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Autore: Shjeld    23/06/2013    17 recensioni
Harry, un ragazzo insicuro, introverso e con una grande paura di vivere.
Louis, un ragazzzo sorridente, che vive di attimi e senza pensieri.
E quando si vive di attimi, ognuno di essi può stravolgerti la vita.
Mi guarda, stende le labbra in un sorriso. E sento esplodermi qualcosa nel petto, tornano a bruciarmi le guance ed io chino istintivamente la testa.
«Louis.»
Sollevo lo sguardo, confuso. «Cosa?»
«Louis Tomlinson, è il mio nome.»
«Oh, Harry Styles il mio» rispondo ancora più confuso.
Genere: | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La musica rimbomba nell’edificio scuotendo le pareti, una gran folla s’agita seguendo il ritmo mentre io cerco di oltrepassare la sala evitando tutti quei corpi sudati.
Ballare, scatenarmi e lasciarmi andare? Non sono cose che fanno per me, neanche l’ultimo giorno dell’anno. Odio questo maledetto posto.
Gemma, la mia sorella maggiore, mi ha costretto a venire a questa dannata festa. Cerca sempre di avvicinare il mio stile di vita al suo, così mondano e festaiolo. Io sono semplicemente più “sfigato”, a detta sua.
Ma quello che lei si ostina a non capire è che a me sta benissimo così.
Vorrei solo andarmene a casa, ma non posso chiedere a mia sorella di andarsene così presto dalla festa, quindi mi limiterò a vagabondare in solitudine nell’attesa dello scorrere del tempo.
Mi ritrovo in giardino, una grande distesa di prato ben curato illuminato da alcuni lampioni lungo il viale; sotto il cielo scuro non vi è nessuno, il freddo pungente costringe tutti a starsene al calduccio.
Stringo la giacca beige intorno al mio corpo, poi mi avvio verso una panchina e finisco con lo stendermi su di essa. Volgo le mie iridi smeraldine verso le stelle, tiro fuori dalla tasca dei jeans il mio iPod ed infilando le cuffiette nelle mie orecchie schiaccio il tasto “play”. Socchiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalla dirompente voce di Adele in First Love.
Il tempo scorre, la mia mente viaggia ed io mi ritrovo fra il sonno e la veglia, finché una mano non si posa sulla mia spalla e mi scuote.
Spalanco, allarmato, le palpebre, scattando con il busto in avanti. Uno sconosciuto mi osserva un po’ perplesso.
«Hai un accendino?» mi chiede.
Non rispondo, non subito. Sono ancora un po’ assonnato. Scruto il ragazzo: capelli castani e scompigliati, un viso pulito, delle labbra fine e rosee e due occhi azzurri, profondi.
Lascio cadere le cuffiette per udirlo meglio.
«Hai da accendere, sì o no?»
Scuoto la testa, non fumo.
«Ahhh, dannazione! Ma nessuno fuma da queste parti?!» si siede senza troppi problemi al mio fianco, portando la sigaretta che teneva stretta fra le mani sul suo orecchio.
«Mi spiace» dico, poi scrollo le spalle e, sbloccato l’iPod, inizio a giocare con qualche applicazione divertente. Non bado troppo a quel ragazzo, non mi interessa parlare con lui.
«A cosa giochi?» ma lui non sembra essere della stessa idea.
«Icomania» rispondo secco, senza distogliere lo sguardo dall’iPod.
Lui si avvicina per osservare meglio lo schermo, io faccio lo stesso, seppur la mente non stia cercando una soluzione al gioco fintanto che è troppo preoccupata per la sfacciataggine del ragazzo. Si è preso troppa confidenza, mi mette a disagio, ma non pare notarlo, o forse non gli interessa.
«Severus Snape.»
«Cosa?» lo guardo accigliando lo sguardo.
«Il personaggio è Severus Snape, è facile».
Torno a posare lo sguardo sull’immagine mostrata, effettivamente è il professor Snape di Harry Potter.
«Oh, lo sapevo.»
«E allora cosa aspettavi a scriverlo?» sorride.
Non so bene cosa succeda nel mio petto subito dopo aver incrociato quelle labbra tese in un flebile sorriso, seppur radioso. Sento le gote divampare, e torno a posare lo sguardo sullo schermo per digitare, impacciato, la soluzione.
«Come mai qui fuori, tutto solo?» torna a parlare lui, con la sua voce pacata e serena.
«Non amo particolarmente le feste» dico, marcando con un tono aspro il mio disappunto.
«Io direi quasi che odi le persone.»
«Anche.»
Lui scoppia a ridere, dandomi una pacca sulla spalla.
«E fammi sapere, odi anche me?»
Cautamente torno a fissarlo in volto, schiudo le labbra per parlare ma lui mi precede.
«Odieresti una faccina - fa sporgere il labbro inferiore e sbatte rapido le ciglia – come questa?»
«No, no. Non credo sia possibile!» rispondo di getto, lasciandomi scappare una risata.
Torno subito a sentirmi a disagio, l’intera situazione è assurda: sto parlando con un perfetto estraneo, non è proprio da me. Ho sempre evitato tutti nei corridoi della scuola, non ho mai dialogato con nessuno alle lezioni di canto e pianoforte. Compio già salti mortali nella mia testa, chiedendomi se avere un amico possa essere qualcosa di tanto malvagio; poi mi domando perché dovrebbe voler essere un mio amico, e quindi faccio tacere ogni pensiero al riguardo.
«Cosa ti va di fare?»
«Ascoltare musica e guardare le stelle?!»
«Ma è l’ultimo giorno dell’anno! Dovresti divertirti come un pazzo e scatenarti, ubriacarti per finire a piangere su tutte le occasioni perse quest’anno, su tutti i tuoi fallimenti, su tutte le stronzate fatte con il solo scopo di elencarti mentalmente tutti i buoni propositi per l’anno nuovo, per ritrovarti fra esattamente un anno nella stessa identica situazione!» mentre parla si gonfia, gesticola. E’ un tipo buffo.
«Tu non stai facendo nulla di tutto questo, anzi, sei qui seduto su una panchina con un completo estraneo che sta benissimo anche da solo.»
Mi guarda, stende le labbra in un sorriso. E sento esplodermi qualcosa nel petto, tornano a bruciarmi le guance ed io chino istintivamente la testa.
«Louis.»
Sollevo lo sguardo, confuso. «Cosa?»
«Louis Tomlinson, è il mio nome.»
«Oh, Harry Styles il mio» rispondo ancora più confuso.
«Ora non sei un completo estraneo» puntualizza con un sorriso sghembo sul volto, il castano.
«E questo dovrebbe giustificarti?»
«Decisamente»
Sorrido, e quando il mio sguardo viene catturato dai suoi occhi contenenti l’oceano, perdo un battito.
«Perché non torni dentro?» gli dico, seppur non sia certo di volere che vada.
«Ti sto proprio antipatico?»
«No, anzi. Ma non capisco perché tu debba restare qui con me.»
«Diciamo che dentro non c’è nessuno che mi aspetta.»
Detto ciò allunga la mano per afferrare l’iPod, portandomelo via senza chiedermi il permesso o darmi il tempo di reagire.
«Ho la vaga sensazione che ti piaccia Adele» farfuglia ironicamente mentre scorre l’elenco delle canzoni.
Annuisco.
«La tua canzone preferita?» domanda puntandomi lo sguardo contro, ed esitando con il pollice sul touch.
«Make you feel my Love.»
«Anche la mia» sorride. Pigiando poi il polpastrello sullo schermo la canzone s’avvia.
Mi porge una delle due cuffie, mentre porta nell’orecchio la gemella. Faccio lo stesso.
Poi fa qualcosa che, decisamente, non mi aspettavo. Canta.
«When the rain is blowing in your face, and the whole world is on your case, I could offer you a warm embrace to make you feel my love.»
E la sua voce è così pulita, candida, pura. Mi soffermo ad ascoltare ogni vibrazione delle sue corde vocali, quasi stregato.
«When the evening shadows and the stars appear, and there is no one there to dry your tears, I could hold you for a million years to make you feel my love» senza esitare lascio che la mia voce, bassa e profonda, fuoriesca naturale, in contrasto con la voce di Louis. Eppure, assieme, danno vita ad una melodia perfetta. La prima volta che canto con qualcuno, e la prima volta che canto con un trasporto emotivo così intenso. E non ne capisco neanche bene il motivo.
Finiamo la canzone, tornando immobili.
«Sei molto bravo» dice lui.
Vorrei complimentarmi a mia volta ma nel momento in cui sto per dare fiato ai miei pensieri, un fischio richiama le nostre attenzioni, poi un botto. Alzando gli occhi al cielo possiamo vedere una cascata di colori vivaci: fuochi d’artificio. Il che significa solo una cosa: è ufficialmente iniziato l’anno nuovo.
Mentre il mento è sollevato, le iridi puntate al cielo per osservare tale spettacolo, la mano calda di Louis si posa sulla mia guancia; il tempo di calare lo sguardo che mi ritrovo il suo volto a pochi millimetri dal mio, e poi le sue labbra sulle mie.
Preme con forza, così come il cuore pompa il sangue. Non mi capacito di quel che è successo, di quel che sta succedendo. Sento una sensazione tutta nuova risalire dallo stomaco fino al petto, un formicolio lungo la schiena.
Decido di lasciarmi andare, di spegnere il cervello per qualche istante. Devo ricordarmi che sto vivendo questo istante, e non mi interessa pensare al momento, voglio semplicemente viverlo.
Schiudo appena le labbra, e Louis intrufola la sua lingua nella mia bocca, gioca col mio labbro inferiore e mi accarezza delicatamente la guancia. Lascio che sia lui a guidarmi in ogni mossa, in ogni passo. Mi ritrovo steso sulla panchina, con il castano su di me. Il suo corpo è fra le mie gambe, la sua mancina nei miei ricci e con la destra si sorregge per non schiacciarmi sotto il suo peso.
Tengo gli occhi socchiusi, non mi pongo domande, ed assaporo con naturalezza le sue labbra.
Louis scende a baciarmi sul collo, per poi mordermi e succhiarmi la pelle e lenirla con la lingua subito dopo. Ride contro la mia cute.
E proprio quando inizio a ricambiare il bacio con foga passionale, guidato dalla curiosità della mia prima volta e trovo la bocca invitante di Louis ad accogliermi, uno squillo ci interrompe. Il secondo fa allontanare il corpo caldo di Louis dal mio.
«Dannazione» impreca il castano.
«Cosa c’è?»
«Nulla di preoccupante, devo andare.»
E così come è arrivato dal nulla, se ne va. Lasciandomi solo.
 
