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Autore: harinezumi    19/06/2013    0 recensioni
Le fasi finali della Guerra dei Cent'Anni, prima e dopo la morte di Giovanna d'Arco.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Giovanna d'Arco, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Domrémy
Genere: Drammatico, Guerra, Storico
Parole: 4313
Personaggi: Francia (Francis Bonnefoy), Inghilterra (Arthur Kirkland), Giovanna d'Arco
Coppia: Shonen-ai (FrUK)

Con questa fic (in realtà molto più lunga di così!) avevo tentato di contestualizzare storicamente i sentimenti di Inghilterra e Francia l'uno per l'altro, per questo lo shonen-ai non è proprio esplicito.
La Francia “vinse” la Guerra dei Cent'Anni nel momento in cui riuscì a scacciare le truppe inglesi dall'entroterra europeo in cui si erano isidiate; ricordo che la guerra era scoppiata principalmente perché l'Inghilterra reclamava il possesso della Francia, che invece aveva una vera e propria repulsione per il considerare i diritti inglesi.
Comunque, ci sono molte imprecisioni storiche in quello che ho scritto e consiglio la lettura delle note finali perché ho cercato di specificare i cambiamenti (o cercate su Wikipedia, aiuta a capirci qualcosa xD). Penso invece che tutti sappiano chi fosse e che fine abbia fatto Giovanna d'Arco.

Dedico la fic a Juls 394 nel caso passasse di qui ^^ è stata gentilissima con me e mi ha spinto a rispolverare vecchissimo materiale. Grazie <3
E grazie a tutti coloro che la leggeranno/commenteranno!

harinezumi

____________________
 



 

 

Domrémy



 

12 ottobre 1428 - 8 maggio 1429
Assedio di Orléans

Nell’accampamento era sceso un gelido silenzio nella notte prima di Natale. I soldati si erano divisi le poche vivande che ai francesi rimanevano, prima di ritirarsi nelle proprie tende fredde dopo l’ennesima giornata inconcludente che portava quell’assedio sempre più vicino alla catastrofe.

Francia non era tra questi. Era rimasto accanto al fuoco per qualche ora, a gettarvi rametti spezzati e a fissarne le fiamme con occhi a loro volta ardenti, decisi. Nella sua vita aveva provato poche volte quel senso di unità e appartenenza a quella terra, che gli era parsa sempre fredda e inutile; non gli andava più di scherzare, di vedere tutto quello che stava succedendo come un gioco. Dal momento che gli inglesi lo avevano privato di ciò che riteneva in maniera scontata la propria casa, era cresciuto dentro di lui un orgoglio di nazione talmente feroce da dilaniarlo.

Scostò gli occhi dal fuoco, puntandoli su una tenda in particolare, attaccata alla propria da quello che ormai era un legame indissolubile. Non riuscì a trattenersi dal sorridere: aveva dovuto faticare per convincere Jeanne a dormire accanto a lui, e comunque non si era risolta esattamente nel modo che voleva. In ogni caso, con un brivido, decise di alzarsi per andare a raccattare una coperta su uno dei carri di vettovaglie.

Non voleva che Jeanne soffrisse il freddo di quella notte. Non voleva che soffrisse per niente. Era la sua musa e la sua speranza, e non c’era nulla che desiderasse fare al mondo se non prendersi cura del suo bel sorriso, del suo carisma e della sua forza interiore; in quel caso, anche del suo benessere fisico, dal momento che anche un robusto soldato avrebbe patito quel gelo a dormire in una tenda all’aperto.

Raccattata una lanosa coperta ruvida, quella che portava meno buchi di tutte le altre, Francia andò ad inginocchiarsi davanti all’entrata della tenda, schiarendosi la voce. Ma non riuscì a pronunciare nessuna parola. Ricordava a sento una persona che in lui riuscisse a risvegliare quell’agitazione e insicurezza che solo un sentimento come l’amore poteva dare; quel pensiero gli diede un po’ di coraggio, insieme alla forza per parlare.

