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Autore: miseichan    23/06/2013    5 recensioni
- Stai cercando di dirmi che vorresti farti un cucciolo di dalmata? –
- No. Che voglio farmi te –
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Lucky


 

“Marco.”

“Ascolti, deve portarle al numero 38, ha capito bene?”

“Marco.”

“E’ molto, molto importante: se sbaglia potrebbe succedere il finimondo, mi creda.”

“Marco, porca di quella miseriaccia, vuoi tornare in campo?”
Marco coprì per un momento il microfono con la mano e lanciò un’occhiata veloce ad Amedeo:

“Che fretta hai?”

“Io non ho fretta.” borbottò il rosso, fulminandolo “Gli altri, però, sì.”
Marco si strinse nelle spalle e tornò a parlare al telefono, ribadendo ancora una volta il concetto.
Assicuratosi finalmente che non ci sarebbero stati errori, si girò e il sorriso a trentadue denti gli morì sulle labbra alla vista di Nicola:

“Brutto cretino, quando hai intenzione di tornare in campo?” lo apostrofò duramente quello, la palla bianca stretta fra le mani.

“Dovrei fare ancora una chiamata, veramente.” sussurrò Marco in risposta.

“Non puoi rimandare?” sibilò l’altro, avvicinandoglisi con un fare minaccioso molto credibile.

“Veramente no.”
Nicola chiuse gli occhi, voltandosi lentamente in direzione del fratello:

“Conta fino a dieci.” gli consigliò quello, annuendo ripetutamente “Fino a dieci, Nic.”

“Lo uccido.” 

“Non stai contando.”
Marco fece per dire qualcosa ma Amedeo lo interruppe prontamente, sussurrandogli all’orecchio:

“Aspetta. Aspetta che inizi a contare.”

“Nel senso che poi devo scappare o che posso telefonare?”

“Perché non torni in campo e rimandi la chiamata?” gemette Amedeo, gli occhi fissi sulla figura imbestialita del fratello.

“Perché non ci vai tu, invece, e mi lasci organizzare in santa pace?”

“Perché Nicola vuole te.”

“Ah.” sogghignò Marco “Se la metti così...”

“Non fare il cretino.” lo rimbrottò subito Amedeo “Servi per equilibrare le squadre, lo sai.”

“Se non concludo adesso, però, Deo...”

“Cos’è che devi assolutamente concludere adesso, eh?!” sbottò in quel momento Nicola, mentre entrambi si voltavano a guardarlo con espressioni stranite. 

“I preparativi per la festa.” rispose Marco, stringendosi nelle spalle “Che domande sono?”

“Quale festa?”

“La mia festa.” 

“Ah.” annuì Nicola, mordicchiandosi un labbro “Certo.”

“Che ha?” sussurrò allora Marco ad Amedeo.

“Lascia perdere.”

“Mi riguarda?”

“Perché tutto deve sempre riguardarti?”

“Credi che mi faccia piacere? Per un qualche motivo a me sconosciuto, però, è quasi sempre così.” si strinse nelle spalle quello “Allora? Mi riguarda?”

“Non al momento.”

“Non è una risposta, Deo.”

“La smettete di confabulare, cortesemente?” sibilò Nicola, fulminandoli.

“Certamente.” sorrise di rimando Marco “Ti dispiace se faccio quell’ultima telefonata?”

“Sì. Mi dispiace.”

“Non fare il guastafeste, dai. Se non mi lasci fare domani neanche tu avrai da mangiare, sai?”

“Io? Che c’entro io?”

“Oh, signore! Hai sbattuto la testa?” si voltò verso Amedeo “Lo hai colpito alle spalle?”

“Che diamine c’entro io?” sbottò Nicola, afferrandolo per il colletto della maglia.

“La festa di domani.” sillabò Marco “Se vuoi mangiare devo fare quella chiamata.”

“Ma perché? Sono... invitato anch’io?”