Cammino sul marciapiede del mio quartiere, al fianco di Gemma.
«Fortuna che non volevi venire ieri e che non ti saresti divertito- mi canzona – sono curiosa, chi è il ragazzo che ti ha fatto ciò?».
Invadente mi abbassa per bene il colletto della giacca, osservando il segno lasciato da Louis.
«Deve esser proprio bravo, eh» conferma con un vigoroso cenno del capo.
«Zitta va, e fatti gli affari tuoi!»
«Non ti succede mai nulla di eclatante, ora che hai qualcosa da raccontare… dimmela, no?!»
«Non c’è nulla da raccontare!» sbuffo. «Ho conosciuto un ragazzo e mi ha baciato, tutto qui.»
«Hai intenzione di rivederlo?»
«E come faccio, se volessi? Non saprei come rintracciarlo»
«Sveglia! Siamo nell’era della tecnologia se non te ne fossi accorto, dimmi il nome , svelto!»
«Louis Tomlinson, ma che vuoi farci?»
«Esiste una cosa chiamata Facebook, scemo.»
«Oh, scusami genio.»
Tempo di una manciata di minuti che, sventolandomi il suo smartphone in faccia, esulta: «E’ lui? E’ l’unico che vive qui in zona.»
Senza rendermene conto sorrido.
«Dal tuo sorriso pare proprio di sì. Vediamo, qui dice che lavora presso un bar nei dintorni.»
«Ed ora?» dico accigliando lo sguardo.
«Ed ora?! Ed ora passate le feste andrai da lui e lo inviterai ad un uscire!»
Invitarlo ad uscire? Per un bacio di rito come augurio per il nuovo anno? E poi non lo conosco minimamente, e… non è il genere di cose che faccio solitamente. Abbasso il cappellino di lana, che va a nascondere quasi tutti i miei ricci ribelli ora, e continuo la passeggiata con mia sorella.
 
Chiudo l’acqua della doccia, mi avvolgo un asciugamano in vita e mi posiziono davanti lo specchio, ora opaco per via del vapore acqueo.
Grondo acqua che si riversa sul tappetino da doccia. I miei capelli appesantiti, perché bagnati, mi ricadono sulla fronte, vengono coperti da un panno ed inizio ad asciugarli.
Mentre asciugo il mio corpo lo specchio torna a riflettere la mia immagine, sorrido spontaneamente quando vedo la macchia violacea sul mio collo, seppur ora stia svanendo. Mi ricorda lui, le sue labbra calde che assaporavano le mie, le sue mani nei miei capelli, i suoi occhi penetranti conficcati nei miei, a stregarmi,  mi ricorda Louis.
E sono consapevole che tutto ciò è assurdo, che fra di noi c’è stato un solo bacio. Eppure è stato il mio primo bacio, e non faccio che pensarci da giorni ormai. Accarezzo delicatamente il mio collo e sorrido, di nuovo.
 
