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Autore: wrjms    24/06/2013    1 recensioni
Nella quale Clara ed il Dottore litigano e fin troppe lacrime sono versate.
[Lieto fine, non vi preoccupate!]
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 11
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Don’t Let Me Go.

«SE FOSSI STATO PIÚ ATTENTO TUTTO QUESTO NON SAREBBE SUCCESSO!». Le gote rosse e rigate dalle lacrime ardevano per la rabbia e i suoi capelli lunghi e color mogano iniziavano già ad inzupparsi per la pioggia improvvisa e pungente che le cadeva sul capo. Il Dottore la guardò, i cuori spezzati per il rimpianto e gli occhi desiderosi di abbandonarsi alle lacrime. Non cedette, tuttavia; strinse i denti e tentò di avvicinarsi a Clara, pian piano, aprendo le braccia e tendendo le mani verso di lei.
«Clara…».
«Non avvicinarti un passo di più!», sbraitò lei, piegandosi verso di lui in un grido, tentando invano di scacciare le tracce di mascara sbavato sotto i suoi occhi. «È tutta colpa tua», mormorò poi con voce più leggera, riprendendosi un poco, prosciugando con singhiozzi colmi di rabbia ogni lacrima ancora rimasta ad attendere sotto le sue palpebre. «Perché non bastava portarmi nel pianeta più desolato ed inquinato dell’intero universo, vero? Dovevi anche decidere di volerlo esplorare proprio durante una guerra, GENIALE!». Il Dottore deglutì, ferito, ma mantenne la testa ben alta e le braccia in aria e pronte ad accoglierla. «In quattro ore ho visto una folla di bambini morire», continuò lei, imperterrita, «sono stata infradiciata, quasi uccisa, buttata in mezzo ai cadaveri dopo essere svenuta perché mi ritenevano morta e, come se non bastasse, ho perso l’anello! QUELLO DI MIA MADRE! Sono fradicia, puzzo come un cane e cammino verso la broncopolmonite. Contento, ora? No, ovviamente». E, con le labbra sanguinanti per quanto forte se le stesse mordendo, senza scostare lo sguardo di un millimetro dalla sua figura tremante, sussurrò qualcosa. «No, ovviamente. A te non importa mai».
E il Dottore, occhi spalancati per il disonore e le braccia calanti di nuovo sul suo stesso petto, esplose. Si scostò una ciocca di capelli fradici dalla fronte e, esalando un respiro profondo, iniziò a soffiare fra i denti. «Non osare», sussurrò, con tono così tanto basso che, se lei non avesse avuto un buon udito, avrebbe stentato ad udire. «Non osare nemmeno pensare che a me non importi. A me importa sempre – che sia tu, un infimo alieno genocida o un bambino innocente -, a priori. Non osare nemmeno credermi – io, il Dottore, il salvatore di mondi – una persona a cui non importa».
Ma la ragazza, in piedi davanti a lui, tacque. Aspettò, con le braccia appoggiate sui fianchi e il petto scosso dai singhiozzi, che lui facesse qualcosa. Tuttavia lui imitò il suo silenzio, ostentando a piangere e fissandola con sguardo serio e fiero di sé.
Non era più il Dottore.
Era la Tempesta in Arrivo.
«Io ci provo». Lo sputò fra i denti digrignati, come se non avesse aspettato altro durante la sua vita che urlare quelle poche parole in faccia a qualcuno. E, tremando e lottando per non piangere, cedette alla rabbia. «Ma sono contornato da scimmie che non capiscono. Vuoi vedere l’universo? Non ti devi aspettare solo piaceri e banchetti. Questa è la vita. VIVILA E NON FRIGNARE! Il dolore esiste. Apri gli occhi e guardalo, diamine!».
Clara non resse.
Indietreggiò davanti alle braccia ora di nuovo aperte del Dottore che, piano piano, tornò ad avvicinarsi a lei. Consapevole, disonorato, odiando sé stesso per le parole appena dette,  mosse un passo esitante con le ginocchia molli, avvicinandosi a lei, tentando disperatamente di ripiegare ai torti appena commessi. «Clara… ti prego, io…».
Ma lei non volle. «Vai via», singhiozzò, ma tuttavia fu lei quella ad andarsene. Ginocchia tremanti e occhi gonfi, membra gocciolanti e vestiti appiccicati al petto, barcollò allontanandosi da lui. Mostro, gridavano i suoi occhi. Così innocenti, così limpidi, così deboli. Singhiozzava e continuava nella sua lenta retrocessione; ciononostante, mentre traballava e arretrava, i suoi occhi non si staccarono mai dalla figura tremante del Dottore che la sovrastava. E lui moriva dal bisogno devastante di avvicinarsi e di coglierla fra le sue braccia, di stabilizzarla, scaldarla e prendersi cura di lei; eppure era messo in soggezione dal suo sguardo, e dai suoi occhi gonfi per colpa delle sue parole, e dalle sue braccia parate di fronte al suo corpicino come a nascondersi dai suoi sguardi malvagi e mostruosi. E, come un bambino, cadde sulle sue stesse ginocchia quando lei corse verso la boscaglia, lasciandolo solo.
Clara si trascinò fra il muschio e i tronchi caduti per poco più di qualche minuto. Poi, desolata e spezzata, crollò al suolo e si accasciò sul fogliame.
Se la testa doleva, il cuore stava ancora peggio. E non c’era ragione di autoconvincersi che tutto sarebbe andato per il meglio: perché, su qualunque cose tentasse di concentrarsi, l’unica cosa che continuava a vedere sotto le sue palpebre era il Dottore. Il Dottore che la insultava, il Dottore che l’accusava, il Dottore che non esitava a ferirla.
Clara non fece alcuno sforzo per alzarsi da terra.

