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Autore: IronicNarwhal    18/06/2013    3 recensioni
[Seguito di Finding John]
Forse Anima Gemella si riferisce, di fatto, alla persona che è la chiave della tua serratura. Di tutte le tue serrature. È la tua chiave di casa, della macchina, della cassetta di sicurezza, tutte in una volta. Forse è questo il motivo per cui, finché non la incontri, sei solo una parte di te stesso. Non puoi sbloccare le tue serrature. Non puoi spegnere la scintilla, fare un passo indietro e goderti il silenzio finché, finalmente, non incontri la persona che tiene, o è, la tua Chiave.
[SoulBond!AU]
[Sherlock/John]
[seconda storia della serie Inscriptions]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Inscriptions'
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Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 


Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

Capitolo 5: History Repeats Itself

 

 

 

Sherlock si agita senza posa mentre siedono nella sala d’attesa del pronto soccorso al Bart’s. Ha prudentemente posizionato John di fronte a sé stesso, una barriera tra lui e le persone malate nelle stanza. C’è davvero poco che John possa fare, tranne che dare delle pacche sul il ginocchio di Sherlock e sperare che il dottore che si occupa di Mary permetta loro di vederla presto. Tutte le infermiere hanno detto che probabilmente avrà bisogno di qualche punto, ma sono passate due ore e nessuno è venuto a cercarli.

“Hai fame?” Domanda John, cercando una qualsiasi ragione per lasciare il pronto soccorso. “Possiamo andar giù al bar. Si suppone che chiamino Lestrade quando potrà ricevere visite e lui ci avviserà. Non siamo obbligati a stare qui.”

“No, ho bisogno di parlare con lei prima della polizia. Si bloccherà se ci saranno anche loro, e non avremo mai nessuna informazione da lei.” Sherlock sospira, riaccavalla le gambe, e scivola ancor più in basso sulla sua sedia. A metà strada tra l’annoiato e l’irascibile. John dà di nuovo delle pacche al suo ginocchio e fissa lo sguardo sul corridoio che conduce alle stanze dei pazienti, come se potesse far apparire un dottore con la forza di volontà. Le cose hanno certamente rallentato rispetto ai suoi tempi.

Altri venti minuti prima che un dottore esca e si diriga verso di loro. È lo stesso con cui Sherlock ha parlato in precedenza, prima che ricoverassero Mary, informandolo che la donna era oggetto di un’indagine di polizia e che era necessario interrogarla il prima possibile, dopo essere stata curata per la ferita d’arma da fuoco e fissato i punti.

“Possiamo parlare con lei?” Chiede immediatamente Sherlock, sedendosi dritto e volgendo il suo sguardo per ‘intimidire’. John pensa che ci voglia ben più di quello perché un medico del pronto soccorso tremi sul posto, ma è Sherlock, quindi davvero tutto è possibile.

“Beh, dobbiamo curarla per un trauma cranico così come per la ferita. Probabilmente ha battuto la testa quando è caduta e non se ne è resa conto. Penso che sarete in grado di parlarle, ma potrebbe essere un po’ lenta. Sarà anche affaticata, e probabilmente un po’ confusa, quindi potreste semplicemente voler aspettare fino a domani mattina.” Quando le sopracciglia di Sherlock si accigliano, aggiunge, “Ovviamente, se dovete assolutamente parlare con lei oggi, potete. Ma ha bisogno di riposare, Mister Holmes, e alle infermiere è stato detto di cacciarvi se doveste creare fastidio o cominciare a tormentarla.”

Sherlock annuisce freddamente. Come se gli siano stati dati degli ordini e si preparasse al saluto, si gira e li esegue. O magari è la sensibilità militare di John a distorcere il solito rispetto dato a malincuore, di Sherlock, per l’autorità.

