Lechatvert
L'avete
chiesta ed ebbene, ora l'avete! In una veste un poco diversa da
ciò che mi aspettavo, ma ora è qui!
Ringrazio infinitamente Chemical
Lady, che mi ha spinta in un progetto che non pensavo di
poter iniziare e che mi ha dato spunto per una storia decente. Grazie
<3
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura.
Un bacio!<3
Capitolo
Primo
Firenze a volo d'uccello
La brezza mattutina della campagna la destò dal
pacato sonno in cui era caduta la sera prima, insinuandosi con grazia
dalle finestre aperte di Palazzo Rangoni. Era una giornata mite di
metà primavera e il tempo si preannunciava ottimo per una
passeggiata nella corte dove, peraltro, le serve avevano cominciato ad
ammucchiare le sedie del salone per pulirlo a fondo in vista di
chissà quale ricorrenza.
Bianca Maria aprì pigramente un occhio, scalciando via le
lenzuola dalla sua schiena nuda, e con un soffio si liberò
la vista da un ciuffo di capelli rossi.
« Buongiorno, Madonna Ordelaffi », la
salutò la voce allegra della serva alle sue spalle.
« Avete dormito bene? »
Bianca le scoccò un’occhiata assonnata.
Era la serva che solitamente portava la biancheria pulita e si
preoccupava di rifare i letti e cambiare le lenzuola.
« Buongiorno a te, Angela », le disse, cordiale.
« Mio marito è già partito? »
La serva scosse il capo, prelevando dall’armadio una veste
color acquamarina.
« Ha detto di volervi aspettare, Madonna ».
« Meno male ».
Si vestì con calma, facendosi pettinare con minuzia i lunghi
riccioli rossi che negli anni avevano continuato a divenire sempre
più folti.
« È una magnifica giornata, non trovi?
», disse, guardando fuori dalla finestra la campagna
stagliarsi verso l’azzurro del cielo terso di nubi.
La serva annuì.
« Avete ragione ».
Spese ancora qualche minuto ad aggiustarsi il trucco leggero e poi
scese nel salone, certa di trovarvi suo marito intento a fare
ciò che amava di più: leggere. Lo sorprese
infatti immerso nella lettura di una copia del Decamerone, spaparanzato
su un divanetto della corte interna.
« Buongiorno, mio signore! », lo chiamò,
uscendo all’aperto.
Lui, concedendosi un momento di distrazione dalla lettura,
alzò il naso dalle pagine per rivolgerle un educato cenno
del capo.
« Buongiorno a voi, Bianca ».
Ezio Rangoni era la persona più buona che Bianca conoscesse.
Le loro erano state nozze organizzate dai genitori in fretta e furia,
talmente in fretta che non avevano avuto il tempo di cercare uno sposo
e avevano ripiegato sul figlio di alcuni cugini che aveva ereditato una
lingua di terra a nord di Firenze.
Malgrado non si conoscessero, avevano imparato subito ad apprezzare
l’uno la compagnia dell’altra, per mezzo di qualche
libro, qualche lirica. Ezio Rangoni suonava il clavicembalo per lei
ogni sera, aveva persino composto delle odi in cui cantava la bellezza
della sua sposa.
Era un uomo molto impegnato, eppure trovava sempre il tempo per farla
felice.
« Siete stato molto gentile ad aspettare il mio risveglio
», gli disse Bianca, accomodandosi accanto a lui sul
divanetto. « Non dovevate prendervi tanto disturbo
».
Ezio le sorrise, prendendole le mani.
« Parto per Bologna, mia signora, il che vuol dire che non ci
vedremo per qualche tempo. Non mi sarei mai perdonato di lasciarvi
senza salutarvi a dovere ».
Era sempre così gentile, così premuroso nei suoi
confronti.
Bianca ne era più che innamorata.
« Ho chiesto al Conte di Fontenera di accompagnarmi a
Firenze, quest’oggi ».
Ezio annuì.
« Sì, me ne aveva accennato »,
confermò. « Siete sicura di non voler aspettare il
mio ritorno? Potremo passare qualche giorno là, prima che
arrivi l’estate ».
Bianca scosse il capo.
« No, i Medici ci hanno invitati al banchetto di domani sera.
Tengo molto ad andarvi ».
I Medici erano una famiglia un tempo molto vicina ai signori di
Forlì, i suoi defunti genitori. Ora che la famiglia
Ordelaffi era passata nelle mani di suo fratello maggiore, Bianca
voleva continuare a mantenere quel rapporto d’amicizia che si
era creato negli anni.
Ezio parve capire.
Sul suo viso si dipinse un piccolo sorriso e, quando si alzò
per raggiungere i suoi bagagli ammassati davanti al portone,
non mancò di baciare la fronte della moglie.