«J-Jeanne?» chiamò, senza osare allungare una mano per entrare. Già una volta gli aveva dato del maniaco perché l’aveva vista mentre si rivestiva lungo un fiume dopo essersi fatta un bagno; e non ci teneva proprio a passare per tale, o almeno non con lei.

Una risatina provenne dall’interno, e un attimo dopo il visetto sorridente di Jeanne comparve dalla tenda, scostando il lembo di stoffa che la chiudeva. Era ancora vestita da uomo, non aveva certo la leggera camicetta da notte con cui Francia se l’era molto ingenuamente immaginata. Del resto, vista la temperatura esterna, era più che comprensibile che non si fosse nemmeno spogliata.

«Monsieur France, mi fate veramente divertire. Siete lì fuori da cinque minuti buoni a trattenere il respiro! E invece non avete capito che io sono vostra per sempre, e che potete entrare senza bussare!» esclamò Jeanne, afferrandolo per il bavero del pesante giaccone che teneva addosso e tirandolo dentro la tenda.

Francia ruzzolò addosso a lei, precisamente sopra il suo seno, e cercando di ignorare la cosa si sollevò in fretta, arrossendo come mai gli era capitato nella vita. A dire la verità, poche cose gli sconvolgevano l’anima come sapeva fare quella ragazza, che pure agiva in maniera del tutto innocente. Però, un’inquietante visione di Inghilterra gli attraversò la mente mentre lo pensava, non richiesta e sgradita, tanto che la sua espressione si rabbuiò all’istante mentre divideva il giaciglio con Jeanne sedendosi accanto a lei tra le coperte.

«Ho pensato che potevate avere freddo» mormorò al suo indirizzo, con un mezzo sorriso, cercando di scacciare la nazione inglese dai suoi pensieri e di sostituirvi l’espressione solare e bambinesca con cui Jeanne lo stava fissando. Com’era possibile che quella ragazzina riuscisse a guidare un intero esercito era ancora oscuro a Francia, che non poteva che credere a quel punto che fosse proprio Dio stesso a guidare la sua mano innocente. Le passò la coperta che aveva stretta in mano, e lei la accettò con un piccolo cenno grato del capo.

«Fa molto freddo, avete ragione… ma voi avete abbastanza coperte? Non vorrei far congelare la Francia soltanto perché è troppo premurosa per pensare a sé stessa…» mormorò poi, prendendo una delle mani di Francia nelle sue e stringendola lieve quando sentì quanto era fredda.

«Jeanne, voi siete la Francia. Ogni respiro che faccio lo devo a voi» rispose la nazione, ricambiando la stretta e deglutendo, quando vide di aver provocato nell’altra un totale imbarazzo. «Vorreste farmi un po’ di compagnia? Sento che sto un po’ meglio quando sono nelle vostre vicinanze… dovete perdonarmi se ho messo la tenda accanto alla vostra, ma è come se il mio respiro si liberasse se nell’aria c’è il vostro profumo».

Jeanne rise, tuttavia gli lasciò la mano, a disagio. «Io non profumo… e non sono certamente tanto speciale. Faccio soltanto quello che Dio mi chiede di fare per i francesi».

«Mi sembra un motivazione sufficiente da giustificare il fatto che mi senta rinato accanto a voi, non?» rispose Francia, guadagnandosi un sorriso sollevato da parte della ragazza. «Siete come la cura da una brutta malattia. Ora so che è grazie a voi che non ho contratto la peste…»

«Dovreste ringraziare Dio, dal momento che non ero nemmeno nata! Ma se lo desiderate posso stare un po’ con voi. Mi sembrate pensieroso, e voglio che possiate stare bene, perché è quello di cui ho più bisogno…» Jeanne riprese la sua mano, poggiandosi contro la sua spalla e chiudendo gli occhi. «Inebriatevi del mio profumo, se credete che così starete meglio. Mi va bene ogni cosa, purché il vostro cuore smetta di soffrire».