«E dai, cammina!» urla mia sorella, per poi spingermi.
«Ma non me la sento!»
«Harry Styles-  mi richiama autoritaria, posandomi le mani sulle spalle e fissandomi dritto negli occhi –E’ da Capodanno che non fai che sorridere, hai sempre la testa fra le nuvole e… vuoi che questa sensazione se ne vada? Perché se ne andrà se non fai subito qualcosa, tipo un secondo bacio!»
«Ma…»
«Senza “se” e senza “ma”!» mi scuote con forza.
La mia testa continua a dirmi che è una grandissima cavolata, che a stento si ricorderà di me, che per lui è stato semplicemente un bacio. Uno dei tanti.
Gemma torna a spingermi, e questa volta mi porta fin dentro il locale dove, supponiamo, lavori Louis.
Appena veniamo accolti dal calore del bar, le mie iridi verdi saettano in ogni dove alla ricerca di quelle azzurre di Louis. Non c’è.
«Non c’è» afflitto mi ripeto, questa volta trasformando il pensiero in parole.
«Uhm, mi spiace. Probabilmente non è di turno questa mattina. Facciamo colazione, ormai ci siamo» mi trascina verso il bancone, e mentre io sono assorto nei miei pensieri lei ordina la colazione per entrambi.
Ci sediamo ad un tavolino, all’angolo della stanza.
«Che sfiga» soffia lei. «Torneremo a far colazione qui anche domani mattina, e la mattina seguente. Prima o poi avrà un turno la mattina, no?».
«Ti faccio così pena che vuoi trovarmi, a tutti i costi, un ragazzo? Non lo conosci neanche, magari è un serial killer e tu mi stai gettando fra le sue braccia.»
Mi guarda, con i suoi occhi umidi, si scosta la lunga chioma portandola dietro il lobo dell’orecchio.
«Non mi fai pena, Harry. Trovo che tu sia un ragazzo speciale, il miglior fratello che potessi mai desiderare. E, se ti spingo a compiere passi verso questo Louis, non è perché è il primo che passa, ed uno vale l’altro. Ma è perché è il primo che ti fa sorridere, e se ti fa stare così bene vale la pena forzare il destino.»
Mi ha lasciato basito, di stucco. Vorrei riordinare le idee per formulare una frase di senso compiuto, ma me lo impedisce la stessa voce di mia sorella.
«Oddio, eccolo!» mi fa un cenno col capo.
Da una porta al di là del bancone sbuca il castano, il mio cuore impazzisce e temo possa uscir fuori dal petto. Boccheggio, e poi deglutisco. Ho una faccia da pesce lesso.
Anche Louis mi nota, è sorpreso di vedermi qui ma sorride, quelle labbra fine a contornare la dentatura perlacea. Un sorriso magico, ed è ancora più magico il fatto che sia rivolto a me.
Si avvicina con un vassoio in mano, ci serve lui. Mi rifugio nello sguardo di mia sorella, che se la ride sotto i baffi. Sento che sono diventato rosso in volto, spero solo che non lo noti Louis.
«Buongiorno, ecco a voi» la voce cristallina di Louis mi fa arrossire ancora di più, provo ad alzare lo sguardo sul suo volto mentre posa il vassoio sul nostro tavolo ma non ce la faccio, chino il capo subito dopo.
«Credo ti sia sbagliato, non abbiamo ordinato il cornetto. Solo il cappuccino» gli faccio notare.
«Lo so», risponde lui. Seppur non porti via i due cornetti, «Offre la casa».
Poi si allontana per servire altri tavoli.
«Che carino!» urla stridula mia sorella. «Ci ha offerto anche i cornetti, secondo me gli piaci.»
«Per un solo bacio?! E poi non mi ha cercato, dubito di piacergli.»
«Per te è stato solo un bacio? No. Ma ti sei auto convinto che lo sia stato per lui, e poi- si umetta le labbra con un passaggio della lingua, mentre gonfia il busto –magari non ha una sorella intelligente come me, non sapeva come rintracciarti!»
Per i seguenti minuti io e Louis continuiamo a lanciarci occhiatine di sfuggita, credo voglia parlarmi ma è troppo impegnato.
Porto il cornetto alla bocca, mordendolo.
«E questo?» mia sorella, meravigliata, prende fra le dita un foglietto che si trovava sotto il cornetto. «Credo sia per te», trattenendo delle risa.
Osservo il biglietto, quasi tremo. Mi ha dato il suo numero di telefono.
Un flash mi riporta alla realtà, Gemma con il suo cellulare mi ha scattato una foto.
«Oddio, guarda che faccia da pesce lesso! Hai gli occhi spalancati e la mascella che quasi ti tocca terra!»
Fra una risata e l’altra finiamo la nostra colazione, ripongo con estrema cura il foglietto nella tasca dei miei jeans e usciamo dal bar.
 
Ci siamo sentiti per tutta la settimana tramite sms, non ho avuto il coraggio di chiamarlo. Non avevo neanche il coraggio di inviargli il primo messaggio, devo ringraziare Gemma anche per questo.
Oggi, però, ci incontriamo. L’ho invitato a casa mia, preferisco di gran lunga la mia casa ad un’uscita chissà dove. E poi oggi non c’è nessuno in casa.
Gli ho dato il mio indirizzo, e l’appuntamento era alle 4PM.
Sono passati 20 minuti, ha 20 minuti di ritardo.
Ma non mi faccio prendere dal panico né dalle paranoie, mi ha scritto un messaggio dicendo che avrebbe fatto un po’ tardi.
Il campanello suona, balzo giù dal letto e corro fuori dalla mia stanza. Passando per il corridoio mi fermo dinanzi allo specchio. Ho messo la mia t-shirt preferita, scollata a “v” e bianca; dei jeans aderenti. Sistemo, rapidamente, i ricci sulla fronte, poi torno a muovermi verso il piano inferiore.
Traggo un profondo respiro nei pressi della porta, e l’apro.
Resto immobile dinanzi alla sua visione, dinanzi al suo sorriso. Ancora una volta dedicato a me.
«Ciao!» esclama con entusiasmo.
«C-ciao» rispondo.
«Tieni, questo è per te.»
Mi porge una busta, contiene un cornetto. Sorrido.
«Grazie, entra pure» dico cordialmente, spostandomi dall’ingresso per permettergli di entrare.
«Questo lo mangio dopo, comunque non dovevi.»
Passiamo per la cucina e metto il cornetto nel freezer, poi andiamo a sederci sul divano della sala.
«Ti va una gara a Mario Kart?» propongo.
Lui annuisce, e così iniziamo a giocare.
La prima gara la vince lui, ed esulta «Fate spazio che passa Louis Tomlinson, pivelli!»
Seguono altre gare, seppur vinca quasi sempre lui. Ridiamo, scherziamo ed impariamo a conoscerci un po’ meglio. E’ molto simpatico, ora che glielo lascio fare, ha la battuta sempre pronta, e sorride. Continua a sorridere, quel suo perfetto sorriso sempre stampato sul volto angelico.
All’ennesima sconfitta, sbuffo.
«Che c’è, ora ti offendi? Se vuoi ti lascio vincere» mi prende in giro lui.
Poso il telecomando della wii sul divano, e mi faccio serio.
«Posso farti una domanda?»
«Vai con la seconda, la prima l’hai già fatta» ride, ancora.
«Perché mi hai baciato quella sera?»
«Perché mi andava di farlo, per cos’altro altrimenti?» risponde schiettamente.
«Ma… non hai pensato che io potessi non volerlo? Magari non ero quel tipo di ragazzo, magari mi sarei arrabbiato e, chissà che altro».
«E cosa avrei dovuto fare? Rimuginarci su tutta la sera, perdere l’occasione e pentirmene il giorno seguente? Il peggio che poteva succedere era un fallimento, ma non provare è anche peggio. Non trovi?»
«Non so…»
«Ti poni troppi freni, fa’ quel che ti senti di fare! Le conseguenze saranno quel che saranno».
Ed è quel che faccio, spengo il cervello. Faccio quello che mi sento di fare. Mi lancio su Louis, ricercando le sue labbra con avarizia. Lui mi accoglie, stringendomi le braccia intorno al busto e tirandomi a sé. Esploro la sua bocca con la mia lingua mentre ci stendiamo sul divano, le nostre gambe si incrociano.
«Il tuo cuore sta impazzendo» mormora il castano nella mia bocca.
Punto i gomiti ai lati della sua testa, sollevandomi avvicino il mio collo alla sua bocca.
«Fammene un altro» quasi glielo ordino.
«Perché?»
«Per i giorni seguenti a quella sera, guardavo il tuo segno e sorridevo. Mi sembrava di averti ancora accanto, so che è idiota ma… Fammene un altro.»
Lui non esita, si fionda sul mio collo: morde e succhia la mia pelle, e quando soffia sulla zona arrossata io gemo.
Torniamo a baciarci con passione, entrambi affamati dell’altro, mentre ci accarezziamo a vicenda lasciandoci trasportare da quell’alchimia che si è creata fra di noi, le nostre mani setacciano frementi il corpo dell’altro.
Stringo fra le mie mani il bordo della sua felpa grigia, e la tiro in alto fino a sfilargliela, lo osservo per qualche istante con il busto nudo, poi inizio a baciargli ogni zona del suo corpo, disegnando una ragnatela di baci partendo dal suo ventre, risalendo sul suo petto, passando per il collo e concludendo sulla sua bocca.
Mi afferra per i fianchi, e nonostante sia più gracile di me, capovolge le nostre posizioni, ed ora mi sovrasta. Mi toglie la t-shirt, frettoloso, e torna a baciarmi mentre con le mani abbassa la cerniera dei miei jeans, calandomeli.
Ed è quando, fra un bacio e l’altro, sta per abbassare anche i boxer che vado ad afferrargli entrambe le mani per i polsi, fermandolo.
Ci guardiamo per diverso tempo negli occhi, senza che nessuno dei due dica nulla, un periodo indefinito in cui il tempo pare cessare di esistere. Non occorrono le parole per spiegarmi, per esternare i miei timori, le mie preoccupazioni.
Il suo petto si bacia con il mio, le sue labbra mi solleticano l’orecchio mentre sussurra «Non preoccuparti». E mi fido, non mi preoccupo, liberando le sue mani dalla mia stretta.
Delicatamente mi toglie anche l’intimo, ed impiega diversi secondi per restare nudo anche lui. La situazione è non poco imbarazzante, le guance mi si incendiano e volto il capo verso lo schienale del divano.
«Arrossisci così spesso- cattura, fra il pollice e l’indice, il mio mento e mi costringe a guardarlo negli occhi –e trovo che ti renda ancora più bello».
Schiocca un bacio sulle mie labbra, mentre il suo corpo quasi si fonde con il mio. Nella frenesia dei nostri movimenti, nella continua ricerca delle nostre labbra entrambi ci eccitiamo, sempre più.
Le sue mani scendono lungo il corpo accarezzandomi, finendo sui miei fianchi per poi divaricare le mie gambe, e fra di esse si posiziona lui.
Inchioda il suo sguardo nel mio, mentre inizia a spingere per entrare, cerco di rilassarmi mentre lo sento unirsi a me. E sì, sentirsi spaccare a metà, fa male. Strizzo gli occhi, e spalanco la bocca uccidendo in gola le mie urla, non mi lamento, non voglio porre fine proprio a nulla di tutto ciò. Circondo il suo corpo con le mie braccia, avvicinandolo ancora di più a me. Per sentirlo più vicino, per stringerlo così forte, e concentrarmi sulla stretta, da non sentire il dolore.
Arriccio le dita dei piedi, mentre con le gambe circondo i fianchi di Louis.
«Fa male?» sussurra premuroso.
«N-no» rispondo, scuotendo appena la testa senza distogliere lo sguardo dai suoi grandi occhi azzurri.
Lui sorride, ed io mi perdo nel suo sorriso. Molto lentamente inizia a muoversi, il dolore è acuto ma s’attenua presto.  S’attenua quando vedo il suo sorriso, perché mi sorride anche ora.
E la voglia di baciarlo si fa da parte, su di essa vince la voglia di vedere le sue labbra schiuse in un sorriso flebile, leggero.
Alcuni minuti sospesi nel tempo, in cui il suo tocco è leggero, in cui mi accarezza e mi lascia dei baci sulla guancia.
Finché il suo ritmo aumenta, le sue mani stringono i miei ricci, la sua bocca divora le mie labbra, ed il suo corpo, che si strofina contro il mio, mi fa giungere al culmine del piacere.
Mentre la mia essenza si riversa sul mio ventre, il suo fiato ad accarezzarmi il volto si fa corto, e poco dopo l’essenza di Louis esplode nel mio corpo.
Ricade dolcemente su di me, accarezzandomi il petto e farfugliandomi chissà cosa nell’orecchio, con il fiato ancora spezzato così come il mio.
In mente si palesano alcune domande, mi chiedo cosa accadrà adesso fra noi due, cerco di spiegarmi cosa è appena successo, ma poi mi volto verso il castano, le sue parole fanno eco nella mia mente. Devo vivere semplicemente il momento, ogni domanda che mi pongo mi sottrae del tempo che non tornerà più in indietro, e per occasioni come questa le domande non servono. Avvicino il suo volto al mio, e lo bacio nuovamente.
«Come ti senti?» mi domanda, con occhi socchiusi.
Felice.
Eccitato.
Confuso.
Estasiato.
In pace.
Libero.
«Bene.»
 
