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Autore: Darh    21/06/2013    1 recensioni
"Vorrei ora narrarvi della storia dell'Indeciso Neinir, che rimane d'esempio per tutti coloro che indugiano nella mollezza dell'indecisione...Gli uomini agiscono, gli spiriti osservano."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Neinir visse, morì e continuò a vivere, e di questo narro. Egli nacque durante la Notte della Porta, o, come la chiamano altri, Samain, ove all’uomo è concesso guardare oltre l’apparenza, e ricongiungersi con gli spiriti perduti, purchè essi siano benevoli. Gli spiriti vivono nell’Oltre, e nonostante siano separati dai mortali, in quella sola notte è concesso loro di vagare nel nostro mondo. Fu questa la fortuna di Neinir, e al contempo la sua rovina: egli, favorito alla nascita, sarebbe stato protetto dai suo avi, e avrebbe condotto una vita serena, sorvegliato dagli spiriti e preservato dai mali. Eppure poco mancò che la madre non morisse dandolo alla luce, pur essendo ella una donna giovane e forte; e fu per fortuna che il capo tribù non si ritrovò vedovo e senza prole, ben sapendo quanto sarebbe stato difficile per lui generare un altro figlio. Neinir era stato un dono degli dei, e quelli avrebbero voluto sottrarglielo ancor prima di lasciargli vedere la luce, ma gli spiriti lo impedirono. Eppure, a che serve indugiare su ciò che non fu? Tera non morì, e il capo Hennior ebbe un erede. Così Neinir crebbe, forte e valoroso, orgoglio della famiglia e della tribù; un giovane destinato a reclamare il posto del padre, quando avrebbe raggiunto la maturità e superato la prova che l’avrebbe reso adulto. Era un ragazzo robusto, cresciuto nelle selve della sua tribù cacciando cervi e sottomettendo lupi, e allevato per rispettare il padre e onorare la madre. Viveva nell’ambizione di diventare il loro scudo e il loro motivo di vanto, da quando gli era stato raccontato che la sua nascita aveva significato così tanto per la vita dei suoi genitori. Sembrava perciò che nulla ci fosse di più importante di loro, e i suoi sforzi viravano a renderli orgogliosi di lui: il suo spirito forte e selvaggio si piegava solo alle loro richieste. Superò la prova, divenne un giovane uomo del suo villaggio, e fu posto a comando dei guerrieri, poiché Neinir il Devoto era il più forte e il più intrepido tra tutti, e solo la sua fedeltà alla tribù e al padre erano superiori alla sua forza; in più tutti sapevano che era protetto dagli spiriti, sebbene egli non se ne vantasse, né provò mai a trarre vantaggio da questo suo dono.”
 
“Finchè un giorno, tornando da un giro di ricognizione della Selva, si fermò ad ammirare l’attimo del primo vespro, in solitudine, stupito dai mistici disegni che la nebbia calante riusciva a disegnare nella brughiera, trapassata dagli ultimi, morenti raggi di sole. Lo spirito focoso del giovane si placò d’un tratto, abbandonandosi a un senso di mitezza quasi sconosciuto. Gli pareva di non portare l’ascia al fianco, e che le sue pelli non fossero macchiate del sangue dei predoni che aveva ucciso in lotta poco prima. Tutto era così perfetto, semplicemente, che non si sentiva in grado di distogliere lo sguardo da uno spettacolo di cui non si era mai accorto. E fu in quell’istante che una fanciulla emerse dalla nebbia, diretta al villaggio. Neinir spostò gli occhi chiari sulla figura femminile, con una sorta di stupore infantile, sorpreso che una donna potesse vagare così lontana da casa a quell’ora. Era d’altronde una donna del suo villaggio, se ne era accorto guardando le semplici vesti che indossava.
- Oh, Neinir, siete voi! -
Sentire pronunciare il suo nome da quella voce così chiara lo stupì, più che confermare la sua ipotesi. La fanciulla si era fermata davanti a lui, ricambiando il suo sguardo sorpreso con un sorriso sollevato e dolce. Aveva già capito di non essere stata riconosciuta, ma non ne sembrava offesa.