«Soffrire? Ma mia cara Jeanne, io non soffro… come potrei? Ho tutto ciò che una nazione non ha mai avuto, la messaggera di Dio tra le fila del mio esercito… il mio cuore vivo, in carne ed ossa, che mi stringe la mano…» Francia alzò le loro mani davanti al viso della ragazza, per ribadire il concetto. «Sarei uno sciocco a credere di non avere tutto ciò che desidero».

«Allora siete uno sciocco, monsieur…» sospirò Jeanne, abbassando le mani intrecciate tra loro e guardandolo con risentimento.

Francia la guardò confuso, e questo sembrò infastidirla ancora, tanto che sbuffò, scuotendo la testa e prendendogli anche l’altra mano, per far sì che lui la guardasse bene negli occhi, come se non lo stesse già facendo.

«Dovete ascoltare il vostro cuore» cominciò lei, decisa, non più divertita come pochi istanti prima ma seria e composta. Probabilmente era da tempo che stava preparando quel discorso, perché come per ogni cosa Jeanne calcolava con mente fredda le sue mosse e le sue parole non avevano mai nulla di campato per aria.

Eccetto, per Francia, quella volta. Boccheggiò perplesso davanti al suo volto, chiedendosi se l’invito di lei non fosse quello esplicito di infilarsi nel proprio letto; ma quella parte della vita a Francia era ancora oscura -per quanto qualche informazione in più non l’avrebbe sgradita affatto- e il pensarci ebbe solo l’effetto di agitarlo e confonderlo di più.

«C-credo di non capire, Jeanne…» balbettò, spostando in maniera involontaria gli occhi sul petto di Jeanne, nel punto dove solitamente le donne mostravano la scollatura; in lei era ben coperta dalla camicia da uomo che aveva sempre portato da quando la conosceva, anche se dei bottoni mancanti gli fecero intravedere la curva del suo seno. Se era davvero quel che Dio voleva, dopotutto, non poteva esserci nulla di male: e se era Jeanne a dirlo non poteva che essere il volere divino, quindi era suo dovere accontentarla. Stava per comunicarglielo ad alta voce, quando lei lo interruppe parlandogli ancora.

«Monsieur, vi prego, ho assoluto bisogno della vostra attenzione, guardami negli occhi! Ho cercato di comunicarvelo in tutti i modi, ma poiché non volete capire… » sospirò lei, riguadagnandosi la sua attenzione. «Io so che c’è qualcosa che vi tormenta… o per meglio dire, qualcuno. So che amate perché anch’io amo qualcuno e riconosco i vostri sintomi. La differenza tra noi è che mentre io amo Dio e tutta la sua essenza voi amate una persona in carne ed ossa, ma vi trattenete dal farlo».

Francia deglutì, mentre una pessima sensazione gli scendeva nello stomaco assieme alla saliva. Come se una pietra fredda si fosse andata in quel momento a sistemare dritta nella sua pancia, assieme a nervosismo e ad un turbamento che non riuscì a nascondere. Perché il suo pensiero era di nuovo corso da Inghilterra, Inghilterra che teneva metà della Francia in ostaggio e lo stava privando in quel modo crudele anche dell’anima. Non avrebbe mai pensato che ci fosse qualcosa di peggio dell’essere disprezzati dal proprio innamorato: ma in quel momento capì che il fatto che Jeanne fosse al corrente della sua disperazione scopriva le sue difese molto più di qualunque altra cosa.

«Non capisco perché. Monsieur France, se voi amate come io amo vi posso dire soltanto di non fuggire dai vostri sentimenti. Essi sono l’espressione dell’essenza di Dio più vicina a tutti noi… e per voi che non siete umano non è diverso» mormorò Jeanne, con un sorriso caldo che spezzò ulteriormente la sicurezza che Francia aveva creduto di poter acquisire reprimendo la propria volontà. «Il mio ultimo desiderio è di vedervi infelice. Siete una persona troppo buona per soffrire… e sono certa che chiunque amiate per voi prova lo stesso» concluse la ragazza, lasciandogli una mano per posargliela sul petto, giusto sopra il cuore. «Qui dentro batte prima il vostro cuore e poi quello di tutti i francesi. Non dimenticatelo».