Scendo di fretta le scale, a piedi scalzi, con solo l’intimo addosso. Giunto in cucina c’è mia sorella che fa colazione, ancora in pigiama.
«Buongiorno!» le stampo un bacio sulla guancia.
Lei mi guarda inarcando un sopracciglio.
«Tutto questo buon umore da dove viene?»
Io scrollo le spalle.
«Ah, ah! Guarda che bel disegnino sul tuo collo, ora si spiega tutto!»
«Dici?- rido – l’ho sempre detto che sei una genia, oh!»
Poi mi dirigo verso il freezer, con l’intenzione di prendere il cornetto di Louis per far colazione.
«Ma che hai fatto?» dice Gemma con un tono quasi preoccupato.
«Nulla, perché?»
«Cammini in un modo strano, ti sei fatto male?»
A tali parole distolgo lo sguardo da lei, dirigendolo verso l’interno del frigorifero. Sicuramente rosso in volto. E poi sorrido, sorrido perché Louis ha detto che mi trova adorabile quando arrossisco.
«Oh mio Dio! Non ci posso credere!»
Mi viene incontro, occhi spalancati e mi dà un pacca sul sedere mentre ride, sotto i baffi.
«Harold Edward Styles, hai cambiato segno zodiacale ieri pomeriggio e non me l’hai detto?!»
Dannatamente perspicace mia sorella, stringo nella mano la busta contenente il cornetto e, chiudendo il frigorifero, mi siedo a tavola.
«Preferirei non parlarne.»
«Sei uno stronzo! Io te l’ho quando ho perso la verginità!»
«Ed infatti la cosa mi ha turbato, e non poco!»
«Sì, scusami. Sono stata troppo indelicata – si raccoglie la lunga chioma in una coda di cavallo, poi riprende a parlare – vuoi che ti porto un cuscino? Non vorrei che la tua situazione lì dietro peggiorasse.»
Arrossisco ancora di più, estremamente a disagio. «La pianti?», una vera e propria supplica.
Tiro fuori il cornetto, e lo mordo voracemente.
C’è un biglietto nella busta, lo leggo con attenzione.
«Se hai voglia di cornetti la mattina vieni a trovarmi, mi trovi sempre al bar», leggo ad alta voce.
«Sembra che muoia dalla voglia di vederti, e pare che voglia vederti tutti i giorni.»
Non dico altro, rileggo il messaggio più e più volte, accarezzandomi il collo.
«E verrò tutte la mattine con te, hanno dei buoni cornetti.»


 
Sono tre mesi che ogni mattina io e Gemma facciamo colazione nel bar in cui lavora Louis, nonostante io e Louis passiamo assieme quasi tutti i pomeriggi e le sere. Mesi in cui abbiamo imparato molte cose sull’altro, in cui la nostra attrazione fisica si è trasformata in un forte sentimento d’affetto.
Gemma dice che da quando frequento Louis sono molto più espansivo, mi lascio andare più spesso e non ho più quell’aria da sfigato. Non so se prenderlo come un complimento o come un insulto a quel che ero, ma non bado molto a ciò.
Tira fuori la parte migliore di me. C’è sempre stata, solo che nessuno ha mai avuto la capacità di farla uscire, neanche io. E ci è riuscito lui, ogni suo sorriso andava a sfaldare quel muro di insicurezza intorno a me, perché quei sorrisi –magnifici – erano rivolti a me. E se merito qualcosa di così splendido, non posso essere pessimo come ho sempre immaginato.
Gemma e Louis vanno anche molto d’accordo, si divertono a farmi arrossire ed a mettermi in imbarazzo. Siamo usciti parecchie volte tutti e tre assieme, mi piace come stanno andando le cose.
Mia sorella fa sciogliere lo zucchero del suo cappuccino girando il liquido con il cucchiaino, mentre Louis arriva per posare sul nostro solito tavolo i due cornetti gratis. Ci scambiano una rapida occhiata, nei luoghi pubblici possiamo sembrare al massimo due amici. Ma i nostri sguardi, se solo la gente lo notasse, parlano al nostro posto, trasudano la voglia che abbiamo l’uno dell’altro.
Mordo la punta del cornetto, ingollando.
C’è un bigliettino sul piattino di porcellana.
“Credo sia più facile scriverlo che dirtelo, ma devi sapere una cosa: ti amo”.
Sbatto le palpebre rapidamente, incredulo a quel che ho appena letto.  Il cuore mi sale in gola, il fiato mi viene mozzato e un brivido percorre il mio corpo dalla testa ai piedi.
Mi alzo in piedi, quasi sento il pavimento muoversi.
«Louis!» grido. Compio ampie falcate per raggiungerlo, nel mentre urlo «Ti amo!»
L’attimo seguente le mie braccia sono intorno al suo collo, e, ancor prima che potesse schiudere le labbra per proferir parola, la mia lingua finisce nella sua bocca, passando sulle sue labbra carnose.
Solo quando le nostre bocche si separano mi rendo conto di cosa ho fatto, sulla mia pelle bruciano gli occhi di tutti i presenti, chino il capo divenendo paonazzo in volto.
«Così, però, mi diventi irresistibile» mormora Louis, prima di sollevarmi il capo e baciarmi nuovamente, un bacio morbido e leggero.
Ho sempre pensato che gli avrei detto quelle due paroline in un momento perfetto, idilliaco, quando avrei progettato una serata perfetta, dopo aver fatto l’amore nel mio letto. Invece è successo senza neanche volerlo, gliel’ho gridato davanti a tutti. E questo credo valga molto di più di un “ti amo” sussurrato sotto le coperte. L’ho gridato al mondo. Io che, fino a poco tempo fa, al mondo non sussurravo niente.
 