“Sì! Sì, che sei invitato anche tu.” sospirò esasperato il ragazzino “Perché mai non dovresti, sentiamo? Viene in pratica tutta la scuola e proprio tu non vuoi presentarti?”

“Oh. Okay.” 

“Okay. Ora mi lasceresti andare, gentilmente?”

Nicola lasciò la presa sulla maglia e arretrò di un passo, la palla ancora sotto braccio:

“Due minuti.” ringhiò “Poi vengo a prenderti per i capelli.”

Marco annuì e avviò la chiamata, gli occhi fissi in quelli di Amedeo:

“Tuo fratello migliora ogni giorno che passa.”

 

 

 

“Bussano alla porta, ti devo lasciare.”

“Prometti solo che stasera non mancherai.”

“Andrea, devo andare.”

“Fede, non puoi lasciarmi da solo durante i colloqui, lo sai?” gemette il ragazzo al telefono “Ne uscirei morto, te ne rendi conto?”

“Ti ho già detto che non mancherò, non insistere.”

“Quindi mi fido...”

“Sto chiudendo la chiamata.”

“Sei scontrosa, sai?”

“Ciao, Andrea.”
Federica spense il telefono, alzandosi a fatica dal divano:

“Sto arrivando, sto arrivando... ma perché diavolo sono già tutti svegli alle dieci del mattino?”

“Perché è alle sette che la gente normale si alza.” rispose una voce da dietro la porta.
Federica si bloccò, la mano stretta attorno al pomello:

“Salvatore?”

“Proprio io.” confermò quello, continuando poco dopo “Non vuoi proprio vedermi?”

“Scusa.” borbottò Federica, aprendo la porta e squadrandolo dal basso in alto “Che ci fai qui?”

“Ho portato la colazione.”

“Che ci fai qui?”

“Credevo di aver appena risposto.” sorrise lui, superandola ed entrando in casa.

“No. Intendo che ci fai qui, in casa mia.” sibilò Federica, afferrandogli un lembo della giacca   scura “Non dovresti neanche sapere dove abito.”

“Ho chiesto ad Andrea.” si strinse nelle spalle Salvatore, liberandosi facilmente dalla stretta della ragazza e dirigendosi verso quello che immaginava fosse il salotto.

“Perché, di grazia?”

“Per portarti la colazione.”
Federica sospirò, osservandolo in silenzio mentre le porgeva un bicchiere di caffè. 

“Sasà.”

“Cosa?”

“Tu non vieni a casa mia.”

“Solo perché prima non sapevo dove fosse.”

“E’ preoccupante.”

“Prendi il caffè.”
Si guardarono per qualche attimo, immobili, poi Federica afferrò il bicchiere e lui si lasciò cadere sulla sedia più vicina:

“Cornetto o pasticcino?”

“Entrambi.”

“Che facevi di bello?” la interrogò Salvatore, l’espressione indecifrabile.
Federica diede un morso al primo dolcetto e annuì mesta:

“Andrea ti ha detto tutto, non è vero?”

“Ha bevuto un po’ ieri sera.” provò a giustificarlo “Non è colpa sua.”

“Lui non doveva parlare.” sibilò Federica, un filo di Nutella sulle labbra “E tu non dovevi venire qui.”

“Avevo una buona ragione.”

“Portarmi la colazione?”

“Anche.” sorrise Salvatore, porgendole un fazzoletto.

“Che vuoi, Sasà?”

“Invitarti ad una festa.”

 

 

 

“Che stai facendo?”
Marco girò di scatto su se stesso, colto di sorpresa, e inciampò nei pantaloni che aveva appena cominciato ad infilarsi. Rebecca lo guardò crollare miseramente a terra e sorrise divertita:

“Scusa, non volevo spaventarti.”

“Non mi hai spaventato.” mugugnò il ragazzino, la voce attutita dal tappeto.

“Mmm.” ridacchiò lei, sedendosi sul letto “Non mi hai risposto.”