- Perdonatemi, ma avendo visto un uomo spuntare dal nulla, ho avuto timore nell’uscire allo scoperto. Mi ero allontanata, e i miei fratelli, forse credendo che li avessi preceduti, sono già tornati al villaggio. -
Solo a questo punto Neinir aveva notato il pesante sacco di grezza tela che gravava sulle spalle della fanciulla, evidentemente colmo d’erbe o paglia. E questo perché si era smarrito nei suoi pensieri fin dall’inizio del discorso, rapito dalle labbra della fanciulla, che si schiudevano al sorriso, e dagli occhi cerulei di lei, che parevano spiccare anche nella penombra. Ora, forse suggestionato da quell’attimo di pace che si era ritagliato, la fanciulla sembrava essere la cosa più bella che egli avesse mai visto, più melodiosa delle Cascate nella Selva, più perfetta dei Ghiacci del Nord, più leggiadra della Statua della Dea Madre.
- Capisco, - riuscì a rispondere Neinir, con voce ferma, riportando lo sguardo attento sul bel viso ambrato, - e poiché sto tornando al villaggio, vi accompagnerò. Ma non vi ho mai visto prima. Chi siete? Ditemi il vostro nome, e sarò sicuro di ricondurvi a casa. - Anelava a conoscere il suo nome, perché già sentiva che il pensiero di quella fanciulla non lo avrebbe abbandonato facilmente.
- Merija, figlia di Antror, questo il mio nome. - Rispose docilmente quella, sorridendo in risposta alla sua richiesta. Bastò quel sorriso a far innamorare definitivamente il nostro Neinir.”
 
“Merija divenne moglie di Neinir entro l’anno successivo. Ella completava il giovane come la Madre Luna fa con il Padre Sole, e amava il marito tanto quanto egli amava lei. Nel pieno delle forze, amato e rispettato da tutti, con una moglie onesta e lavoratrice: nessuno poteva dirsi più felice di Neinir. E di ciò si accorsero anche gli dei, ai quali non fu gradita tanta gioia. Così Neinir fu punito per la sua contentezza in un giorno d’estate, quando la sua Merija venne accerchiata da alcuni predoni che non mostrarono pietà alcuna nel tagliare la gola alla fanciulla, dopo essersi approfittati di lei. Si era allontanata di poco dal villaggio per cogliere erbe, e poiché non era la prima volta che lo faceva, per di più in pieno giorno, si era sentita sicura abbastanza da procedere senza le altre donne. Merija non ebbe scampo: sola, indifesa, con i lunghi capelli bruni sciolti sulle spalle e gli occhi marini colmi di paura, ancora sgranati nell’attimo della morte. Così la trovò il marito, le braccia ancora giunte sul petto nel tentativo di proteggersi.
Molti raccontano dell’urlo selvaggio di Neinir, e di come egli abbia abbandonato subito il corpo per poter ricercare la scia degli assassini, ormai lontani. Ma Merija non ebbe vendetta, poiché i predoni scapparono nella Selva, avendo cura di celare le proprie tracce. Neinir fu investito da un’onda d’ira e disperazione, poiché amava la moglie in un modo che difficilmente potrebbe essere capito da chi non l’abbia visto con i propri occhi, e l’idea di non poter portarle vendetta era un tarlo insopportabile che tormentava le sue notti in modo orribile, e che quasi superava il dolore di non avere più la sua Merija accanto. La sua mancanza era eppure così atroce, che ci volle molto tempo prima che i genitori di Neinir potessero riuscire a colmare il vuoto lasciato dalla fanciulla. Sebbene Neinir non potesse mostrare apertamente il proprio dolore, troppo orgoglioso per sembrare debole, soffrì a lungo prima di godere del riposo dei sensi. Nulla restava di Merija, neppure il figlio che sarebbe dovuto nascere nei giorni del Sole. La quiete dell’animo gli era negata, e di questo si avvidero gli spiriti suoi protettori. Neppure loro potevano schierarsi contro gli dei, ma potevano recare conforto al loro prediletto. Per questo motivo fu concesso a Neinir di rivedere la moglie, il cui spirito non godeva della pace necessaria a farla riposare in eterno: non aveva d’altronde ricevuto vendetta, e continuava a reclamare giustizia.”
 
“Ella apparve a Neinir durante una notte d’autunno. Neinir riposava su un povero giaciglio, godendo della pace apparente d’un sonno senza sogni che solo da poco era riuscito a ritrovare. Ma quando sentì il sussurro del suo nome, così gentile e malinconico, credette di essere di nuovo in preda agli incubi, e si svegliò di soprassalto. Per un attimo tutto fu buio: poi gli occhi insonnoliti si aprirono nella tenebra della capanna, distinguendo appena l’interno ai deboli raggi di luna che filtravano dagli spiragli del tetto, e fu in quel momento che si accorse di un tenue bagliore. Fu un attimo, ma la vide, nonostante quella fosse già scomparsa per far seguito ad una voce, la stessa che l’aveva svegliato, e che lo chiamava.