«Jeanne, come fate a dirmi questo? Come fate a dirmi di essere egoista quando tutto il mio territorio e la mia gente sanguinano in questo modo?» mormorò Francia, confuso, evitando di toccare quella mano come avrebbe voluto fare. Sentiva gli occhi pungere in maniera indefinibile, e la cosa che meno desiderava in quel momento era rischiare di mettersi a piangere di fronte alla sua bella eroina.

«Io mi batterei per il vostro cuore come mi sto battendo per la vostra libertà. È soltanto per amor vostro che mi sono donata a Dio e all’esercito… quindi, monsieur, saremo egoisti insieme se lo vorrete» rispose Jeanne, con una risatina.

Francia sorrise, ma scosse la testa, prendendosi abbastanza tempo per evitare alla propria voce di uscire tremolante in modo patetico. «Comunque sia, vi sbagliate, mia cara. Colui che amo non ricambia, e quali che siano i miei sentimenti, sono inutili per lui e deleteri per me».

«Dunque è davvero un uomo…» sussurrò Jeanne. Ma non sembrò disgustata, né turbata dalla cosa; né tanto meno sorpresa.

«È terribile, non è vero? Fosse almeno una bella ragazza come voi…» ridacchiò Francia, innervosito dal proprio errore nel straparlare.

«Oh, nient’affatto… quali che siano le vostre ragioni, io le trovo pure e nobili. Con la vostra bontà non potrebbe essere diversamente, e sono quasi certa che voi abbiate le qualità per amare chiunque vogliate!» esclamò Jeanne, con un tale trasporto che Francia non riuscì a non ridere di nuovo, decisamente più sollevato. Ma poi lei continuò, più risoluta che mai. «Sono sicura che vi ama, monsieur France! Sotto la sua apparenza dura è confuso nei vostri confronti, io lo capisco ogni volta che scende a confrontarsi con voi nella battaglia… i suoi occhi potranno anche essere crudeli, ma il suo cuore non mi ha mai mentito…»

«T-tu…» balbettò Francia, arrossendo in maniera decisamente esagerata per uno come lui e lasciandole la mano, agghiacciato. «Tu sai chi è?!»

«Certamente so chi è! Monsieur Angleter…»

Francia si affrettò a coprirle la bocca con entrambe le mani, sotto il suo sguardo sorpreso e ingenuo. Lasciò che passassero dei secondi, il suo cuore in tumulto, prima di liberarla, guardandola nient’affatto confortato. Lei sembrò capirlo, perché stette in silenzio fino a che i loro sguardi non si incrociarono più.

«Sapete che vi dico? Potete dormire qui con me questa notte. Dopotutto fa molto freddo… e voi non vi prendete davvero cura di voi stesso da quando è cominciato l’assedio» sospirò Jeanne, infine, lasciando scivolare via del tutto l’argomento precedente. «Dovreste pettinare i capelli, sono diventati più lunghi dall’ultima volta che vi ho guardato bene in viso…»

Francia sorrise, al pensiero che qualcuno che non fosse lui stesso si stesse lamentando del suo aspetto esteriore, in quel momento sciatto. Era probabile che Jeanne fosse davvero la sua coscienza, come aveva sempre sospettato dal momento che l’aveva conosciuta; così, obbedì a lei ciecamente, senza fare nessuna battuta sul fatto che ogni tanto la camicia le scivolava su una spalla lasciandogli intravedere quella delicata curva del suo petto.

Ma, mentre si stendeva accanto a lei chiudendo gli occhi e anche le ultime braci della lanterna si spegnevano, si disse che dopotutto non c’era nulla di male a spiare sotto i vestiti della propria coscienza, specie se lei non se n’era mai accorta.

