per altro, posso perfettamente capirvi, dopotutto anche voi avete le vostre esigenze, anche se non sono più nobili di quelle di noi povere donne.”
A quelle parole, Girolamo non riuscì a trattenersi. Rise di cuore, come Beatrice credeva non facesse da tempo. Lasciò andare indietro il capo, ruggendo una risata che nacque dal cuore e si irradiò nell’aria tramite la gola. Anche la ragazza rise, contagiata da quell’attacco di allegria, portando una mano alla bocca. Si concessero un paio di minuti così, poi il Conte riprese a contenersi, senza però cancellare dal viso un sorriso luminoso.
Beatrice lo guardò come incantata, accarezzando la  lunga fossetta che veniva a crearsi lungo la guancia dell’uomo “Siete così bello quando sorridete. Dovreste farlo più spesso.”
Lui ricambiò lo sguardo, allungando una mano per accarezzarle i capelli “Io sorrido spesso, in vero.”
“No, voi storcete la bocca in modo vagamente sarcastico dicendo ‘Mh’. Quello non è sorridere,  è prendere per i fondelli la gente.” Lo corresse dolcemente lei, chiudendo gli occhi mentre sentiva la sua grande mano accarezzarle piano il capo “Un sorriso è qualcosa che dovrebbe partire dall’anima, non dalle labbra. Non dovrebbe mascherare la spavalderia, ma rendere gli altri partecipi della gioia. Voi non siete una persona felice, mio Signore. Ve lo leggo in faccia ogni giorno, anche se tentate di non lasciar passare nessuna emozione. Non si può vivere in questo modo.”
Girolamo abbassò lo sguardo, incurvando le labbra nella solita muta apatia. Anche Beatrice prese a fissare le pellicce sotto di lei e le ombre che le fiamme delle candele disegnavano su di esse. “Nemmeno voi siete felice, Madonna.”
La giovane scosse piano il capo “Vorrei che voi mi aiutaste ad esserlo però. So che il nostro è solo un matrimonio politico, che non mi desiderate e che se anche non fossi qui con voi sarebbe lo stesso… Ma dentro di me sento come se fosse stato il Destino a legarmi a voi. Come se vi appartenessi da prima di incontrarvi. L’ho capito la prima volta che mi avete parlato che la nostra via si sarebbe intrecciata, anche se suona stupido, dentro di me so che siete il solo che può rendermi felice o distruggermi completamente.” Fece una pausa, senza alzare gli occhi “So che è stupido, non vi conosco nemmeno, ma ho letto qualcosa nel vostro cuore che-” non le fu concesso di continuare. Girolamo aveva di nuovo unito le loro labbra, stavolta in una disperata quando impetuosa passione. L’aveva stretta a sé, portando le mani sulla sue schiena e accarezzandola fino all’attaccatura delle gambe per poi risalire, mentre la ragazza si sorreggeva al suo petto, ricambiando con lo stesso furore quel gesto avventato.
Si staccarono solo quando furono entrambi bisognosi di ossigeno, guardandosi con gli occhi lucidi dalla lussuria e il fiato corto. Fu in quel momento che Beatrice capì, ma Riario le concedette comunque una spiegazione “Io non ho mai detto di non desiderarvi, ma non è nella mia natura prendermi ciò che non mi viene offerto. Come potete vedere, ho sfatato il vostro mito. Non tutti gli uomini sono avvezzi a prendere ciò che desiderano da una donna, anche contro la sua volontà.”
A quelle parole, Beatrice si drizzò sulle ginocchia. Senza rispondere ne staccare lo sguardo da quello profondo del Conte, portò le mani dietro alla sua stessa schiena, aprendo un po’ a fatica i lacci del corsetto stretto. Si sentì goffa, ma non si era mai mostrata così ad un uomo, prima di allora. Col viso arrossato, abbassò la veste facendola scivolare verso il basso e mostrò all’uomo il petto nudo e pallido, insieme ai seni tondi. Questo invito fu più che sufficiente per Girolamo, che si sporse, spingendola supina sulle pellicce, prima di baciarla nuovamente, alzandole la gonna e accarezzandole le gambe snelle. Si concesse di esplorare con le labbra il petto della giovane moglie, che ridacchiò sottovoce alla sensazione della barba ruvida di Riario contro la sua pelle morbida, prima di rimettersi in ginocchio tra le sue gambe, per aprirsi la camicia e i pantaloni.