“Qual era la domanda?”sospirò Marco, rimettendosi faticosamente in piedi, i jeans ancora fermi alle caviglie. 

“Che stai facendo?”

“Mi metto i pantaloni.”

“Questo lo avevo intuito.”

“Allora non vedo l’utilità della domanda.”

“Marco.”

“Cosa?”

“Perché ti metti i pantaloni?”
La testa di Loredana spuntò dalla botola nel pavimento, l’espressione esasperata:

“No, ma dico: avete mai provato ad ascoltare le vostre conversazioni?” borbottò, raggiungendo la sorella sul letto “Sono un qualcosa di allucinante, vi assicuro. Senza né capo né coda.”

“Si sta mettendo i pantaloni, Dana.” sussurrò Rebecca con fare cospiratorio.

“E perché la cosa ti sconcerta tanto?”

“Perché...”

“Muta.” la interruppe subito Marco, fulminandola con lo sguardo.

“Non zittirmi!” fremette Rebecca.

“Okay, okay, non voglio saperlo.” sospirò Loredana, roteando gli occhi.

“Che fai qui, allora?”

“Ha chiamato un tipo strano: parlava di dardi o qualcosa del genere... cose che scoppiano, in ogni caso. Era per te, vero?”

“E’ ancora al telefono?” saltò su Marco, chiudendosi i jeans.

“Ha attaccato prima che potessi dire alcunché.”

“Richiamerà.” si strinse nelle spalle il ragazzino, cambiando rapidamente maglietta.

“Ha a che fare con la festa di domani?”

“Sicuramente.” s’intromise Rebecca.

“Non ci saranno morti, vero?”

“Non dovrebbero, no.”

“E con la polizia come la mettiamo?”

“Credo abbiano una specie di accordo.” spiegò Rebecca mentre il fratello si limitava ad annuire.

“E per...”

“Ho organizzato tutto, Dana, stai tranquilla.” la bloccò sul nascere Marco, stringendo i lacci alle scarpette “Tu  pensa solo a divertirti, va bene?”
Loredana annuì, alzandosi e tornando alle scale:

“Viene anche Andrea?” chiese appena prima di cominciare a scenderle.

“L’ho invitato, sì, ma non so se...”

“Ci sarà anche Andrea.” mormorò allora Loredana, sorridendo appena “Divertitevi stasera.”
Marco fissò il punto in cui poco prima c’era la testa della sorella e schiuse le labbra, confuso, i lacci fermi tra le mani:

“Secondo te...”

“Sì.” confermò Rebecca, lanciandogli contro un cuscino “E’ di Dana, che stiamo parlando!”

“Mi sto solo vestendo, santo Cielo, come fate a capire tutto da così poco?”

“Siamo donne.” ghignò lei “Non sottovalutarci mai.”

“Hai visto il mio cellulare?”

“Sotto la scrivania.” 

“Non so a che ora torno. Avverti tu la mamma?”

“Certo.” sorrise Rebecca “Solo se mi dici dove vai, però.”

“All’asilo.”

“Come?”

“Ci sono i colloqui con i genitori.” spiegò Marco “Mi ha chiesto di andare a salutarlo, tutto qui.”

“Niente sesso contro la lavagna, quindi?”

“Becca!” scattò Marco, fissandola incredulo “Cosa...”

“Era un’opzione, tutto qui.” gli fece il verso lei. 

“Vado solo a salutarlo.”

“Anche le cattedre sono piuttosto comode, sai?”

“Lo dici per esperienza personale?”

“Non sono domande che dovresti fare a tua sorella, ragazzino.”

“No? Proviamo con questa, allora: con chi vieni domani alla festa?”

“Nessuno.”

“Bugiarda.” scosse il capo Marco, ripescando le chiavi di casa dallo zaino.

“Perché ti interessa?”

“E’ una semplice domanda.”

“Luca.”

“Quale Luca? Luca Novara o Luca Giannini?”

“Novara.”

