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Autore: Jooles    23/06/2013    3 recensioni
Ino è una ragazza che ha perso il padre e con lui la voglia di costruirsi un futuro. Non appena riesce a vedere un fioco bagliore di luce, un'altra persona l'abbandona e tutto ricade nel buio. Perciò, perché Ino dovrebbe vivere?
Non c'è un "Ma poi..." di speranza in questa storia, perché quando l'amore è da un solo verso, è un po' come morire.
[InoShika||ShikaTema]
[3^ classificata al contest "Romantic vs Angst" indetto da Kirame27 e C_Lennon sul forum di EFP]
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara, Temari, Tsunade, Un po' tutti | Coppie: Shikamaru/Ino, Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Titolo: “Emocromo. Love in vein”
Fandom:Naruto
Raiting:giallo
Genere scelto e sottogenere:angst; sentimentale, sovrannaturale
Prompt:sangue
Prompt speciale:lacrima







«Chi glielo dice?»
I presenti si guardarono vicendevolmente, ognuno sperando che qualche audace alzasse la mano per proporsi, come insegnavano a scuola quando si doveva rispondere a una domanda.
«Lo faccio io», Choji si alzò dal divano, qualsiasi scusa presa per buona per evadere da quella stanza.
«Non devi farlo da solo…» provò Kiba, la sua intenzione stroncata sul nascere da un cenno della mano di Choji.
«No, è meglio che ci pensi io.»
Tutti concordarono taciturni e ripresero a piangere ognuno sulle spalle dell’altro.

 


 

 

Emocromo
Love in vein

-Prima parte-


 

 
Distesa sul suo letto, Ino gettò l’occhio sullo scaffale dei libri di fronte a lei. I diversi tomi inutilizzati suggerivano una spolverata; in particolare era forte il richiamo di “Applicazione alla pratica infermieristica”, oltre quattrocento pagine che costituivano quasi un vademecum per aspiranti infermieri.
Quel volume era stato riposto lì circa un anno fa e mai più riutilizzato. Le sembrò impossibile che fossero trascorsi tutti quei giorni in così poco tempo.
La deposizione di quel volume era coinciso con una fatto che aveva sconvolto dalle fondamenta la vita di Ino; la morte del padre anzi era stata proprio la causa che l’aveva indotta ad abbandonare i suoi studi.
Era successo per quello che i superstiziosi chiamavano “caso” o anche “destino”, perché si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Inoichi Yamanaka era appena uscito dal negozio di alimentari sotto casa, quando un colpo di pistola sparato per errore nella sua direzione da parte di un bandito che fuggiva dalla polizia aveva messo un punto fermo alla sua vita.
Ino si era domandata parecchie volte da quel giorno se non avesse potuto cambiare le cose; Inoichi era dovuto uscire di casa perché lei il dì precedente aveva dimenticato di comprare il latte, nonostante sapesse quanto il padre amava farvi colazione. Non era stato dunque il destino a portarglielo via, ma solo la sua maledetta dimenticanza.
Era dunque ingiusto che lei continuasse a fare la vita di un tempo mentre lui non c’era più; non l’avrebbe vista diventare infermiera, perciò non avrebbe avuto senso proseguire nel suo percorso formativo.
Da qualche giorno però, soprattutto grazie all’assiduo e importante aiuto degli amici, Ino aveva ripreso a credere in qualcosa, come ad esempio nel suo futuro.
Era proprio per quel motivo che ora osservava attentamente, da lontano, quel volume medico; lo aveva tenuto a distanza troppo a lungo, sarebbe stato un colpo aprirlo subito. Doveva prima tentare un approccio visivo.
Lo guardò per tutto il tempo che rimase sdraiata sul letto, fin quando fuori la giornata iniziò ad adombrarsi, segno che fosse giunta la sera. Si alzò, tendendo una mano per afferrare il libro, quando il campanello suonò.
 