- Merija…- Come avrebbe potuto dimenticare la sua voce? Era poco più che un alito di vento, un sussurro del vuoto, ma era lei. – Merija, sei tu? Dove sei? Perché non ti mostri? Merija! – La chiamava, la voce resa ansiosa non dalla paura, ma dalla gioia e dalla sofferenza. Sentì il cuore riscaldarsi al solo udire risposta, ma il volto si muoveva rapido, lasciando saettare gli occhi alla ricerca della sua dolce figura.
- Neinir…sono qui…non cercarmi con gli occhi, ma ascolta la mia voce, Neinir. Sono qui, per consolare i tuoi dolori! –
Neinir non mancò di chiudere gli occhi, poiché sapeva che gli spiriti non devono essere contraddetti. Subito potè avvertire più chiara la presenza di Merija, proprio vicino a lui, sulla destra, e verso destra si volse, lentamente, con un sorriso ansioso sulle labbra e gli occhi ancora sigillati.
- Merija, moglie mia! Perché ti allontanasti, quel giorno, e mi lasciasti a piangerti? E perché sei tornata a mostrarmi come il tuo spirito vaghi insoddisfatto su questa terra, quando io non sono stato capace di vendicarti? Sei dunque così crudele? Sei venuta ad aumentare la mia sofferenza? -
- Neinir, come potrei mai! Gli Spiriti ti sono amici, e oggi sono qui come loro dono. Pochi giorni mancano a Samain, ma sono venuta da te anche prima, grazie a loro, per farti la mia proposta. Io non ho trovato pace poichè invendicata, ma non a causa tua, e soffro vedendoti soffrire. Così ti si chiede di placare la mia anima, e di ricongiungerti a me, abbandonando questo mondo mortale, lasciando il tuo corpo per gioire nello spirito assieme alla donna che ami, me! So che non mi hai tradita, e so come tu mi pianga ogni notte. Perciò, Neinir, a te la scelta! Mi seguirai, Neinir? Mi sarai devoto come vanti d’essere? -
La voce di Merija sembrava tessere un incanto onirico intorno a Neinir, così immerso nella delizia di quel suono da essersi lasciato trascinare in una sorta di limbo, un sogno in cui la voce riusciva ancora a raggiungerlo, ma prendeva le sembianze di sua moglie, bella e radiosa come il giorno in cui si erano conosciuti, al tramonto. Lei tendeva la mano verso di lui, sorridente in mezzo alla brughiera, gli occhi cristallini che lo invitavano, ammalianti, a seguirla. Ma quando lo incalzò con quell’ultima domanda, riuscì in parte a ridestarsi, pur senza aprire gli occhi.
- Ma…i miei genitori! Come potrei abbandonarli? Essi mi hanno generato, ed io ho vissuto per renderli felici: ora mia madre è malata, e mio padre è vecchio quanto basta ad essere saggio, ma non più il guerriero forte che lo rese Capo. Io sono la loro speranza, io sono colui che li sostituirà, io sono la guida che il villaggio ha già scelto! Come potrei, pur se per amor tuo, abbandonarli?-
- Non saresti un codardo, e non abbandoneresti nessuno, - fu la risposta della voce, ammaliante, ma chiaramente rattristata dal fatto che Neinir non avesse accettato subito, e le sollevasse quell’obiezione.
- La vita è un perenne baratto, dove ciò che si perde è ricompensato da ciò che si ottiene. Queste sono le offerte che sono poste sui piatti della tua bilancia. Entro due giorni, entro la notte di Samain, entro la notte della tua nascita, mi dovrai dare una risposta. Verrai con me? Addio! –
E, così come era venuta, Merija se ne andò.”