“E’ un idiota.”

“Se avessi detto Giannini?”

“E’ un idiota anche lui.”

“Gli uomini sono tutti idioti, dovresti saperlo: fai parte anche tu del gruppo.”

“Cattiva, questa.”

“Hai cominciato tu.”

“Sto solo dicendo che potevi scegliere meglio.”

“Vorresti farlo tu per me, per caso?”

“Ne sarei felice.”

“Vai a farti fottere, Marco.”
Marco si lanciò sul letto, stringendola in un veloce abbraccio e stampandole un bacio sulla guancia per poi affrettarsi verso le scale:

“Volentieri.” sussurrò, sparendo velocemente “Davvero volentieri.”

 

 

 

“La smetti di seguirmi?”

“Non finché non l’avrò vinta.”

“Non puoi averla vinta, Sasà.” si fermò di colpo Federica, girandosi per fronteggiarlo “Non ci vengo a una festa di adolescenti, è chiaro?”

“E’ il compleanno di Marco, un Andrea in miniatura, come fai a non voler venire?”

“Birra, ormoni e saliva ovunque? No, grazie.”

“Andrea ci va.”

“Naturale che ci va. Si è bevuto il cervello e ragiona solo con il...”

“Stai diventando volgare, signorina. Colpa del recente lancio di coltelli.”

“La smetti?”

“Colpa mia, allora?”

“Come?”

“E’ perché ti ho invitato io che non vuoi andarci?”

“No, certo che no. Perché dovrebbe essere colpa tua?”

“Perché mi sono presentato a casa tua senza invito.”

“Hai portato la colazione.”

“Quindi vieni alla festa?”

“No.”
Federica ricominciò a camminare, ignorando il sospiro risentito di Salvatore. 

“Fede, ti prego.”

“Non mi va, non insistere.”

“Non insisterei se non sapessi che è il caso di insistere perché senza insistere tu non...”

“Ho perso il filo.” sorrise Federica, entrando in una classe e facendogli segno di seguirla.
Salvatore obbedì, chiudendosi la porta alle spalle:

“Non farmi penare, donna.”

“Non ho voglia di uscire, ecco tutto.”

“E di cosa hai voglia?”

“Di accoccolarmi sul divano con una birra in una mano e una vaschetta di gelato nell’altra.”

“Ora non sei sul divano.”

“Ci sono i colloqui. Dovevo venire per forza.”

“Anche a quella festa devi venire per forza.”

“Sasà, davvero, lasciamo stare.”

“Hai bisogno di distrarti, Fede, dammi retta. Ho quasi sempre ragione, io.”

 Federica roteò gli occhi, non riuscendo tuttavia a nascondere un sorriso:

“Per colpa di quel quasi mi vedo costretta a...”

“Domani andiamo a quella festa, punto.”

“No.”

“Non accetto un no.”

“Puoi andarci, se vuoi. Perché ti servo io?”

“Perché ho deciso di invitarti.”

“Non avevi messo in conto un possibile rifiuto?”

“No.”

“Spaccone.”

“A che ora passo a prenderti?”

“Sei insopportabile.”

“Verso le sette, va bene?”

“Sette e un quarto.”
Salvatore sorrise, cercando di nascondere la sorpresa per quell’ultima risposta.

“Sette e un quarto.” ripeté, arretrando in direzione della porta.
Meglio fuggire prima di un qualsivoglia voltafaccia.

Sette e un quarto.

 

 

 

“Non capisco perché sta tirando in ballo argomenti così delicati, signor Iacono.”
Andrea represse faticosamente un sospiro di esasperazione, annuendo invece lentamente e con fare totalmente accomodante:

“So quanto possano essere scomodi, davvero, e sono mortificato di doverlo fare ma dovete capire che vostro figlio...”

“Non sono affari che la riguardano, se ne rende conto?”

“Ne sono consapevole glielo assicuro, ma è il piccolo che ne risente e...”