« Ci rivedremo presto, mia signora », la
rassicurò. « Vi scriverò una lettera al
giorno ».
Bianca ricambiò il sorriso.
« Sarà mia premura rispondervi »,
rispose.
Lasciò che suo marito si allontanasse con il passo spedito e
sicuro di un vero signore, prima di balzare in piedi e raggiungerlo
frettolosamente.
« Marito! », lo chiamò, una volta
arrivata alle sue spalle.
Lui la guardò, sorpreso.
« Il Decamerone », spiegò lei.
« La copia che state leggendo, è mia! »
« Vorrà dire che mi ricorderà di voi
mentre sarò via! Ah, Conte! È arrivato giusto in
tempo! »
Bianca si sforzò di guardare oltre le spalle larghe del
marito, verso il portone spalancato, dove una figura minuta stava
arrancando tra l’erba per raggiungere i due.
Il Conte di Fontenera era un giovane dall’aspetto
eccentrico ma sveglio e spesso prestava alcuni servigi ad
Ezio come consigliere. Nonostante la sua età, era dotato di
una saggezza immensa.
« Buongiorno, Messer Rangoni », salutò,
cortese. « Madonna Ordelaffi, ogni giorno che passa vi rende
più bella ».
« Mi raccomando, Conte! Siete la persona di cui
più mi fido, vi consegno mia moglie ma la rivoglio indietro
così come l’ho lasciata! »
Bianca trovava affascinante come suo marito riuscisse sempre ad essere
di buonumore. Riusciva a tirarla su di morale anche nelle giornate
più tempestose, anche quando tutto sembrava andare male. Al
funerale dei suoi genitori, morti l’uno a pochi anni di
distanza dall’altro, era stato l’unico a stare
realmente vicino a lei e ai suoi fratelli.
Non ascoltò la conversazione dei due, concentrandosi sul
luminoso paesaggio che la circondava. Sebbene quelle terre le
piacessero molto più di Forlì, non stava
più nella pelle all’idea di recarsi a Firenze, tra
i suoi mercati, le sue botteghe, le sue feste. Vi era stata lontana
anche troppo a lungo, e la frenesia della vita di città
cominciava a mancarle.
Salutato suo marito, constatato con tristezza che sarebbero passate
almeno tre settimane prima del loro prossimo incontro, non le
restò che organizzarsi con il Conte per partire il prima
possibile.
« Madonna Ordelaffi, non affrettatevi », le disse,
quando la vide montare in carrozza in tutta fretta. « La
strada per Firenze non è di certo corta. Sono sicuro che
può aspettare ancora il tempo necessario che serve a una
signora per rinfrescarsi ».
Lei, invece, era di tutt’altro avviso.
« Mi rinfrescherò una volta arrivati, Conte!
», rispose, raggiante. « Ora andiamo, prima che
venga mezzogiorno! »
La campana di una chiesa vicina batté il mezzodì,
destando Girolamo Riario dal frenetico pensare che aveva avuto da
quando, all’alba, era partito da Roma a cavallo per
raggiungere la corte dei Medici e portare il nome del Santo Padre.
Sei ore di incessante cavalcare e pensare avevano finito per sfinirlo,
ma la strada per giungere a Firenze era ancora molta e Riario non era
certo tipo da assopirsi durante una missione tanto importante.
Si asciugò quindi una lacrima caduta nell’angolo
dell’occhio destro e, soffocando uno sbadiglio,
spronò il cavallo verso il sentiero che costeggiava la
strada.
« Muoviamoci! » gridò, diretto a un
seguito più sfiancato di lui. « Firenze non ci
aspetterà di certo tutto il giorno! »
Si era portato dietro poche guardie papali, per lo più
mercenari svizzeri, in modo da non dare nell’occhio e poter
agire indisturbato. Pochi ma buoni, come aveva detto lui stesso, anche
se sull’ultimo aggettivo usato, in quel momento, aveva
qualcosa da ridire.
Spossato, osservò il paesaggio in lontananza diventare
sinuoso sulle campagne toscane. Non dovevano mancare più di
un paio d’ore.
Involontariamente, si lasciò scappare un sorriso.
Il Santo Padre sarebbe stato fiero del suo operato, non aveva dubbi.
Dopotutto, c’era la mano del Signore a guidarlo. Non avrebbe
fallito.
« Andiamo! », gridò, ancora, stavolta
più forte e accelerando l’andatura del suo
destriero. « Roma non vi paga per rallentare i progetti di
Dio! »
E detto questo si lanciò al galoppo sul sentiero,
improvvisamente irrequieto circa il suo arrivo in città.
C’era una strana calma, su quelle colline.
Sperò con tutto il cuore che non si trattasse del tipo di
calma che di solito causa complicazioni.