Mary è sistemata in un letto all’estremità finale del reparto emergenze, apparendo sana in tutto eccetto che per la larga fasciatura avvolta intorno al suo avambraccio e la borsa di ghiaccio che sta tenendo sulla sua testa. Qualcuno ha anche avvolto un bendaggio intorno alla base del dito della sua SBI il che, John può solo supporre, sia per il disagio delle persone che si occupano di lei. Immagina che devono essere state le infermiere, perché è difficile che un dottore del pronto soccorso sia facilmente impressionabile, abbastanza da essere a disagio per la SBI esposta di una donna.

“Siete venuti ad interrogarmi di nuovo?” Domanda Mary. Almeno le ultime ore non hanno fatto nulla per fiaccare il suo spirito.

“Qualcosa del genere.” Sherlock prende una sedia e si siede. Incrocia le sue gambe e braccia. Fissa Mary. “Inoltre penso che lei sappia perché siamo qui.”

Così cominciano una sfida di sguardi in cui John è preso nel mezzo. Questi si agita a disagio, sfregandosi le braccia e rimanendo ai piedi del letto di Mary. Aspetta che uno dei due faccia una mossa, ma sta diventando sempre più evidente che non sarebbe accaduto. Nessuno dei due vuole cedere.

“La poesia,” dice alla fine John. “Veniva da un libro. Deve sapere che libro fosse, perché a quanto pare ha dovuto tirarla fuori dalla bocca di una donna. Quindi? Cosa c’è di così importante in quella poesia? O nel libro, per quel che conta.”

Sorprendentemente, Sherlock non è infastidito che John abbia fatto la prima mossa. Invece volge un sorriso compiaciuto in direzione del dottore, quindi si volta nuovamente verso Mary con un’espressione che, se avesse avuto dieci anni, avrebbe incluso un fare la linguaccia e un canticchiare una frase di scherno. Di fatto, non è sicuro che Sherlock non l’avrebbe fatto all’età di trent’anni, se non fossero stati in pubblico.

Le sorprese non finiscono mai.

 “La pagina proviene da un libro di poesie di un poeta gotico chiamato Amos Marriet. I suoi lavori erano... molto progressisti per il suo tempo. Parlano di argomenti tabù e molto oscuri. Era abitudine bruciare i suoi libri, quindi ne sono rimaste solo poche copie.”

“Mi sta dicendo che ha dovuto togliere quella pagina dalla bocca di una donna perché è di valore?” chiede John, oltraggiato.

Mary sembra ancor più oltraggiata. “Certo che no! Non sono crudele, sa? Ho rispetto per i morti, probabilmente più di lei e di quel necrofilo della sua Anima Gemella qui presente.”

“No, John. Penso che il motivo per cui avesse così disperato bisogno di quella poesia sia poiché è lei la proprietaria del libro da cui proviene.” Inclina la sua testa di lato. “Come sa che io e John siamo Anime Gemelle?”

“Oh per favore. È ovvio.” Lancia uno sguardo tra i due. Arriccia le sue labbra e serra la mascella. “Sì, d’accordo. Quella pagina è di un mio libro. Ma non ho niente a che fare con quell’omicidio, dovete credermi. Non sono nemmeno sicura di come abbiano preso quella pagina dal mio libro senza che me ne accorgessi. Sono stati nella mia carrozza solo per cinque minuti, e i due sono stati portati via da due dei ragazzi dei biglietti.” Appare soddisfatta per un momento. Chiaramente contenta della sua argomentazione. Quindi i suoi occhi si allargano. “Voglio dire, posso spiegare.”

“Prego,” dice Sherlock, mentre John borbotta qualcosa che somiglia ad un “Sarà meglio.”

C’è un momento in cui Mary fissa entrambi prima di dire, “Ieri, due uomini sono venuti nella mia carrozza. Erano chiassosi e turbolenti, e volevano che gli venisse predetto il loro futuro. Onestamente ho pensato che fossero una coppia di studenti. Quindi è arrivata una coppia di ragazzi dei biglietti e hanno chiesto se ci fosse qualche problema, e quando hanno visto questi due rendersi insopportabili, li hanno allontanati dal luogo. Non è stato fino a più tardi che mi sono resa conto che avevano rubato quella pagina dal mio libro.”