 

*

 

17 luglio 1453
Battaglia di Castillon

Francia chiuse gli occhi, cercando di calmare il respiro, senza riuscire a trattenere un sorriso tranquillo quando la voce gentile di Jeanne gli sussurrò all’orecchio quanto fosse fiera di lui.

Mancava poco, e la nazione sarebbe tornata unita; aveva preteso di poter partecipare alla battaglia che doveva essere decisiva, ma l’esercito inglese si era ritirato nel bosco ed era sempre più difficile capire la loro posizione. Francia si sedette a terra, posando il capo su uno dei sacchi che erano stati utilizzati per erigere la trincea.

Sentiva che anche Inghilterra era nei paraggi, assieme al proprio esercito. Non si sarebbe mai perso quella battaglia, perché rappresentava una delle sue ultime speranze di rimanere nel suolo francese, cosa che com’era ovvio Francia era lungi dal permettere. La nazione sfoderò la spada con rabbia, fissando il riverbero del sole che si rifletteva sulla lama e storcendo il naso, quando i suoi pensieri di vendetta e rivincita vennero interrotti da un invitante profumo di carne arrostita.

Alzò lo sguardo e un sopracciglio, notando che nell’accampamento si stava tranquillamente per pranzare, e scosse la testa, chiedendosi se per caso tra le sue fila non si fosse infiltrato qualche italiano di troppo.

Ad un certo punto, un grido proruppe nell’aria, e lo fece sobbalzare sul posto, rotolando su di un fianco per guardare al di là del muro di sacchi. Gli inglesi, all'orizzonte, si dirigevano verso di loro, in formazione perfetta, con una risolutezza tale da lasciare sconcertato il povero Francia. Sentiva già i propri comandanti urlare di tendere gli archi; un attacco scoperto come quello poteva significare soltanto stupidità.

I suoi sospetti vennero comunque confermati: c’era Inghilterra a guidare l’esercito, e cavalcava appena dopo la prima fila, in disparte come avrebbe dovuto essere una qualunque nazione. Aveva un’aria decisa e nobile, ma il suo gesto rimaneva comunque incomprensibilmente idiota.

«Monsieur France!» esclamò un soldato, battendogli una mano sulla spalla e costringendolo a distogliere gli occhi per puntarli verso di lui. «Dovete entrare nell’accampamento, stiamo schierando gli uomini. Gli arcieri sono pronti… pare che gli inglesi credano che abbiamo abbandonato il campo».

Francia non fece in tempo a stupirsi, perché l’uomo lo condusse via e lui lo seguì, correndo in formazione con tutti gli altri. Non riuscì a chiedere che gli venisse data una cavalcatura, preso com’era nell’aiutare gli altri a rivestirsi con le armature e a distribuire le armi, un’espressione dura e nel contempo esaltata in volto. Finalmente avrebbe avuto modo di confrontarsi in modo diretto con l’assassino di Jeanne, perché lui era stato tanto stupido da venire a bussare al suo accampamento completamente scoperto.

Non aveva fatto i conti con il fatto che c’era la probabilità, visti i trecento arcieri francesi schierati, che qualcuno uccidesse Inghilterra molto prima che avesse modo di farlo lui.

Del tutto dimentico della cosa, sguainò la spada e si preparò a guidare la battaglia.

*

Inghilterra aveva avuto una strana sensazione di malessere quando gli era stato comunicato che i francesi avevano lasciato l’accampamento. Aveva quindi seguito le spie che controllavano i movimenti del nemico, e aveva notato che effettivamente dalla valle occupata dai francesi proveniva molto fumo, tipico dei fuochi spenti di un campo abbandonato.

Era rimasto in disparte mentre il suo comandante prendeva la decisione di attaccare, inquieto, ma aveva deciso di guidare l’esercito al fianco di Talbot, che sembrava molto sicuro di sé stesso, tanto che aveva preparato lo stendardo da poter piantare nel campo francese al loro arrivo. Quello che successe allora non poté che confermare ad Inghilterra che le sue sensazioni negative di solito risultavano sempre piuttosto veritiere.