«Ciao, Choji.»
Choji dentro si sé morì un poco; era la prima volta quella sera che la vedeva abbozzare un sorriso dopo tanto, troppo tempo, e questo non faceva che rendergli ancora più difficile ciò che doveva dirle.
«Vieni dentr -»
«Ino…» la interruppe subito, credendo che non udire la sua voce quasi allegra l’avrebbe fatto sentire meno in colpa.
«Hai una faccia da funerale, ti senti bene?», Ino tornò la stessa che era stata da un anno a questa parte.
Choji portò il peso da una gamba all’altra, dondolando così come i suoi pensieri.
Lo dico o non lo dico?
«Si tratta di Sakura», Choji congiunse le mani dietro la schiena, torturandosi una pellicina incurante del pizzicore che provocava.
«Lo so Choji, capisco come si sente…», oltre a condividere una forte amicizia, poco tempo dopo di lei Sakura aveva condiviso il suo stesso dolore.
«No, Ino… Sakura -»
«Le è successo qualcosa?» subito si allarmò. «Ha avuto un incidente? Maledizione, dobbiamo correre…»
«Ino…»
«… non capisco che stiamo a fare ancora qui…»
«… Ino, ascolta…»
«… vado a prendere le chiavi della macchina, aspettami qu -»
«INO!» dovette urlare Choji.
«Che c’è?» Ino si voltò di scatto mentre era già corsa dentro per cercare le chiavi, indispettita dall’indecisione dell’amico.
«Sakura è morta.»
 
«Fatemi entrare!»
«Ehi, ragazzo, stai indietro!»
«No, voglio entrare!»
«Facci lavorare, capiamo la situazione, ma ci sarai solo d’intralcio.»
«Primario! Signorina Kato, abbiamo un codice rosso!»
«Per di qua, l’ala est è piena. Qual è la situazione?»
«Incidente stradale, ampia ferita al fianco destro, rottura di tutti i muscoli e legamenti della gamba sinistra, temiamo una commozione cerebrale e probabile emorragia interna, arto sinistro rotto. Ha perso moltissimo sangue.»
«Sala 23, è ancora cosciente perciò mi serve che la anestetizziate, trovate il suo corrispondente gruppo sanguigno, avrà bisogno di una trasfusione non appena avrò finito, non voglio un’altra morta dissanguata questa sera.»
«Certo, subito.»
«Prestami i tuoi guanti, i miei sono ancora sporchi per prima e non c’è tempo di andarmi a cambiare.»
 