“Perché era così preoccupata quando si è resa conto che avevano preso quella particolare pagina?” Sherlock si inclina in avanti, le punte delle dita premute tra loro. La sua tipica posizione per pensare. Avvicinandosi a risolvere il mistero.

Non sembra che Mary voglia rispondere. Guarda intorno per la stanza come se la soluzione alle sue attuali pene dovesse saltar fuori e presentarsi da sola. Non succede, ovviamente. Alla fine dice, “Perché è... beh, vi ho detto che il suo lavoro era considerato un tabù all’epoca. Lo è ancora, in realtà. Scrisse di quel genere di cose che non è mai realmente stato politicamente corretto, nemmeno ai giorni nostri.”

“Quindi, sesso e morte,” dice John. Sesso perché è considerato come qualcosa che deve rimanere tra Anime Gemelle, e morte perché ricorda alle persone della loro stessa mortalità. Non è difficile immaginare cosa intendano le persone quando dicono ‘tabù’.

“Sì.”

Dalla sua tasca, Sherlock estrae la busta delle prove contenente la pagina strappata. John è sicuro al novantanove percento che non gli sia permesso portar via la prova dalla custodia della polizia, neppure che sia legale, ma Sherlock non ha quasi mai afferrato il concetto di ‘vietato’. La porge a Mary e dice, “Di cosa parla questa poesia?”

Mary prende la busta delle prove. La fissa con la mascella chiusa e stretta, finché: “Per mancanza di un termine migliore, è una guida-come-fare-a per spezzare le Anime Legate.”

Si accigliano guardando l’uno verso l’altro, quindi verso Mary, e John dice, “Intende... separandosi?” È un concetto estraneo per i più. John ne è a conoscenza solo perché di recente sua sorella è passata attraverso a quel disastro con Clara. È una delle ragioni per cui al momento non si parlano.

“No.” Sospira Mary. Preme le sue dita sulle labbra. “È... diverso. Suppongo sia difficile da spiegare a qualcuno che non sa delle mezze-anime.”

“Cosa.” Nemmeno una domanda, più una pretesa. Casca dalla lingua di Sherlock con una sostanziosa quantità di ira e sdegno, e se fosse apparso più incredulo o disgustato, qualcosa nella sua persona avrebbe potuto spezzarsi. Accusare Sherlock di non conoscere un’informazione rilevante è in primo luogo un errore, e il fatto che quell’‘informazione rilevante’ sia apparentemente un qualche genere di ciance da chiromante lo sta probabilmente facendo uscire dai gangheri.

Sembrerebbe che Mary non sia intimidita. Rotea gli occhi e dice, “Mezze-anime. Davvero poche persone sanno che esistono... beh, eccetto coloro che le hanno, ovviamente.” Fa una pausa, aggrotta le sopracciglia e continua, “È difficile da spiegare. Le normali Anime Legate... beh, sapete come funziona. Due persone che sono destinate a stare insieme.”

“Ovviamente,” sbotta Sherlock. “Tutti noi abbiamo una Inscrizione dell’Anima Gemella, non ha bisogno di insegnarci che cosa sono.”

“Ma le mezze-anime sono qualcosa di diverso,” sbotta lei, fissando Sherlock. “Esse sono... appaiono come le normali anime legate, con una SBI... ma anziché due anime legate una all’altra, è una sola anima alla ricerca dell’altra sua metà. Meno Anime Gemelle, più... un’anima.”

“Spero lei si renda conto di quanto questo suoni assurdo,” sbotta Sherlock. “Non esistono le anime. È un termine arcaico usato dai pagani per spiegare il fenomeno dell’Inscrizione dell’Anima Gemella quando, in realtà, abbiamo probabilmente iniziato a chiamare i nostri bambini a causa dei marchi sulle nostre mani. Centinaia di anni fa, è probabile che le persone non avessero nomi. Quindi la SBI ha cominciato ad apparire sulle mani dei nostri avi, probabilmente più un tic genetico che altro, e le persone della stessa tribù cominciarono a cercare i colori che si abbinavano, quindi chiamavano i loro bambini con i marchi sulla mano del partner. A volte i bambini andavano avanti anni senza un nome, perché la loro Anima Gemella non era ancora nata. Poi la popolazione aumentò, le persone si stancarono di riferirsi ai loro neonati come ‘tu, lì’ e quindi fu inventata la storia dell’‘anima’ per spiegare il fenomeno. È semplice genetica, pura scienza. Non esiste l’anima.”