Strisciò accanto alla sua cavalcatura, che sei frecce avevano appena abbattuto, tenendosi il fianco colpito dal quale spuntava ancora un mozzicone di asta. La vista gli si era fatta appannata, ma da quello che riusciva a seguire della battaglia intorno a sé poteva capire che i corpi inglesi che toccavano il suolo erano decisamente più numerosi di quelli francesi.

Con un gemito, si aggrappò alle briglie del cavallo, tirandosi in ginocchio e tossendo, strizzando le palpebre quando un tremore innaturale lo colse. Sfiorò l’asta della freccia con la mano destra, tenendosi ben saldo con l’altra stretta alla criniera dell’animale ormai morto, e la prese deciso, prima di strapparla via dal proprio fianco con un grido.

Il suo respiro tornò regolare, ma l’atroce fitta di dolore che gli partì dal fianco lo lasciò piegato in due per diverso tempo, ad ansimare sputando sangue, riverso sul cavallo. Con mani tremanti e sporche di sangue, si costrinse ad alzarsi in ginocchio di nuovo, strappando un lembo della coperta sotto la sella del cavallo per passarselo intorno alla vita, stringendolo in un nodo a mo’ di fascia.

Fermata così l’emorragia, cercò a tentoni la propria spada accanto a sé, afferrandola e alzandosi su gambe malferme, cercando con gli occhi il suo unico obbiettivo in mezzo a tutta quella carneficina. Nessuno aveva ancora fatto caso a lui, ma del resto non era strano che una nazione passasse inosservata agli esseri umani: figurarsi una nazione ad un passo dalla morte come lo era appena stato lui.

Non ci mise molto ad individuare Francia; combatteva a piedi, assieme ai propri fanti, e sembrava che non si fosse procurato nemmeno un graffio. Il suo volto anzi pareva splendere, e Inghilterra strinse i denti soffiando, quando si rese conto ancora una volta che invece le proprie condizioni gli permettevano a stento di reggersi in piedi.

Puntò la spada contro di lui, urlando al di sopra della battaglia il suo nome, in una maniera che l’altro non poteva non sentire. Non erano affatto vicini, eppure appena lanciò quel grido Francia bloccò i suoi fendenti e si fermò, voltandosi verso di lui nello stesso attimo in cui l’aveva udito.

Gli sorrise vittorioso, avanzando nella sua direzione, e Inghilterra si costrinse a tenere la spada sollevata con entrambe le mani, perché sentiva che i gomiti gli erano improvvisamente diventati di burro e incapaci di reggere tanto peso.

«Inghilterra» esclamò Francia, fermandosi a pochi passi da lui, frapponendo ancora tra loro il cavallo al suolo, anche se Inghilterra non accennò ad abbassare per questo l’arma. L’espressione della nazione francese era al contempo furente e trionfante, mentre sollevava piano la propria spada a sua volta verso l’altro. «Arrenditi».

«Te lo scordi che sia arrivato fin qui per dartela vinta, idiota. Devi ancora riconoscermi per quello che sono» ringhiò Inghilterra, cozzando contro la sua spada con la propria per scostarla, facendo qualche malfermo passo per aggirare il cavallo. «Perciò fatti sotto, e se non ne hai il coraggio non accampare scuse ed arrenditi».

Francia rise, mettendosi in guardia e guardandolo divertito, senza però passare all’attacco. «Sei ancora così ingenuo! E sei caduto in una trappola che ti sei creato attorno da solo… come puoi pensare davvero che mi arrenda, che ti perdoni?»

«Non è stata colpa mia» sibilò Inghilterra, cercando di non dargli a vedere quanto faticoso gli fosse camminare. Il primo fendente dell’altro gli arrivò addosso con una forza inaudita, tanto che gli mancò il fiato. Non riuscì a capire per quale miracolo lo parò restando in piedi, forse semplicemente perché la situazione gli era diventata disperata. «J-Jeanne sarebbe morta comunque! Se non per mano inglese, tra quelle dei Borgognoni che l’hanno tradita!»