Quel rumore ritmico la infastidiva; era appena sussurrato, eppure nel silenzio in cui la stanza era immersa rimbombava peggio di una campana a lutto.
Ino aprì appena gli occhi, strofinandoli col dorso della mano per risvegliare il senso della vista, rimasto assopito evidentemente per parecchio tempo. La pelle delicata delle palpebre fu graffiata da qualcosa di duro appiccicato sulla sua mano. La scostò sorpresa, notando come quell’arma del fastidio le fosse stata appositamente attaccata con una garza adesiva.
Batté le palpebre più volte, riuscendo a capire infine che si trattava di una farfallina da flebo; mosse la mano indispettita, sentendo tirare l’ago dentro la pelle, collegato da un lungo filo alla boccetta di liquido appesa col collo in giù.
Una giovane ragazza, doveva avere diciotto anni al massimo, entrò nella stanza guidando un carrello con sopra i medicinali verso il letto. Non appena l’infermiera notò che si fosse svegliata annunciò che avrebbe avvertito la dottoressa Kato.
«…e non tirare la flebo, ti farai male» aggiunse, vedendo l’irrequieta paziente giocare pericolosamente con il tubicino.
Ino cercò di calmarsi, avrebbe avuto modo di sbraitare e di fare la scellerata non appena fosse arrivata la dottoressa. Non ricordava per quale assurdo motivo si trovava in una stanza d’ospedale, e la spiegazione più plausibile che le venne in mente fu l’avvenimento di un’improvvisa apocalisse che aveva raso al suolo tutto e perciò l’avevano dovuta ospitare lì, insieme a centinaia di altri sfollati come lei, come se l’ospedale fosse stato adibito ad ostello.
Mosse gli arti sotto le coperte per capire se fosse ferita ma non sentì niente; a dire il vero non riuscì neanche a percepire le articolazioni muoversi, e questo la preoccupò terribilmente.
Stava per alzare le coperte per scoprire cosa avessero fatto al suo corpo, quando una voce austera bloccò ogni sua intenzione.
«Io non lo farei fossi in te, Ino.»
Ino la guardò stralunata, i capelli scompigliati annullarono completamente lo sguardo truce che provò ad indirizzare al medico.
«Che ci faccio qui? Perché mi sento tutta indolenzita? Me lo dica!»
La dottoressa si avvicinò al letto della sua paziente, sedendosi in bilico sul bordo del letto.
«Ino, calmati» il medico le afferrò la mano libera dall’ago e la chiuse dentro le sue.
Ino aveva imparato nel tempo a diffidare da chi le dicesse di calmarsi: l’indicazione a mantenere la calma seguiva sempre una notizia terribile.
“Signorina si calmi… suo padre è morto.”
“Ino, stai tranquilla. Non puoi fare più niente per lui.”
Ino chiuse gli occhi, credendo in quel modo di poter creare uno scudo tra lei e la notizia; sperava davvero che così avrebbe fatto meno male.
«La prego, faccia in fretta» disse Ino.
«Hai un’ampia ferita sul fianco destro, la tua gamba sinistra è ancora attaccata al resto del corpo per puro miracolo. Se ti senti indolenzita è normalissimo, sei ancora sotto l’effetto dell’anestetico.»
Riprese subito a parlare per evitare che Ino pensasse troppo a quello che le era appena stato detto.
«Cosa ricordi?»
Ino sbuffò sonoramente e incurante della maleducazione, scocciata da quelle domande perditempo. Pensandoci però, realizzò presto di non ricordare assolutamente nulla di ciò che le fosse accaduto.
Scosse la testa per rispondere negativamente alla domanda.
La dottoressa sospirò, grattandosi una guancia in evidente difficoltà: non era mai facile parlare di certi argomenti. Quando gli aspiranti diventavano medici, gli veniva insegnato anche come comportarsi in quei casi; il modo migliore era essere schietti e diretti, non bisognava mostrarsi compassionevoli e né dunque lasciarsi coinvolgere dall’emozione.
Non ci si abituava mai, però.
«Hai avuto un bruttissimo incidente: sei stata investita in pieno da una macchina.»
Erano cose che potevano succedere, purtroppo; chiunque avesse ascoltato quella conversazione non avrebbe compreso motivo di tanta angoscia nell’animo della dottoressa. Era stato un incidente, nessuna colpa per alcuno. Ma alla dottoressa Shizune Kato era stato raccontato il contesto dell’incidente; se quel chiunque avesse dunque udito la conversazione essendo a conoscenza dei fatti per intero avrebbe condiviso i sentimenti del medico.
Ino strizzò gli occhi, mentre due forti abbaglianti gialli e un rumore stridulo di gomme strisciate sull’asfalto le balenarono in mente. Sentì che la mano poggiata in grembo aveva iniziato ad inumidirsi e pensò di aver strattonato l’ago dalla pelle e che il sangue avesse iniziato a fuoriuscire. Invece erano solo le sue lacrime.
Shizune fece per parlare di nuovo, ma fu disturbata da una momentanea intrusione.
«Mi sa che ho sbagliato stanza.»
Era entrato fin dentro la camera, guardandosi intorno come se fosse stato catapultato lì all’improvviso. Spaesato, il giovane ragazzo sbuffò, maledicendo a denti stretti la costruzione labirintica dell’edificio.
«L’abbiamo spostata nella quarantasette, Shikamaru» l’informò Shizune.
Ino capì che il suo nome fosse Shikamaru solamente perché nella stanza, loro due a parte, vi era solo lui. Questo infatti non reagì come se qualcuno gli avesse appena parlato, quasi non rispondesse al nome con cui il medico gli si era appena rivolto; riuscì senza ringraziare, era entrato evitando di salutare e allo stesso modo se ne andò, grattandosi la nuca.
Ino lo seguì con lo sguardo fin quando anche l’ultimo ciuffo del suo spettinato codino non scomparvero dietro il muro.
«… delle visite.»
«Eh?» domandò distratta. La dottoressa doveva aver detto qualcosa, ma un mal di testa acuto la distolse dall’attenzione ancor più di quanto già non avesse fatto quel Shikamaru.
«Dicevo, è iniziato l’orario delle…»
Ma non udì la frase completa, perché improvvisamente, senza alcun segnale di precedente malessere, svenne.
 