“La scienza può sbagliarsi.”

Profondamente turbato, Sherlock scivola indietro. Incrocia le sue gambe e braccia ed agita un piede. “Questo che rilevanza ha per il caso?”

Lei scuote la testa. “Non lo so.”

“Come sapeva che sarebbe stato lì?” chiede John.

“Quando ho trovato i corpi, mi... mi sono guardata intorno, prima di chiamare la polizia. Usciva leggermente dalla sua bocca...” Mary si muove a disagio. “Potete tornare più tardi? Sto cominciando a sentirmi stanca.”

Dall’altro lato del reparto, appaiono le infermiere, come se fossero state evocate ed avanzano verso Sherlock e John. Una di esse tira la tenda intorno al letto mentre un’altra posa una mano sulla spalla di Sherlock e dice, “Mi dispiace, signore. Dovete andarvene. Miss Morstan ha bisogno di riposare.”

“Morstan? Il suo cognome è Morstan?” John si acciglia guardandola, le sopracciglia aggrottate. Pensando. “Dove ho già sentito il suo nome?”

“Non ne ho idea,” dice lei. I suoi occhi, comunque, tradiscono quanto agitata sia.

Un suono da Sherlock denota divertimento, e John lo vede ridacchiare mentre si infila il cappotto. Ascolta mentre dice, “Non è di lei che hai già sentito, John. È di suo fratello.”

“Chiuda la bocca–”

“Circa otto anni fa, suo fratello, Martin Morstan faceva parte di un certo gruppo di criminali che rapiva bambini e li uccideva prima di mutilarne i corpi in modo particolarmente orrendo. Abbastanza stranamente, questi casi hanno una evidente somiglianza con il crimine odierno, in quelli erano soliti rapire i bambini in coppie, e obbligarli a uccidersi l’un l’altro.” Gli occhi di Sherlock roteano. “Quanti anni avrà avuto, Miss Morstan? Tredici? Quattordici?”

“Le ho detto di chiudere la sua cazzo di bocca!” Mary afferra la prima cosa che può–la quale capita essere una tazza piena di cubetti di ghiaccio–e la lancia verso la testa di Sherlock. La manca di lunga misura–la commozione cerebrale non rende tiratori scelti, ma il danno era fatto. Una delle infermiere trattiene Mary e l’altra caccia John e Sherlock fuori dalla porta, lanciando sguardi nervosi oltre la sua spalla mentre Mary continua ad urlare irritata.

Sono fuori dall’ospedale prima che John osi dire un’altra parola. Quando lo fa, è: “Pensi sia stata lei?”

Pensierosamente, Sherlock scuote la propria testa. “No. È troppo sofisticato per lei. Voglio dire, onestamente, c’è un motivo se fa la chiromante in un luna park. E sarebbe fatto con molta più trascuratezza se stesse solo copiando ciò che ha fatto suo fratello. Comunque, non ho nessun dubbio che questo c’entri con i crimini del 2002.”

“Avresti dovuto avere solo ventidue anni tu stesso a quel tempo,” sottolinea John. “È impressionante che tu abbia ricordato qualcosa del genere così a lungo, soprattutto considerando che deve essere accaduto mentre dovevi avere altre cose per la mente. Avresti dovuto essere all’università, giusto?”

“Tu te lo ricordi, e dovrebbe essere successo durante la tua specializzazione.”

John sbuffa. “Mi ricordo solo il nome, e solo vagamente. Tu ricordi tutti i dettagli del caso. Non hai una di quelle memorie fotografiche, o sì?”