«Adori trovare scuse, mh, Angleterre? Sai che ti dico? Tu magari ti metterai la coscienza a posto in questo modo, ma il mio dolore rimane. Mi hai strappato il cuore dal petto e lo hai arso vivo su un rogo. Questa è l’unica verità che sei degno di raccontarmi» ringhiò Francia, ruotando di nuovo le braccia in un colpo più potente del precedente, che mandò Inghilterra lungo disteso al suolo nonostante questi fosse riuscito a difendersi ancora.

L’inglese alzò gli occhi su quelli di Francia, ansimando, e vi lesse per qualche momento sorpresa, probabilmente perché non si era aspettato di metterlo in ginocchio tanto presto. Fu quel pensiero a farlo rialzare, senza rivolgergli la parola stavolta, per andare con rabbia a scagliarsi di nuovo contro di lui, con un grido.

La loro battaglia non durò a lungo. Quella in corso in quel momento, poi, si era già spenta da tempo e i francesi stavano solo aspettando che la loro nazione concludesse i suoi affari personali; nessuno si era avvicinato a loro e nessuno dava segno di volerli interrompere. Dopo un po’, i soldati avevano persino smesso di osservare lo scontro: il comandante inglese era morto e per la maggior parte consideravano inutile la resistenza di Inghilterra.

Quando poi la fascia che teneva chiusa la ferita di Inghilterra si slegò, lui inciampò all’indietro con un grido alla fitta di dolore che gli trapassò il fianco, lasciando inavvertitamente andare la spada che ricadde qualche metro più in là. Francia alzò l’arma, ma si bloccò quando vide il sangue inondare le vesti sotto l’armatura dell’altro, sangue che non era stato un suo colpo a far uscire.

«Dunque eri ferito…» mormorò, digrignando i denti, quasi irritato.

Inghilterra gemette, incapace di aprire di nuovo gli occhi e cercando di tenersi il fianco, anche se le dita gli scivolavano via in continuazione dalla ferita impedendogli di fermare il sangue. I suoi movimenti erano troppo lenti, scoordinati e deboli per riuscire nell’intento; le sue mani tremavano ancora per la violenza dei colpi subiti. Sentì però l’altro parlare, e cercò di ridacchiare, suo malgrado.

«Non c-cambia niente. Che c’è, non vuoi più uccidermi solo perché sono indifeso? M-mi fa pena, idiota» sibilò, cercando di rotolare almeno su un fianco. La cosa che voleva meno di tutte al mondo era morire davanti a Francia strisciando come un verme; avrebbe almeno cercato di mettersi in ginocchio, poco ma sicuro, anche se le gambe non l’avrebbero mai retto tanto.

Sentì il clangore di una spada che cadeva, e un fruscio accompagnato dal rumore metallico dell’armatura di Francia giusto accanto al suo orecchio. Si costrinse ad aprire gli occhi, a guardare l’altro che si era inginocchiato accanto a lui e che prendeva dalla propria cinta un pugnale, lo sguardo freddo e impassibile. Lo avvicinò ai legacci della sua armatura, e li recise in fretta e con attenzione, strappandola letteralmente via dal suo petto e alzandogli senza tanti complimenti la casacca, per tamponare la ferita della freccia con le sue stesse mani.

Solo in quel momento lo guardò negli occhi, e Inghilterra vi scorse lo sguardo premuroso che l’aveva assistito per giorni durante la sua malattia solo pochi decenni prima. Quello sguardo che credeva di essersi soltanto immaginato era davanti a lui, e non riuscì ad ignorarlo come avrebbe voluto.

«P-perdonami» ansimò, afferrandogli il polso della mano che premeva il suo fianco, con uno sforzo sovrumano. «Perdonami per aver ucciso Jeanne».