Mi accarezza delicatamente il ventre, i suoi polpastrelli sfiorano la mia pelle con dolcezza, mentre il suo respiro si infrange sulla mia nuca. Stesi sul letto, stanchi dopo aver fatto l'amore.
Sono passati quattro mesi da quando gli ho gridato di amarlo, quattro mesi in cui abbiamo iniziato a costruire la nostra storia, quattro mesi in cui piccole cose sono entrate a far parte della nostra vita, e che, per quanto possano essere effimere, danno un senso di stabilità al nostro rapporto. Come la colazione al bar ogni mattina, la corsa mattutina nei week end al parco, il karaoke ogni mercoledì sera. Così come siamo certi che arriverà il mercoledì, siamo certi che arriverà la nostra serata al karaoke.
Guido la sua mano sul mio petto, la stringo, e ne bacio il dorso con premurosità. Si avvicina ancora un po’ a me, intrecciando le sue gambe con le mie e, in seguito, accarezzandomi con esse.
E non so il perché, ma dopo tutto questo tempo son tornato a pensare.
«Grazie» dico.
«Guarda che è piaciuto anche a me, come ogni volta del resto.»
«No, scemo. Non dicevo per quello- rido appena contro la sua mano –Grazie, per avermi reso una persona migliore, e ti dico grazie per ogni volta che mi sorridi; perché quando lo fai, io mi sento amato.»
Sento il suo cuore che pompa più forte, più veloce, contro la mia schiena ma lui non dice nulla per svariati secondi.
«No, Harry, grazie a te. Prima di conoscerti non mi sono mai fermato a pensare alle conseguenze, al futuro… ho sempre agito di impulso e non mi sono mai chiesto cosa mi avrebbe riservato il domani. Ma da quando ti conosco, ho pensato… ho pensato al nostro futuro assieme, così tante volte che nemmeno immagini; mi son fermato a pensare a cosa provavo per te, capendo di amarti; ora penso a tutto ciò che posso fare per farti stare meglio, ed a tutto ciò che non posso fare per evitarti sofferenze. Ma, soprattutto, penso che io e te siamo fatti per stare assieme, e voglio vivere con te il resto della mia vita. E non mi importa di avere un lavoro, di finire gli studi… voglio viaggiare, fare esperienze e condividerle con te. Partiamo, conquistiamo il mondo! – sospira –verresti con me?»
«Sì – schietto come non mai, siamo entrambi così differenti da quando ci siamo conosciuti. Non ho preso neanche in considerazione tutto ciò che lascerei, per quanto possa esser folle ne sono convinto – ovunque tu andrai, sarò con te.»
L’attimo successivo le sue labbra divorano le mie, con foga e passione. Un turbinio di emozioni nel petto, e di pensieri nella testa; il tutto ad accelerare il mio battito cardiaco, il nostro. E facciamo l’amore, un’altra volta. Questa volta più forte di prima, più amorevolmente di prima, più convinti di noi stessi.
Perché lo abbiamo deciso, lo abbiamo detto: passeremo la nostra vita assieme, ce lo siamo promesso.
 
«Ma quindi hai già deciso tutto?» la voce preoccupata di Gemma mi giunge da dietro le spalle.
«Sì, Gemma, ho deciso. Parto» nel mentre continuo a gettare alla rinfusa i miei vestiti in un borsone nero.
«Sarà un bel casino con mamma, non te lo lascerà fare.»
«Per questo non le dirò nulla, saprà a cose fatte.»
«Harry Styles, da ragazzo modello a badboy» mi apostrofa lei, divertita.
«Sono un uomo ormai, so badare a me stesso. E tornerò presto, è solo un viaggio.»
Mi carico il borsone in spalla, Louis deve passarmi a prendere fra qualche minuto, approfittando dell’assenza di mia madre in casa. Mi sento così vivo, elettrizzato.
«L’intimo.»
«Cosa?»
«Uomo che sa badare a sé stesso, non hai messo neanche un paio di mutande in borsa –tende le labbra in un sorriso divertito, risaltando i denti bianchissimi –capisco che sarà più il tempo che vi ritroverete senza intimo che con esso, ma per girare nei luoghi pubblici potrebbe servirti.»
Arrossisco, un po’ per l’allusione sessuale di mia sorella ed un po’ per aver appena dimostrato il contrario di quanto appena detto da me stesso, forse ho ancora bisogno della balia. Getto la borsa sul letto, pesco diversi boxer dal primo cassetto del comodino e li frullo in borsa.
«Pronto» mormoro ricaricandola in spalla.
Scendiamo le scale, giungiamo in cortile in religioso silenzio.
«A che ora dovrebbe arrivare Louis?»
«Fra dieci minuti, perché?»
Le sue braccia mi circondano il collo, ed il suo volto affonda nel mio collo, poggiandosi sulla mia spalla. Ricambio l’abbraccio cingendola a mia volta, forte.
«Per sapere quanto tempo posso abbracciare il mio amato fratello.»
E restiamo davvero lì, immobili ed abbracciati, per dieci minuti. Poi quindici minuti, arrivando ai venti. Eppure di Louis nessuna traccia.
Controllo il cellulare, non ci sono sms né chiamate perse.
Il tempo continua a scorrere, Louis non risponde alle mie chiamate, ogni secondo diventa un macigno sul mio petto, ogni istante che passa diventa un viscido dubbio nella mia testa. La mia mente viene assalita da così tanti pensieri maligni che non riesco a sopportarli.
Mi ha abbandonato?
Il cielo si imbrunisce, ed io resto fermo sul ciglio della strada ad attendere il suo arrivo, scorre ancora del tempo prima che mia sorella mi convinca a tornare in casa.
«Forse ci ha ripensato? Me lo poteva dire, capisco che un viaggio simile sia una cosa impegnativa…»
Mia sorella resta in silenzio, sa benissimo che non può dir nulla per sollevarmi di morale, sa benissimo che ho solo bisogno di sfogarmi.
Cosa hanno significato questi mesi per Louis se mi ha lasciato per ore ad attenderlo senza farmi sapere nulla? Evidentemente molto poco.
«E’ uno stronzo, se doveva lasciarmi poteva trovare un modo migliore per dirmelo, avrei preferito un sms! E non scomparire da un momento all’altro. Perché dirmi che voleva vivere il resto della sua vita con me? Perché prendermi in giro? Che idiota che sono stato, chissà a quanti prima di me avrà raccontato quelle storielle solo per scoparseli!»
Ricado sul letto, con la testa sulla gambe di mia sorella, mentre mi culla con dolci carezze, mormorando una dolce nenia come una madre premurosa fa col proprio bambino; mentre dai miei occhi sgorgano lacrime, come la rugiada scivola via dai fili d’erba. Come i sogni vengono divorati dagli incubi.