Fu allora che Beatrice vide qualcosa che di certo non si aspettava di vedere. Una corda nera si intrecciava con la catenella argentata che reggeva il crocifisso donato a Riario dal Papa in persona. Alla fine di quella corda vi era una chiave, che Beatrice aveva visto solamente nelle sue fantasie e sul diario del nonno. Quella era una delle due chiavi che avrebbero aperto la Volta Celeste e la possedeva suo marito.
Le si gelò il sangue nelle vene e Girolamo se ne accorse. Si sbrigò a sfilare entrambe le collane, adagiandole a terra, prima di togliere anche la camicia e sporgersi di nuovo verso la moglie “Siete certa di volervi concedere a me?”
Quelle parole riportarono la mora alla realtà. Smise di pensare a qualsiasi cosa non fosse Girolamo, visto che avrebbe potuto indagare dopo su quella singolare scoperta. Sorrise, accarezzando il volto dell’amante dalla tempia sino al mento “Ve l’ho detto quel giorno, a Palazzo Medici, che mi sarei concessa a voi. Non mi tiro di certo indietro ora... Vi ho sposato, sono vostra.”
“Mia?” chiese il Conte, passando una mano sul fianco della giovane mentre con l’altra si abbassava i pantaloni.
“Solamente vostra, come ho giurato davanti a Dio, per sempre.”
Girolamo la fece sua, in quel momento, e Beatrice giacque per la prima volta con un uomo. Aggrappata alle sue spalle, alla giovane parve di sentire tutte le attenzioni che il Conte le aveva riversato addosso dal suo arrivo diventare qualcosa di più profondo e intimo. Fu deciso, come al solito, ma insolitamente delicato. La prese con l’accortezza che si deve ad una persona amata, non ad una moglie di pura facciata. Lei si abbandonò totalmente a quelle forti emozioni, mentre Girolamo non riusciva a smettere di guardarla, incantato da tanta bellezza, resa ancor più misteriosa a causa della scarsa illuminazione che le candele permettevano. Illuminata da quelle stilette traballanti, Beatrice sembrava ancor più bella.
Il riflesso del fuoco, infatti, danzava sul suo corpo di porcellana, intrecciato a quello del Conte.
Solo quando l’amplesso si concluse, Riario si lasciò cadere su un fianco, sulle pellicce, portando un braccio dietro al capo. Beatrice si appoggiò al suo petto ancora ansante, passando piano le dita su di esso e notando qualche piccola cicatrice. “Un giorno saprò tutto di voi” disse di punto in bianco, rompendo la pace che era venuta a crearsi. Non era una domanda, ne una costatazione arrogante. Con quella frase, Beatrice aveva semplicemente esternato un suo desiderio personale.
Riario voltò il capo per guardarla “Certe cose è meglio che non le sappiate. Come ogni peccatore agli occhi di Dio, ho commesso atti che mi fanno vergognare di me.”
La mora si appoggiò alla sua spalla col capo, lanciando un’occhiata furtiva alla chiave prima di accoccolarsi contro di lui “Non dovete aver timore di deludere le mie aspettative, mio Signore. Ai miei occhi voi siete solo un peccatore come ogni altro. Non il conte di Imola, non il Generale dell’Esercito della Santa Sede o il Guardiano di Castel Sant’Angelo. Voi siete un uomo normale, e un mio caro amico artista mi ha detto, tempo fa, che la perfezione è da ricercarsi nell’ordinario.”
Quelle parole colpirono il Conte più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Rimase a meditare su di esse, ponderandole ciascuna e soppesandone il significato per diversi minuti e quando la riflessione terminò si accorse che Beatrice si era addormentata. Strinse di poco il braccio che aveva portato attorno ai fianchi snelli della moglie, stringendola maggiormente a sé prima di portare l’altra mano sul braccio liscio della ragazza, accarezzandolo col pollice.
Cosa gli stava facendo quella donna?
Cos’erano quei sentimenti che stava provando?
Avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, lasciarsi cullare da quell’innamoramento che aveva già preso a scaldargli il cuore, ma forse non doveva. Non poteva.
Si limitò a baciarle la fronte, prima di sciogliere quell’abbraccio e recuperare la sua camicia e le sue collane.
 