Ridacchiando leggermente, Sherlock scuote la testa. “No, non ce l’ho. Tuttavia diversi membri della mia famiglia ce l’hanno, inclusa mia madre. Comunque, ho solo passato un bel po’ di tempo qualche anno fa lavorando su una tecnica mnemonica chiamata metodo dei loci. Include, per mancanza di un termine migliore, costruire una struttura in cui poni tutti i tuoi ricordi e tutte le informazioni che apprendi. La notizia di questa storia è apparsa mentre lo stavo costruendo, e deve essere stata inavvertitamente inclusa. Probabilmente sarebbe stata cancellata altrimenti.”

“Cosa, come... una casa?”

“Sì. Per alcuni. Per altri è solo una stanza, un luogo che ricordano da quando erano giovani. O, per altri, è più grande. Uffici, grattacieli... palazzi.”

“Palazzi? Davvero?” John fa una pausa per un momento, esaminando Sherlock mentre si avvicinano all’angolo e solleva una mano per un taxi. Si rende conto all’improvviso, “Tu hai un palazzo, vero? Un... palazzo cerebrale?”

“Palazzo Mentale.”

John fischia. “Wow. E l’hai fatto mentre eri all’università?”

“Subito dopo, in realtà.” Sherlock diventa all’improvviso silenzioso. Distante. John può quasi sentirlo fisicamente. “C’è stato un periodo di tempo durante il quale io... ero molto infelice. Ho fatto cose di cui mi rammarico molto. Mycroft suggerì di lavorare al metodo dei loci come distrazione, ma è stato... temporaneo, al massimo.” Il taxi arriva e Sherlock vi salta dentro velocemente, chiudendo si in sé stesso e tirando su il suo colletto. John si rende conto che cercare di continuare la conversazione non verrebbe gradito, e avrebbe solo portato a cominciare una discussione altrimenti.

L’ultima cosa di cui hanno bisogno è un’altra lite.

Invece si limita ad appoggiare la sua mano sulla coscia di Sherlock. Stringe. Sherlock lo guarda, lo fissa, e lentamente si apre. Il ritorno a Baker Street è tranquillo, anche se silenzioso.

Quando arrivano a casa, sono solo le tre. Sembra che sia più di un giorno da quando sono stati a casa l’ultima volta, ma in realtà sono state solo cinque ore. John si rende conto che nessuno dei due ha mangiato da colazione–beh, lui ha mangiato a colazione, ma onestamente non è sicuro per quanto riguarda Sherlock–e comincia a preparare qualcosa da mangiare. Alla fine è solo qualche avanzo di risotto di poche notti prima, ma è meglio di niente, e ce n’è più che abbastanza per tirarne fuori un secondo pasto.

Verso le cinque, arriva Lestrade. John lo aspettava –l’ispettore fa sempre in modo di fare il punto della situazione con Sherlock, anche se lui è già scappato via–e si siede dietro il suo laptop mentre il Detective Inspector e la sua Anima Gemella scambiano informazioni. A quanto pare Mary era ancora abbastanza sconvolta quando è arrivata la polizia. Hanno dovuto sedarla. Come si poteva immaginare, non era di molto aiuto in quello stato.

“Allora pensi che sia coinvolta in qualche modo?” chiede Lestrade verso la fine della conversazione, più o meno ponendo la domanda sulla stessa linea di quella di John, quando in precedenza sono usciti dall’ospedale. “Voglio dire, ovviamente non è l’assassino–sarebbe stata sciocca a lasciare tutti questi indizi portandoci direttamente a lei.”

“Non esserne così sicuro, Lestrade,” sottolinea Sherlock. Si stende sulla lunghezza del divano e tiene le sue mani giunte di fronte al viso. John ha cominciato ad associarlo a pensieri profondi e concentrazione. “Gli assassini possono diventare molto presuntuosi. Da qui la mentalità di molti di essi da ‘prendetemi prima che uccida di nuovo’. Ma in questo particolare caso, non credo che sia questo ciò che c’è in gioco. Credo, comunque, che sia coinvolta. Solo non riesco a capire come.”