“Come può risentirne?” intervenne in quel momento la moglie “E’ solo un bambino. Non ha la più pallida idea di...”

“Signora.” la interruppe Andrea, chiudendo gli occhi solo per un istante “Le posso assicurare che i bambini sono molto, molto più percettivi della maggior parte degli adulti.”

“Ci sta dando degli stupidi?” domandò allora l’uomo, irrigidendosi sulla sedia.

“No. Certo che no.”

“Cosa vuole, allora?” sbottò la donna, fulminandolo con lo sguardo.
Andrea si massaggiò le tempie, tutte le forze impegnate nel non perdere neanche un briciolo della sua calma. Aprì la cartellina che aveva davanti e porse ai coniugi una serie di fogli:

“Questi sono gli ultimi disegni di vostro figlio.” spiegò, indicandoli uno a uno “C’è qualcosa che non va, lo capite? E il bambino lo percepisce. Se ne accorge.”

“Tutto questo solo per qualche disegno?” borbottò l’uomo, stringendosi placidamente nelle  grosse spalle “Non le sembra di star esagerando?”

“C’è una persona impiccata a un arcobaleno, santo Cielo!” sbottò Andrea, picchiettando col dito sul disegno in questione “Le sembra un disegno adatto a un bambino così piccolo?”

“Ha solo molto fantasia.” mormorò la madre. 

“Lo lasci disegnare ciò che gli pare, insomma, non vedo come ciò la debba riguardare.” rincarò il padre, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Andrea represse l’insulto che gli era salito alle labbra e alzò gli occhi verso il fondo dell’aula, cercando istintivamente la figura del bimbo intenta a giocare. Fu nel momento stesso in cui non la vide che sentì il terreno franargli sotto i piedi:

“Dov’è Paolo?” chiese con un filo di voce, rivolgendosi a nessuno in realtà oltre che a se stesso.
Scattò in piedi, dirigendosi verso l’uscita e chiamando Federica a gran voce. Dopo meno di un minuto la ragazzo fu al suo fianco, l’espressione attenta:

“Che succede?”

“Ho perso Paolo.”

“E’ quello dell’arcobaleno?”

“Sì.” ansimò Andrea, aprendo un paio di porte a caso “Ho i suoi genitori in aula: li intrattieni tu finché non lo ritrovo?”

“Non collaborano, vero?” chiese lei, poggiandogli una mano sul braccio.

“Non sembrano averne minimamente intenzione.”

“Andrea...”

“Stai tu con loro?”

“Certo.”
Andrea annuì, dirigendosi lungo il corridoio, una serie di imprecazioni a solleticargli la gola: amava il suo lavoro, poco ma sicuro, eppure situazioni come quelle gli davano letteralmente il volta stomaco. Non poteva farci niente.

“Dove diamine è andato a nascondersi quel dannato ragazzino?” fremette girando l’ennesimo angolo, un lieve senso di paura a pesargli nel petto.
Aveva appena finito di dirlo quando se ne ritrovò due davanti, di dannati ragazzini.

“Secondo te si riferisce a te o a me?” domandò Marco, gli occhi rivolti al piccolo Paolo al suo fianco “Sono leggermente in ritardo, lo so, scusa.” aggiunse poi, sorridendo in direzione di Andrea.

“Non fa niente.” mormorò atono quello, squadrandoli leggermente incredulo.

“Allora? Cercavi me o il piccoletto?”

“Il piccoletto.”

“Devo sentirmi offeso?”

“Non ero nemmeno sicuro che saresti venuto.”

“Dispiaciuto?”

“Assolutamente no.”
Andrea sorrise, avvicinandosi ai due, il capo leggermente inclinato di lato:

“Come vi siete incontrati?”

“E’ una storia particolare.”

“Sono tutto orecchi.”

“Dunque: cercavo di fare pipì, ma i bagni qui da voi sono particolarmente bassi, sai?”

“Esistono i bagni per gli insegnanti.”