 

 

***

  


L’aurora dipingeva di colori freddi e rosati il cielo, disegnando forme sconosciute e fatiscenti innanzi agli occhi del Conte. Non vi era momento più azzeccato per compiere una riflessione, se non farlo guardando la notte morire partorendo un nuovo giorno.
Riario si appoggiò al parapetto di dura roccia delle mura, ponendo le mani ben distanziate tra loro mentre osservava innanzi a sé il paese di Imola e i campi circostanti. Si era assopito su quel tappeto, stretto nell’abbraccio di Beatrice, ma si era ridestato quasi subito grazie a Zita che era entrata trovandoli entrambi nudi e aveva tentato di coprirli. Dopo aver ringraziato l’abissina con un cenno, aveva avvolto delicatamente Beatrice nel lenzuolo e l’aveva portata nei suoi alloggi, ben sicuro che dopo quella notte avrebbero condiviso anche il letto.
Poi era uscito, per gustarsi l’alba che tingeva tutto di colori limpidi, sperando così di schiarirsi  i pensieri che non facevano altro che accavallarsi uno sull’altro nella sua testa.
L’attaccamento che aveva per quella ragazza l’aveva destabilizzato in più occasioni, ma solo dopo averla amata l’aveva compreso a pieno. Non aveva mai provato un sentimento così forte per nessuno che non fosse un suo consanguineo. Quando rideva, danzava o lo ammoniva bonariamente lui si sentiva diverso. Si sentiva quasi una persona migliore. Non era più il Conte Riario, che  imponeva la sua autorità sugli altri senza esitazione.
Così come lo aveva definito Beatrice, era solo un uomo. Era Girolamo, il ragazzino troppo fragile e malaticcio per poter frequentare l’accademia militare e quindi costretto a prendere lezioni private di scherma e arco. Era una persona come molte altre, un uomo che forse sarebbe persino riuscito ad amare.
Che fosse amore, quindi? Ancora ne dubitava, ma non poteva negare che ella gli era molto cara.
Perso com’era in quei pensieri, si accorse dell’arrivo di un cavaliere solo quando fu quasi alle porte della Rocca. Egli indossava una lunga casacca bianca, con impresso sul petto un’aquila candida e incoronata al centro di un blasone azzurro. Conosceva molto bene a quale casata appartenesse quel messo, così fece cenno ad una delle guardie di calare il levatoio e aprire le porte.
Scese lentamente le scale fino a ritrovarsi nel cortile proprio innanzi all’ingresso, allacciandosi la camicia nera ancora in parte aperta durante il tragitto. Il cavaliere fece il suo ingresso, scendendo da cavallo e arrivandogli davanti, inchinandosi “Conte Riario, non mi aspettavo di trovarvi già sveglio”
“Vi risparmio la fatica di attendere i miei comodi” commentò lui “Che notizie portate dagli Estensi?”
Questi si mise sull’attenti, drizzando la schiena prima di passare all’uomo una lettera bianca con scarabocchiato il suo nome in svolazzanti lettere dorate “Alfonso d’Este invita vostra Eccellenza e la Contessa ad un ballo che ha indetto per festeggiare l’arrivo della stagione delle messi, mio Signore.”
Riario lesse velocemente la lettera, prima di annuire piano “Dite al vostro padrone che verrò.”
Il cavaliere rispose con un cenno ossequioso prima di risalire a cavallo e sparire alla volta, sicuramente, di Mantova. Alfonso ambiva a far sposare la giovane figlia Isabella con il rampollo della città, figlio di Federico I Gonzaga.
Girolamo tornò verso le sue stanze, trovando Beatrice seduta sul letto e intenta a guardarsi attorno “Siete già sveglia? Non sembravate molto mattiniera” le disse, guardandola mentre si voltava verso di lui e gli regalava un sorriso luminoso.
“Uno spiffero mi ha destata, ma posso benissimo tornare a dormire” ammise, alzandosi senza preoccuparsi di vestirsi. Si mise davanti a lui, baciandolo sulle labbra “Venite a letto con me? o avete affari importanti?” chiese poi, indicando con un cenno la lettera.
Riario scrollò le spalle “Siamo stati invitati ad una festa presso la corte degli Este.” La informò l’uomo, prima di  buttare la lettera sullo scrittoio e tornare con la moglie verso il letto “Posso concedermi qualche ora di sonno in più, Madonna, ma solo perché siete voi a domandarlo…”
“Poi mi porterete in paese?”
“D’accordo, ve lo prometto.”
 