Lestrade sbuffa. “Cosa, sei bloccato?”

“Non ho detto questo.” Sospira Sherlock in modo irritato e si massaggia le tempie, spostando le sue dita in un movimento circolare. “Ho solo bisogno di pensare. Roma non è stata costruita in un giorno, Lestrade.”

“Beh, ad ogni modo, sappiamo che alcune persone abbastanza pericolose la vogliono morta. Non può stare dov’era, questo è certo. Sanno dove vive e dove lavora. Avrà bisogno di essere spostata in una casa sicura, ma avremo bisogno di un qualche posto in cui possa stare finché non ne avremo una pronta per lei e non avremo stabilito quali agenti le faranno da scorta.”

Senza nemmeno alzare lo sguardo, Sherlock dice, “No.”

“Cosa?”

“No.” Ora guarda in su, occhi verdi si concentrano su Lestrade e si accigliano. “No, Lestrade. Non l’avrò sotto questo tetto. Questa è la tua prossima domanda. ‘C’è un appartamento inutilizzato in questo edificio, possiamo trasferirla lì nel frattempo?’ No.”

Lestrade geme, “Sherlock, andiamo. Questo per lei è il posto più sicuro ed è l’unica testimone di un omicidio-suicidio che potrebbe o meno avere collegamenti fino al 2002. I media sono come gli elefanti, Sherlock; non dimenticano mai. Quando l’avranno fiutato, faranno rapidamente il collegamento, e non voglio apparire come un bastardo, dicendo che abbiamo lasciato che la nostra unica testimone venisse uccisa perché non potevamo trasferirla in un programma di protezione abbastanza in fretta. Tutto quello che sto chiedendo sono quattro, cinque giorni. Una settimana al massimo.”

“Ho. Detto. No.” Come un bambino petulante, Sherlock si gira volgendosi verso lo schienale del divano.

“Potresti fare qualcosa per me per una volta nella tua vita, sai! Sono il tuo cognato dimenticato-da-Dio!”

“Hah! Buffo che pensi che questo ti qualifichi per un favore di qualche sorta.” Sherlock gira la sua testa quasi di 180 gradi solo per lanciare a Lestrade uno sguardo acido. “Non faccio favori al mio stesso fratello, men che meno alle involontarie pedine del suo inganno, e questo include te.”

Scivolando sul tappeto, Lestrade punta una mano, indice e pollice premuti insieme. Apre la bocca un paio di volte, cercando le parole. Alla fine dice, “Sai... una volta, solo una volta, sarebbe carino se tu tenessi in considerazione tutto quello che tuo fratello ed io abbiamo fatto per te, e magari fossi leggermente grato.”

“La gratitudine è per quelli dal cuore debole.”

Lestrade scuote la testa. “Ti senti quando parli?”

“Mi senti quando parlo? Ho detto no. Arrivederci, Lestrade.”

Lestrade, i pugni chiusi ai suoi fianchi, gira sui tacchi e cammina con passo pesante verso la porta. John guarda verso Sherlock, quindi verso la ritirata di Lestrade, poi di nuovo verso Sherlock prima di sospirare e prendere una decisione che sa che rimpiangerà. Si alza e ferma Lestrade sulla porta.

“È solo per pochi giorni, giusto?” dice John, incrociando le braccia. “Non voglio infliggerle Sherlock per un periodo di tempo più esteso. La donna è praticamente una lunatica. Ma se non ci sono altre opzioni, sono disposto a tollerarla per qualche giorno.”

“Solo pochi giorno,” conferma Lestrade. “Una settimana, dieci giorni al massimo. Tuttavia, di solito non serve così tanto tempo per preparare una casa sicura. Dovrebbe stare qui solo per quattro o cinque giorni, e l’appartamento sarà sotto sorveglianza ventiquattrore su ventiquattro.”

John sbuffa. “Non sono sicuro che non lo sia già. Mycroft ha ogni genere di trucchi nella sua manica.”