«Sta zitto» sbottò Francia, scuotendo la testa senza riuscire a trattenere un lieve sorriso, come non riuscì a trattenere la lacrima che gli scese lungo il viso in quel momento. «Non… ti avrei ucciso comunque. Ti ho cresciuto io, non

Inghilterra sgranò gli occhi, chiedendosi quanta fatica era costata a Francia pronunciare quelle parole. Ma non gli lasciò il polso, né desistette. «Perdonami».

«No» mormorò Francia, in tono duro, nonostante i suoi occhi si stessero facendo sempre più lucidi e la sua sicurezza si stesse sgretolando lì, addosso a Inghilterra. «Non se non ti arrendi… non voglio essere costretto ad ucciderti. Arrenditi, Angleterre».

«E-e me lo dici con quella faccia da perdente?» domandò questi, a fatica, cercando di sorridergli senza nessun successo. Aveva ormai capito che non poteva che risolversi in quel modo, e che Francia gli stava soltanto concedendo un favore nel permettergli di ritirarsi senza costringerlo lui stesso. Dopotutto, sembrava che non potesse ucciderlo per davvero; Inghilterra si ritrovò stupidamente a pensare che non avrebbe fatto in modo diverso se fosse stato in lui. C’era sempre stato, nel suo cuore, un solo motivo per combattere: averlo, non ucciderlo. Ma per Francia ormai non poteva più essere lo stesso. «Lei aveva tutte le tue attenzioni…» sussurrò, senza rendersene conto, nel momento stesso in cui i propri occhi si chiusero, mentre scivolava lento nell’oblio. «I… give up, France».

«Merci» gli sussurrò Francia, grato, chiudendo gli occhi dai quali ormai avevano cominciato ad uscirgli copiose le lacrime. «Dieu merci…» pianse, senza darsi il peso di coprirsi il volto e chinandosi su Inghilterra per baciargli la fronte, singhiozzandogli deliberatamente addosso per un po’.

Ma l’altro era ben lungi dal sentirlo.

*

«Monsieur France, lo volete lasciare qui?» domandò una voce dietro alle due figure, che Francia riconobbe come quella del proprio comandante.

«Per nulla al modo» mormorò allora, stringendo di più Inghilterra tra le proprie braccia, incapace di lasciarlo andare nonostante fosse consapevole che la sua ferita era grave e andava curata. Eppure, mai come in quel momento aveva bisogno di stargli aggrappato, a sciogliere in lacrime tutto il dolore mal represso in lui dopo la scomparsa di Jeanne; su Inghilterra e nessun altro, sulla causa diretta di tutto quel disastro.

«Proprio ora che l’ho zittito dovrei dargli la possibilità di fuggire da me di nuovo? Sarei uno sciocco».

 

 

 

 

 

Note (duh):
1. Nel caso qualcuno non lo sapesse, Domrémy è il luogo di nascita di Giovanna d'Arco.
2. Giovanna non si è mai trovata in battaglia la Vigilia di Natale; incontrò il Delfino a febbraio e venne mandata sul campo di battaglia ad aprile.
3. Ovviamente la vittoria di una guerra come quella dei Cent'Anni non può essere definita da una sola battaglia; in questo caso, ho scelto comunque come finale la sconfitta più importante degli inglesi, perché è stata in quell'occasione che sono stati definitivamente scacciati dalla Francia.
4. L'errore che il comandante delle truppe inglesi aveva fatto è reale. Aveva supposto che i francesi avessero abbandonato l'accampamento per via del fumo che vi saliva, mentre questi stavano solo mangiando. Esatto. CHE COGL----
5. Inghilterra parla di Borgognoni che hanno tradito Giovanna; infatti l'eroina è stata consegnata agli inglesi per essere arsa al rogo da una fazione di francesi che non la vedeva di buon occhio.
6. Inghilterra ad un certo punto ricorda che Francia si è preso cura di lui durante la peste di anni prima (headcanon mia). La peste in realtà aveva colpito anche la Francia, ma l'ondata che colpì l'Inghilterra fu successiva, quando la Francia si era in parte già ripresa.

 

  
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