Le gote del Dottore non erano mai state così in fiamme.
S’era sentito cadere. Tutto qua. I minuti passavano: dieci, venti, trenta. Eppure lui era lì, sul fango, senza alcun desiderio di rialzarsi da terra. Piangere era il suo nuovo unico desiderio e mai nessuno aveva ascoltato i suoi singhiozzi con tanto interesse quanto il fango che lo infradiciava ed intorpidiva.
S’alzò da terra solo quando, capendo davvero grazie all’imbrunire che ore si fossero fatte, realizzò quanto tempo fosse passato.
Puntellando i gomiti e gemendo s’alzò in piedi, non badando al suo aspetto devastato e continuando per la sua via. Il bosco era cupo e ombroso, d’un freddo disarmante, fosco. Barcollò, appigliandosi ai rami sporgenti che trovava sul suo cammino, ma la preoccupazione s’era fatta troppo intensa per badare ai tagli che i rovi gli procuravano sugli avambracci nudi. Clara, Clara, Clara, chiamava mentalmente, percorrendo il sentiero, ma lei non c’era. E,volendo scoppiare di nuovo in lacrime dopo l’immenso sforzo di placare i suoi stessi singhiozzi, iniziò a chiedersi se davvero lei se ne fosse andata per sempre.
Crollò al solo pensiero.
Si ritrovò di nuovo a piangere, frustrato, maledicendo sé stesso. Era uno schifo totale, un mostro, uno scarto della natura. Forse era ora che anche l’ultimo Signore del Tempo si dileguasse dalla terra. Forse era ora che la facesse finita.
E, benché la sua mente desiderasse solo di spegnersi e di mandare all’aria tutto, il suo cuore aveva ben altri piani. «Clara», iniziò a sussurrare fra le lacrime, mischiando l’acqua salata alle gocce di pioggia che già gli rigavano il viso. «Clara, Clara, Clara». E lo stramaledettissimo sentiero avrebbe potuto anche andare a farsi benedire. Non c’era più la rabbia, non c’era più l’orgoglio, non c’era più l’onore. Rimaneva solo l’odio per sé stessi e il rimorso che gli attanagliava le vene e lo faceva barcollare. «Clara!», iniziò a chiamare, sempre più forte.
E se se ne fosse andata da lui?
E se fosse stata ferita?
E se fosse morta?
«CLARA!».


Clara si svegliò con l’odore familiare di qualcosa di dolce. «Dottore», tentava disperatamente di pronunciare, ma dalle sue labbra fuoriuscivano solo sibili e mugolii. Faticava a respirare, a tenere gli occhi aperti, a pensare. Ma, nonostante tutto, si sentì protetta.
«Mi dispiace», sentì singhiozzare al suo orecchio, e sentì il suo cuore sciogliersi. Perché non c’era parola, né ricordo, né incubo che potesse permetterle di odiare un uomo che sussurrava con così tanta dolcezza le sue scuse dentro al suo orecchio. «Mi dispiace così tanto». Qualcosa la avvolse, stretta, e il profumo di miele e sole si fece più vicino. Tirò su col naso, stringendosi nel tessuto morbido e familiare della giacca di tweed avvolta attorno alle sue spalle. Sì senti sollevare e stringere forte tanto quanto mai nessuno l’aveva stretta; faticava a respirare,  sì, ma non importava. Voleva solo essere abbracciata da lui tanto forte da essere fusa in un tutt’uno con lui. E voleva dormire, solo dormire fra le sue braccia. Ma lui continuava a scusarsi per crimini non commessi e parole non volute, e lei voleva piangere così tanto…
«Dott…», sussurrò a stento,  e sfregò la punta del naso contro la sua camicia bagnata.
«Sono qui». La sua voce, seppur addolorata e colpevole, risuonò nelle sue orecchie stanche come un coro di campanelli d’argento. E il dolore e le lacrime erano scomparse dai suoi occhi: la sua voce era bastata a placarla, il suo respiro l’aveva cullata come una ninna nanna. Stretta nel suo abbraccio caldo seppur fradicio, aveva avvinghiato il tessuto della sua camicia, appendendovisi come avrebbe fatto ad un ancora di salvezza. «Va tutto bene», sussurrò, desiderosa di tranquillizzarlo.
Ma lui fraintese.
«Sì, va tutto bene», ripeté il Dottore, appoggiandosi alla porta della TARDIS per aprirla senza sballottare Clara fra le sue braccia. Lei chiuse gli occhi e, dopo qualche secondo, si sentì appoggiare su qualcosa di morbido. «No», sussurrò poi, e cercò con lo sguardo di incontrare le sue iridi perfette. Ci riuscì. In quel momento decise di non volerle lasciare andare mai più. «Va tutto bene per davvero».
Ma i suoi occhi erano troppo stanchi per rimanere aperti e Clara cedette al sonno. L’ultima cosa che sentì prima di cadere nelle braccia di Morfeo furono le sue mani calde sulla sua, fredda e umida.
«Sì», mormorò il Dottore, prendendo dalla sua tasca qualcosa trovato nel prato poco prima.
«Ora va davvero tutto bene». E rimise al suo posto l’anello di Ellie Oswald.

NdA
È mezzanotte e io pubblico questa whouffle random e abbastanza triste. Non l’ho riletta e mi dispiace un sacco per eventuali errori di battitura/frasi pesanti/personaggi OOC. Mea culpa, non l’ho autobetata. :c
Spero comunque che la storia piaccia a qualcuno, anche se non credo succederà, in quanto non ha nemmeno un gran senso.
E non preoccupatevi, lettori di “Come Scommettere Con Il Dottore E Riuscire Comunque A Sopravvivere”! Aggiornerò presto. C:
A presto e grazie di tutto!
WJ

   
 
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