“No, gli ho fatto smettere di sorvegliare Baker Street quando ti ci sei trasferito. Sembrava un po’ invasivo, sai com’è. Essendo tu e Sherlock Anime Gemelle e tutto.”

Mentre è grato che Mycroft non si comporterà come un grande fratello guardone, l’idea che ci fosse la sorveglianza non gli va a genio. Dice John, “Ehi, perché Mycroft sente il bisogno di monitorare Sherlock? Voglio dire, so che è iperprotettivo, ma sono iperprotettivo con mia sorella e non mi comporto come fa lui.”

“Beh, con tutto il rispetto, John, non sono la persona a cui dovresti chiederlo. E davvero non mi sento a mio agio a rispondere a questo. Anche se Sherlock è un fastidioso cazzone, comunque non rivelerò i segreti che non vuole siano rivelati.” Posa una mano sulla spalla di John. “Non preoccuparti. Tutto a tempo debito. Grazie, comunque, per questo. Stavo cominciando a pensare che avremmo dovuto liberare una cella in prigione per lei, e non riesco ad immaginare che sarebbe andata troppo bene.”

“Già, amico. Fa solo in modo che quella casa sicura sia pronta il prima possibile.”

Lestrade annuisce, fa un piccolo saluto, ed è andato.

Quando torna nel salotto, sente il suono della porta di Sherlock che viene chiusa sbattendo. Sospira, sedendosi sul divano. Geme nelle sue mani. Sapeva che l’avrebbe rimpianto. Si chiede quanto a lungo Sherlock trascinerà questa collera.

Pensa che il peggio sia passato quando, tre ore dopo, Sherlock si porta lentamente fuori dalla sua camera e si butta prono sul divano. Sembra ancora che non voglia essere socievole, ma almeno sta degnando John della la sua presenza, e quello di solito è il primo segno di perdono con Sherlock Holmes. John si inginocchia accanto alla testa del consulente, posando le dita tra i suoi capelli, e dice, “So che sei arrabbiato, ma parliamone, ok? Comunicazione e tutto quanto.”

“Non mi piace quella donna, John,” dice Sherlock al divano. “La sua filosofia contraddice completamente la mia, è volubile, e non la voglio a meno di cento metri da me, men che meno sotto lo stesso tetto.”

“Lo so, lo so. Per me è lo stesso. Ma chiunque ha diritto alla sicurezza e, al momento, la sua è severamente compromessa. Non c’è nessuna ragione per cui non possiamo permetterle di stare qui per poche notti. Inoltre, potrebbe farti guadagnare un favore o due da Lestrade nel lungo periodo.”

“Lestrade ha smesso molto tempo fa di concedermi favori.”

“Sì, beh, forse potrebbe ripensarci.” John non è di certo disposto a lasciar cadere il suggerimento quando ne ha bisogno.

Non sembra che Sherlock si sia convinto, ancora rigido e rivolto al divano. John massaggia la sua schiena e dice, “C’è qualcos’altro che ti dà fastidio, vero?”

Senza preamboli, Sherlock gira la testa per affrontare John e dice, “La sua SBI è John.”

Sbatte le palpebre. “Cosa?”

“La sua SBI. È John. Non ho potuto fare a meno di notarla quando prima mi ha tirato quella tazza.” Posiziona di nuovo il suo viso contro i cuscini e continua, “So che è irrazionale. Ma non posso far a meno di odiarla un po’ per questo. È un’abitudine. Ho passato così tanto tempo ad essere geloso di chiunque avesse la mia stessa SBI.”

Questa è probabilmente l’ultima cosa che John si sarebbe aspettato. Era completamente preparato ad un’invettiva di Sherlock contro il codice etico e morale della donna, oppure un’invettiva sul fatto che John sia andato contro i suoi desideri e abbia concordato con Lestrade. Tuttavia può lavorare con questo. Sherlock si sta aprendo con lui e non può rovinare questa opportunità.