 
***

 
 
Un gruppo di bambini passò davanti a Beatrice, facendo nitrire il cavallo che ella stava montando. La giovane guardò quel piccolo drappello di infanti scalpitare felici e rincorrersi fino a raggiungere la piazza principale del paese, davanti alla chiesa.
“Non posso credere che siano tutti così allegri per un’impiccagione” disse la mora, quasi sgomenta. Non aveva mai assistito ad una scena del genere, di solito Lorenzo non le permetteva di vedere le esecuzioni pubbliche.
“La gente adora il sangue, ne sente l’odore da distanza, anche se il popolo vive in mezzo a puzzo della miseria.” Le disse Riario, affiancandosi a lei e procedendo a passo lento tra le persone che li guardavano ammirati, inchinandosi al passaggio dei loro signori. “Possiamo andare da un’altra parte. C’è il mercato delle spezie a quest’ora della mattina, vicino alla via che conduce fuori dal paese.”
“No io… Credo di voler vedere.” Beatrice lo guardò titubante “Voglio sapere per cosa verranno giudicati quei giovani.”
Aveva sentito dire che sarebbero stati impiccati quattro ragazzi, ma solo una volta arrivata nella piazza centrale scoprì il motivo. Avevano cercato di derubare il fornaio di qualche pezzo di pane, per sfamare quella che agli occhi di Beatrice si propose come una famiglia estremamente bisognosa. Infatti, di cornice alla raccapricciante visione dei condannati, due dei quali ancora bambini, vi era una coppia di sposi ormai sulla via dell’anzianità. Stringevano tra i loro corpi smagriti dalla miseria due bambine, che fissavano spaventate i fratelli col cappio al collo.
“Dobbiamo fare qualcosa.” Disse Beatrice, voltandosi verso il marito che manteneva la sua posizione impassibile “Girolamo, voi siete il Conte di queste terre. Dovete intercedere.”
L’uomo guardò un istante la moglie, prima di spronare il cavallo e arrivare più vicino possibile al palco. Le persone si scostarono per permettergli di passare. Una volta che fu vicino abbastanza da attirare l’attenzione del boia su di sé gli domandò “Che prove avete per condannare al cappio questi giovani?”
L’uomo si sfilò il cappuccio nero in segno di rispetto per il suo signore e, dopo un rapido inchino, rispose solenne “Sono stati trovati con le mani nel sacco dalle guardie della cittadella, mio Signore Riario. Avevano minacciato il fornaio e mentre il maggiore brandiva una spada contro quel pover'uomo, i più giovani stavano raccattando quanto più pane possibile per poi fuggire.”
“Avevamo fame!” urlò il più grande dei ragazzi, cercando di fare un passo avanti nonostante le mani e i piedi legati da pesanti corde “Se vostra Eccellenza non ci avesse tanto tassati al fine di costruire un’altra chiesa, non ci saremmo ridotti così!”
“La chiesa di San Domenico è stata una disposizione del Santo Padre in persona, al fine di adornare in modo sacro questa spoglia cittadina” Spiegò Riario, senza scomporsi “Se tutti rubassero, allora non vi sarebbe più ordine. Potevate fare il garzone presso una bottega e guadagnare qualche denaro, invece di macchiarvi di una simile infamia. Minacciare poi un pio uomo come il fornaio Verroni, è stata la decisione che vi è costata il cappio.” Fece un cenno con la mano al boia che si rimise il cappuccio “Possa Dio aver pietà delle vostre anime peccatrici e accogliervi nel suo Regno.”
Beatrice lo guardò stravolta e scese dal destriero, senza attendere che il marito tornasse da lei “Girolamo, non potete permetterlo! Sono solo ragazzi! Sono solo-”
Non terminò la frase, poiché la botola sotto i giovani si sganciò ed essi penzolarono, trovando la morte quasi immediatamente.
La ragazza fissò incredula la scena, portandosi una mano alla bocca mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Riario la chiamò un paio di volte, prima di scendere a sua volta da cavallo e raggiungerla. Quando fece per prenderla, però, la ragazza si ritrasse, guardandolo ancora sconvolta “Non toccatemi, vi prego…” sussurrò con voce spezzata.
“La legge deve venire rispettata, Beatrice” Il suo tono era paziente, come se si stesse rivolgendo ad una bambina capricciosa “Queste persone devono temerci, o non possiamo tenere il controllo.”