 
“Non erano passate molte ore dall’accaduto, che già il Sole era sorto, e Neinir potè recarsi dal padre, a chiedere consiglio. Non era forse il più saggio tra tutti? Egli raccontò l’accaduto con voce ferma, ma debole: aveva pur sempre rivisto la moglie, e questo l’aveva scosso. Era chiaro che, se avesse accettato la proposta di Merija, sarebbe morto, abbandonando tutto ciò che amava, ma ritrovando l’oggetto incessante dei suoi desideri, placando dunque quella fiamma che gli ardeva dentro e che gli impediva di rasserenarsi. D’altro canto, sarebbe stato più facile vivere, e lasciare che il tempo lo guarisse dalla ferita provocata dall’abbandono di Merija; ed era sicuro che ci sarebbe riuscito…almeno fino alla sera prima. Ora che però aveva sentito di nuovo la sua voce, rivisto la sua immagine, si era ricordato del tocco delle sue labbra, e dei suoi capelli bruni: e la loro mancanza gli pareva così intollerabile, da non riuscire ad allontanare da sé il desiderio – debole, certo, ma presente - di accettare anche la morte, pur di ricongiungersi a lei.
- Se la ami così tanto, - disse il padre dopo aver ascoltato tutte queste cose, - dovresti accettare la sua proposta: sono sicuro che sarà una morte indolore, anche se so che non temi la sofferenza del morire, e così potrai riavere la tua amata. Non preoccuparti per me e tua madre: ormai siamo vecchi, e abbiamo ben poco da offrirti.-
- E’ vero, - acconsentì sua madre, lì presente, - noi non abbiamo nulla, mentre Merija può renderti felice. Sì, rinunceresti alla tua vita, e a tutto quello che essa può offrirti: ma saresti così felice con lei! A noi rimarrà il tuo ricordo e tutto il rispetto che ci hai donato, e le tue gesta di cui rimanere fieri; il tuo esempio sarà seguito da tutti, al villaggio…-
Neinir non mancò di notare quanta tristezza ci fosse nel tono della donna che gli aveva donato la vita, né di avvedersi di quanto la schiena di suo padre si fosse curvata sotto il peso degli anni; gli occhi di sua madre evitavano di guardarlo, per non fargli capire quanto in realtà la cecità li stesse velando, e le mani di suo padre erano nascoste sotto una pelle di daino, per celare il tremore della vecchiaia. Gli auguravano di essere felice, nonostante lo stessero mandando a morire. Neinir si rese consapevole di ciò, e di come non avrebbe potuto lasciarli soli. Perciò, silenziosamente, si alzò ed uscì.
Il giorno passò, e Neinir si diresse alle Cascate, per meditare, silenziosamente. Così finì il primo giorno.
Senza dormire, sorse di nuove il sole, e ancora Neinir pensava. Il tarlo del dubbio lo rodeva, sentiva come il desiderio e il rimpianto ne stavano consumando il corpo, torturandolo come fosse in mano nemica; e desiderava diventare una goccia d’acqua, travolta dalla corrente, per non essere consapevole della direzione da prendere, ma lasciarsi trascinare dal volere delle onde. Cosa fare? I suoi genitori avevano bisogno di lui. Cosa fare? Merija era una tentazione troppo forte per evitarla. Cosa fare? Come?
Il giorno passò, e Neinir era ancora alle Cascate, per meditare silenziosamente. Così finì il secondo giorno.”
 
“Non riusciva a rendersi conto, dunque, di come il tempo fosse passato, e che il giorno del suo compleanno fosse arrivato. Samain, il giorno della Porta. Sapeva che il villaggio era in fermento per i preparativi della notte, e sapeva che i suoi genitori si stavano preoccupando oltremodo, non avendo ricevuto alcun responso riguardo la sua decisione. Sapeva anche che Merija stava attendendo, quieta, che il Sole calasse, per venirlo a prendere. Ma egli non aveva compiuto alcun progresso. In lui solo il fisico era mutato, esposto alle intemperie, alla fame sofferta da tre giorni e al sonno, mancante per altrettanto tempo; debole nel fisico e distrutto nello spirito, egli era l’ombra dell’uomo che era stato fino a prima che la moglie tornasse. Ma il tempo è implacabile, e neppure le gesta più gloriose degli uomini più grandi potrebbero convincerlo a fermarsi per dare sollievo agli animi. E così giunse notte, e con essa Merija. Gli Spiriti vagavano liberi per la terra, ma nessuno degli avi si ricongiunse a Neinir, poiché temevano e speravano che presto egli sarebbe diventato uno di loro.