~¤~

 
Il buio si era ormai completamente impadronito della stanza. Le mattonelle bianche avorio lucenti riflettevano la spia rossa del televisore spento, mentre un petalo dal mazzo di fiori che Choji aveva portato alla sua amica andava ad accumularsi agli altri sulla superficie del comodino.
L’orologio digitale posto accanto al vaso di fiori segnava le 3.17 quando Ino si svegliò di soprassalto, dopo aver visto nuovamente le luci abbaglianti di una macchina che le venivano incontro, seguite dal rumore stridente dei freni. Guardò l’ultima cifra fin quando cambiò in otto, attendendo che il respiro tornasse a regolarsi; le mani tremavano dallo spavento, e temeva di addormentarsi per dover rivivere nuovamente la sua tragedia.
 
«Ino,» Choji la guardava apprensivo come se temesse che l’amica volesse buttarsi dalla finestra da un momento all’altro, «come ti senti?»
La ragazza tentò di tranquillizzarlo in tutti i modi, poi di cambiare discorso, dicendogli quanto le piacessero i fiori.
Choji ripose che era felice che li apprezzasse, e la conversazione scemò tra risolini nervosi. Improvvisamente il ragazzo paffuto si alzò dalla sedia posta lì per i visitatori, battendo i pugni sulle proprie ginocchia, sconfortato.
«Ma cosa ti è saltato in mente? Ti sei… tu, Ino…»
Non riusciva a concludere una frase dato che i ripetuti e violenti singhiozzi stroncavano ogni parola sul nascere.
«Ti sei… sd-sdraiata in mezzo alla… alla strada, I-Ino… la macchina… sopra… c’era sa-sangue sull’asfalto…»
Ino abbassò lo sguardo, imbarazzata a morte per aver fatto preoccupare così il suo amico.
La sera in cui Choji le aveva annunciato della morte di Sakura, Ino aveva finito definitivamente di crollare in quel baratro nel quale aveva rischiato di cadere alla morte del padre. Così aveva preso la decisione di cui aveva avuto paura un anno prima; era corsa in camera per prendere il suo libro di infermieristica e aveva atteso che facesse completamente buio. Poi, in spalla solamente i suoi lunghi capelli lasciati sciolti per una rara volta, aveva raggiunto quell’angolo della strada dove l’anno precedente era iniziato e finito tutto. Si era sdraiata al centro dell’incrocio, la scarsità dell’illuminazione stradale avrebbe avuto il suo ruolo fondamentale e, poggiato il libro sul petto, aveva atteso. Non aveva avuto modo di rendere Inoichi fiero di lei, semplicemente perché non ce n’era stato il tempo; lui avrebbe voluto vederla diventare una brava infermiera e Ino aveva pensato che una volta finito tutto, avrebbe avuto tutto il tempo per studiare… insieme a lui.
Subito dopo la sfuriata di Choji, dall’uscio della porta avevano fatto capolino Kiba, Hinata e Shino; mentre Hinata si era trattenuta un po’ più a lungo, Kiba e Shino avevano atteso fuori, lasciando libero sfogo alle chiacchiere femminili.
Ino aveva potuto origliare tra una timida parola di Hinata e l’altra i discorsi dei ragazzi.
«…e poi Sakura non è più stata la stessa. Lei e Sasuke erano una coppia strana, cioè, li hai visti no? A lui rodeva sempre il culo, poi se fosse un romanticone io questo non lo so. Però oh, se si amavano…»
«Non è stato un anno tranquillo. L’incidente di Sasuke, Sakura, Inoichi…», Shino si sedette sulla panchina di attesa.
«I medici avevano detto che Sakura era rimasta scioccata, sai, erano in macchina insieme e se l’è praticamente visto morire davanti…»
«È questa la spiegazione che dai al gesto estremo di Sakura?» domandò Shino pragmatico.
 Kiba si scompigliò i capelli e alzò lo sguardo, pensando se fosse proprio quello ciò che credeva.
«Dico solo che non la giudico, guarda che queste cose ti fanno perdere la testa…» in quel momento furono interrotti da un’infermiera anziana che si era avvicinata a loro con sguardo truce.
«Abbassate la voce, diamine!», poi si affacciò nella stanza dove riposava Ino e cacciò Hinata in malo modo, dicendo che l’orario di visite era terminato.
 