Il mio passo è deciso e sicuro. Per quanto possa avermi preso in giro ormai sono cambiato, Harry Styles è cambiato; non è più il ragazzino insicuro e debole, è un uomo ormai. Ed un uomo affronta i problemi di petto. Voglio sapere perché Louis mi ha mollato così, da un giorno all’altro.
Con impeto spalanco la porta del bar in cui lavora, lo ricerco con lo sguardo senza trovarlo. Il pavimento quasi trema sotto il mio passo prepotente, mi avvicino a Lienne, l’altra barista.
«Ciao» richiamo la sua attenzione.
E’ un po’ sorpresa nel vedermi, ma non ci faccio caso.
«Dov’è Louis?»
Solleva le sopracciglia ed aggrotta la fronte la biondina.
«Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?!»
Lei scuote la testa, ed assume un’espressione preoccupata.
«Non hai saputo nulla?»
«Ma di cosa?!» sbraito, sto per perdere la pazienza.
La bionda deglutisce, e solo dopo essersi schiarita la voce schiude le labbra per parlare.
«Louis ha avuto un incidente ieri, dicono che sia grave. Davvero non sapevi nulla?»
Non rispondo neanche.
Tutta quella rabbia che provavo nei confronti di Louis scompare, anzi tramuta, divenendo sensi di colpa: ho dubitato di lui. Anziché preoccuparmi per lui, il vero Harry Styles, quello debole e pieno di insicurezze, è emerso e mi ha portato a commettere un errore. Ho dubitato di lui, quando sono stato il primo a porre perplessità sul nostro rapporto. Sono stato sciocco, troppo.
 
Sento fottutamente freddo, le spalle contro il muro vuoto ed i piedi puntanti a terra. L’orario delle visite sta per iniziare, il cuore mi sale in gola. A stringermi la mano, saldamente, c’è Gemma. Mi tiene ancorato alla ragione, con la sua presa mi impedisce di cadere nel baratro della follia.
Le porte vengono aperte, scatto in avanti ed inizio a percorrere, confuso, il corridoio. Un anello di pensieri mi si stringe intorno alla testa, rendendomi spaesato. Controllo ogni stanza, ma di Louis non c’è traccia.
Impiego un’eternità per trovarlo, e vederlo costretto su di un letto mi fa quasi cedere le gambe, tant’è che mi devo sorreggere allo stipite della porta per non ritrovarmi steso al suolo. E’ solo, non c’è nessun familiare intorno al suo letto, nessuno che si preoccupi per lui, riflettendoci non ho mai incontrato nessuno dei suoi familiari né me ne ha mai parlato, forse, ha solo me?
«Va’, ti aspetto fuori»sussurra mia sorella, dandomi una leggera pacca sulla spalla.
Raggiungo, con non poche difficoltà, il letto. Mi siedo su uno sgabello, e mi limito a fissare il suo volto delicato contratto in un’espressione poco serena.
Sta riposando; presenta diversi tagli sul volto, sul collo e su quel che riesco a vedere del petto. Non oso fiatare.
Non posso far nulla per aiutarlo, mi sento impotente ed inutile.
Come a voler combattere tale sensazione gli rimbocco le coperte, coprendolo fin sopra le spalle. Come a proteggerlo, come se potesse davvero valer qualcosa.
Eppure tale leggero movimento lo ha risvegliato, i suoi occhi azzurri si scontrano con i miei, ed io non reggo, crollo e piango. Le mie lacrime si riversano sulle candide lenzuola del letto; dolce la mano di Louis si intrufola nei miei ricci, consolandomi.
«Hey ricciolino, perché piangi, non vedi che sto bene?», la sua voce è spezzata, stanca.
Sono così debole che devo farmi consolare dal mio ragazzo, dal mio ragazzo ricoverato. Dovrei esser io a mostrarmi forte per lui, non il contrario.
«Mi sento in colpa, ho pensato che tu mi avessi mollato», asciugo le lacrime che scivolano lungo le mie guance.
«Mi spiace, immagino non sia stato piacevole aspettarmi invano. Dovremmo posticipare le nostre vacanze» e nonostante tutto, lui sorride.
Son quasi sicuro che lui sorrida per me, perché nel momento in cui vedo il suo sorriso tutto torna a posto, io mi calmo acquisendo sicurezza, tutte le mie paranoie si ridimensionano, come se ogni cosa trovasse il suo giusto spazio nell’universo. Sento che le cose non possono andare storte.
Poso le mie labbra sulle sue, premo con forza perché il solo pensiero di non poterle più assaporare mi ha distrutto, ed ora voglio recuperare il tempo perso, bacio con passione finché lui non geme, infastidito.
«Se non te ne fossi accorto, sto messo un po’ maluccio» scherza lui.
«Sì, scusa» chino il capo mentre sento le mie guance infiammarsi.
«Finalmente, ne sentivo la mancanza. Ultimamente hai smesso di arrossire».
E con tali parole sulle mie gote divampa l’incendio, chino il capo guardando di soppiatto il sorriso malizioso di Louis «Mi ricorderò di farlo più spesso».