“Lo immaginavo. Ma al momento sono riuscito a trovare solo quelli.”

“E come hai risolto?”

“Ci stavo ancora lavorando, ecco, quando sento questa vocina alle spalle.”

“Paolo?”

“Il piccoletto si chiama Paolo?”

“Sì.”

“Allora sì, Paolo.”

“E che ti diceva?”

“Dava consigli su come riuscire a farla in orinatoi così bassi.”

“Bimbo intelligente, non è vero?”

“Molto.”

“Hai risolto alla fine?”

“Sì. Grazie all’aiuto di Paolo, non dimentichiamocene.”

“Gliene dobbiamo dare atto.”

“E tu?”

“Io cosa?”

“Mi sembravi leggermente nervoso.”

“Me l’ero perso.”

“Paolo o lo spettacolo di me che cerco di fare pipì?”

“Paolo.”

“Per fortuna allora che ci sono io, no?” ghignò Marco, una mano sulla spalla del bimbetto. 

“Decisamente.”

“Avete finito?” chiese in quel momento Paolo facendo sussultare entrambi.

“Come?” ribatté rapido Andrea, allontanandosi velocemente da Marco.

“Tu.” sibilò il bimbo “E i miei genitori.”

“Io...”

“Avete finito di litigare?”
Andrea sgranò gli occhi, le parole che non volevano saperne di venir fuori in modo corretto.

“E’ inquietante.” mormorò Marco, improvvisamente vicino al suo orecchio “Mi ricorda il ragazzino del Sesto senso, hai presente? Malamente inquietante.” 

 

 

 

“Scusa se ci ho messo tanto.”
Marco si strinse nelle spalle, tirandolo giù, affianco a sé.

“Non è pulito qui per terra.” borbottò Andrea, obbedendo ugualmente e crollando a sedere di fianco al ragazzino “Com’è che non te ne sei andato?”

“Mi sei sembrato alquanto esaurito, ho pensato ti servisse un po’ di supporto.”

“Colpa di quei due idioti.”

“I genitori di Paolo.”

“Non hanno idea di cosa stanno combinando, davvero.”

“Per fortuna ci sei tu.”

“Non so se è davvero una fortuna.” mormorò afflitto Andrea, chiudendo lentamente gli occhi e reclinando il capo contro il muro “Non so cosa fare. Mi sento... inutile.”

“Non sei inutile.”

“Non so cosa fare, Marco.”

“E’ diverso dall’essere inutili.”

“Non sai cosa stai dicendo.”

“Neanche tu.” ridacchiò il ragazzino “Devi solo far riposare un po’ i nervi, okay? Mangia.”

“Cos’è?” chiese indifferente Andrea, un pallido sorriso a piegargli le labbra mentre Marco gli poggiava qualcosa contro le labbra.

“Torta.” sussurrò quello “Una torta eccezionale.”

Andrea schiuse le labbra, lasciandosi imboccare: “Vero.”

“Visto?”

“Riuscirò ad aiutare quel bambino.” mormorò poco dopo Andrea, buttando giù un altro morso di torta “Ci riuscirò.”

“Ne sono sicuro.” annuì Marco, porgendogliene ancora.

“E...”

“E cosa?”
Marco si voltò appena, l’espressione stanca e interrogativa al tempo stesso. 

“Andrea?”

“Dove l’hai presa?” soffiò quello, carezzandosi la gola.

“Co... come?”

“La torta. Dove l’hai presa?”
Marco sentì un brivido percorrergli la schiena, gli occhi fissi sul volto arrossato e leggermente gonfio dell’altro:

“Un’aula in fondo al corridoio: c’era una specie di buffet e... che cazzo ti sta succedendo?!”

“Va tutto bene.” tossì l’altro in risposta, la voce sempre più roca “Chiameresti Salvatore?”

“Co... che sta succedendo? Che diavolo... ti ho, ti ho avvelenato o qualcosa del genere?!”

