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Autore: Snafu    23/06/2013    2 recensioni
Sento addosso gli occhi di sua moglie e il giudizio di mia madre.
Il peso dovuto al fatto che l’unica cosa che ricordi, sono io.
E soprattutto l’indistinguibile voglia di amarlo.
Ripensandoci meglio e tornando indietro nel tempo, non ho idea di come io mi sia infilata in questo casino.
Quindi andiamo per ordine...
Dedicata a una bambina che sta crescendo e a un’altra che non crescerà mai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Roger Taylor, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Made in Hell Series'
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“I've just seen a face

I can't forget the time or place

where we just met.”

-          The Beatles, I’ve just seen a face

 

 

23 dicembre 1997, ore 22.30

 

Roger mi guardava con una faccia completamente disorientata e non posso negare che il fatto che ricordasse solo me, in tutto quello che era successo nella sua vita, mi fece sentire piuttosto importante.

«Com’è che conosci Roger Taylor?» domandò mia madre con aria inquisitoria e gli occhi fuori dalle orbite. Mi aveva trascinato appena fuori dalla stanza affinché lui non potesse sentire ciò che aveva da dirmi.

«Lui è il mio capo.» spiegai.

Fui quasi sicura di vedere i suoi bulbi uscire definitivamente dalle cavità e correre via nel corridoio per poi salire in ascensore e raggiungere i loro simili nel settore oculistica.

«Quando lo scoprirà tuo padre ci farà la pelle» mormorò a denti stretti.

«Io ancora non ho capito come mai il suo nome è un tabù in casa nostra! Sarebbe il caso che anche io ne venissi messa al corrente adesso!» replicai, scocciata, visto che la situazione si stava ritorcendo contro di me.

Mia madre storse il naso e prese un lungo respiro, poi vuotò il sacco:

«Roger è un mio ex-fidanzato e papà e lui hanno avuto un po’ di problemi a causa mia. Diciamo pure che da giovane ero anche peggio di come sono ora. Comunque questo è il motivo per cui tuo padre non lo vede in buona luce. Ti prego, giurami che il tuo rapporto con lui è strettamente professionale.» mi supplicò.

Fu in quel momento che mi trovai al bivio a cui tutti prima o poi si trovano nella loro vita: dire una verità che non verrà mai accettata oppure scegliere se dire un’enorme bugia a mia madre, la donna che mi aveva messa al mondo e che mi amava più di ogni altra cosa al mondo. Visto come erano andate le cose, decisi che la bugia non avrebbe fatto del male a nessuno e che la verità non sarebbe mai venuta fuori.

«Certo, mamma

 

 

23 dicembre 1997, ore 15.30

 

Mi sedetti sul piccolo tavolo del suo camerino e accavallai le gambe, come a lui piaceva tanto. Roger iniziò a giocherellare con il pass che penzolava dal mio collo e mi fece un sorriso sornione, sapendo perfettamente e volendo farmi intendere come sarebbe finito quel gioco. In quell’occasione non avrebbe potuto sbagliarsi di più.

Per un attimo i suoi occhi si soffermarono sulle lettere scritte sul pezzo di carta plastificata, forse per il cinico scherzo di volermi chiamare per cognome con fare formale in un contesto che sarebbe stato tutto tranne che formale… e qualcosa andò storto.

«Ti chiami Staffell?» domandò con un sopracciglio inarcato e un’aria francamente preoccupata.

«Mi fa piacere che se ti avessi messo nelle referenze del mio curriculum e ti avessero chiesto impressioni su di me non avresti avuto la più pallida idea di chi fossi…» borbottai, piuttosto ferita da quella domanda.

«Hai presente Giulietta e Romeo? Non è il nome che cambia i sentimenti. Non è che sei parente di Tim e Dorothy?»

Mi sentii morire perché sapevo che mio padre, Tim Staffell, per ragioni all’epoca sconosciute, odiava Roger Taylor più di quanto mia madre odiasse sentir parlare di aborti.

«Sono i miei genitori.» confessai, preoccupata da ciò che quello avrebbe comportato.

«Oh mio Dio.» furono le uniche parole che disse che mi piacquero, anche se non preludevano a niente di buono. Quelle che seguirono, infatti, furono una vera e propria coltellata. «Devi andartene, non puoi essere la mia assistente, non posso più vederti. Mi dispiace.»

 

Ed è per questo che, tutto sommato, dire a mia madre che il nostro rapporto era, o meglio, era stato strettamente professionale, non fu una grossa bugia.

   
 
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