E’ una settimana che faccio visita a Louis all’ospedale, gli porto sempre il giornale quotidiano così da dilettarci con i cruciverba ed i sudoku.
Non sarà molto divertente, ma a nessuno dei due importa.
Aspetto impaziente, con il giornale quotidiano sotto il braccio, l’orario di apertura per le visite. Quando finalmente aprono le porte mi catapulto nella sua stanza, ma vengo fin da subito assalito da una sensazione di angoscia.
Il suo letto è vuoto.
Sfarfallo le ciglia, interdetto e confuso, mentre deglutisco. Non c’è Louis.
Torno in corridoio, confuso afferro per le spalle un’infermiera dal corpo minuto, scuotendola.
«Sa dirmi dov’è Louis Tomlinson, il ragazzo della stanza 113?»
I suoi occhi color nocciola paiono restringersi, le labbra screpolate s’aprono per dar fiato ai pensieri.
«Non glielo posso dire, mi spiace.»
Stringo le mie grandi mani sulle sue spalle minute «Cosa significa che non me lo può dire!? E’ il mio ragazzo, ho il diritto di saperlo!», solo quando la sua espressione diventa sofferente, mollo la presa.
«Ci è stato esplicitamente detto che Tomlinson non vuole ricevere visite, quindi la prego, esca dal reparto.»
E’ ancora qui, da qualche parte, solo che non vuole vedermi.
Mi prende per la spalla, indicandomi l’uscita.
Si fottesse, si fottessero tutti. Se il mio ragazzo non vuole vedermi, me lo deve dire lui in persona.
Con una leggera spinta mi faccio da parte, ed inizio a correre. Ogni fottuta porta di ogni diavolo di stanza viene spalancata, con irruenza, da me.
«Signore si fermi, o sarò costretta a chiamare la vigilanza!» urla l’infermiera.
Chiamasse chi vuole.
Volti stupiti e facce meravigliate mi accolgono in ogni stanza, ma in nessuna di esse vi è lo splendido sorriso di Louis ad attendermi.
Col capo chino, afflitto, e le spalle incurvate mi ritrovo a camminare nel corridoio, inizio a pensare che non lo troverò mai. Il reparto è troppo grande, e non ho la certezza che lui sia qui. Ma poi sento la voce di Adele, la voce che riconoscerei fra mille. Non può essere altri che lui, me lo sento.
Corro verso l’origine del suono, spalanco la porta e lo trovo dinanzi a me.
Sorpreso mi fissa, e prima ancora che possa dir qualcosa mi precede.
«Non dovresti esser qui, Harry.»
«Ah, no? E sentiamo, perché? Dove dovrei stare se non al fianco del mio ragazzo?»
Volta lo sguardo verso la parete.
«Rispondimi, Louis! Cazzo, rispondimi! Dov’è che dovrei stare?!» urlo, un urlo straziante.
Torna ad osservarmi, uno sguardo freddo e distaccato.
«Sono paralizzato dalla vita in giù; quindi puoi andare ovunque, ma senza di me.»
Mi fermo a pensare, cerco di metabolizzare in fretta l’informazione. E’ qualcosa di orrendo. Perché non me lo ha detto subito? Perché ora ha deciso di lasciarmi? Speravamo davvero di costruire un futuro assieme, di camminare fianco a fianco per il resto della nostra vita, ma a quanto pare lui non può più camminare.
«La mia strada finisce qui, ma tu hai ancora una lunga strada davanti a te» torna a parlare lui, con voce sottile ed appena percettibile.
«Non mi interessa un cazzo della strada, posso sedermi al tuo fianco e restare con te, come sognavamo» stringo forte i pugni, nel tentativo di trattenere le emozioni, di non farle sboccare, non ora.
«Nulla sarà mai come sognavamo, non più. E non voglio essere io il tuo peso, non voglio essere io il macigno che ti impedisce di andare avanti».
«Ti ho detto che non mi interessa di continuare a camminare senza di te, ed è una mia scelta restare al tuo fianco».
«Ascoltami bene- il suo tono di voce è aspro e perfido – sono io che non ti voglio al mio fianco, è stato bello ma fra noi è durata solo qualche mese, nulla di importante! Voglio stare solo, quindi vattene! Esci dalla mia vita su quelle tue fottute gambe e non tornare mai più!».
Ricerco nel suo volto la più piccola traccia del suo sorriso, ma non la trovo; quel sorriso che così tante volte mi ha dato la forza ha cessato di esistere e con esso la mia forza. Harry Styles senza Louis Tomlinson ha perso tutto, è tornato ad essere il perdente che era mesi prima a Capodanno, sotto il cielo stellato tutto solo, è tornato a non valere nulla.
Il nuovo Harry, sicuro e forte, si erigeva avendo come base Louis, ora come una torre senza fondamenta si sfalda, e quel che resta sono solo macerie.
E’ crollato.
Lacrime che scendono copiose dagli occhi finendo sulle labbra rosacee, il capo chino con i capelli disordinati sulla fronte e, come se non bastasse, il petto mosso da singhiozzi strazianti; alza appena lo sguardo, per incrociare ancora una volta quei due profondi occhi riempiti con l’acqua del mare, occhi che non trova.
«Ho detto: vattene!» grida, e quella voce mi trafigge il petto, attraversandomi completamente per lasciarmi distrutto sulla soglia della porta.
Non ci riesco, non ne sono in grado. Non sono mai stato un bravo guerriero, ed ho perso la mia battaglia. Senza dire altro, senza rivolgergli ancora uno sguardo, un ultimo sguardo, scappo.
Scappo con gli occhi pieni di lacrime, urtando le due guardie che stavano cercando proprio me, e corro. Lontano da loro due, lontano da quel reparto, lontano da quell’ospedale, lontano da Louis.
 
Tre mesi, tre lunghissimi mesi, tre lunghissimi mesi senza Louis.
Quando sei una persona vuota, ti va anche bene. Sei nella tua normalità, ci sei abituato. Non conosci altra sensazione al di fuori di quella sorta di apatia nei confronti dell’universo, il problema sorge quando hai avuto qualcosa che ti ha riempito. Quando hai avuto, ed hai perso. Ho avuto l’amore di Louis, mi sono sentito così pieno. Riempiva la mia vita, riempiva me stesso.
La ferita è ancora aperta, ma ci si abitua anche al dolore. Perché quando perdi qualcosa che ti è appartenuta, che era legata alle tue viscere, la ferita che le ha permesso di fuggire via da te non si rimargina, ti abitui solo al dolore.
Arriverà il momento in cui crederai di aver superato tale perdita, poi basta una parola, un gesto od un oggetto, che riaffiorano nella tua mente i ricordi vividi, le lacrime salate sul tuo volto e il dolore lancinante nel petto.
La mia vita è tornata ad essere quella di sempre, nonostante Gemma cerchi in tutti i modi di tirarmi su di morale. Esco dalla doccia, e mi posiziono davanti allo specchio. Il mio collo è candido, la mia pelle rosea è pura. Per tutti i mesi in cui siamo stati assieme ho sempre avuto il suo lascito sulla mia pelle, ora vedere la mia pelle senza la sua traccia mi ricorda quanto io abbia perso.
Non c’è l’accappatoio, e non c’è neanche un asciugamano. Esco dal bagno, ed arrivo nella mia stanza, a piccoli passi mi muovo  verso la porta d’uscita, una rapida occhiata al corridoio, ed accertandomi che sia vuoto, lo attraverso per raggiungere la camera di mia sorella, e arrivare quindi nel suo bagno. Fortuna che è uscita con un ragazzo stasera.
Apro l’anta del mobile per prendere un accappatoio, e sotto di esso vi è una piccola scatola. Increspo la fronte, indossando l’accappatoio muovo un passo per uscire dal bagno, però la curiosità è talmente tanta che, tornando sui miei passi, apro la scatola.
Due biglietti per Las Vegas, a nome mio e di Louis, e due fedi d’oro.
Non mi chiedo neanche perché questa scatola sia nel bagno di mia sorella, giungo ad una sola conclusione: Louis voleva sposarmi a Las Vegas.
La nostra storia non è stata solo una storiella come mi ha gridato all’ospedale, ci ha creduto veramente. Sciocco, sono stato sciocco. Lui desiderava che io proseguissi il mio cammino, e ferendomi mi ha allontanato da lui, impedendomi di sedermi al suo fianco.
Mordo il mio labbro inferiore con una forza tale da sanguinare, quel sapore aspro e ferroso si diffonde nella mia bocca, così come per tutto il mio corpo.
Mi ama, ama me più di sé stesso; ha messo al primo posto il mio futuro e non il suo.
Ed è con quei due biglietti in una mano, e con le fedi nell’altra, che Harry Styles torna ad essere forte. Senza Louis, per Louis.