“E’ solo una reazione allergica, Marco.”

“Cazzo. Cazzo. Caz...”

“Salvatore.” tossì ancora Andrea, indicando ripetutamente il cortile “Dovrebbe essere ancora qui in giro. Chiamalo un attimo, per favore.”

Marco annuì scattando repentinamente in piedi, gli occhi fissi in quelli lucidi del biondo mentre correva alla finestra e cominciava a chiamare a gran voce Salvatore. 

“Che succede?” 

La voce proveniente dal corridoio bloccò i suoi richiami, troncandogli la voce: Marco volò verso la porta, afferrando senza alcun riguardo il nuovo arrivato e trascinandolo con sé.

Nella fretta non aveva più degnato di uno sguardo Andrea, così quando nel girarsi gli sbatté contro quasi non riuscì a crederci. Si limitò a fissare la scena. 

A fissare un Andrea ansimante, piegato in due e con il naso sanguinante stretto nella mano. 

Cazzo.

 

 

 

“Sei un pazzo furioso, lo sai?”

“Non è stata colpa mia.”

“Lo hai avvelenato e gli hai quasi spaccato il naso, come fa a non essere colpa tua?”

“Come facevo a sapere che era allergico?”
Salvatore sgranò gli occhi, afferrandolo per le spalle e spingendolo duramente contro il muro più vicino:

Come facevo... come facevo a sapere che era allergico?” gli fece il verso, fulminandolo con lo sguardo “Secondo te perché lo chiamo Pinolo, sentiamo?”

“Non sapevo che in quella torta c’erano i pinoli e non sapevo che lui era allergico ai pinoli.” sibilò il ragazzino, senza abbassare la testa di un centimetro.

“Lo chiamo Pinolo.” ringhiò quasi Salvatore.

“Non significa un bel niente!” sbottò Marco, spintonandolo “Non puoi pretendere che da un banalissimo soprannome la gente arguisca tutto il sottotesto che ti sei creato in testa!”

“Lo vuoi uccidere, dì la verità.”

“Vaffanculo.”

“Vuoi spaccare anche il mio, di naso?”

“Lo farei molto volentieri, sai?”

“Perché non ci provi, allora?”

“E’ bello vedere come il luogo non vi intimidisca minimamente.”

Salvatore e Marco si voltarono in contemporanea verso il letto poco lontano, le espressioni niente affatto mortificate. 

“Siamo in ospedale, santo Cielo.” sospirò Andrea, tirandosi a sedere “Datevi una calmata.”

“Come ti senti?”

“Hai bisogno di qualcosa?”

“Il naso come va?”

“Il polso ti da fastidio?”

“Vuoi un bicchiere d’acqua?”

“Vorrei andarmene a casa.” rispose con un sorriso a entrambi “Dite che è possibile?”

“Vado a parlare con l’infermiera.” mugugnò Salvatore, squadrandolo rapidamente “Sicuro di sentirti bene?”

“Mai stato meglio.”

“Ti hanno imbottito di...”

“Sto benissimo. Non dovevi andare a parlare con una certa infermiera?”

“E ti lascio qui da solo con il giovane pazzo?”

“Sasà.” lo redarguì subito Andrea “Non esagerare, ti prego.”

“Torno subito.”

Andrea annuì, osservandolo uscire dalla stanza con passo veloce. 

Quando spostò lo sguardo su Marco, la battuta di spirito già pronta sulla punta della lingua, pietrificò nell’incontrare l’espressione pietosamente colpevole del ragazzino:

“Che hai?” balbettò, facendo per protendersi verso di lui.

“Mi dispiace, Drew.” mormorò quello, il tono sommesso “Mi dispiace davvero, davvero tanto.”

“Marco non...”

“Immensamente. Non puoi nemmeno immaginare quanto.”

“Marco...”

“Salvatore ha ragione. Ho... ti ho quasi ucciso, per non parlare del naso e del polso e...”