- Dunque, mio amato, sei stato qui così a lungo, ma il tuo volto è straziato e la tua anima è in pena. Qual è dunque la tua decisione? -
La sua voce, così limpida, si levò d’improvviso nell’aria notturna, come canto sulla melodia delle Cascate. O forse Neinir non era riuscito a rendersi conto della sua presenza? In ogni caso, sobbalzò, e necessitò di qualche attimo prima di chiudere gli occhi, e rispondere, angustiato.
- Merija, questa è per te una concessione, un dono, ma vedi come per me stia diventando una tortura! Io non sono capace di scegliere, non sono capace di mantenere integro il mio cuore, ma solo di dividerlo, per amare in egual modo te e i miei cari. Non posso scegliere! -
- Non essere codardo, Neinir, il Devoto! Non sarai lontano, poiché ti riunirai a loro una volta all’anno, e potrai silenziosamente proteggerli dall’Oltre. Scegli me! Mi condanneresti alla dannazione eterna? Questa è la seconda volta: qual è dunque la tua decisione? – La voce di Merija si fece più imperiosa, alterando quella tonalità musicale che si era diffusa nell’aria fin dalla sua prima apparizione. Anche Neinir poteva capire com’ella era vicina ad adirarsi per davvero, e assieme a lei anche gli altri spiriti. E Neinir sapeva bene cosa significasse far irritare i defunti.
Eppure non poteva.
Era sempre stato così coraggioso, così pronto a compiere l’azione migliore anche quando essa comportava pericoli immani…
- Non posso, Merija! Non posso! Vorrei avere due anime, una per te, e una per le mie radici mortali, così da non essere costretto a questa scelta, che non so compiere. Ma ne ho solo una che non può nulla! Non voglio che tu sia dannata, ma non posso più vendicarti; e non voglio che i miei genitori soffrano in vita. –
- E io non voglio, e non posso, scegliere per te. Questa è la terza e ultima volta: qual è dunque la tua decisione? Ora rispondi, Neinir! –
Ora la voce era più pacata, più neutra, quasi fosse così schiacciata dall’attesa e dal timore di ricevere una risposta sgradita. Era chiaro che lo spirito della donna amata fosse ormai spaventata, poiché l’essere rifiutata significava non raggiungere la pace, ma vagare nell’ombra in attesa di un riscatto remoto e improbabile. Come avrebbe potuto il suo Neinir farle una cosa simile? Avrebbe sicuramente scelto lei.
- Io…non lo so! Preferirei patire le più atroci sofferenze piuttosto che scegliere e veder soffrire gli altri! -
Parve allora che anche il corso delle Cascate si fosse fermato. Un momento interminabile, un silenzio di morte, e la firma della condanna di Merija. Neinir aveva ora paura, il terrore dell’Ignoto, più che della morte. E infine la voce, impetuosa, irata, gli si riversò nella testa come un fiume di lava, ferendolo e strappandogli l’anima.
- Sia tu maledetto, Neinir di Hennior! Che la tua indecisione sia la tua pena! Poiché possiedi una sola anima, sia tu condannato a dividerla ora e sempre tra questo mondo e quello immortale, poiché sei stato incapace di scegliere! Possa tu vivere in eterno sulla soglia della Porta, senza mai valicarla! Possa il tuo corpo patire le più atroci delle sofferenze, come hai desiderato, e non ricevere sepoltura! Possa tu essere latore di quelle sofferenze che hai voluto evitare agli altri! Addio, Neinir! –“
 
“E così Neinir il Devoto perì, travolto nella notte di Semain da alcune rocce franate dalle pareti della Cascata. Soffrì a lungo, come Merija aveva desiderato, prima di spirare, inerte, in una fine davvero indecorosa: e il suo corpo non venne trovato, ma rimase a marcire sotto quei massi, preda del tempo e degli animali. I genitori credettero che egli avesse preferito la moglie a loro, e morirono di dolore, consci di essere stati proprio loro a dare morte al caro figlio. E per quanto le loro anime raggiunsero la pace, non si riunirono a Neinir. Poiché Merija era stata esaudita, il Devoto era diventato l’Indeciso, costretto a vagare nel Limbo dei Perduti, che non possono valicare la Porta né per giungere sulla terra, né per ricongiungersi ai propri avi. Solo nella notte di Samain essi trovano ristoro, poiché gli è concesso incontrare gli altri; ma è solo una notte, in confronto all’eternità dei tempi. Inutili i lamenti di colui che fu Neinir, inutili le sue sofferenze: egli vagherà senza pace, finchè gli dei lo vorranno.”
  
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