Ino socchiuse gli occhi, prendendo profondi respiri.
A quell’ora di notte le chiacchiere del giorno tacevano e tutti i corridoi dell’ospedale erano immersi in un silenzio sepolcrale. Fu per questo che i passi che Ino udì poco dopo rimbombarono ampiamente. Li sentì avvicinarsi sempre più alla sua stanza la cui porta era stata lasciata aperta in caso di emergenza.
Ino si voltò dal lato dell’uscio, socchiudendo gli occhi in modo da poter vedere chi passasse per di lì a quell’ora così tarda, ma dando comunque l’impressione di essere addormentata. Intravide la figura di una donna, riconoscendo lo stesso camice della dottoressa Kato. Riuscì solo a vedere una chioma bionda trattenuta in due codini prima che sparisse dietro il muro interrotto dall’arco della sua porta.
I passi cessarono e Ino quasi si spaventò quando vide la donna far capolino nella stanza. Questa scrutò l’oscurità, accertandosi che la paziente dormisse, per poi avvicinarsi al letto. Ino allora chiuse completamente le palpebre, ma quando la dottoressa le toccò la mano con l’ago impiantato dentro, forse per controllare che fosse ancora lì, Ino sobbalzò dallo spavento, tradendo la sua immagine dormiente.
«Mi dispiace averti svegliata» e dicendolo sembrò sinceramente mortificata.
La ragazza nascose dietro il palmo un ampio sbadiglio e fece spazio sul letto quando la donna le chiese di scansarsi un pochino per farla sedere.
«Tu sei Ino, giusto? La dottoressa Shizune mi ha parlato del tuo intervento. Come ti senti?»
«Debole» ammise e affondò ancor più la testa nel cuscino.
La donna aggrottò le sopracciglia, non tradendo il fatto che fosse stata improvvisamente attanagliata da un pericoloso dubbio.
«Ti hanno fatto la trasfusione dopo che sei svenuta oggi pomeriggio?» domandò leggermente allarmata.
Ino vi pensò attentamente, ma l’unica cosa che aveva fluito nel tubicino della flebo era stato l’antibiotico antidolorifico.
«No, non me l’hanno fa…», non fece in tempo a finire di parlare che la dottoressa iniziò a indirizzare offese e invettive al degenerato sistema ospedaliero.
«Manderò un bel po’ di lettere, farò un bel po’ di tagli al personale… ingrati scansafatiche…» borbottava mentre usciva dalla stanza di corsa.
Ino si mise a fatica a sedere, sistemando meglio il grosso cuscino dietro la schiena per rimanere sollevata col busto.
Non dovette attendere a lungo il ritorno della bizzarra donna, che si presentò nella stanza con in mano un kit medico di fortuna, tubicini di varia larghezza e una sacca contenente un liquido scuro. Poggiò tutto sul primo letto libero alla sua vista, poi tornò indietro per accendere la luce della camera. Le lampadine illuminarono il fluido segreto nella bustina trasparente, che si rivelò essere sangue.
Ino ricordò subito il secondo capitolo del suo volume di infermieristica e comprese immediatamente tutte le procedure che avrebbero seguito.
La dottoressa Tsunade Senju (lesse il cartellino appuntato sul camice del medico all’altezza del suo voluminoso seno) aprì il kit, estraendone un ago dal preoccupante diametro, farfalline di varie misure, alcol disinfettante, cotone, tubicini. In pochi minuti assemblò tutti i pezzi e strappò con poca delicatezza l’ago già inserito nella pelle della ragazza per sostituirlo con uno più grosso. Il medico prese la sacchetta del sangue, appendendola al posto dell’antibiotico che le avevano somministrato fino a quel momento; in pochi secondi il tubo trasparente si colorò di cremisi e un lieve pizzicore punse la parte della mano penetrata dall’ago.
Tsunade esalò un profondo sospiro di sollievo.
«Tornerò tra un po’, tu rimani qui tranquilla.»
Raccolse tutto ciò che le era occorso per la rapida operazione e sparì ancora una volta.
Ino, non trovando nulla che la potesse distrarre, iniziò a far scorrere lo sguardo sulle pareti, i letti, ogni angolo raggiungibile della stanza. Contò mentalmente tutti i petali che si erano sradicati dal loro nucleo, aggiungendone un altro che aveva appena toccato la superficie del legno; si interessò delle ruote del carrello dei medicinali di fronte e della televisione all’angolo destro della stanza. Poi, si susseguirono nella sua mente una serie di immagini; pensò alla vecchia infermiera che aveva trascinato Hinata fuori dalla stanza, a Choji, tutti gli amici che l’erano venuta a trovare, un codino castano che spariva dietro la porta, di nuovo Hinata, la dottoressa Kato…
«Mi sa che ho sbagliato stanza.»
…la dottoressa Senju e la sacchetta di sangue che aveva in mano varcata la soglia della camera, un ragazzo con lo sguardo perso…
Ino si massaggiò le tempie, iniziando a sentirsi più stanca di prima. Percepiva una strana sensazione che aumentava proporzionalmente allo svuotamento della sacca di liquido; le ricordò qualcosa legata ai tempi della sua prima adolescenza, quando era sciocca e superficiale, quando quel sentore cambiava una volta ogni pochi mesi. Non si trattava di percezione fisica legata a qualche malanno o dolore, non che Ino non potesse distinguere le due cose, semplicemente le venne immediatamente quella prima idea, che venne scartata a rigor di logica e di esperienza. Non era qualcosa che aveva letto nei libri della sua scelta di studi, dunque depennò mentalmente qualsiasi male di natura biologica che l’avrebbe tenuta incollata al letto dell’ospedale.
Era ansia, bellezza, maledizione, angoscia, spensieratezza tutto insieme: era bene, ma anche male. Ino si tirò nervosamente meglio a sedere sul materasso, preoccupandosi quando la prima persona che le venne in mente quando pensò di associare quella sensazione a qualcuno fu uno sconosciuto.
Perché al suono del nome Shikamaru che rimbombava nel cranio, anche se le sembrava che fosse per tutta la costruzione ospedaliera, Ino non poté fare a meno di sorridere.
In quel momento seppe che, inspiegabilmente, si era perdutamente innamorata di lui.