Chiudo la mano a pugno intorno ad un sassolino che colgo da terra, alzo lo sguardo assottigliandolo, le mie iridi smeraldine fisse sull’obiettivo: una finestra. Per l’esattezza la finestra dell’appartamento di Louis.
Mi trovo nel suo cortile, con un nodo in gola che mi toglie il respiro.
Lancio il sasso che va a picchiettare il vetro della finestra, lascio scorrere alcuni istanti ma non succede nulla. Torno quindi a stringere fra le dita un secondo sasso, e lancio anch’esso contro la finestra.
Nulla.
Ne segue un terzo, un quarto ed un quinto. Sempre con più forza, rilasciando la mia frustrazione in gemiti e versi ad ogni lancio.
E nell’attimo in cui sto per lanciare il sesto sassolino la finestra si apre, e nonostante la differenza d’altezza riesco a scorgere la figura di Louis.
Vederlo sulla sedia a rotelle mi paralizza, una stretta al cuore che mi toglie il fiato e mi annebbia il cervello. E’ la sensazione più brutta che abbia mai vissuto sulla mia pelle, più brutta di quando sono scappato via dall’ospedale perdendolo. Ed ora capisco perché mi ha allontanato, sapeva che vedere la persona che ami soffrire e non poter far nulla per aiutarla è, semplicemente, straziante.
«Che ci fai qui?!» grida, inespressivo.
La sua inespressività, l’assenza di quel meraviglioso sorriso sul suo volto mi dà il colpo di grazia, un proiettile in pieno petto. Ma devo restare forte.
«Sono qui per te» e ci riesco, la mia voce si fa sentire forte, sicura e priva di tremolii.
«Harry torna a casa, non ho nulla da dirti» si allontana dalla finestra, per chiuderla.
«E non ti interessa minimamente sapere se io ho qualcosa da dirti? Lasciarmi non è stata la cosa più idiota che tu potessi fare, la cosa più idiota che tu potessi fare è stata lasciarmi senza ascoltare me. Non conto proprio nulla?!» sento le lacrime risalire, gli occhi umidi; ma le trattengo.
«Rendi le cose solo più complicate, qualsiasi cosa tu possa dire non cambierà la mia decisione. Farà soffrire solo di più entrambi, non lo capisci?!»
«E tu non capisci che potremmo essere felici? Che potremmo stare assieme, ed avere tutto ciò di cui abbiamo bisogno?!»
Una piccola lacrima, che riesco però a vedere, attraversa il suo volto. Poi chiude la finestra, urlando «Va’ via, Harry!»
Imbambolato tengo lo sguardo fisso sulla finestra.
Torno alla mia macchina. No, non sono debole, non mi sono arreso. Ho deciso di combattere, di ottenere quel che mi rende felice, e mi sono ripromesso che non rinuncerò mai, dovessi star qui tutta la notte farò in modo che Louis mi ascolti, che torni ad accogliermi fra le sue braccia per cullarmi, che torni a cibarsi delle mie labbra, ed a respirare la mia aria.
Torno in cortile, questa volta stringendo fra le mani una chitarra classica.
Nonostante le mie dita tremino, nonostante senta un enorme peso ad opprimermi sul petto inizio a pizzicare le corde della chitarra, ed inizio a cantare.
«Now you were standing there right in front of me, I hold on scared and harder to breath, All of a sudden these lights are blinding me, I never noticed how bright they would be.»
La mia voce risuona roca e potente, vibra nel mio petto per uscire dirompente dalla mia bocca, infrangendosi contro la parete.
«Don’t let me, Don’t let me, Don’t let me go, ‘Cause I’m tired of being alone.»
Libero tutto ciò che provo, tutte le emozioni accumulate in questi mesi senza Louis, ed allo stesso tempo le forti emozioni che mi donano i ricordi dei momenti vissuti assieme al castano. Voglio solo che non mi lasci solo, voglio solo poter avere nuovi ricordi da accostare a quelli che ho registrato, voglio solo essere felice con la persona che mi completa. Con l’unica persona che non mi faceva sentire solo ed incompreso.
E questa volta la mia voce è talmente potente da infrangere qualsiasi ostacolo, da raggiungere le meta, sperando che riesca ad abbattere quella barriera, forgiata da paura ed insicurezze, che lo tiene lontano da me.
Noto la sua sagoma oltre la tenda candida, mi ha ascoltato. Si allontana nuovamente dalla finestra.
«Louis affacciati da quella cazzo di finestra! Non me ne vado finché non mi stai ad ascoltare!» grido a pieni polmoni, con la voce spezzata dal pianto e le gocce salmastre che mi scivolano lungo il viso.
 «LOUIS!» grido ancora una volta, disperato.
S’apre la porta, Louis è sull’uscio di essa e mi fissa, impietosito.
«Ci vuole tempo a scendere le scale su una sedia a rotelle», scherza anche in un momento come questo.
E, per un istante, vedo delinearsi sul suo volto il suo solito sorriso, quel sorriso che mi faceva star bene, quel sorriso che mi fa stare bene.
Muovo passi tremanti verso di esso, il battito del mio cuore che suona come un tamburo, neanche dovesse uscirmi dal petto. Quel manto erboso che pare esser così molle sotto i miei passi, tanto da farmi barcollare. E, appena raggiunto il castano, ricado in ginocchio, ricercando le sue iridi azzurre, ricercando la calma.
«Mi hai lasciato perché non volevi essere un peso per me, non volevi ancorarmi a te. Perché mi ami» dico, lasciando scorrere inesorabilmente ogni singolo pensiero. «Ma non mi hai permesso di dire la mia, non hai voluto ascoltarmi. Non sei tu ad avere bisogno di me, è il contrario! Non posso vivere senza di te. Al tuo fianco ho iniziato a muovere i primi passi, sei stato la scarica elettrica che mi ha reso vivo, facendomi battere il cuore; tu credi che lasciandomi solo io possa spiccare il volo, ma non ti sei lasciato dire che senza di te mi ritrovo senza ali, a sprofondare nel baratro».
Il suo sguardo non si sposta dal mio, le labbra rosee tremolanti che va a mordersi con i denti, e le dita a stringere, con forza, le sbarre di ferro della sua sedia a rotelle.
«Non sai cosa significhi vivere con una persona come me, facili cose per gli altri diventano impossibili per me».
«Non mi importa, Loulou. Scalerei qualsiasi montagna e nuoterei in qualsiasi acqua per stare con te, qualsiasi problema lo affronteremo assieme. Fidati di me, come io mi sono fidato di te» deglutisco.
Lascio cadere la chitarra, e prendo una bustina bianca dalla borsa a tracolla, porgendola al castano.
Confuso s’appresta ad aprirla, senza esitare. Al suo interno vi è un cornetto, ciò dona un altro radioso sorriso a Louis. Uno di quei cornetti che mi portava ogni mattina, uno di quei cornetti con cui iniziavo la giornata, uno di quei cornetti con cui mi ha dato il suo numero e chiesto di uscire.
«Ed ora accettami nuovamente nella tua vita» sussurro, e credo che mai un sussurro sia stato più deciso e forte di questo.
Nella busta vi era un piccolo anello, che ora giace sul palmo della mano di Louis esterrefatto.
«Sposami. Perché non ho bisogno di spiccare il volo, non devo raggiungere nessuna meta, ho tutto quello di cui ho bisogno qui, e quindi voglio che tu sia la mia ancora, così da esser sicuro di non allontanarmi mai da te».
Non distolgo lo sguardo, cerco di percepire ogni muscolo facciale dell’altro che si contrae, fra stupore e gioia.
Gli ho chiesto di diventare mio marito, di condividere il resto della sua vita con me, mano nella mano, uno al fianco dell’altro.
Il suo sguardo velato dalle lacrime, lacrime di gioia a coprire quei due occhi azzurri impauriti dinanzi alla visione del futuro, ed io attendo una semplice sillaba in sua risposta, eppure entrambi siamo consapevoli di quanta importanza quelle due lettere posseggano; una semplice parola che ha l’immenso potere di unirci per il resto della nostra vita, una promessa che ci legherà per sempre, un “io ci sono” che riecheggerà nelle nostre teste ogni qual volta che l’uno vedrà lo sguardo dell’altro, ogni qual volta che l’uno vedrà quel piccolo anello dorato  circondare l’anulare dell’altro. Con i nostri corpi che vibrano e fremono, con i nostri occhi che si uniscono per dar vita ad uno sguardo intenso, il tempo che pare esser infinito, la sensazione di esistere solo noi nell’universo, una sensazione che mi fa battere il cuore, che mi rende vivo e mi fa star bene. E tutto ciò lo sto provando perché ho lui al mio fianco, e credo di non poter aver vita migliore se, sposandolo, mi sentirò così ogni giorno della mia vita.
«Sì, lo voglio» risponde deciso, con la voce acuta, e tremolante per l’emozione. Proviamo le stesse cose, quando stiamo assieme.
E, con le stesse emozioni ad esploderci nel petto ed a guidarci nei movimenti, avviciniamo le nostre teste nella bramosa ricerca delle nostre labbra, e nel momento in cui le assaporo con foga, la foga di chi ha tanto a lungo atteso, mi sento di nuovo parte di questo universo, mi sento di nuovo qualcosa.

Dedicata a tutti coloro che supporto i Larry (♥),
dedicata ai miei sogni, che mi hanno dato l'idea per la one-shot,
dedicata inoltre ad Emy, perché è la scleramica migliore che potessi desiderate: sclera con me,
mi ascolta nei miei -tanti- momenti no, mi dà utili consigli ed inoltre è stata eletta, ormai, la mia BETA personale c:

Un grazie speciale a @hjsdjmples, che ha creato quel perfetto banner per me.

Spero vi sia piaciuta, io ci ho messo tanto impegno.
#Pis en Lov

  
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