“Io...” John si ferma, raduna i suoi pensieri, e comincia di nuovo, “Non voglio pretendere di sapere come sia stato per te. So che il mio nome è comune, e se avessi potuto farci qualcosa al riguardo l’avrei fatto, ma... beh, è stata una decisione dei miei genitori. Non avrei potuto fare molto al riguardo, anche se mi fossi fatto chiamare con il mio secondo nome. Le SBI sono sempre il primo nome. Ma so che deve essere stata dura per te, con così tante persone con il mio nome. Continuo a dimenticare che tu ed io abbiamo avuto delle Ricerche molto diverse. La tua era il cercare un ago in un pagliaio, e io cercavo solo di trovare l’unico.” Fa una pausa, preme le sue labbra insieme. “Credo che fossi attaccato a quella mania infantile secondo cui la prima persona che avrei incontrato con il nome della mia Anima Gemella sarebbe stata mia. Suppongo di non averla mai persa perché... non ho dovuto farlo. Ma tu sì.”

“Ventiquattro,” dice Sherlock.

“Hmm?”

“Ho incontrato altri ventiquattro John prima di incontrare te.” Si gira sulla schiena, posando le mani sul suo stomaco. “La donna comune incontra una media di quattro persone con il nome della sua Anima Gemella prima che incontri la sua. L’uomo medio, approssimativamente otto.”

“Beh, io ho solo incontrato un unico Sherlock.”

Sherlock gira la testa di lato e sorride compiaciuto. “Siamo atipici.”

“Mm.” John si alza per sdraiarsi accanto a Sherlock sul divano. Non è davvero grande abbastanza per due uomini adulti stesi su esso, ma l’hanno già fatto prima e John sa come inclinare il suo corpo perché non sia attaccato in modo così precario al bordo. “Penso che l’ultima cosa di cui ti debba preoccupare è di quale sia la SBI di Mary. Non penso che sia pericolosa, necessariamente, ma... è strana. Non sono più a mio agio di te all’idea che stia qui, ma deve pur stare da qualche parte e prima riusciranno a trovarle una sistemazione temporanea, prima la sposteranno in una più permanente. Inoltre, non verrà dimessa dall’ospedale finché non sapranno che è alloggiata in sicurezza e io non vorrei che i miei colleghi dottori debbano tollerarla troppo a lungo.”

Questo fa almeno ridacchiare Sherlock, e John preme la sua fronte sotto il mento dell’altro. Bacia le sue clavicole. Poi il suo collo. Quindi il suo mento. Intende fermarsi dopo ognuno, ma non riesce proprio ad imporre a sé stesso di farlo. Si dice che si fermerà quando Sherlock glielo dirà e continua, dalle guance, al suo naso, alla sua bocca.

Sherlock ricambia il bacio, John lo prende come un buon segno e si solleva per stargli a cavalcioni sui fianchi. I loro baci sono ancora trasandati poiché se li scambiano difficilmente. Come al solito, a John non importa. È troppo distratto dal fatto che gli sia realmente permesso di toccare Sherlock così, labbra contro labbra e mani al di sotto della sua maglietta e fianchi contro fianchi.

Inguine contro inguine.

Sembra che Sherlock si renda conto di quello che sta succedendo nello stesso momento in cui lo fa lui. Passano alcuni secondi a fissarsi l’un l’altro, occhi spalancati e shoccati, pupille dilatate, finché John scende dal divano, permettendo a Sherlock sedersi, alzarsi, e lasciare la stanza.

John si risiede e seppellisce la faccia tra sue mani, maledicendo sé stesso. Lo hai fatto tu, Watson.

 

 

 

 


Eccoci! Quinto capitolo non troppo in ritardo spero!

Sono di fretta, maledetti esami, quindi niente solito fiume di parole, siete salvi! (Stranamente non ho neanche una N.d.T. da lasciarvi, vorrò mica far nevicare?)

Grazie a tutti quelli che recensiscono e anche a chi preferisce, segue, ricorda o solo legge!

Alla prossima! :3

  
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