n/a
Bene, se state pensando che io sia impazzita, no, ora vi spiego tutto. Ino non si è innamorata così a buffo, una spiegazione c'è e verrà con il prossimo capitolo. ;) (La nota sovrannaturale è lì per quello u.u.)
La prima cosa che ci tengo a dire è che questa storia nasce più o meno due anni fa. Leggevo di come gli antichi romani bevessero il sangue dei gladiatori perché ritenevano li rendesse più forti. Nel prossimo capitolo vi spiegherò poi questo stupido collegamento xD.
Inoltre ci tengo a chiarire il "mistero" (ma quale mistero??) dietro al titolo: per quelli di voi che conoscono bene l'inglese, sapranno che la parola "invano" non si scrive così come la leggete, di fatto si scrive "in vain", con la "A".
Quindi vi starete chiedendo, perché 'sta deficiente l'ha scritto con la "E"? Niente panico.Ma non ve lo posso spiegare ora perché altrimenti farei un mega spoiler. Lo scoprirete al prossimo e conclusivo capitolo (se avrete la pazienza di leggerlo *-*).
La storia ha partecipato al contest "Romantic vs. Angst" di Kirame27 e C_Lennon aggiudicandosi il terzo posto (*-* <3), un contest davvero ben organizzato, mi sono divertita a partecipare.
E niente, spero resterete con me fino al secono e ultimo capitolo.
Fatemi sapere se vi sembra tutto troppo assurdo o stupido, prenderò atto e non vi ammorberò più con storie del genere, giuro.
Alla prossima.,
Jooles

  
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