“Marco.” lo interruppe duramente Andrea, tirandolo a sé “Smettila.”

“Scusa.”

“Smettila di scusarti.”

“Ti ho quasi ucciso.”

“Non è vero.”

“Sì, che è vero. E Salvatore... lui ti chiama Pinolo.” sussurrò con un filo di voce il ragazzino.

“Non è vero. Non è successo niente.” sorrise Andrea, scuotendo il capo “Sei tu che ti sei fatto prendere dal panico, tutto qui. E...”

“Avevo tutte le ragioni del mondo per entrare in panico e...”

“Fammi concludere una buona volta.” lo zittì il biondo, spintonandolo appena “Vuoi sapere perché mi chiama Pinolo?”

“Come?”

“Vuoi sapere perché Sasà mi chiama Pinolo?”

“Perché sei allergico ai pinoli.”

“Anche.” ridacchiò Andrea “Soprattutto, però, perché è stato il primo a farmeli mangiare.”
Marco sgranò gli occhi, un lampo di consapevolezza a illuminargli il volto:

“Brutto bastardo.”

“Non è successo niente allora, come non è successo adesso, okay?”

“Che figlio di buona donna.” borbottò ancora Marco, lo sguardo fisso sulla porta da cui l’uomo era uscita poco tempo prima.

“Vedo che i rapporti fra di voi migliorano di volta in volta, eh?”

“Hai un amico che più stronzo sarebbe difficile, lo sai?”

“Bisogna solo prenderlo per il verso giusto.”

“Se permetti...”

“Ti sei ripreso, allora?” lo interruppe Andrea, grato del sorriso che gli piegava le labbra.

“Un po’. Non mi sembri in punto di morte, no?”

“Mai stato meglio.”

“Lo hai già detto.”

“Anche voi siete un po’ ripetitivi.”

“Il naso?”

“Non è rotto.”

“L’invito per domani è ancora valido, sai?”
Andrea inarcò un sopracciglio, il sorriso che rapidamente diventava un ghigno:

“E’ un modo contorto per chiedermi se verrò alla festa?”

“Certo che no.” fece spallucce Marco “Non lo farei mai. Per chi mi hai preso?”

“Ho invitato anche Salvatore. E credo che lui abbia intenzione di trascinarci Federica.”

“Cos’hai fatto?”

“E’ un problema?”

“Significa che verrai?”

“Ti interessa, allora.”

“Mi sto solo informando.”

“Avevo altri programmi per stasera.”

“Stai cambiando discorso.”

“C’è un divanetto nella sala professori che volevo farti provare.”

“Se è per questo mi sarebbe bastata anche una cattedra.” sorrise Marco “Mi hanno detto che sono piuttosto comode.”

Andrea fece per rispondere a tono ma dei passi sempre più vicini lo distrassero, rompendo il ritmo già pericoloso della conversazione. 

Incrociò lo sguardo vispo del ragazzino e si limitò a mormorare, la promessa nella voce:

“Continuiamo domani sera.”

 

 

§

 



 

 

 

Quando si dice: il peggio deve ancora venire.

Ah, nel prossimo capitolo ci sarà l’apocalisse. E non lo dico così tanto per dire. 

Ho sempre adorato scrivere delle feste, davvero. Il caos più totale. 

Potete immaginarlo, su. E’ la festa di Marco, dopotutto: non può uscirne niente di buono.

Sono già a metà, ad ogni modo: si può dire che si sta scrivendo da solo. 

A presto spero, esami permettendo,

un bacione a tutti,
Sara

 

 

P.s. in bocca al lupo a tutti i maturandi e a chi, come me, sta sudando per la sessione estiva. 

        

P.p.s. il link del gruppo, se qualcuno ancora dovesse mancare ;)
                  
https://www.facebook.com/groups/322279614453686/

 

 

 

P.p.p.s. mi scuso per tutti i probabili errori; la rilettura l’ho rimandata a domani :)




 

   
 
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