“Quindi noi governiamo imponendo leggi che rendono il popolo schiavo della paura? Questo è il vostro modo di farvi valere, Conte?” scosse piano il capo, incredula “Io non vi capisco. Non capisco chi diamine ho sposato, se l’uomo misericordioso che mi tratta con i dovuti riguardi o il mostro che pretende il sangue degli innocenti.”
Girolamo la prese per un braccio, tirandola con poca grazia verso di lui “Innocenti? Ottaviani, un violento che picchia le donne, è innocente? Quei ragazzi hanno rubato, si sono macchiati di un crimine minacciando un onesto lavoratore. Questa è la giustizia divina, Beatrice. Ciò che dico io è il volere del Signore, visto che io ne sono vicario in terra.”
La ragazza resse lo sguardo “Non credevo che foste diventato un cardinale o un vescovo, Conte.” Disse con insofferenza, strappando via il suo braccio dalla presa del marito “Torniamo alla Rocca, sto per sentirmi male.”
Riario annuì, salendo a cavallo imitato dalla moglie “E per la cronaca” aggiunse prima di salire sul levatoio “Io sono portatore della parola di Dio per volere di Papa Sisto IV, sono molto più di qualsiasi cardinale o vescovo visto che nelle mie vene scorre il sangue del Santo Padre.”
“Vostro zio è stato fin troppo generoso con voi” rispose Beatrice, affidando il cavallo alle cure di uno stalliere.
Riario si inumidì le labbra, sussurrando piano “Già…. Mio zio….”
Il suo tono misterioso incuriosì la giovane, ma non poté chiedere nulla. Simonetta informò il Conte dell’arrivo di un ospite mentre era fuori e Riario si sbrigò a raggiungerlo nel salone principale, lasciando la moglie nel cortile.
Ad aspettarlo trovò infatti Lupo Mercuri, che stava rimirando un paio di quadri lì appesi “Scusate per il ritardo, mia moglie si è persa in orazioni a difesa di un paio di ladruncoli e il tempo è volato” disse Girolamo, salutandolo con cordialità “Cosa vi porta a Imola? Il Santo Padre richiede il mio ritorno anticipato?”
“Dovreste controllare maggiormente vostra moglie, Conte Riario. La sua impertinenza è sgradevole.” Disse l’uomo più anziano, ridacchiando sotto i baffi. Poi si decise a rispondere alla domanda “Non esattamente, se mai a prolungare il vostro soggiorno fuori dalla Santa Sede.” Spiegò Mercuri, mostrandogli una missiva.
“Oggi è giornata, per le lettere” disse Riario, prendendola prima di sedersi su una delle due sedie rivestite di tulle nero poste in fondo alla stanza, a mo di trono. Prese il pugnale dalla cintola e aprì la busta, leggendo lentamente il contenuto. Alla fine guardò l’alleato negli occhi “Quando è stato deciso?”
“Ieri sera.” Rispose Lupo, avvicinandosi di qualche passo.  “Il Papa vi ha donato il Ducato di Forlì, ma esso va prima conquistato. Cecco Ordelaffi lo tiene ben stretto, nonostante fosse chiaro che lo Stato Pontificio ne detiene la proprietà. Sapete che significa vero?”
Girolamo sorrise, pragmatico “Oh si, significa che partiamo per la battaglia. Mandate un messo a Grunwald, che salga a Imola con tutti i suoi uomini. La terra di Forlì si bagnerà del sangue degli Ordelaffi quando verrà proclamata la mia reggenza.”
Mercuri annuì, lasciando la stanza.
Riario, rimasto solo, rilesse la lettera ancora una volta.
Non se lo aspettava, ma doveva ammettere che anelava da tempo un’altra missione di conquista. Erano in assoluto i suoi incarichi preferiti.



Continua.

 




Nda.
Buonsalve a tutti!
Come promesso, eccovi l'aggiornamento!

Come avrete notato, questo capitolo manca del pezzo del diario di Beatrice.
Beh, materialmente non ha avuto il tempo di scrivere nulla oggi, visto che si è tenuta bella impegnata col Conte!
Niente da dire, per la legge del tempo il matrimonio è riconoscibile solo quando viene consumato. Ora è tutto in regola quindi.
Nel prossimo capitolo ci sarà la descrizione della battaglia di Forlì, che storicamente non è avvenuta nel modo in cui la renderò io ma perdonatemi. Amo le battaglie!

Passo ora a ringraziare Eagle e Yoan per le recensioni ** ragazze vi adoro!
Grazie anche a che legge solamente la storia^^

A Giovedì!

J.

 
 
 
 
 
 
  
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